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Allora gli chiesero di nuovo: "Che cosa ti fece? Come ti ha aperto gli occhi?"

Gv 9 Vs 26  Primo tema.


Titolo:  Il rischio della ripetitività.


Argomenti: Le due attrazioni. Le tre luci sul cammino dell'uomo. Il rischio di ripiegarsi su se stessi: la noia e il cerchio. La salvezza  non viene dai nostri sforzi ma da Dio. Il grano e la zizzania. Far crescere la conoscenza di Dio. L'intelligenza non è in noi, si forma nella misura in cui conosciamo la Causa. L’intelligenza è il segno del Figlio di Dio nella creazione: riceve l’essere conoscendo. L’intelligenza richiede partecipazione.


 

13/Marzo/1988 Casa di preghiera Fossano.


Ci troviamo nel versetto 26 del capitolo nono di San Giovanni.

Qui i farisei chiedono di nuovo a quell'uomo cieco guarito da Gesù: "Che cosa Ti fece? Come ti aprì gli occhi?".

È impressionante quante volte ritornano a interrogare quest'uomo.

Lo interrogano una volta, poi una seconda volta, poi fanno chiamare genitori, poi richiamano lui e finalmente lo interrogano ancora.

C'è una ripetitività in questi avvenimenti che evidentemente vuole significare a noi qualcosa.

Allora dobbiamo chiederci quale lezione per la nostra vita personale (tutto è Parola di Dio), Dio vuole dare a noi, attraverso questi farisei che continuano e insistono a ripetere sempre la stessa richiesta attorno a un fatto che non riescono a vedere nella luce.

È che quel cieco era stato guarito da Gesù e adesso vedeva ma, questi altri stanno diventando veramente ciechi.

Pare che questa ripetitività nell'interrogare su uno stesso avvenimento la stessa persona, sia segno di questa cecità. Soprattutto dobbiamo chiederci cosa Dio ci vuole significare di Sé.

Perché in ogni avvenimento Lui parla a noi di Sé.

Abbiamo detto molte volte che in ogni cosa, siccome dobbiamo riconoscere che uno solo è il Creatore (uno solo è Dio e "Non avrai altro Dio all'infuori di Me") dobbiamo cercare il Pensiero di Dio.

Quindi dobbiamo cercare che cosa Dio vuole dire a noi di Sé, attraverso questo avvenimento.

Le volte scorse ci siamo soffermati sulla natura dell'intelligenza.

Proprio l'approfondimento della natura dell'intelligenza ci offre adesso la possibilità di penetrare questa lezione. Prendiamo come pensiero guida quello che dice Gesù il giorno dopo che Egli aveva moltiplicato i pani per tanta gente. Quando quella gente il giorno seguente lo cerca, Gesù fa un rimprovero.

Dice: "Voi mi cercate non perché avete visto i segni ma perché avete mangiato di quel pane e ne siete soddisfatti".

Lui dice: "Mi cercate non perché avete visto i segni".

Quindi non lo stanno cercando per capire, per intendere da Lui il significato di quello che aveva fatto loro (non avevano visto il segno, lui rimprovera) ma, perché avevano mangiato il pane che Lui aveva dato loro.

Forse Gesù non aveva dato quel pane perché lo mangiassero?

Certamente è logico.

Lui stesso aveva detto: "Se li rimando verranno meno per la strada".

Eppure qui li rimprovera perché non hanno visto i segni.

Avrebbero dovuto quindi cercarlo per i segni, per il significato.

Osserviamo quello che era avvenuto il giorno prima: il giorno prima tutta quella gente andava dietro Gesù non per avere il pane.

Andava dietro Gesù, attratta dal fatto che Lui parlava di Dio, parlava loro del Regno di Dio.

L'intenzione era buona, l'attrazione era l'attrazione per Dio: l'avevano seguito per tre giorni addirittura nel deserto! Nel giorno dopo subentrano altri fatti.

Cercano Lui non più perché attratti da Dio ma, perché hanno mangiato il pane.

Sono stati soddisfatti.

È subentrata un'altra attrazione, un altro desiderio.

È quello che avviene nella vita di ogni uomo.

C'è un attrazione fondamentale.

Ogni bambino è attratto dal bisogno di capire.

La parola che caratterizza il bambino è "perché?", l'interrogazione, il cercare di capire.

Però man mano che si vive subentra un altro fatto, un altra attrazione, cioè s'incontrano dei segni e questi segni provocano nella creatura il desiderio di rivederli, di riprovarli.

Qui cercano Gesù per ritrovare la moltiplicazione del pane.

Mentre il giorno prima Gesù era il quadro, qui adesso Gesù diventa la cornice.

Adesso l'elemento fondamentale è: desiderio di riavere il pane che hanno gustato il giorno prima.

Prima non c'era questo desiderio, prima c'era l'interesse per conoscere Dio.

Quando c'è l'interesse per conoscere Dio, Gesù era colui che determinava il quadro di vita, l'elemento determinante, la motivazione centrale.

Adesso non è più la motivazione centrale, adesso Lui è lo strumento, il mezzo per ottenere il pane di prima.

Qui la motivazione centrale è avere il pane.

Ci presenta il rischio in cui si trova ogni uomo.

Tre grandi luci sono quelle che caratterizzano il cammino dell'uomo, sono i tre grandi momenti nella vita di ogni uomo.

Abbiamo la prima luce quella che illumina circa il fine, lo scopo: uomo sei stato creato per cercare e per conoscere il tuo Dio, sei stato creato per Dio.

Qui è il destino, qui è la tua vita vera.

È la prima luce.

Poi abbiamo la seconda luce: la scoperta della via che conduce al fine: Cristo, il Pensiero di Dio fra noi, il Pensiero di Dio in noi.

E finalmente abbiamo la terza luce: la scoperta dello Spirito Santo, "Colui che resterà sempre con voi".

Prima siamo nel tempo, qui invece s'inaugura un "sempre", quindi una vita eterna.

Succede che man mano che l'uomo avanza in queste luci, scopre anche la situazione in cui si trova rispetto a queste luci.

Scopre i suoi difetti, gli ostacoli.

E qui corre il rischio che è un aspetto del rischio di prima: vedendo i difetti, vedendo quello che gli impedisce di camminare verso la luce che lo illumina, quanto più si va avanti nella luce, tanto più si vedono le difficoltà in cui uno si trova, perché vede le esigenze della luce stessa, tanto più corre il rischio di ripiegarsi per cercare di eliminare questi difetti, gli ostacoli, con l'illusione di fare bene e non si accorge che si chiude in un cerchio.

È il cerchio che hanno inaugurato quelle genti che avevano gustato del pane che Gesù aveva dato loro.

Il cerchio è motivato dalla creazione, dalla situazione in cui uno si trova, dal piacere di quello che ha gustato, dal desiderio di ripetere, di rinnovare questo fatto.

È l'uomo che si ripiega su se stesso anche quando si orienta a cercare di eliminare i propri difetti o a eliminare gli ostacoli per camminare nella luce.

È un rischio grosso, ed è una grande illusione perché (ecco l'importanza dell'argomento della natura dell'intelligenza che precede questo), abbiamo visto che a Dio si giunge solo con l'intelligenza, non con i nostri sacrifici, non con le nostre penitenze, non con i nostri sforzi di volontà, non con la nostra purificazione.

A Dio non si giunge eliminando tutto ciò che non è Dio.

Abbiamo visto l'episodio di Sant'Agostino e di Monica: c'è un'intuizione ma non si può restare.

Il problema è giungere a restare, e quello che dà a noi la possibilità di restare è l'intelligenza di Dio, è lo Spirito Santo "che resterà sempre con voi".

Solo lo Spirito che resta sempre con noi dà a noi la possibilità di restare sempre con Dio.

Quindi non è quello che noi ci affatichiamo per togliere da noi, fosse anche il pensiero del nostro io, che ci conduce a  conoscere Dio.

La salvezza non viene dalla nostra volontà, non viene dai nostri sacrifici.

Per questo Signore dice: "Io non chiedo a voi sacrifici né offerte, né olocausti: voglio la conoscenza!".

Qui ritroviamo la parabola di Gesù del grano e della zizzania: nel campo della vita e nel campo del Regno di Dio.

A un certo momento crescendo nella luce noi ci accorgiamo che nel campo di Dio, nel Regno di Dio, nella nostra stessa vita religiosa c'è la zizzania.

Il rischio è quello di impegnarci a sradicale, a togliere la zizzania.

Gesù dice "Non togliete la zizzania, perché sradichereste il grano".

Con questo ci rivela che la grande preoccupazione dell'uomo dev'essere quella del grano che cresce, di far crescere il grano.

E cosa rappresenta questo grano?

"È necessario che lui cresca e che io diminuisca".

Il grano è la conoscenza di Dio: questo deve crescere, di questo bisogna preoccuparsi.

Quindi non preoccupatevi dei vostri difetti, non preoccupatevi di come siete vestiti, non preoccupatevi del luogo dove siete, non preoccupatevi di quello che avete o di quello che non avete.

Non preoccupatevi nemmeno della vostra impotenza e della vostra lontananza da Dio, perché se vi preoccupate di questo voi perdete Dio.

Non preoccupatevi nemmeno di eliminare o di superare il pensiero del vostro io.

Fa crescere Dio!

Cioè preoccupati che il grano, che la conoscenza di Dio cresca.

E come cresce?

A Dio si giunge soltanto attraverso l'intelligenza.

Ora l'intelligenza non si forma in noi senza di noi.

Ecco la preoccupazione che bisogna avere!

L'intelligenza non si forma in noi senza di noi perché l'intelligenza viene da-.

L'intelligenza viene dalla conoscenza delle cause.

L'intelligenza di Dio viene dalla conoscenza di Dio come Causa, di Dio Creatore.

Soltanto nella misura in cui cresce in noi la conoscenza di Dio e di tutto ciò che viene da Dio, si forma in noi l'intelligenza.

Quindi l'intelligenza non è in noi.
Essa è una cosa che si forma nella misura in cui noi conosciamo la Causa.

È qui che si determina la nostra vita essenziale, la vita vera, è qui che si forma!

Abbiamo visto che c'è un'affinità tra l'intelligenza e il Figlio di Dio, anzi l'intelligenza è il segno del Figlio di Dio nella creazione di Dio.

Perché il Figlio di Dio si forma e prende consapevolezza di Sé guardando il Padre: conoscendo il Padre conosce Se stesso, quindi riceve l'essere da ciò che conosce.

Anche l'intelligenza nostra riceve l'essere da ciò che conosce.

Essendoci questa corrispondenza possiamo capire che l'intelligenza è quella che a un certo momento viene rivestita dell'abito del Figlio di Dio, poiché riceve l'essere conoscendo.

Ora, questo non avviene senza di noi.

Perché non avviene senza di noi?

Perché l'intelligenza richiede partecipazione e richiede partecipazione perché si tratta di superare tutto di noi per guardare l'altro: la Causa.

Noi essenzialmente siamo creature che sono spettatrici dell'opera che Dio fa, quindi effetti: noi siamo effetto, riceviamo.

Tutto quello che noi riceviamo non è illuminato.

Tutta la creazione, tutti segni di Dio, tutte le Parole di Dio che arrivano a noi, tutto quello che arriva a noi senza di noi, noi lo riceviamo, lo subiamo, può provocare in noi piacere, gioia, dolore, tristezza, sentimenti, però non sappiamo che cosa sia e non possiamo saperlo.

Guardando un effetto, noi non possiamo capire che cosa quest'effetto è, fintanto che non conosciamo la causa che provoca questo effetto.

Noi certamente non siamo la causa della creazione, quindi tutto quello che noi riceviamo, tutto quello che esperimentiamo, tutto quello che tocchiamo, tutto quello che vediamo, per noi non è luce, non è intelletto.

Per giungere all'intelligenza si richiede (ecco la partecipazione) il superamento dei segni, il superamento di noi stessi, il superamento di tutto, per guardare solo a Dio e da Dio.

La causa è rivelatrice di se stessa.

Dio solo è il rivelatore di Sé.

Senza Dio noi facciamo niente, ci avvolgiamo nelle tenebre.

In Dio, noi abbiamo il principio della luce che illumina tutte le opere di Dio.

Quando noi non giungiamo a questo complimento che è il principio della luce (compimento perché soltanto nella luce noi troviamo la pace) noi giungiamo, inauguriamo nella nostra vita la ripetitività.

Questo dice a noi che tutto quello che non è portato a compimento, per noi diventa ripetizione, bisogno di ripetizione: è un segnale d'allarme.

Quando tu t'accorgi che nella tua vita incomincia la ripetizione sta attento!

Sta suonando un campanello d'allarme, stai perdendo lo spirito!

La vita non è circolarità, la vita non è cerchio.

Il cerchio è una condanna: il mondo è già giudicato, il mondo è tutto circolare.

La vita è una retta: "Fate diritte le strade di Dio", perché la vita è tendere a-, tendere a un fine, cioè tendere a conoscere Dio.

Ora il fatto di tendere verso, è significato dalla retta.

La retta non la vediamo nel mondo attorno a noi.

È invisibile.

Perché?

Perché appartiene al campo dell'intelligenza.

Soltanto nell'intelligenza noi troviamo la retta.

Nel mondo noi non vediamo la retta, anche se apparentemente (apparentemente! È solo apparenza) ci sono linee rette.

Ma nel mondo non c'è la retta.

Essa è infinita e appartiene al campo dell'infinito e l'infinito non si vede.

Nel mondo tutto è cerchio.

Anche quello che apparentemente sembra un tratto di retta, è un tratto di curva, quindi appartiene a un cerchio, a un mondo chiuso.

Se c'è ripetitività, è segno che la nostra anima è venuta meno alla ricerca di Dio, perché presso Dio c'è la novità.

Se noi osservassimo molto a fondo tutta la nostra vita, quello che chiamiamo vita ma che vita non è, perché è un morire giorno dopo giorno, è sempre un cercare di ritrovare sentimenti di ieri, esperienze fatte, ritrovarci in quei luoghi in cui  siamo già stati, con persone che abbiamo già vedute, perché stiamo morendo di noia.

È più noi cerchiamo di ritrovare, di riesperimentare quei fatti precedenti, più si aggrava la nostra noia e la noia e già principio di morte.

Noi non possiamo ritrovare un fatto precedente.

Non si può passare due volte per lo stesso punto nel cammino dell'universo.

Il tempo va a senso unico.

Noi non possiamo nel modo più assoluto ritrovare un fatto di ieri.

Costoro che vanno a cercare da Gesù, il pane mangiato ieri non lo troveranno certamente.

Per questo trovano Gesù che li rimprovera.

Guai a colui che si volta indietro, perché sta perdendo la vita.

La vita è nella novità.

Ma la novità che si annuncia (il bambino è tutto immerso nella novità) alla creatura umana in superficie, il giorno dopo richiede già (altrimenti la perde) un approfondimento, quindi richiede intelligenza.

Più si vive e più si esige intelligenza, approfondimento, altrimenti ti accorgi che tutto si ripete e tutto diventa noia. Quindi la vita sprofonda nell'intelligenza.

Senza intelligenza non si giunge all'infinito, e la vita è infinita in quanto appartiene all'intelligenza e intelligenza vuol dire raccogliere tutto nell'unità (per cui l'unità è infinito), raccogliere tutto nell'unità di Dio.

Non si giunge all'infinito eliminando tutto ciò che è finito attorno a noi.

Per quanto noi cerchiamo di eliminare il finito, non arriveremo mai all'infinito.

L'infinito si trova soltanto con l'infinito, quindi è un salto essenzialmente di qualità che noi possiamo fare solo attraverso il pensiero.

Soltanto se abbiamo la possibilità di pensare Dio, da Dio (l'intelligenza viene da-), soltanto da Dio otteniamo quell'intelligenza che ci dà la possibilità di restare con Dio.

Noi lo sappiamo che tutte le cose vengono da Dio e lo diciamo anche che tutte le cose vengono da Dio e, un certo momento saremo costretti a vederlo, perché la Verità si imporrà, tutto viene soltanto da Dio.

Ma quando questa Verità s'imporrà per noi sarà tardi.

Bisogna che noi cerchiamo da Dio la sorgente di ogni cosa, prima che questa sorgente si riveli e s'imponga a noi senza di noi.

Soltanto se noi si è formata la conoscenza di Dio prima che Dio si imponga, avremo in noi la capacità di restare.

E qui ritroviamo la parabola, detta già 1000 volte delle vergini stolte delle vergini sagge.

Solo quello che noi abbiamo interiorizzato, incamerato di conoscenza di Dio, ci dà la possibilità di entrare.

Per incamerare in noi di conoscenza di Dio si richiede appunto dedizione a Dio e per dedicarsi a Dio si richiede il superamento di tutti segni ricevuti da Dio, quindi non la ripetizione, non il cercare il rinnovamento dei segni di Dio o il cercare di eliminare da noi questi ostacoli che ci impediscono di conoscere Dio, bisogna sprofondarci nel Pensiero di Dio, perché soltanto sprofondandoci nel Pensiero di Dio, da Dio possiamo tenere quello Spirito, quell'intelligenza che rende noi capaci di restare sempre con Dio.

Per cui l'intelligenza diventa la realizzazione di un pensiero, di una presenza.

Ecco per cui a un certo momento l'intelligenza diventa lo Spirito Santo che è Spirito di verità.

La nostra intelligenza diventa, deve diventare la realizzazione, l'attuazione, la visione di un pensiero.

Soltanto quando questo pensiero si è realizzato, visto, dà a noi la possibilità di restare: prima no.

Noi siamo sempre, prima e dopo determinati dalla presenza.

Prima di conoscere Dio noi siamo determinati dalle presenze sensibili, dai segni di Dio.

Ma le presenze sensibili mutano e quando una presenza scompare da noi, noi incominciamo ripiegarci per cercare di ritrovarla e facciamo il cerchio e perdiamo la vita.

Soltanto superando tutti segni, anche i segni che Dio dà a noi per farci capire i nostri difetti, per farci vedere gli ostacoli, per farci capire quello che impedisce a noi di avvicinarci a Dio, soltanto superando questi segni e impegnandoci con Dio, da Dio nel possiamo trovare quella realizzazione del Pensiero di Dio che attualmente possiamo pensare, ma che non vediamo presente con quella presenza che ci salva e chi diventa per noi vita infinita.

Perché nel Pensiero di Dio c'è un'unità e l'unità e infinito.

E quando noi troviamo questo infinito e possiamo raccogliere e riferire tutto a questa unità, noi inauguriamo già adesso, la nostra vita eterna che vita vera.



Allora gli chiesero di nuovo: "Che cosa ti fece? Come ti ha aperto gli occhi?"

Gv 9 Vs 26  Secondo tema.


Titolo:  La spina e la presa.


Argomenti: L'interrogazione. I doni di Dio. Mantenere unita l'opera di Dio a Dio. Mai fermarsi ai sentimenti che vengono a noi dall'opera di Dio. La funzione positiva della ripetitività.


 

20/Marzo/1988 Casa di preghiera Fossano.


Rimaniamo nel versetto 26: "Gli domandarono di nuovo: che cosa ti fece? Come ti aprì gli occhi?".

Domenica scorsa ci siamo soffermati su questa ripetizione da parte dei farisei nell'interrogare quest'uomo e avevamo cercato il significato di questa ripetitività, soffermandoci soprattutto sul significato negativo di tale segno.

Adesso è necessario (perché tutti i segni hanno sempre un duplice aspetto) soffermarci sull'aspetto positivo della ripetitività, perché ogni cosa in quanto esiste reca sempre con sé qualcosa di positivo.

Tutto quanto avviene nella nostra vita, nel mondo, essendo opera di Dio, ha sempre un aspetto positivo per la nostra vita essenziale.

La volta scorsa raffrontando la scena del giorno dopo la moltiplicazione dei pani, abbiamo visto come si cada nella ripetitività quando non si vedono i segni di Dio.

Quando tutta quella gente ebbe ricevuto il pane che Gesù aveva fatto distribuire loro dai discepoli, il giorno seguente ritornò a cercare Gesù.

Avevano mangiato di quel pane, erano rimasti soddisfatti e adesso avevano cercato Gesù non perché avessero visti i segni (è un rimprovero che Gesù fa loro), quindi non per chiedergli il significato di quello che aveva fatto ma, perché avevano mangiato di quel pane e ne erano rimasti soddisfatti.

Cioè si erano fermati al sentimento.

Non avevano portato l'opera al compimento.

Si erano fermati all'incompiuto.

Ad ogni livello c'è sempre una significazione di Dio, anche se l'uomo non porta le cose al compimento, anche nell'incompiuto c'è una significazione di Dio.

Una delle principali significazione di Dio e l'eternità.

Dio è l'eterno, Dio è l'immutabile, Dio è la Verità.

Abbiamo visto molte volte che la Verità trascende il tempo, trascende lo spazio e poiché trascende il tempo non è condizionata dal tempo e se non è condizionata dal tempo, la Verità è eterna, Dio è eterno.

Anche noi siamo chiamati a far parte di questa eternità e quindi a superare tutti i condizionamenti del tempo e dello spazio.

Oggi noi siamo condizionati, molto condizionati dal tempo, dallo spazio, dalle creature che vivono e che incontriamo.

Siamo destinati a partecipare di ciò che non è condizionato né dal tempo, né dallo spazio, né dalle creature.

Ho detto che uno degli attributi principali di Dio è l'eternità.

Questa eternità si riflette, si significa anche là, dove la creatura non giunge al compimento, anche nell'incompiuto.

L'eternità di Dio si significa nell'incompiuto dell'uomo con la ripetitività.

Il cerchio, la ripetitività della creatura è segno dell'eternità di Dio nel campo dell'incompiuto dell'uomo.

Se Gesù rimprovera, lo fa appunto, perché non è stato portato a compimento quello che la creatura doveva portare a compimento, il che vuol dire che la creatura ha la possibilità di portare a compimento quello che Dio opera.

Ma qui sorge il problema: perché quella gente non vide il segno Dio?

Qualcuno la volta scorsa disse: "Sarebbe stato meglio che Gesù non avesse moltiplicato i pani, perché avrebbe evitato a quella gente l'occasione di lasciarsi dominare dal desiderio, dal sentimento soddisfatto dal cibo che Gesù aveva dato loro, dal dono di Gesù".

Ogni dono di Dio provoca nella creatura un sentimento, la creatura corre il rischio di fermarsi a questo: inaugura il cerchio, poiché il sentimento provoca in lei il desiderio di rinnovare l'esperienza di quella gioia.

Dico inaugura il cerchio, non vede più il segno, non interroga più.

Ecco abbiamo detto che non interroga più.

Perché questa è la cosa veramente importante: Dio dà i suoi doni non per ingannare la creatura, non per metterla in balia dei suoi sentimenti, ma per condurla ad interrogare.

Quella gente seguiva Gesù perché era attratta non da Gesù ma dalle cose che diceva Gesù.

Gesù parlava di Dio e del Regno di Dio.

Quella gente seguiva Gesù perché era attratta da Dio.

Era l'attrazione principale perché era attratta da Dio, era l'attrazione principale, la fondamentale e proprio perché seguiva Gesù attratta da Dio, ascoltando, quindi crescendo nella conoscenza di Dio, riceveva doni da Dio.

È qui che Dio ci dà la grande lezione, poiché se è vero che quanto più noi ci avviciniamo a Dio, tanto più noi riceviamo doni da Dio, è anche vero che noi corriamo il rischio di fermarci al sentimento che i doni di Dio recano a noi.

La lezione di Dio è questa: "Non fermarti mai al sentimento che i miei doni recano a te, ma resta nell'attrazione principale".

L'attrazione principale è quest'interesse per conoscere Dio.

Allora dobbiamo chiederci: ma perché Dio ci dà i doni se noi già siamo in quell'attrazione per conoscere Dio?

Se seguivano Gesù è perché erano attratti dal desiderio di conoscere le cose di Dio.

Perché a un certo momento Dio sovrabbonda con dei doni che fanno entrare in loro un'attrazione diversa che li fa deviare dalla prima attrazione?

Le due attrazioni insieme provocano poi il cerchio e quindi la ripetitività, questo non da parte di Dio: Dio offre doni alla creatura per suscitare un'interrogazione.

È necessario che la creatura interroghi, poiché se è attratta dal desiderio di conoscere Dio, quindi attratta dal Padre, la creatura ascolta, ascoltare però non è sufficiente.

Ascoltare è necessario ma non è sufficiente, bisogna interrogare.

Ecco perché Gesù dà i doni, per provocare l'interrogazione da parte della creatura.

È necessario ascoltare ma, è necessario arrivare a capire quello che si ascolta.

Tra l'ascolto e il capire, in mezzo sta all'interrogazione.

È attraverso l'interrogazione che la creatura incomincia ad essere coinvolta, a partecipare personalmente.

La creatura che si accontentasse di ascoltare e non interrogasse, vorrebbe dire che non si impegna personalmente.

Quando la Parola di Dio arriva a noi, provoca sempre in noi, suscita in noi un movimento perché è una Parola nuova.

La Parola di Dio è sempre nuova e quindi entra in un mondo di abitudini, tradizioni, di regole, di doveri eccetera.

È una pietra in un lago di altre acque tranquille.

È uno scandalo perché entra in questo mondo di tradizioni nostre, di abitudini, regole, di sicurezze e ci butta tutto in aria.

È una Parola che reca scandalo, appunto perché è nuova, non conferma le nostre abitudini.

Le nostre abitudini formano il cerchio e abbiamo detto che l'aspetto negativo della ripetitività è la noia, lo spegnimento dello spirito, la morte, il non più pensiero.

L'uomo che vive di ripetizioni non pensa più e quando il pensiero se ne va, la morte entra nella nostra vita.

La vita è essenzialmente data dalla novità.

Ora la novità richiede intelligenza da parte dell'uomo, perché la novità si annuncia a noi a qualunque livello, ma poi, se vogliamo sfuggire alla ripetitività è assolutamente necessario che incominciamo cercare di capire.

La vita, siccome assume l'aspetto della novità, richiede sempre più intelligenza, diventa sempre più intelligenza.

Ecco perché il Signore dopo aver parlato fa dei doni, per provocare nella creatura l'interrogazione e quindi per suscitare nella creatura l'intelligenza.

L'intelligenza è il capire le cose da una causa, quindi richiede il superamento di noi stessi e il superamento di noi stessi richiede assolutamente l'applicazione del pensiero.

Quello che è ripetitività e che è una conseguenza del fermarci al sentimento, è uno spegnimento di vita.

Apparentemente noi cerchiamo il rinnovamento di una gioia, quindi apparentemente sembra che la vita secondo il sentimento sia in noi una sorgente di vita, invece sostanzialmente è uno spegnimento di vita, perché è un distacco dal pensiero, è un non più impegnare il pensiero.

Colui che è soddisfatto nel sentimento o cerca la vita nel sentimento, quindi si è fermato alle creature (qui si sono fermati al pane e nel pane è rappresentata ogni creatura), coloro che si fermano al sentimento non sentono più il bisogno di capire, non sentono più il bisogno di pensare.

Sentono soltanto il bisogno di rinnovare il sentimento e quindi di rinnovare quelle occasioni che hanno provocato quella sensazione, quel sentimento, quella gioia.

È questa la caratteristica: non c'è più bisogno di pensare.

È l'aspetto negativo della ripetitività, conseguenza della creatura che si ferma al sentimento.

Notiamo che quella gente nella moltiplicazione dei pani, era contatto con Gesù, era con Gesù.

Eppure non fu sufficiente perché Gesù rimprovera: "Non avete visto i segni".

A un certo momento Gesù stesso dice a coloro che erano con Lui e che avevano mangiato del suo pane: è venuta meno in poi l'attrazione per Dio, cioè la spina era inserita nella presa ma, a un certo momento nella presa non c'era più la corrente.

Erano con Gesù ma non c'era più la corrente.

Gesù stesso dice "Nessuno può venire a Me se non attratto dal Padre".

Quella gente cercava Gesù perché era attratta dal Padre e poiché era attratta dal Padre, l'attrazione principale, aveva ricevuto da Gesù il pane, il dono.

Il giorno dopo non erano più attratti dal Padre: erano attratti dal pane.

Il sentimento li aveva giocati.

Si erano fermati al dono e non avevano più visto il segno.

Era venuta meno in loro l'attrazione per capire, perché se fosse stata in loro l'attrazione primaria, l'attrazione per il Padre avrebbero cercato in quel dono che Dio aveva fatto loro, il significato: che cosa il Padre voleva significare a loro, che cosa questo dono voleva dire del Padre.

Il tema di oggi è la spina e la presa.

La spina può essere inserita nella presa, ma non è detto che nella presa ci sia la corrente.

Allora dobbiamo chiederci che cos'è questa corrente?

È l'attrazione per il Padre.

L'attrazione per il Padre viene dal Padre.

La corrente viene dalla centrale.

Gesù dice "Nessuno può venire a Me se il Padre non attrae".

Ora però perché nella presa ci sia la corrente, è necessario che la centrale sia collegata con la presa, è necessario che ci sia un collegamento.

La presa rappresenta l'opera di Dio, la creazione, il pane che Gesù aveva distribuito loro, Gesù stesso perché Gesù stesso era l'opera di Dio in mezzo a loro.

La spina è inserita nella presa quando noi ci dedichiamo all'opera di Dio, quindi in quanto rivolgiamo la nostra attenzione il nostro pensiero ad essa.

Però cos'è che collega la presa con la centrale?

La corrente viene dalla centrale, non va dalla presa alla centrale ma viene da-.

La corrente viene dalla centrale e la centrale è Dio Creatore.

Dio crea, tutte le cose sono opera di Dio: ma cos'è che mantiene collegato in modo che nell'opera di Dio ci sia la corrente, cos'è che tiene collegata la centrale con la presa?

L'uomo può separare l'opera di Dio da Dio.

Già fin dall'inizio Dio aveva ordinato: "Non divida l'uomo quello che Dio ha unito".

Ora tutto quello che è opera di Dio è unito a Dio.

La creazione di Dio è opera di Dio, è tutta unità a Dio.

Le Parole di Dio sono Parole di Dio, quindi sono tutte unite a Dio.

Cristo è Dio, forma una cosa sola con il Padre, con la centrale.

Eppure noi possiamo essere con Cristo e non essere collegati con il Padre, tant'è vero che Gesù dice "Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre".

Noi possiamo essere con Cristo, inseriti nella presa e nella presa può non esserci corrente.

Cos'è che mantiene il collegamento?

Se l'uomo può dividere l'opera di Dio da Dio, il collegamento è dentro l'uomo, non fuori.

Quindi il collegamento tra la centrale e la presa è dentro l'uomo.

È l'uomo che deve mantenere unita ("L'uomo non divida") la creazione al Creatore, perché altrimenti perde la corrente.

L'uomo non divida quello che Dio ha unito a Sé, non divida la creazione del Creatore, l'opera dall'operatore, non divida la presa dalla centrale, altrimenti viene meno la corrente, viene meno l'attrazione.

Quando viene meno l'attrazione, l'uomo si chiude nel cerchio del sentimento.

Ecco che è venuta meno l'attrazione per conoscere Dio, qui incomincia la routine.

Resta soltanto più la vita fatta di ripetizioni per quello che l'uomo ha ricevuto ma non esce più: incomincia la morte.

Allora ecco quello che era necessario capire: è dentro l'uomo che si mantiene il collegamento tra la presa e la centrale se, l'uomo resta in quest'attrazione primaria.

Nella moltiplicazione dei pani c'è stato un passaggio: dall'attrazione primaria per Dio all'attrazione per il pane.

Allora ecco la lezione positiva della ripetitività: farci capire soprattutto che non dobbiamo mai lasciare venire meno in noi l'attrazione principale, l'attrazione per Dio, per conoscere Dio, non dobbiamo mai fermarci ai sentimenti che vengono a noi dai doni di Dio, dalla creazione di Dio, dalle opere di Dio, dalle parole stesse di Dio.

Non dobbiamo fermarci al sentimento ma superarlo per recuperare ogni cosa nell'attrazione principale.

Che cos'è questa attrazione principale?

È il significato di ciò che Dio vuole significare di Sé.

Ecco la centrale che emana la corrente che si trasformerà in luce.

È necessario certo che la spina sia inserita nella presa ma, è soprattutto necessario che nella presa ci sia la corrente.

Soltanto in quanto la creatura resta fedele in quest'attrazione principale, per cui in tutti i doni che riceve da Dio non si ferma al sentimento che questi doni provocano in lei ma, cerca il significato presto Dio, resta nell'attrazione.

Restare nell'attrazione vuol dire cercare in tutto la conoscenza di Dio, che cosa Dio vuole dire di Sé nel dono che ci manda, nella creatura, nella parola.

Qui abbiamo l'aspetto positivo della ripetitività.

Se la ripetitività è noia perché è perdita dello Spirito, ci fa anche capire in che cosa consista lo Spirito.

Se la ripetitività è morte, ci fa capire che la vita sta nella novità, e abbiamo visto che la novità viene dall'intelligenza.

A un certo momento tutto deve diventare intelligenza perché l'infinito richiede una veglia infinita.

Dio vuole trasformarci tutto in intelligenza, cioè tutto in Pensiero di Lui, perché soltanto trasformandoci in tutto Pensiero di Lui, ci riveste della caratteristica, ci riveste dell'abito di suo Figlio che è la condizione per conoscere il Padre.

Perché soltanto quando la creatura è diventata tutto Pensiero di Dio, lì ha la possibilità di conoscere Colui del quale essa è pensiero.

Ecco allora perché Gesù ha dato quel pane che un certo momento li ha fatti deviare.

Gesù ha dato quel pane per suscitare in loro l'interrogazione, l'interesse, perché interrogando avrebbero concentrato maggiormente (quindi ci sarebbe stata una purificazione) la loro attenzione su ciò che Gesù aveva da comunicare loro: i doni maggiori che non possono essere ricevuti se non là, dove sono desiderati, non possono essere ricevuti cioè là, dove la creatura non interroga.

Quindi Dio dà i doni minori (la moltiplicazione dei pani appartiene ancora ai doni minori) per suscitare nella creatura l'interrogazione, affinché interrogando, essa sia fatta capace di ricevere i doni maggiori.

I doni maggiori stanno soprattutto nella conoscenza di Dio come vero Dio, nella conoscenza della Verità e quindi nella vita eterna, vita che è una novità eterna, poiché è partecipazione all'infinito di Dio.

Mentre nel sentimento c'è lo spegnimento dell'infinito e abbiamo la creatura che si chiude nel finito.



Allora gli chiesero di nuovo: "Che cosa ti fece? Come ti ha aperto gli occhi?"

Gv 9 Vs 26  Terzo tema.


Titolo:  Che cosa Dio fa per mantenerci nell'attrazione principale.


Argomenti: La ripetitività è segno dell'eterno in ciò che è incompiuto. La partecipazione personale. Come restare nell'attrazione del Padre? Il figliol prodigo: Il figlio minore, il figlio maggiore, il Padre. La concessione di Dio.


 

27/Marzo/1988 Casa di preghiera Fossano.


Ci fermiamo ancora su questo versetto 26 in cui i farisei, ripetendosi, chiedono a quell'uomo che era stato guarito da Gesù dalla sua cecità, una cecità dalla nascita, ed era stato guarito in giorno di sabato: "Che cosa ti fece? Come chi aprì gli occhi?".

Abbiamo visto le domeniche precedenti il significato di questa ripetitività e come essa sia una conseguenza dell'incompiuto, un segno dell'incompiuto che l'uomo porta in sé.

Tutte le cose vengono a noi da Dio e si fermano in attesa di essere portate da noi a Dio.

Tutto viene da Dio e tutto deve essere riportato a Dio.

Ma tutto viene da Dio a noi senza di noi.

Tutto in noi non ritorna a Dio senza di noi.

Ed è proprio in questa fase, ed è la fase più delicata, che si richiede il vero lavoro dell'uomo, per cui tutta la creazione e tutte le creature gemono e soffrono nell'uomo in attesa di essere riportate a Dio: perché tutta la creazione è in attesa di un compimento e questo compimento avviene solo dentro l'uomo.

Tutta la creazione è fatta per l'uomo, affinché l'uomo possa elevare la sua mente a Dio e possa conoscere Dio.

E se l'uomo non eleva la sua mente a Dio, tutta la creazione in lui viene frustrata, subisce un fallimento: è tutto sangue sparso invano, è tutta creazione di Dio fatta inutilmente, perché lo scopo di tutta l'opera di Dio è di rendere l'uomo partecipe di quello che Dio è.

L'uomo partecipa a quello che Dio è, attraverso la conoscenza.

È la conoscenza che ci rende partecipi.

Abbiamo visto che il Figlio stesso di Dio, il Verbo eterno di Dio, partecipa del Padre conoscendolo.

Noi siamo chiamati a diventare figli di Dio per adozione.

E se il Figlio di Dio ci ha rivelato che partecipa del Padre conoscendo il Padre, per cui conoscendolo riceve l'essere dal Padre, questo è per dire a noi che anche noi partecipiamo a ciò che Dio è, e quindi entriamo nella vita eterna conoscendo Dio.

È per questo che Dio fa tutto quello che fa.

Tutta la creazione è per offrire a noi la possibilità di elevare la nostra mente a Dio, raccogliendo i segni di Dio e portandoli a compimento in Dio, perché tutto quello che noi raccogliamo in Dio, si trasformi in conoscenza di Dio.

Noi conosciamo una persona (la persona di per sé e incomunicabile) attraverso quello che essa, e qui siamo sempre in atti liberi, vuole comunicare di sé, quindi raccogliendo le sue parole e non interpretandole secondo quello che abbiamo noi in testa ma, portandole alla presenza di essa, perché colui che parla è anche colui che t'illumina le cose che dice.

Quindi tutta l'opera creatrice di Dio, è per offrire a noi dei segni da raccogliere, da portare a Lui, per ricevere da Lui la conoscenza di Lui.

"Chi raccoglie riceve mercede di vita eterna, chi non raccoglie disperde": chi raccoglie riceve mercede di vita eterna poiché la vita eterna è conoscenza di Dio, chi raccoglie riceve conoscenza di Dio.

Ma raccoglie che cosa?

Ecco, raccoglie tutto ciò che Dio fa arrivare alla creatura indipendentemente dalla creatura.

Tutta la creazione ogni giorno viene fatta da Dio indipendentemente da noi, tanto che noi ne siamo sorpresi.

Ogni giorno noi siamo sorpresi dagli avvenimenti, dei fatti.

I fatti arrivano a noi indipendentemente da noi.

Ma tutti questi fatti che arrivano a noi senza di noi, non s'illuminano senza di noi, per cui richiedono preghiera, raccoglimento, questo riportare, questo raccogliere ogni cosa che arriva a noi da Dio, perché proprio attraverso questa offerta sull'altare della nostra mente, sorge la luce per noi.

La nostra mente è il vero altare su cui si offrono i veri sacrifici.

Tutto quello che non portiamo a Dio invece resta incompiuto, e tutto quello che è incompiuto si trasforma in noi in sentimento, in ripetitività.

Abbiamo detto che la ripetitività è il segnale dell'eterno su ciò che incompiuto, poiché se l'eterno in ciò che è compiuto si trasforma in luce, in conoscenza, quindi se l'eternità in ciò che è portato a compimento diventa luce, conoscenza, la stessa eternità in ciò che non è portato a compimento si trasforma in ripetitività: la ripetizione del cerchio.

E qui ricominciano di nuovo a dire: "Che cosa ti fece? Come chi aprì gli occhi?".

L'argomento di oggi è: che cosa Dio fa per mantenerci nell'attrazione.

Ricordando la scena della moltiplicazione dei pani, abbiamo visto come quella gente andava dietro Gesù attratta da ciò che Lui diceva.

Egli non aveva detto alla gente: "Venite dietro di Me e Io vi darò del pane" ma, parlava di Dio e del suo Regno.

Egli dice: "Per questo Io sono venuto, per predicare il Regno di Dio".

La gente quindi lo seguiva perché attratta da Dio.

È l'attrazione fondamentale.

Poi abbiamo visto che in questa attrazione fondamentale a un certo momento è subentrata un'altra attrazione, poiché a coloro che lo ascoltavano, a coloro che lo ascoltano, Dio sovrabbonda di beni.

Allora sovrabbondò di pane.

E proprio quella sovrabbondanza di pane fece subentrare in loro un'altra attrazione: l'attrazione della soddisfazione che avevano ricevuto, una attrazione sentimentale.

Per cui il giorno dopo lo cercheranno sospinti da questa.

Ma Gesù non aveva moltiplicato i pani per renderli schiavi di una attrazione sentimentale.

Il Signore aveva moltiplicato i pani come un segno per suscitare in loro un'interrogazione, quindi una partecipazione personale, per farli inoltrare attraverso questa partecipazione personale, in una più profonda conoscenza di Lui, perché l'uomo quando incomincia ad interrogare, incomincia a partecipare personalmente e si apre alla possibilità di una maggiore e più profonda conoscenza di Dio.

A un certo momento la conoscenza di Dio diventa tutta personale, essenzialmente personale.

Un nome segreto, una pietra bianca su cui sarà scritto un nome e soltanto colui che la riceverà lo conoscerà.

Ecco, Dio inizia su una moltitudine, poi a poco per volta forma delle personalità.

E questo avviene attraverso una partecipazione personale, un interrogare.

Invece l'uomo corre il rischio ed è un rischio grave in cui si trova ogni uomo, di ripiegarsi sui doni e di cercare Dio per la gloria, per la felicità, per il bene, per i doni che ha ricevuto.

Il giorno dopo quella gente cercò Gesù e ricevette da Gesù non più una moltiplicazione dei pani ma un rimprovero: era ancora un aiuto.

"Voi mi cercate per il pane che vi ho dato ieri e che vi ha soddisfatti".

Dice: "Non cercatemi per il pane che passa ma cercatemi per il pane della vita eterna, quello che rimane in vita eterna", cioè quel pane, quel cibo che porta alla conoscenza di Dio.

Questo ci fa capire come il sentimento diventi la morte dell'attrazione per Dio.

Non possono sussistere nell'uomo due attrazioni diverse.

Quindi o c'è l'attrazione per Dio o c'è l'attrazione per altro.

L'attrazione per altro soffoca, porta via, necessariamente l'attrazione per Dio.

Per cui la creatura a un certo momento non sente più il bisogno di conoscere Dio, non è più attratta da Dio.

Teniamo presente che l'attrazione di Dio è la grande ricompensa: "Entra nella gioia del tuo signore".

Questa è la gioia che Dio dà: è l'attrazione per conoscere sempre di più Lui: "Entra nella gioia del tuo signore".

È la risposta di Dio all'interesse che la creatura ha per Lui.

Quanto più la creatura matura attraverso i doni che Dio fa, i talenti, quanto più la creatura sa trarre dai talenti che riceve interesse per conoscere Dio, tanto più riceve ricompensa da parte di Dio.

I talenti sono i doni che Dio ci dà indipendentemente da noi.

Ma su tutto quello che noi facciamo per altro motivo dice: "Hai già avuto la tua ricompensa".

Quindi la gioia, il sentimento, la soddisfazione, il giudizio, l'approvazione delle creatura, del mondo, dell'autorità, dell'istituzione eccetera.

"Hai già avuto la tua ricompensa", il che vuol dire non hai più la ricompensa di Dio, cioè hai perduto l'attrazione per Dio.

Ora Gesù dice: "Nessuno può venire a Me se non attratto dal Padre".

Dicendo questo, a questo punto focalizza un problema, cioè ci fa capire che il problema non è di essere con Cristo.

Il vero problema è l'attrazione, perché se dice: "Nessuno può venire a Me se non attratto dal Padre", il problema a questo punto diventa: come restare in questa attrazione?

Come custodire questa attrazione?

Come non perdere questa attrazione?

Perché abbiamo visto che proprio coloro che stavano ascoltando Gesù, a un certo momento hanno perso l'attrazione per Lui.

Sono stati attratti dal pane che Lui aveva dato loro.

E quando lo cercano, lo cercano e credono ancora di essere nell'attrazione per Lui ma Lui li smentisce, perché ormai Lui è diventato la cornice, l'attrazione è il pane.

Lui a questo punto diventa un servitore, uno strumento, uno strumento per ottenere del pane, ma l'attrazione fondamentale è il pane.

Ora se Gesù dice: "Nessuno può venire a Me se non attratto dal Padre", ci fa capire che il problema essenziale è questo: capire come si fa a custodire e a custodirci in questa attrazione fondamentale ed evitare di passare a un'altra attrazione.

Forse per restare in questa attrazione bisogna stare nella casa del padre?

O forse per restare in questa attrazione bisogna fare la Volontà di Dio?

Né l'uno né l'altro.

Questa sera debbo leggere la parabola del figliol prodigo o meglio il commento che troviamo nel libro "Parabole del Signore" a questa parabola del figliol prodigo.

Perché proprio qui si evidenzia che cosa Dio fa per custodirci in questa attrazione.

Forse per restare nell'attrazione basta restare nella casa del Padre?

Basta fare la Volontà di Dio?

Abbiamo detto né l'uno né l'altro.

In questa parabola troviamo due figli che erano tutti e due ciechi.

A un certo momento a uno di questi bisogna fare questa domanda, quella che fanno quei farisei a quel cieco: "Che cosa ti fece? Come ti aprì gli occhi?".

Come uno di questi due fratelli a un certo momento aprì gli occhi?

E quello che aprì gli occhi non è colui che era nella casa del padre e che aveva fatto la volontà del padre, perché quello che era rimasto nella casa del padre dice: "Io ho fatto sempre la tua volontà, io ho ubbidito sempre ai tuoi ordini" ma, non aprì gli occhi.

È necessario che lo leggiamo perché troviamo la risposta a che cosa Dio fa per mantenerci nella sua attrazione fondamentale.

Qui è presentata la parabola del figliol prodigo come una parabola in cui Gesù ha voluto riepilogare ogni cosa, un poema, un canto d'amore, un colloquio tra padre e figli, in cui ogni creatura si rinnova e ritrova la gioia di vivere.

Una lunga storia perché nessuno può immaginare e comprendere quanto Dio ci ha amati.

Questa parabola è composta di tre quadri: primo quadro il figlio minore, secondo quadro il figlio maggiore, terzo quadro il padre.

E il più giovane di essi disse al padre: "Padre dammi la parte dei beni che mi spetta".

Siamo nella domenica delle palme, inizia la settimana santa.

Teniamo presente questo: "La parte dei beni che spetta al figlio è Cristo".

Teniamo presente.

Poi arriviamo all'ultima scena, il ritorno del figlio alla casa del padre.

Quel padre non aveva nemmeno lasciato terminare ciò che il figlio gli stava dicendo: ciò che il figlio nel suo pentimento si era proposto di dire.

Non aveva voluto sentire.

Vi sono certi sorpassi tra le anime che riempiono il cuore d'amore e lo affogano in un mare di dolcezza, poiché l'amore vero è talmente sovrabbondante, dedicato, da travolgere come una fiumana tutte le indegnità, tutte le colpe anche più vergognose che impediscono all'uomo anche il semplice pensiero di essere ancora considerato figlio.

L'amore di Dio è infinitamente più grande di tutte le nostre colpe.

In quel padre, Dio rappresenta Se stesso davanti a tutti gli uomini di tutti tempi, di tutte le razze, di tutte le fedi, con tutti i loro difetti in cuore e le loro bestemmie.

Come dubitare o temere o avere paura di Uno che parla parabole così?

È Dio che trova giusto fare questa festa per ogni ritorno.

È Dio che lascia rovinare tutte le sue ricchezze, tutti i suoi doni, tutto il suo mondo pur di salvare l'uomo.

È Dio che attende in silenzio i nostri ritorni.

È Dio che chiede alle strade del mondo di restituirgli i suoi figli.

Chiunque l'ha abbandonato può ritornare a Lui sicuro di essere compreso, perché non si può di dubitare di Colui che ci narra la parabola del figliol prodigo, di Colui che l'ha creata per noi.

Non si può dubitare di Colui che insegna a perdonare sempre e vuole che le sue creature perdonino anche 70 volte 7 al giorno.

Per Lui e con Lui nessun male è irrimediabile.

Il suo perdono non conosce confini, non ha misure, né limiti di tempo.

Non giudica ma sempre va in cerca di colui che è perduto, per liberare chi è rimasto prigioniero delle sue colpe, dei suoi sentieri ambiziosi ed egoistici.

Ci accetta quali siamo e ci ricopre del suo amore.

Opera in modo indimenticabile il ricordo del suo amore ovunque ce ne andiamo e ci ricolma di beni, di feste ad ogni ritorno.

Ecco la parabola del figliol prodigo, in questo dramma di padre e di figli, c'è il dramma di Dio con gli uomini, c'è il dramma di Cristo in croce.

Dramma i cui motivi si fondono in un poema di intelligenza e di amore che tutto sorregge: l'intelligenza e l'amore del padre.

Eravamo partiti dicendo: "Che cosa ti fece? Come chi aprì gli occhi?".

Noi ci siamo trovati qui con questi due fratelli: tutti e due erano ciechi, poi a un certo momento uno aprì gli occhi.

Perché quest'uno aprì gli occhi e l'altro no?

In che cosa sta la differenza?

Se ci fermiamo alla partenza il più giusto, il più sicuro, il più onesto, il più buono era il figlio rimasto in casa, tanto più che un certo momento il figlio minore ritorna.

Eppure c'è stata la sorpresa: il momento della verità ha capovolto le cose: chi ha aperto gli occhi è stato il figlio minore e il figlio maggiore è rimasto accecato.

In cosa consiste questa differenza?

A un certo momento il figlio minore, proprio perché aveva perduto la casa del padre, a un certo momento si è ricordato quello che il padre gli aveva concesso, quello che il padre gli aveva dato e che lui aveva perso.

Il figlio maggiore invece presenta un altro quadro: è vero che era nella casa del padre: il padre gli dice: "Tutto quello che è mio è tuo", però era cieco, non vedeva niente.

Qui il figlio maggiore dice una cosa che ci fa ben capire perché ci sia questa differenza.

Il figlio maggiore non vede quello che il padre gli ha concesso: vede quello che il padre non gli ha concesso: "Non mi hai dato nemmeno capretto".

La chiave è tutta lì.

Il figlio minore nella sua lontananza, nella sua prova, nel suo disastro ha visto quello che il padre gli aveva concesso.

Il figlio maggiore in casa del padre, con tutto quello che il padre aveva, ed era suo, si lamentava di quello che il padre non gli aveva concesso.

Che cosa Dio fa per mantenerci nell'attrazione?

È la concessione.

Abbiamo detto che in questa pretesa del figlio minore di volere la sua parte di eredità c'è Cristo.

Ecco quello che Dio ci concede!

Ci concede suo Figlio!

Ma è necessario che noi facciamo l'esperienza della morte del Cristo.

È necessario che la facciamo per capire quello che Dio c'ha concesso.

Il momento dell'attrazione scatta lì, perché l'attrazione viene dal Padre, da Dio.

Capire quello che Dio ci ha concesso!

Fintanto che noi vediamo soltanto quello che Dio non ci ha concesso, noi non abbiamo l'attrazione del Padre.

Perché Dio ci concede tutto: "Tutto quello che è mio è tuo".

Ci concede tutto.

Ma importante per noi è scoprirlo e per scoprirlo è necessario perderlo.

Ecco perché il figlio minore a un certo momento proprio perdendo tutto scopre il Tutto.

Il figlio maggiore che non aveva perso tutto è stato nell'impossibilità di avere tutto.

Non c'è nessuno, proprio nessuno che possa essere sicuro nella casa del padre.

Bisogna passare attraverso la morte del Cristo.

Bisogna cioè passare attraverso la perdita di quello che Dio ci concede, per scoprire quello che Dio ci concede.

E soltanto lì che incomincia la vita vera.



Allora gli chiesero di nuovo: "Che cosa ti fece? Come ti ha aperto gli occhi?"

Gv 9 Vs 26 


RIASSUNTI Domenica – Lunedì.


Argomenti: L’esperienza dell’assenza di Dio – Le tre luci dell’uomo – La retta e il cerchio – La realizzazione di un pensiero – La ripetitività – L’unità di Dio nelle sue opere – Cristo e i suoi doni – La consacrazione – L’interrogazione – Il sassolino bianco -


 

3/ Aprile /1988 Casa di preghiera Fossano.