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Disse quindi Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo allora comprenderete che  io sono e che da me nulla faccio ma dico ciò che il padre mi ha insegnato".
Gv 8 Vs 28 Primo tema.


Titolo:  Vedere il Figlio di Dio dal Padre.


Argomenti:  Il rapporto fra innalzare il Figlio dell'uomo e capire. Alto e basso. La capacità di capire deriva da ciò che abbiamo soggettivamente  presente. L'unificazione dei segni con ciò che portiamo nella mente. La nostra mente è capacità di unire un effetto con il suo principio. Discendere dall'alto. Vedere il Figlio di Dio nel suo Principio.


 

9/Giugno/1985  Casa di preghiera. Fossano.


Siamo il versetto 28 del capitolo ottavo.
Disse quindi Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora comprenderete che Io sono e che nulla faccio da Me ma, dico ciò che il Padre mi ha insegnato".
Anche qui dobbiamo chiederci come sempre, quale lezione, quale significato per la nostra vita personale, abbiano queste Parole di Gesù.

Queste parole lasciano sconcertati per quell’apparente mancanza di filo logico che c'è in esse.
Gesù dice: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora comprenderete".

Sono parole che a noi sono tutt'altro che chiare, tutt'altro che illuminate, poiché non vediamo il rapporto che passa tra l'innalzare, tra il portare in alto il Figlio dell'uomo e comprendere.

Cioè quale rapporto passa tra innalzare e comprendere, capire?

Prima Gesù aveva detto: "Se non credete che Io sono, morirete nei vostri peccati".

Adesso dice: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora comprenderete, capirete che Io sono".

Evidentemente ci deve essere qualcosa di molto importante, soprattutto se teniamo presente quello che ha detto prima: "Se non credete che Io sono, morirete nei vostri peccati".

Qui adesso ci indica la via per arrivare a capire che Lui è.

Intuiamo che indica la via per capire che Lui è, però il vedere questa via è difficile: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo".

Cioè che rapporto, il problema che si affaccia è proprio questo, quale rapporto passa tra l'innalzare Figlio dell'uomo e il capire?

Ci sono delle apparenti contraddizioni nel parlare del Signore, ci sono dei lati oscuri, dei salti, dei salti logici, dei salti di logica nel parlare del Signore, per cui ai nostri occhi non appare chiaro e anche qui abbiamo la conferma che tutto quello che apparentemente è in contraddizione, in difetto di filo logico è perché ci sollecita ad approfondire, ad approfondire le Parole che ci sono dette.
Perché la Verità non si trova mai in superficie ma è e si trova in profondità e allora ecco che il Signore ci mette di fronte a delle contraddizioni per farci capire che non capiamo (il suo parlare è sempre un parlare in parabole) quindi  per sollecitarci ad approfondire a dedicarci, perché dedicandoci possiamo arrivare a capire.

Quindi anche qui, abbiamo una sollecitazione ad approfondire, una sollecitazione a capire, a capire il significato di queste Parole di Dio per noi nella contraddizione.

C'è una sollecitazione quindi non ci deve essere scandalo, non ci deve essere rifiuto.
Ma se in noi c'è attrazione per la Verità, in noi ci deve essere una sollecitazione a meditare, a raccogliere, a custodire, ad approfondire.

Abbiamo detto che il primo concetto che qui Gesù ci si presenta è quello di innalzarlo.

Il concetto di alto e basso c'è nella nostra vita e innalzare vuol dire portare in alto.

Come mai ci sono nella nostra vita queste due categorie alto e basso?

Sono segno di quello che è al di sopra di noi e di quello che è al di sotto di noi, sono segno del cielo e della terra.

Dio all'inizio creò il cielo e la terra, cose al di sopra di noi  e cose al di sotto di noi e l'innalzare vuol dire passare dalle cose in basso alle cose in alto.

Certamente non possiamo qui intendere questo innalzare, questo passare alle cose in alto in senso materiale, perché evidentemente se una cosa non è intellegibile in basso, non è che portandolo sulla cima di un monte questa diventi intellegibile; quindi dobbiamo scartare le categorie che si riferiscono a dei luoghi materiali nella nostra vita, poiché qui Gesù ha associato il concetto di innalzare con il concetto di capire.
E allora dobbiamo chiederci che cosa si possa intendere per alto e per basso e quindi per innalzare, non nel campo materiale, naturale e fisico ma nel campo dello spirito.

Nel campo dello spirito abbiamo delle cose che sono più alte di noi e abbiamo delle cose che sono invece al di sotto di noi, cioè abbiamo delle cose che possiamo capire e delle cose che non possiamo capire.

Cioè il criterio di alto presentandoci nel campo dello spirito ciò che sta al di sopra di noi, ci fa pensare che alto è ciò che è inaccessibile e noi abbiamo anche visto che non è dato passare dal finito all'infinito, passare dal basso all'alto, dalle cose temporanee alle cose eterne, non è dato passare dal frammento al tutto.

L'abbiamo visto le volte scorse.

Gesù stesso lo dichiara: "Nessuno può salire in alto se non Colui che discende dall'alto".

Quindi c'è un concetto di alto e c'è un concetto di basso ma nel campo dello spirito c'è anche questo concetto: l'inaccessibilità, l'impossibilità per noi di passare dal basso all'alto.

Eppure qui Gesù dice: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo", vuol dire metterlo in alto, allora ci dice una cosa impossibile?

Evidentemente no, perché se Gesù parla, parla appunto per renderci possibile quello che può anche per noi essere impossibile.

Ma qui proprio per capire questo concetto di innalzare, dobbiamo riferirci a quello che Lui dice cioè, alla sua affermazione principale: "Capirete che Io sono, allora capirete che Io sono".

Questo è il concetto principale perché è il concetto di capire.

Qui ci viene molto in aiuto, provvidenzialmente, quello che abbiamo visto le domeniche precedenti proprio sul concetto di capire.

Abbiamo visto che la capacità di capire viene a noi da ciò che abbiamo soggettivamente presente in noi e soltanto in quanto in noi abbiamo presente qualche cosa, abbiamo la capacità di capire, poiché capire abbiamo detto è unificare un segno con quello che portiamo dentro di noi.
Ecco proprio appellandoci a questo unificare, a questa possibilità di portare un segno con ciò che abbiamo dentro di noi, quindi di unificarlo con quello che abbiamo dentro di noi, noi possiamo capire.

Abbiamo visto che questo avviene nella nostra mente, solo nella nostra mente, poiché è nella nostra mente che noi portiamo quello che soggettivamente abbiamo presente e come questo sia un lavoro, un avvenimento che in noi non avviene senza di noi.

Allora i segni, le parole arrivano a noi però, non sono intelletti se noi non li unifichiamo con ciò che abbiamo presente nella nostra mente, nel nostro spirito, dentro di noi.
Ma cosa vuol dire questo unificare con quello che abbiamo presente nella nostra mente?
Abbiamo detto che quest’unificazione diviene una realizzazione, quindi la cosa diventa per noi presente, pensabile.

Una cosa è presente in quanto noi abbiamo una cosa presente in noi, in cui possiamo unificare e noi possiamo unificare in quanto ciò che noi abbiamo presente in noi è principio di ciò in cui noi unifichiamo.

Cioè nella misura in cui noi abbiamo presente un principio, abbiamo anche la possibilità di raccogliere, di unificare e quindi di capire.

La nostra mente, il nostro pensiero è proprio questa capacità di unire un principio con i suoi effetti, di rapportare un effetto al suo principio.

Però teniamo sempre presente che noi possiamo unificare, rapportare, raccogliere un effetto, un segno nel suo principio, soltanto in quanto già l'abbiamo dedotto dal principio.

Per questo dico così che la cosa importante è che quello che noi abbiamo presente dentro di noi sia principio, principio di quel segno che noi raccogliamo in esso.

Se noi non vediamo quello che abbiamo presente in noi come principio di una parola, di un segno, noi non abbiamo la possibilità di passare, quindi di salire dal segno al principio e quindi all'intelligenza del segno stesso.
L'intelligenza noi possiamo averla soltanto nel principio.

È proprio questo concetto che dà noi la possibilità di capire l'anima, il significato di questo innalzare.

L'innalzare è in lingua italiana ma se, noi ci riferiamo al latino, noi troviamo un termine molto interessante.

Il latino ha "esaltare": "Colui che avrà esaltato il Figlio dell'uomo".

C'è anche qualche traduzione che porta "esaltare": "Quando mi avrete esaltato, quando avrete esaltato il Figlio dell'uomo".

È molto interessante per questo, perché questo esaltare è composto da "ex" ed "altus" e questo vuol dire derivare da-.

Ecco allora che questo concetto di innalzare, anziché passare dal basso in alto, è derivare dall'alto, è discendere dall'alto.

Cioè è vedere una cosa nell'altra ma, si vede nell'altro in quanto si deriva dall'altro.

Se teniamo presente questo, adesso noi abbiamo la capacità di capire quello che Gesù disse a Nicodemo: "Se voi non rinascerete dall'alto", dico "dall'alto" perché molte versioni dicono "di nuovo”, ma è sbagliato.

"Se voi non rinascete dall'alto, non potrete vedere il Regno di Dio", cioè non potrete capire la Verità ma, capire la Verità vuol dire vedere proprio Dio che regna, vuol proprio dire vedere che il Pensiero di Dio è.

Il Pensiero di Dio è la Verità tra noi, Cristo è l'Emanuele, è la Verità, è il Dio tra noi.

Ora Gesù disse a Nicodemo: "Se voi non rinascete dall'alto, non potete vedere il Regno di Dio, non potete vedere la Verità".

È conferma poi successivamente ancora: "È necessario che voi rinasciate dall'alto".

Ora questo nascere dall'alto è derivare da-.

Noi non possiamo salire dal basso all'alto però, possiamo discendere dall'alto.

Il concetto di alto: nel campo materiale la montagna è alta, l'albero è alto ma, è sempre riferito al nostro io, quindi è tutto sempre relativo, se noi siamo piccoli, naturalmente una cosa per noi diventa molto più alta, quindi è sempre riferito al nostro io questo.

Ma il concetto di alto portato nel campo dello spirito, diventa un concetto di principio, di causa.

Allora dico innalzare vuol dire vedere una cosa nella sua causa.

Allora questo: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo"  dobbiamo tradurlo in: "Quando mi avrete visto nel mio Principio".

E il Principio del Figlio dell'uomo è il Padre è allora diciamo: "Quando mi avrete visto nel Padre, allora capirete che Io sono".

Ecco qui adesso il filo logico c'è, qui capiamo quale rapporto passi tra l'innalzare e il capire.

Si capisce una cosa in quanto la si vede nella sua causa, in quanto Gesù dice: "Quando mi avrete visto dal Padre capirete che Io sono", ecco, il capire che il Figlio di Dio riceve il suo essere dal Padre.

Soltanto in quanto e per quanto noi vediamo il Figlio di Dio nel Padre e lo possiamo vedere nel Padre in quanto lo deriviamo dal Padre, noi possiamo capire che Cristo è.

La conclusione è che noi possiamo conoscere ciò che Cristo è, solo in quanto abbiamo la possibilità di vederlo nel Padre.



Disse quindi Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo allora comprenderete che  io sono e che da me nulla faccio ma dico ciò che il Padre mi ha insegnato".
Gv 8 Vs 28 Secondo tema.


Titolo:  Parole minuscole e parole maiuscole.


Argomenti:  Rinascere dall'alto vuol dire dedurre dall'alto. Solo in Cristo che parla a noi abbiamo la possibilità di dedurre dall'alto. I due modi di capire. Capire in relazione ai nostri sensi. La realtà esterna è segno di Dio. Capire in relazione a Dio.


 

16/Giugno/1985  Casa di preghiera. Fossano.


Restiamo ancora nel versetto 28 del capitolo ottavo di San Giovanni, dove Gesù dice: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora comprenderete che Io sono e che niente faccio da Me ma, dico ciò che il Padre mi ha insegnato".
Abbiamo visto domenica scorsa, il rapporto fra questo "innalzare" e questo "comprenderete".

Innalzare vuol dire esaltare cioè, dedurre dall'alto, è questo capire che: "Io sono".

È necessario adesso soffermarci per approfondire questo capire poiché qui Gesù dice: "Quando avrete esaltato il Figlio dell'uomo, capirete".

Ora il Figlio dell'uomo è la Parola di Dio tra noi e la Parola di Dio, come ogni parola non basta ascoltarla ma, è necessario capirla e qui Gesù pone in rapporto il capire con l'innalzare, con l'esaltare questa Parola questo stesso Pensiero di Dio che è tra noi e in noi.

Nel discorso che Gesù fa a Nicodemo, c'è un'altra sua frase in cui Lui pone in relazione il capire con qualcos'altro.

Infatti, Gesù dice a Nicodemo: "Chi non rinasce dall'alto, non può vedere il Regno di Dio", vedere il Regno di Dio è vedere la Verità, è vedere il Pensiero di Dio  in tutte le cose, è vedere la Verità, è capire.

Qui con Nicodemo, Gesù pone il capire in relazione al rinascere, rinascere dall'alto, il che vuol dire nascere di nuovo e questo già ci fa pensare che nella vita dell'uomo ci siano due nascite: c'è una nascita naturale con la quale noi abbiamo l'esistenza in questo mondo e poi c'è questo rinascere dall'alto.

La Parola di Dio in quanto giunge a noi, è sempre una proposta.

Quindi in quanto  Gesù parla di una rinascita dall'alto, ci propone una rinascita dall'alto e in quanto ci propone una rinascita, questo è segno che, può anche non avvenire questa rinascita, poiché è proposta di Dio rivolta a noi.

Quando si fa una proposta non è una cosa imposta, è una cosa proposta.

Quindi noi abbiamo la prima nostra nascita che ci è imposta: noi viviamo, noi esistiamo in questo mondo, non per scelta nostra, quindi abbiamo una vita, un'esistenza terrena che ci sono imposte.

In questa situazione però, ci giungono delle proposte, le proposte di Dio che giungono a noi attraverso le Parole di Dio.

Una di queste proposte è quella che abbiamo letto qui nel versetto 28: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo", quindi l'innalzare, l'esaltare il Figlio dell'uomo è una proposta rivolta a noi dalla Parola di Dio, quindi non è un'imposizione, è una proposta.

Un'altra proposta è quella che Gesù presenta a Nicodemo: "Se non rinascete dall'alto, non potete capire".

Qui Gesù pone un termine uguale: "capire" in rapporto a due cose diverse.

Prima qui abbiamo questo innalzare: fa dipendere il capire dall'innalzare, in Nicodemo Gesù fa dipendere il capire dal rinascere.

Questo c’è di molto aiuto per capire soprattutto cosa vuol dire questo rinascere, questa proposta che Gesù fa a ogni uomo di rinascere dall'alto e nello stesso tempo ci aiuta ad approfondire questo esaltare, questo innalzare, questo dedurre le cose dall'alto.

Abbiamo detto che il termine comune è il capire.

Rinascendo si capisce, esaltando il Figlio dell'uomo si capisce e allora evidentemente bisogna dedurre che rinascere vuol dire esaltare, rinascere dall'alto vuol dire dedurre dall'alto.

Alto abbiamo visto domenica scorsa è il cielo, alto è il Principio, alto è Dio, alto perché?

Perché è al di sopra di noi e questo al di sopra di noi, già ci ha fatto capire che rivela a noi, l'impossibilità di passare all'alto.

Però noi abbiamo non in noi  ma, nel Cristo che parla a noi, quindi nel Pensiero  di Dio che parla noi e che è in alto, questa possibilità di passare dal basso all'alto.

Giovanni stesso definiva questo Pensiero di Dio nel "seno del Padre", quindi in questo Pensiero di Dio che è nel Padre, che è in alto rispetto a noi, noi abbiamo in Lui la possibilità di trovarci dove Lui è e di discendere dall'alto.

Non abbiamo la possibilità di andare in alto ma abbiamo la possibilità di discendere dall'alto e nella misura in cui discendiamo dall'alto, abbiamo la possibilità adesso di salire in alto.

Perché può salire in alto, solo colui che discende dall'alto e nella misura in cui discende dall'alto.

In Cristo che è nel seno del Padre, noi abbiamo la possibilità di discendere dall'alto e quindi abbiamo la possibilità anche di riportare in alto ciò che abbiamo dedotto.

Abbiamo detto che discendere vuol dire dedurre, deducendo si capisce.

E allora dobbiamo dire che si rinasce in quanto si deduce e si deduce dall'alto.

L'alto è il Principio, si rinasce in quanto si deduce dal Principio.

Abbiamo detto che deducendo si capisce.

Ora, così come ci sono due vite, così come ci sono due cibi, così come ci sono due nascite, così ci sono nella nostra vita due modi di capire.

Noi abbiamo usato il termine "realizzare" la parola, noi capiamo una parola cioè la realizziamo, in quanto la riportiamo sempre in ciò che essa significa.

Ogni parola essendo segno, significa sempre qualche cosa, cioè deriva da qualche cosa.

E noi la capiamo, la intendiamo, in quanto la riferiamo a questo qualche cosa, abbiamo la possibilità di riferirla a questo qualche cosa.

Se non abbiamo la possibilità quindi non capiamo la parola.

Abbiamo detto che ci sono due modi di capire, di apprendere: il primo è quello che si riferisce ai nostri sensi, c'è il mondo esterno, questa realtà esterna che lascia in noi un segno, una traccia, una parola, guardando un albero ne riceviamo una certa impressione, guardando una casa ne riceviamo una certa impressione, guardando un monte ne riceviamo una certa impressione.

Queste impressioni, questi segni in noi, rappresentano la genesi delle parole in noi.

Nascono così le parole in noi: in relazione ai nostri sensi e ogni parola viene intesa proprio in quanto noi la riportiamo sempre a quella realtà che i nostri sensi hanno visto.

Per cui sentendo la parola "casa" noi capiamo la casa nella realtà, se la riportiamo a ciò che i sensi, i nostri occhi hanno visto guardando una casa.

Così è per tutto il nostro parlare per tutto il nostro linguaggio.

Questo è un capire secondo i sensi e la maggior parte della nostra vita si consuma tutto in questo vivere, soltanto in relazione a questo capire, cioè in relazione a queste impressioni, a questi sentimenti che la realtà esterna lascia in noi venendo a contatto con noi.

Però la realtà esterna a sua volta è segno di ben altro.

La realtà esterna è creazione di Dio.

E in quanto è creazione di Dio, è segno di un altra Realtà questa volta maiuscola, cioè è segno di Dio.

Quindi abbiamo parole della realtà esterna, minuscola, del mondo esterno che sono segni di questa realtà e poi abbiamo Parole che sono segni di quell'altra Realtà che è la Realtà maiuscola, cioè quella Realtà che Dio opera e attraverso la quale  Dio parla a noi, significa Se stesso.

Capire il significato di quello che Dio significa di Sé in tutte le cose, questo è il vero capire, questo è il vero dedurre da Dio ed è il vero dedurre dal Principio.

L'altro capire, quel capire che è relativo ai sensi, è un capire che dura quello che dura, poi le cose mutano, le cose cambiano e questa scienza muta; tutte le scienze d'altronde sono fondate su questo capire dei nostri sensi, tutte le nostre scienze sono destinate a crollare, a mutare, non ci sostengono più.

Quindi bisogna passare a quell'altro Capire.

Nella nostra realtà ci sono questi tre grandi fattori: abbiamo Dio prima di tutto che è Creatore di tutte le cose, abbiamo il mondo esterno e abbiamo il nostro io, la nostra anima.

Si stabiliscono allora questi due rapporti: il primo rapporto tra il mondo esterno e il nostro io e poi il rapporto fra il nostro io e Dio.

Ora, il più delle volte il rapporto tra il nostro io e Dio viene a mancare.

Noi consumiamo tutta la nostra vita nel rapporto orizzontale fra le cose e noi.

Cioè ci fermiamo ai sentimenti, alla vita sentimentale cioè a quelle impressioni che le cose, che le creature lasciano in noi.

E tutto il nostro parlare è soltanto limitato a questo.

Noi a questo punto non nasciamo dallo Spirito, non approdiamo a quella seconda nascita, a quel rinascere di cui parla Gesù a Nicodemo e quindi a ognuno di noi.

Per approdare a questa rinascita dall'alto bisogna attingere le cose nel loro Principio.

Ecco si rinasce dall'alto in quanto si attingono le cose nel loro Principio e il Principio è Dio.

Quindi si rinasce dall'alto in quanto si attingono le cose direttamente, quindi personalmente in Dio e da Dio.



Disse quindi Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo allora comprenderete che sono io e che da me nulla faccio ma dico ciò che il padre mi ha insegnato".
Gv 8 Vs 28 Terzo tema.


Titolo:  Contemporaneità di segno e Realtà.


Argomenti:  Si rinasce dall'alto in quanto s'impara dal Principio. L'innalzare il Figlio dell'uomo non dipende dalla volontà dell'uomo. Gesù fa dipendere la  sua gloria dal Padre.  L'intelligenza dei segni viene dall'associazione fra segno e realtà. In Cristo c'è la contemporaneità tra la Parola e la Realtà che essa significa.


 

23/Giugno/1985  Casa di preghiera. Fossano.


Restiamo ancora nel versetto 28 in cui Gesù dice: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora capirete che Io sono e che da Me faccio niente ma, dico ciò che il Padre mi ha insegnato".

Abbiamo visto le domeniche precedenti il significato di questo innalzare il Figlio dell'uomo che Gesù rivolge a coloro che lo ascoltano.

Abbiamo visto come innalzare sia esaltare, sia dedurre e quindi sia un "vedere da Dio".

Abbiamo visto anche il rapporto che passa tra il rinascere all'alto e questo innalzare e come soltanto deducendo dall'alto ci sia veramente in noi questa rinascita dell'uomo nuovo.

L'uomo nuovo nasce dall'alto ed è l'uomo spirituale.

Alto è il Principio, per cui si nasce dall'alto o meglio si rinasce dall'alto in quanto si impara tutto dal Principio.

Dal Principio con una P maiuscola, da Colui che è il Principio.

Questo non avviene senza di noi, per questo Gesù dice: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo".

Il tema di oggi è proprio questo "quando", rivolto, allora ai farisei e rivolto adesso ad ognuno di noi.

La prima cosa che dobbiamo chiederci è da cosa faccia dipendere il tempo Gesù.

Apparentemente in quanto rivolge queste sue Parole a coloro che lo ascoltano, sembra apparentemente, sembra che questo "quando" dipenda da loro, dipenda dall'uomo.

Dice: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo".

Dipende dall'uomo innalzare o non dipende dall'uomo l'innalzare il Figlio dell'uomo?

Se innalzare, vuol dire dedurre, dipende da coloro che ascoltano la Parola di Dio, dedurre dal Principio, quindi rinascere?

Allora dipende dagli uomini?

E se dipende dagli uomini quando questo si verifica?

Quando questo avviene?

Forse dipende dalla volontà dell'uomo?

Abbiamo altre Parole di Gesù che dicono: " Senza di Me non potete fare niente".

Ora in quanto dice: "Senza di Me non potete fare niente", evidentemente anche questo innalzare il Figlio dell'uomo non può essere oggetto della volontà degli uomini.

Ma se non può essere oggetto della volontà degli uomini, perché Gesù dice agli uomini: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo"?

Noi dobbiamo escludere, perché c'è contraddizione, che possa dipendere dalla volontà dell'uomo, d'altronde la volontà dell'uomo da sola non può fare niente e allora resta il campo del pensiero: forse dipende dal pensiero degli uomini?

Forse dipende dal nostro pensare?

Ma anche qui abbiamo la Parola di Dio che dice che l'uomo non può pensare senza Dio.

La nostra capacità di pensare viene da Dio, viene da-.

Questo già si fa capire che la nostra capacità di pensare richiede questo venire da Dio e allora ritorniamo al campo della deduzione: venire da-, è dedurre da-.

Ci fa pensare che noi siamo fatti capaci di pensare, nella misura in cui deduciamo da Dio.

Da Dio come Principio ma, quando questo avviene?

Quando questo è dato a noi?

Forse noi in qualunque situazione possiamo metterci lì e pensare a Dio? E dedurre da Dio? Ed essere così fatti capaci di pensare e quindi di innalzare il Figlio dell'uomo?

Abbiamo detto che innalzare vuol dire vedere le cose in alto, vedere le cose nel Principio, vedere le cose in Dio.

E innalzare il Figlio dell'uomo vuol dire vedere.

Ma vedere il Figlio dell'uomo nel Principio (il Principio di tutto il Padre), è vedere il Figlio dell'uomo nel Padre, é glorificare il Figlio dell'uomo.

Qui dobbiamo chiederci: possiamo noi glorificare il Figlio dell'uomo?

Gesù è vero che qui dice agli uomini: "Quando avrete innalzato", non dice però agli uomini: "Quando avrete glorificato il Figlio dell'uomo".

Piuttosto questo lo dice al Padre.

Gesù dice al Padre: "Padre glorifica tuo Figlio".

Qui abbiamo un passo successivo, Gesù fa dipendere la sua gloria cioè quello che Lui è nella Verità (la gloria e ciò che uno è in Dio cioè quello che uno è in Verità) da questa glorificazione dal Padre.

E facendola dipendere dal Padre, ci apre uno spiraglio per capire questo "quando".

Forse che il Figlio di Dio che si è fatto Figlio dell'uomo, ha bisogno di essere glorificato dal Padre oppure c'è un tempo, c'è un quando, in cui il Figlio dell'uomo viene glorificato dal Padre?

Il Figlio di Dio è sempre glorificato dal Padre, poiché essendo Figlio di Dio, partecipa di quello che il Padre è.

D'altronde in Dio non c'è un tempo, quindi noi abbiamo una partecipazione eterna a questa generazione del Figlio di Dio dal Padre.

Ora in quanto si dice "quando" evidentemente c'è una categoria di tempo.

Il tempo si riferisce a noi.

E allora anche questa glorificazione che il Figlio chiede al Padre evidentemente la chiede per noi e in noi.

Questo ci apre uno spiraglio per capire questo "quando".

Cioè il "quando" non dipende né dalla nostra volontà ("Senza di Me non potete fare niente"), né dal nostro pensare, perché il nostro pensare dipende da Dio.

Senza Dio noi non siamo capaci di pensare, non sappiamo nemmeno come si fa a pensare.

Però facendoci capire che la gloria viene dal Padre, ci fa capire che in noi deve maturare qualche cosa e che soltanto maturando questo qualche cosa, viene quel tempo in cui noi possiamo innalzare il Figlio dell'uomo.

Ma questo non dipende da noi, cioè richiede la nostra partecipazione ma, non dipende da noi, non dipende da noi nel senso che non possiamo farlo quando vogliamo.

D'altronde noi possiamo metterci a pensare tutto quello che vogliamo e certamente non siamo in grado di dedurre da Dio e vediamo di questi tempi quanta difficoltà noi esperimentiamo, noi dichiariamo di fronte a questo invito del Signore a dedurre dal Padre, a dedurre le cose dal Principio.

Eppure soltanto deducendo noi, rinasciamo da Dio.

Soltanto in quanto il Padre glorifica in noi suo Figlio.

Infatti, l'intelligenza dei segni avviene in noi in quanto noi vediamo un’associazione fra un segno e una realtà.

Se in noi non c'è questa possibilità di associazione, cioè una contemporaneità di presenze di segni e di realtà, noi non abbiamo l'intelligenza del segno.

Cioè il segno è una parola, noi possiamo sentire la parola, possiamo ascoltare la parola ma, se non possiamo associarla a una realtà, a un dato presente in noi, noi non possiamo intenderla.

Allora dobbiamo dire che l'intelligenza delle parole, l'intelligenza dei segni viene in noi da questa co-presenza, da questa contemporaneità di due cose: la realtà significata e il segno che la significa.

E soltanto in quanto c'è questa contemporaneità noi, abbiamo la possibilità di intendere il significato delle cose.

Questa contemporaneità dice molto nei riguardi dello spirito, poiché San Paolo stesso dice, nella lettera agli ebrei, che Dio dopo aver parlato molte volte a noi attraverso i profeti, in ultimo parla a noi nel suo Figlio.

Che differenza c'è fra il parlare a noi attraverso le creature, attraverso i profeti o attraverso suo Figlio?

Tutto è Parola di Dio, tutta la creazione è Parola di Dio però, c'è una differenza grande tra la Parola di Dio che arriva a noi attraverso tutte le creature e la Parola di Dio che arriva a noi attraverso suo Figlio.

Che differenza c'è tra la Parola di Dio che arriva a noi attraverso tutte le creature o i profeti e la Parola di Dio che arriva noi attraverso il Figlio di Dio?

Ci deve essere una differenza grande perché San Paolo (Parola svelata) dice a noi che Dio, dopo aver parlato molte volte attraverso i profeti, in ultimo parla a noi attraverso suo Figlio.

Qui troviamo questa contemporaneità, questa possibilità di associazione del segno, della Parola con la Realtà, con l'Essere, con Dio stesso.

Gesù stesso dice: "Chi ascolta Me, non ascolta Me ma, ascolta il Padre che mi ha mandato o meglio ascolta il Padre che in Me compie le sue opere".

Ecco qui abbiamo la contemporaneità, abbiamo l'associazione.

Qui abbiamo la Parola che è associata alla Realtà che significa, cioè abbiamo la Parola di Dio, Cristo fra noi e abbiamo la Realtà Dio che è significata nella sua Parola.

E avendo quindi quest’associazione, questa co-presenza di due elementi, noi abbiamo la possibilità di intendere. Diciamo allora che questo "quando", quindi questa capacità di capire, viene a noi in quanto c'è questa visione del Figlio nel Padre.

Allora questo "quando" non è in mano nostra ma è in mano del Padre, cioè diciamo: "Quando il Padre avrà manifestato in voi la mia Presenza" ma è la Presenza del Figlio, allora ecco: "Allora capirete che Io sono".

Teniamo presente che solo il Figlio di Dio, essendo Pensiero di Dio, rivela, testimonia questo essere nel Padre. Abbiamo detto che soltanto vedendolo nel Padre, noi abbiamo la possibilità di dedurre dal Padre.

Il Figlio di Dio, il Cristo fra noi, essendo Pensiero di Dio e Lui solo è il Pensiero di Dio, appartiene a Dio.

Proprio appartenendo a Dio ecco che noi abbiamo il processo di generazione, il DI che diventa un DA.

Lui che appartiene a Dio, riconosce di essere generato da Dio.

E fintanto che in noi non si scopre quest’appartenenza delle cose a Dio, non possiamo dedurre le cose da Dio.

La deduzione viene dalla scoperta di quest’appartenenza a-, da questa conoscenza, da questa visione delle cose in Dio.

Soltanto e per quel tanto che a noi è dato vedere le cose in Dio, abbiamo la possibilità di dedurre le cose da Dio.

E allora qui si compie in noi questo tempo, si realizza in noi questo "quando", in cui noi possiamo esaltare cioè, dedurre dal Principio cioè, dal Padre, dedurre il Figlio dell'uomo e capire che Lui è.

Poiché non basta costatare l'esistenza delle cose.

L'esistenza delle cose è capita soltanto in quanto è dedotta da Colui che è.

Poiché è Dio che dà l'essere alle cose, ma Dio dà l'essere alle cose senza di noi, ma non fa capire l'essere delle cose senza di noi e quindi richiede da noi questa partecipazione cioè, questa deduzione dal Principio, questo imparare tutte le cose dal Principio.



Disse quindi Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo allora comprenderete Io che sono e che da me nulla faccio ma dico ciò che il Padre mi ha insegnato".
Gv 8 Vs 28 Quarto tema.


Titolo:  Il Figlio è Luce da Luce.


Argomenti: Gesù non parla della sua presenza fisica. Credere e capire. Il nostro io non è un criterio di verità. Cristo è Colui che parla con noi. Solo dal Principio dell'essere possiamo cogliere l'essere di cose, persone e Figlio. Ĕ necessaria la conoscenza dalla causa, non per l'effetto.  Il Pensiero di Dio in noi è un segno nel pensiero dell'io. Possiamo capire chi è il Figlio solo in quanto lo deriviamo da Dio.


 

14/Luglio/1985  Casa di preghiera. Fossano.


Restiamo ancora in questo versetto 28 in cui Gesù dice ai farisei di allora e agli uomini di oggi queste parole: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo allora capirete che Io sono e che da Me faccio niente ma dico, ciò che il Padre mi ha insegnato".

Le volte precedenti abbiamo visto cosa si debba intendere per questo "innalzato" e quale rapporto passi tra l'innalzare il Figlio dell'uomo e il capire, poiché qui Gesù mette in rapporto questo innalzare, questo esaltare il Figlio dell'uomo con il capire che Egli è.

Abbiamo anche visto il concetto del rinascere dall'alto cioè come, soltanto imparando tutte le cose di nuovo dal Principio, noi rinasciamo a una nuova vita.

E poi all'ultimo ci siamo soffermati per approfondire quel concetto di "quando" cioè, quando questo può avvenire nella nostra vita personale?

Abbiamo visto che la possibilità della rinascita, come la possibilità di esaltare il Figlio dell'uomo, non dipende dalla nostra volontà e non dipende nemmeno dal nostro pensiero ma, come sia in rapporto alla concessione che il Padre fa, della visione di quello che il Figlio dell'uomo è in Lui.

Perché soltanto vedendo in Dio, il Figlio stesso di Dio, si realizza questo "quando", questo tempo in noi, in cui veramente noi possiamo dedurre da Dio.

Poiché la vera sapienza viene da questo dedurre dall'alto, la sapienza viene dall'alto, la città di Dio discende dall'alto. Questo alto è sempre concetto di ciò che trascende noi, cioè è il concetto di Dio.

Soltanto deducendo da Dio, discendendo da Dio, viene data noi la possibilità di vedere le cose secondo Dio.

A questo punto si apre una panoramica su tre grandi affermazioni che fa Gesù, dice prima di tutto: "Allora capirete che Io sono", poi dice: "Da Me faccio niente" e poi: "Dico ciò che il Padre mi ha insegnato".

Fermiamoci prima di tutto all'argomento di questa sera, prendiamo soprattutto questa prima affermazione di Gesù:"Allora capirete che Io sono".

Osserviamo che Gesù qui non dice: "Allora capirete che cosa sono Io".

Fa un'affermazione strana, perché dice: "Capirete che Io sono".

Teniamo presente che Gesù era presente fisicamente davanti a coloro ai quali Egli parlava.

Ora di fronte alla presenza fisica di uno che parli con noi, tanto è evidente che noi non ci poniamo nemmeno il problema se egli sia.

In quanto parla, in quanto è presente è, quindi è evidente per noi e se è evidente non c'è il problema di capire che egli sia.

Eppure Gesù già precedentemente aveva dichiarato che, non solo bisogna arrivare a capire che Egli è ma, se non crediamo che Egli è, noi moriremo nel nostro peccato: "Se non credete che Io sono, morirete nel vostro peccato". Quindi c'è una prima dichiarazione da parte di Gesù: bisogna credere che Egli è.

Si parla di credere in quanto una cosa non è evidente.

Evidentemente qui Gesù non parlava della sua presenza fisica, perché la sua presenza fisica era evidente.

Quello che Egli è, cioè il suo essere non lo confondeva certamente con la presenza fisica poiché come dico, quando una cosa è evidente non ci si chiede di crederla.

Poi non solo, qui ci fa capire che noi dobbiamo arrivare a capire che Egli è: "Capirete che Io sono".

Quindi ci  presenta due termini: prima di tutto credere il primo passaggio: credere che Lui è, per arrivare a capire, a comprendere, che Lui è. E ci indica anche la via poiché qui dice: "Allora capirete".

"Allora" quando?

Quel quando su cui ci siamo soffermati domenica scorsa cioè, quando avrete la possibilità di esaltare il Figlio dell'uomo cioè, di vederlo nel seno del Padre: "Allora capirete che Io sono".

Ma allora cosa è questo capire che Lui è o capire che le cose sono in quanto noi le constatiamo?

Le constatiamo con i nostri sensi, per cui ci fa capire che questa conoscenza dell'essere delle cose non è capire e non è nemmeno il credere che le cose sono.

Noi diciamo che una persona è, in quanto parla con noi, in quanto la vediamo presente, presente a noi ma, presente ai nostri occhi, presente ai nostri sensi e non dubitiamo di questa esistenza e così anche di tutte le cose create.

Noi diciamo che le cose esistono perché?

Perché lasciano una traccia in noi, cioè lasciano una traccia nel pensiero del nostro io e per questa traccia che lasciano nel pensiero del nostro io, noi diciamo che le cose sono.

Ma qui abbiamo da tenere presente una cosa molto importante: noi diciamo che le cose sono in quanto le verifichiamo con i nostri sensi, le verifichiamo noi.

Ma il nostro io non è un criterio di Verità.

Abbiamo visto che proprio la Madonna in Africa dice apertamente che l'uomo è menzognero.

Il nostro Dio dice menzogne, Dio è la Verità quindi è la sorgente della Verità, il Principio della Verità è Dio.

Per cui tutto quello che noi costatiamo nel pensiero di noi stessi e quindi attraverso tutti i nostri sensi, non è questa una testimonianza valida che le cose sono.

Abbiamo detto che noi non ci sogniamo di interrogarci e chiederci se una persona è, quando questa persona parla con noi e nello stesso tempo noi stessi non chiediamo di essere creduti che siamo.

Al massimo noi chiediamo di essere capiti per quello che siamo: "Se tu sapessi chi sono io" molte volte diciamo noi.

Non conosciamo quello che siamo e gli altri non conoscono quello che siamo.

Invece qui l'interrogazione di Gesù è molto diversa, qui Gesù non dice: "Capirete quello che sono Io" ma: "Capirete che Io sono" e chi Lui è?

Lui sì è dichiarato già apertamente alla samaritana: "Sono Colui che parla con te" e quando qui i farisei lo interrogano dicendo: " Ma Tu chi sei?", Lui dice: "Io sono Colui che parla a voi il Principio".

Il Principio è il Padre: "Io sono Colui che parla a voi il Principio", qui Lui definisce quello che Lui è.

Ma qui ci invita a un maggiore approfondimento.

Qui ha definito quello che Lui è ma, qui ci invita invece a capire che Lui è, ci invita a capire che veramente esiste Colui che parla con noi.

Cioè che il Figlio di Dio è Colui che parla con noi.

Ma chi dà a noi la conoscenza che veramente c'è questo Essere che parla con noi?

Il nostro dubbio più grande è sempre quello: "Dio veramente parla con me oppure sono io che me lo immagino, oppure è la mia fantasia, oppure sono i miei pensieri?".

Abbiano detto molte volte, che noi corriamo questo rischio di non arrivare alla maturità, di non arrivare cioè a questa convinzione che Dio veramente è Colui che parla con noi in tutto cioè corriamo il rischio di non arrivare al  superamento del nostro io.

Fintanto che l'essere delle cose o l'essere delle creature, noi lo conosciamo in relazione ai nostri sensi, in relazione a quello che siamo noi, resta sempre il dubbio se l'altro veramente sia, perché è in relazione a quello che avvertiamo noi.

Il nostro io non è un criterio di Verità: basta che cambino i nostri sentimenti, i nostri sensi e può cambiare perfettamente anche l'altro: "Io credevo che fosse invece non è" e allora dove faremo appello per verificare quello che veramente è?

Qui Gesù ci insegna la via: "Quando avrete esaltato il Figlio dell'uomo, capirete che Io sono" cioè, anche capire l'essere delle cose o l'essere delle persone e a molta maggior ragione l'essere del Verbo di Dio, del Figlio di Dio che parla con noi, viene a noi dal rapportare a Colui che è.

Solo dal rapporto con il Principio dell'essere, quindi con Colui che è, noi abbiamo la possibilità di attingere l'essere delle cose e quindi l'essere oggettivo del Verbo stesso di Dio che parla con noi.

Già seguendo il Cristo siamo approdati a questa verifica, a questa constatazione della Presenza e dell'esistenza in noi obiettiva, del Pensiero di Dio, questo Pensiero di Dio che non dipende da noi, però quando l'abbiamo costatato, l'abbiamo constatato sulla Parola del Cristo e l'abbiamo costatato per sentito dire cioè, l'abbiamo verificato in relazione sempre al pensiero di noi stessi, in quanto non era possibile che noi subissimo una passione di una cosa che ignoravamo.

Per conseguenza, se noi subiamo la passione di una cosa  che non sappiamo, evidentemente questa cosa qui c'è e opera su di noi ma questo è sempre in relazione a noi in quanto noi subiamo questo.

Qui Gesù ci conduce a cercare un approfondimento ulteriore, una verifica maggiore.

Non basta che noi diciamo che una cosa è poiché ne esperimentiamo gli effetti.

Lui vuole da noi una conoscenza maggiore, non la conoscenza per effetto ma la conoscenza per la causa cioè, la conoscenza nella sua sorgente, la conoscenza del Padre stesso.

Ora ci sono delle cose che sono date a noi senza di noi e arrivano a noi per sentito dire e queste cose qui noi non le possiamo mica negare però, non le possiamo capire in quanto arrivano a noi senza di noi.

E allora già come accennato domenica scorsa  ci sono queste tre situazioni nei riguardi della conoscenza in cui noi possiamo venirci a trovare.

Prima di tutto il dato, quello che è dato a noi senza di noi, il credere, perché noi possiamo non credere a quello che ci è dato e possiamo credere e non desiderare di capire e allora qui il credere diventa soltanto fittizio perché il vero credere è desiderare di capire e poi abbiamo il capire.

Ora Dio per primo dà a noi i suoi segni senza di noi ed abbiamo visto che la Madonna anche in Africa dice quanto sia importante capire i segni che Dio ci manda, perché tutto quello che arriva a noi senza di noi è segno di Dio per noi.

Quindi anche il Pensiero di Dio che portiamo dentro di noi è un segno di Dio per noi nel pensiero del nostro io ma, importante è capire e per arrivare a capire, è necessario credere quindi abbiamo questi passaggi.

Dobbiamo credere al segno che ci viene dato, è quello che Gesù dice: "Se non credete che Io sono morirete nel vostro peccato".

Chi non crede a quello che Dio ha dato, muore perché non passa al capire ma chi crede e desidera capire ha la meta davanti: quella di arrivare a capire ma, il vero capire si ottiene soltanto in quanto si vede una cosa nella sua causa cioè Dio,che è l'Essere e anche il  Principio che ci fa capire quello che le cose o le persone sono.

Ci fa capire l'essere di tutte le cose, le sue ma dobbiamo contemplarlo lì.

Diciamo che è soltanto nella contemplazione del Padre che noi possiamo conoscere il Figlio e capire che il Figlio è.

Qui abbiamo una conoscenza veramente oggettiva, una conoscenza che trascende il pensiero del nostro io e che ci libera da ogni ombra, da ogni ombra che il pensiero del nostro io può proiettare lasciandoci nel dubbio.

Perché qui deriviamo ogni cosa da Colui che è.

Soltanto quindi derivando da Colui che è, noi possiamo conoscere che il Figlio è.

Cioè come accennato domenica scorsa il Padre è Dio ma, non è "da" Dio, il Figlio invece è Dio da Dio, ecco questo "da", "che deriva da", è deduzione da-.

Noi possiamo quindi capire che il Figlio è, soltanto in quanto lo deriviamo da Dio, come Dio da Dio.

Il Padre è luce, è sorgente di luce ma non è "da" luce.

Il Figlio è luce da luce.

Soltanto in quanto noi contempliamo quello che Dio ci fa arrivare, nella sua sorgente, noi abbiamo la possibilità di capire che quello veramente è.



Disse quindi Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo allora comprenderete che Io sono e che da me nulla faccio ma dico ciò che il Padre mi ha insegnato".
Gv 8 Vs 28 Quinto tema.


Titolo:  Maturità e immaturità.


Argomenti: Le promesse di Dio e la risposta della creatura. Per dedicarci alla proposta di Dio dobbiamo coglierne l'importanza. L'essere si trova nel suo principio. All'essere del Cristo si arriva attraverso lo spirito, non i sensi. L'importanza di non agire da soli. Maturo è chi tiene presente la realtà in cui si trova. Presso Dio non c'è autonomia. L'illusione dell'autonomia, nasce dalla lontananza da Dio. L'iniziativa è solo di Dio. L'errore di far dipendere l'essere dall'apparire. Il nostro io non è giustificato.


 

21/Luglio/1985  Casa di preghiera. Fossano.


Restiamo sempre nel versetto 28 del capitolo ottavo di San Giovanni dove Gesù dice: "Quando avrete esaltato il Figlio dell'uomo, allora capirete che Io sono e che da Me faccio niente ma, dico quello che il Padre mi ha insegnato". Domenica scorsa ci siamo soffermati sulla prima dichiarazione di Gesù: "Allora capirete che Io sono",  oggi dobbiamo soffermarci sulla seconda affermazione: "Da Me faccio niente", cioè: "Allora capirete che da Me faccio niente".

Allora quando?

"Quando avrete esaltato il Figlio dell'uomo".

Anche qui dobbiamo chiederci quale lezione, quale significato per la nostra vita personale ci sia, in questa dichiarazione di Gesù.

Le Parole di Gesù sono per noi e lo è anche questa Parola in cui Gesù dice che, quando avremo esaltato il Figlio dell'uomo, capiremo che Lui fa niente dal solo.

Quale valore ha per noi il capire che Gesù, Gesù Figlio di Dio da solo fa niente?

Se l’ha detto, l’ha detto evidentemente perché c'è un valore in queste parole, c'è un significato per la nostra vita essenziale, c'è una lezione personale per ognuno di noi; è quello che noi stasera cercheremo di capire, se Dio vuole.

Qui fa una promessa dice: "Capirete", è una promessa, tutte le promesse di Dio sono dei patti di alleanza.

Tutte le promesse di Dio sono legate a una risposta della creatura.

Dio parla e parlando fa delle proposte e queste proposte per realizzarsi, devono trovare la corrispondenza nella creatura, devono trovare cioè l'adesione o meglio la dedizione da parte della creatura a ciò di cui Dio parla.

La Parola di Dio richiede sempre dedizione per essere realizzata.

Elisabetta dice a Maria: "Beata te che hai creduto, perché in te si compirà la promessa".

Le promesse, le alleanze di Dio con gli uomini, richiedono sempre questo credere, questo aderire, questo dedicarsi a ciò di cui Lui parla, altrimenti le promesse non si compiono, cioè la Parola di Dio giunge a noi, le promesse di Dio giungono a noi, però restano nel campo del sogno, non si realizzano.

Ora però per potersi dedicare a ciò che ci viene proposto, è necessario che noi ci convinciamo dell'importanza di ciò che ci viene proposto.

Qui la proposta è questa: "Capirete che Io da Me faccio niente".

Allora dobbiamo chiederci quale valore, quale importanza può avere per noi, questa dichiarazione.

Perché soltanto se è importante noi, possiamo dedicarci a essa cioè, se ai nostri occhi appare importante.

La nostra volontà non può volere una cosa che sia senza valore, inutile, quindi nella Parola che arriva noi, ci deve già essere questo segno, questo sigillo: questa cosa è importante per te.

Abbiamo visto domenica scorsa come sia importante capire quel: "Io sono" di Gesù.

Noi generalmente non ci poniamo il problema di capire se gli esistenti siano, perché sono evidenti, si testimoniano da soli ai nostri sensi.

Però proprio in quanto Gesù dice: "Capirete che Io sono", evidentemente ci offre l'occasione, ci sollecita a cercare un'altra testimonianza, un'altra prova del suo essere e non quella dei nostri sensi.

Perché non ci sarebbe stato motivo di capire una cosa che è evidente.

Quindi quel suo essere non è evidente ed abbiamo visto domenica scorsa che l'evidenza dell'essere noi l'abbiamo soltanto in quanto lo contempliamo nel suo principio.

L'evidenza dell'essere del Figlio per noi è soltanto in quanto abbiamo la possibilità di contemplarlo nel Padre e fintanto che non lo contempliamo nel Padre, noi vedremo la sua presenza fisica, i nostri sensi magari potranno esperimentare la sua presenza fisica però, la sua presenza fisica non è quel suo: " Io sono".

Non è soprattutto quel "capire".

All'essere del Cristo si arriva attraverso lo spirito, non attraverso i sensi e così anche a questo capire che: "Da Me faccio niente".

Mentre apparentemente secondo i nostri sensi Lui fa tutto da solo: non vediamo che ci sia un altro che lo faccia fare. Accanto Gesù non vediamo altri anzi, tutte le volte che noi vediamo che i suoi parenti, i suoi discepoli, sua madre o altri gli dicono di fare qualche cosa, Lui non la fa.

Perché Lui è mosso da Altro, quindi apparentemente, secondo quello che ci testimoniano i sensi, Lui fa tutto da solo, eppure dice: "Da solo Io faccio niente".

Se lo dice è perché ci invita a superare quelle che sono le testimonianze dei sensi e guardare oltre, come quando dice: "Il Padre ed Io siamo una cosa sola" e il Padre non si vede.

Quindi ci invita a una conoscenza di Lui molto più profonda.

Ci annuncia che c'è qualche cosa di molto più profondo che ancora non vediamo, che ancora non capiamo e al quale siamo chiamati.

Se il Figlio di Dio dice a noi che da solo fa niente, l'importanza scaturisce di qua, per noi che generalmente facciamo tutto da soli, noi sì facciamo tutto da soli.

Se il Figlio di Dio che è in Verità fa niente da solo, l'importanza scaturisce da qui.

Cioè capire questo vuol dire imparare anche noi a non agire più da soli e imparare a non agire più da soli è importante perché qui abbiamo la caratteristica che dà all'uomo la possibilità di restare sempre con Dio.

Infatti, il Figlio resta sempre nella casa del Padre, perché non agisce mai da solo.

Noi abbiamo molta difficoltà a restare uniti a Dio perché agiamo sempre da soli.

Questo ci fa capire che agendo da soli, noi non possiamo restare uniti a Dio e noi possiamo restare con Dio soltanto in quanto non facciamo niente da soli.

Apparentemente il non fare da soli fare niente, sembra una diminuzione di personalità.

Infatti, molte correnti di pensiero nel campo teologico dichiarano che l'uomo maturo è tale, in quanto non ha più bisogno di Dio, in quanto sta su con le sue gambe, in quanto opera con la sua testa, decide con la sua testa, non ha bisogno in continuazione di fare ricorso a Dio.

Dicono che questa è maturità mentre l'infantilismo, è il dover sempre ricorrere a far conto su un altro, far conto su Dio.

E allora il primo passo da fare è questo: considerare se effettivamente sia immaturità il far conto su di un altro e se sia invece maturità l'agire per conto proprio ed evidentemente se così fosse, qui Gesù rivelerebbe un’immaturità.

Quando è che l'uomo agisce da solo? In quanto non tiene conto dell'altro.

Il non tenere conto dell'altro è maturità o è immaturità?

Cioè è maturo colui che guidando la macchina sulla strada, non tiene conto dei segnali stradali, non tiene conto dei semafori e vuole agire di testa propria?

Cioè è maturità il fatto di dire: "Io non tengo conto delle curve", il fatto di non considerare la realtà che ci sta attorno, non tenere presente altro da sé?

Non possiamo dire che questa sia maturità, evidentemente colui che non tiene conto di altro da sé, è un immaturo, quindi la vera maturità non sta nell'agire da soli ma, sta nel tenere presente l'altro.

L'uomo veramente maturo è colui che tiene presente la realtà in cui si trova.

Ora la realtà in cui tutti noi ci troviamo è questa: viviamo in casa di altri, un altro è il creatore.

La maturità sta nel tenere presente che ci troviamo in mezzo a opere fatte da un Altro.

Questa è maturità, l'immaturo invece non tiene conto e allora si parla di autonomia.

Presso Dio non c'è autonomia.

Nella Verità non c'è autonomia, poiché il Figlio stesso di Dio dice: "Da Me faccio niente".

In quanto Gesù dice: "Da Me faccio niente" ed è il Verbo di Dio, questo ci rivela che presso Dio non c'è autonomia, presso Dio tutto dipende dal Padre, tutto dipende dal Principio.

Allora dobbiamo chiederci ma se, nella Verità non c'è autonomia, come nasce, come si forma in mezzo a noi, questo pensiero di autonomia?

Perché l'uomo si considera autonomo?

Perché l'uomo è portato ad agire per conto proprio, a non riferire tutte le cose al Principio, a non tenere conto di Dio?

Come abbiamo detto prima, il più delle volte l'uomo chiama questo "maturità".

Se nella Verità, se presso Dio, vicino a Dio non c'è autonomia e il fatto che non ci sia autonomia abbiamo visto, è dichiarato dal Figlio stesso di Dio, l'autonomia nasce dalla lontananza dalla Verità, quindi dalla lontananza da Dio.

L'autonomia è un segno della nostra lontananza da Dio, poiché presso Dio non c'è autonomia, quindi è segno di lontananza, lontananza dalla Verità.

Lontani dalla Verità, siccome nella Verità non c'è autonomia, quando siamo lontani dalla Verità, noi vediamo gli esseri autonomi e crediamo di essere autonomi.

Quindi crediamo che gli uomini agiscano d’iniziativa loro, che gli animali agiscano d’iniziativa loro, che noi agiamo d’iniziativa nostra.

Questo è una conseguenza della nostra lontananza dalla Verità, poiché se fossimo vicini alla Verità, noi capiremmo che quest’autonomia negli esistenti non c'è, perché uno solo è il Creatore.

Non ci sono tanti creatori, non ci sono tanti esseri che hanno iniziative.

L'iniziativa è di uno solo: soltanto di Dio.

La vera maturità sta nel vedere tutte le cose in questo Principio, nel vedere tutte le cose nel Creatore.

Ora succede che noi, proprio perché non riportiamo tutto al Principio, finiamo di lasciarci guidare soltanto da quello che per noi esiste, perché è testimoniato dai nostri sensi.

Le cose esistono perché noi le vediamo, perché noi le tocchiamo ma, abbiamo detto che questa non è la verità.

Poiché che le cose esistano perché noi le vediamo, è dovuto al fatto che sono in relazione a noi, evidentemente Dio non è in relazione a noi.

Dio non esiste perché noi lo sentiamo o perché noi lo avvertiamo.

Dio esiste indipendentemente da noi.

Dio è trascendente, e in quanto è trascendente noi, non si fa esperimentare dai nostri sensi.

Quello che noi esperimentiamo con i nostri occhi, con i nostri sensi, quello che noi possiamo toccare, quello che noi possiamo vedere, è sempre in relazione a noi, è relativo a noi; Dio essendo trascendente non è relativo a noi.

Succede che invece noi, lontano da Dio, scambiamo per essere quello che noi vediamo, quello che noi tocchiamo.

Arriviamo al punto da ritenere essere, soltanto quello che appare e facciamo dipendere l'essere dall'apparenza: è il massimo della nostra lontananza da Dio, perché abbiamo qui il capovolgimento dei rapporti nella Verità.

Questo far dipendere l'essere dall'apparire.

A questo punto, come norma di vita, per noi dipende soltanto l'apparire e allora arriviamo al punto che riteniamo che uno sia in quanto ha, in quanto appare, l'importante è apparire davanti agli altri perché apparendo sono: è il massimo della lontananza ed è il massimo dei nostri errori, è il capovolgimento completo della Verità.

L'essere non dipende dall'apparenza, piuttosto è quello che appare che va cercato nell'essere, va giustificato nell'essere. Anche il nostro io va cercato nell'essere, altrimenti un certo momento noi ci accorgiamo che non sappiamo più chi siamo e allora entriamo in crisi d'identità: andiamo alla ricerca di quello che siamo: è la conclusione di questo cammino di allontanamento da Dio che si è inaugurato proprio ritenendo di essere autonomi da Dio.

Quindi il problema grande è quello di recuperare il Principio e recuperare il Principio vuol dire recuperare quello che dice Gesù cioè questo: presso Dio niente è autonomo, da soli facciamo niente.

Il nostro io da solo non sta su, il nostro io è nudo, ha bisogno in continuazione di vestirsi, ha bisogno in continuazione di giustificarsi, ha bisogno di appoggio, ha bisogno di mettersi attorno qualche cosa, perché da solo, non essendo creatore non giustifica niente e non sta su.

E allora ha bisogno di nascondersi, infatti, noi ci nascondiamo, ci nascondiamo dietro le regole del mondo, dietro i doveri, dietro le necessità, dietro la regola, dietro gli istituti, dietro i gruppi eccetera.

Perché non abbiamo il coraggio di affermare apertamente il nostro io, perché sappiamo che il nostro io è nudo e non è giustificato.

Soltanto presso Dio il nostro io trova la sua giustificazione ma dico, presso Dio, altrimenti il nostro io da solo fa niente.

Il nostro io fa in quanto vede, sarà l'argomento che vedremo la volta prossima.



Disse quindi Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo allora comprenderete che  io sono e che da me nulla faccio ma dico ciò che il Padre mi ha insegnato".
Gv 8 Vs 28 Sesto tema.


Titolo: Presso Dio non c'è imitazione.


Argomenti:  Rapporto fra autonomia e libertà. Si parla per sentito dire quando non si ha presente il principio di cui si parla. Tra Padre e Figlio non ci sono segni. Il Padre insegna Se stesso al Figlio. La persona è incomunicabile. Il Figlio conosce Se stesso contemplando il Padre. Il Figlio ci insegna come si diventa figli di Dio.


 

28/Luglio/1985  Casa di preghiera. Fossano.


Siamo ancora nel versetto 28, in cui Gesù dice ai farisei: "Quando avrete esaltato il Figlio dell'uomo, allora capirete che Io sono, che da me faccio niente e dico ciò che il Padre mi ha insegnato".

Abbiamo visto le domeniche precedenti le prime due promesse, sono promesse di Gesù: "Capirete che Io sono e capirete che da Me faccio niente".

Le promesse erano tre, abbiamo visto, l'ultima è: "Capirete che Io dico ciò che il Padre mi ha insegnato" è l'argomento di oggi.

Anche qui si tratta di lezioni divine non solo ma, si tratta di parole che il Verbo di Dio essendo Parola di Dio, rivolge personalmente a ognuno di noi e quindi per questo, ognuno di noi deve chiedersi quale lezione, quale significato abbiano queste parole per la nostra vita personale, per la nostra vita interiore.

Soprattutto quale valore abbia il capire, perché abbiamo detto che le parole di Dio non capite, ci vengono portate via.

Le parole di Dio sono dei segni che cadono nel terreno della nostra vita, se queste parole non sono capite o perlomeno se a queste parole noi non poniamo mente, dice Gesù che il Demonio le porta via, il pensiero del nostro io le porta via.

Ecco quale valore ha il capire il significato di queste parole di Gesù: "Io dico ciò che il Padre mi ha insegnato".

Altrove, sempre Gesù dice: "Da Me faccio niente ma opero in quanto vedo il Padre operare".

Apparentemente si direbbe che qui Gesù e quindi il Figlio di Dio, riveli di imitare il Padre, quindi che la sua opera sia una ripetizione di quello che fa il Padre, se non un plagio una copia.

Ora dove c'è ripetizione, dove c'è imitazione, dove c'è copia, c'è sempre un difetto di persona.

Presso Dio non c'è difetto di persona.

Domenica scorsa siamo stati condotti a riflettere sulla differenza che passa tra libertà e autonomia, per cui abbiamo notato che presso Dio non c'è autonomia ma c'è però libertà e abbiamo visto che la libertà non è in contraddizione con l'autonomia, abbiamo visto che si può essere dipendenti e liberi anzi là, dove c'è dell'autonomia, c'è della schiavitù.

Basta pensare che autonomo, è colui che non tiene conto di-.

Abbiamo fatto l'esempio di colui che guidando la macchina non tenesse conto dei segnali stradali per affermare la propria libertà: evidentemente qui ci troveremmo con un essere che è schiavo, che non è libero, perché operando in tale modo non farebbe altro che accrescere la sua situazione di schiavitù.

Domenica scorsa, abbiamo approfondito i rapporti che passano tra autonomia e libertà, qui dobbiamo approfondire i rapporti che passano fra l'imitazione, il sentito dire, la copia e l'originale.

Qui "apparentemente" Gesù dice che Lui copia quello che fa il Padre.

"Io faccio quello che il Padre mi ha insegnato, faccio quello che Lui fa, da solo non faccio niente".

Qual è la differenza che passa tra l'imitazione, il copiare e invece l'operare in modo originale?

Nell'imitazione abbiamo detto che c'è un difetto di personalità, allora quando c'è imitazione, quando c'è copia?

Quando è che si parla per sentito dire?

Riassumiamo il copiare, l'imitazione nel sentito dire, tant'è vero che qui Gesù dice: "Io dico", anche qui sembrerebbe che il Figlio di Dio dica per sentito dire.

Si parla per sentito dire in quanto non si è in rapporto diretto, personale con la realtà di cui si parla, ma tra quello che si dice e la realtà c'è interposta un'altra persona, non si è in rapporto con la fonte della notizia che si comunica e allora abbiamo il sentito dire, la persona che ripete.

Allora diciamo che qui c'è un difetto di personalità là, dove la persona parla o opera, senza avere personalmente presente ciò di cui parla, ciò che opera.

Invece là dove c'è la presenza diretta di ciò di cui si dice, quando si ha presente il principio di ciò di cui si parla, qui abbiamo la personalità piena.

Poiché persona, è quell'essere che ha in se stesso la ragione di ciò di cui parla, che ha in se stesso la ragione del suo operare.

Quando si conosce un principio allora quello che si dice in relazione a questo principio ci rende consapevoli delle cose che noi diciamo.

Qui abbiamo la personalità piena.

Abbiamo detto che presso Dio c'è pienezza di personalità.

In quanto c'è pienezza di personalità non c'è il sentito dire.

Il sentito dire è presso di noi, fintanto che noi personalmente non attingiamo alla Sorgente assoluta o poco o tanto, noi parliamo sempre per sentito dire, presso Dio questo invece no.

Ma allora cosa significa questo Padre che insegna? Cioè che cosa insegna il Padre al Figlio?

E soprattutto che cosa significa questo "dire" del Figlio, il quale dice ciò che il Padre gli insegna?

Teniamo presente che qui parla di tempo passato, anche se è passato prossimo ma, nell'eternità c'è sempre il presente, quindi sarebbe meglio dire: "Io dico ciò che il Padre mi insegna".

Dobbiamo prima di tutto chiederci, approfondire cosa sia questo insegnamento del Padre?

Che cosa il Padre insegna al Figlio?

Certamente l'insegnamento del Padre non è l'insegnamento che avviene tra noi, poiché tra noi l'insegnamento avviene attraverso i segni, attraverso le parole.

Presso Dio non ci sono parole poiché il Figlio stesso di Dio è la Parola.

Quindi tra il Padre e il Figlio non è interposto alcun segno.

Il Padre non parla attraverso segni al Figlio.

Quando si parla attraverso i segni, c'è il problema di capire, dell'intelligenza.

Noi, infatti, quando qualcuno ci insegna, dobbiamo faticare per arrivare a capire ciò che ci viene insegnato attraverso i segni, perché appunto quello che noi abbiamo visto sono i segni, c'è sempre il problema del superamento dei segni per arrivare a capire il pensiero.

Anche questo avviene nei riguardi della creazione, quindi dell'opera che Dio fa con noi.

Dio con noi che siamo creature opera attraverso segni, non opera attraverso segni con suo Figlio.

Con suo Figlio c'è un'opera diretta.

Il Padre insegna direttamente al Figlio.

Ma se non ci sono segni, che cosa il Padre insegna al Figlio?

Il Padre insegna al Figlio Se stesso, poiché il Figlio non è altro che Pensiero del Padre.

Qui Gesù dice: "Dico ciò che il Padre m’insegna".

Ma il Figlio che cosa dice?

Se il Padre insegna Se stesso al Figlio, il Figlio è contemplazione pura del Padre.

Ma allora che cos'è quello che Lui dice?

Notiamo che non può essere imitazione, non può essere ripetizione, non può essere copia, ci deve essere qualche cosa di originale nel Figlio perché nelle Persone divine tutto è originale.

Cioè ciò che il Padre fa è in comunicabile al Figlio e ciò che il Figlio fa è incomunicabile al Padre.

Perché ciò che è proprio delle persone è incomunicabile.

Ora la caratteristica del Padre, come Padre è la generazione del Figlio, il Padre genera il Figlio e questo è incomunicabile.

Il Figlio non può generare il Padre.

Quindi nelle persone divine abbiamo l'incomunicabilità dell'operazione, dell'azione, comunque questa è anche la caratteristica di ogni persona, in ogni persona c'è qualche cosa che non può essere trasferito in un'altra persona.

Nel Figlio c'è un'originalità che non può essere trasferita nel Padre.

Il Figlio è generato, il Padre non è generato.

Allora se è quello che dice il Figlio non può essere imitazione, poiché non può generare, che cosa è?

Il Figlio contempla il Padre ma contemplando il Padre che cosa contempla?

Contemplando il Padre contempla la generazione di Sé dal Padre.

Il Padre genera il Figlio ne deriva che il Figlio scopre, conosce Se stesso dal Padre, Dio da Dio.

Direi che il Figlio scopre, conosce di essere Dio da Dio.

Il Padre invece non conosce di essere Dio da Dio, il Figlio invece conosce di essere Dio da Dio.

Cioè contemplando il Padre conosce quello che il Padre opera e siccome il Padre opera il Figlio, genera il Figlio, il Figlio contemplando il Padre conosce Se stesso.

Ed è questo quello che Lui dice.

Gesù in un altro luogo dice che Lui porta a compimento quello che il Padre inizia.

Ecco, questo portare a compimento è proprio questo prendere coscienza nel Padre di ciò che il Padre fa.

Il Padre opera e il Figlio intende l'opera del Padre, intendendo l'opera del Padre conosce Se stesso.

Abbiamo detto quale valore possono avere queste parole di Gesù per noi?

Teniamo presente che noi siamo creature che siamo chiamate, vocate a conoscere Dio, la vita eterna è conoscere Dio.

Ma conoscere Dio vuol dire essere figli di Dio.

Quindi noi siamo creature che siamo state volute da Dio per diventare suoi figli e figli come è il Figlio di Dio, come è il Figlio unigenito di Dio.

Quindi qui Gesù ci sta insegnando attraverso le sue parole, che sono segni per noi, ci sta insegnando come si diventa figli di Dio.

"Egli ha dato a tutti coloro che credono in Lui..." abbiamo detto molte volte che credere vuol dire cercare di capire le sue parole, "Egli ha dato tutti coloro che credono in Lui la potenza, la possibilità di diventare figli di Dio".

Ma abbiamo visto che figli di Dio si diventa, in quanto si contempla il Padre.

I figli di Dio nascono dal Padre ma, nascono non per via automatica o per via meccanica, nascono per partecipazione personale, quindi per conoscenza, quindi presso Dio non c'è l'imitazione, non c'è la copia, presso Dio c'è la conoscenza, la conoscenza di quello che fa il Padre e conoscendo quello che fa il Padre, noi scopriamo la nostra figliolanza.

Ѐ lì che noi scopriamo che siamo generati e quindi scopriamo di essere fatti figli di Dio.


 Disse quindi Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo allora comprenderete che  io sono e che da me nulla faccio ma dico ciò che il padre mi ha insegnato". Gv 8 Vs 28 Riassunti


Riassunti I


Argomenti: Dedurre: conoscere l’effetto nella causa – Luogo: tutto pensiero di Dio – Luce da Luce – La purificazione – Schiavi della realtà – Contemporaneità segno/realtà – L’appartenenza – L’intelligenza del segno – L’intelligenza di Dio – Capire e fare la Parola – Essere nel luogo di Cristo – La manifestazione dell’esistente – Il pensiero ha presente il principio di sé – L’ambiente per pregare -


 

7/Luglio/1985


Essi però non capirono come chiamasse Dio suo padre.Disse quindi Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo allora comprenderete che  io sono e che da me nulla faccio ma dico ciò che il padre mi ha insegnato". Gv 8 Vs 27 - 28


Riassunti Vs 27 - 28


Argomenti: Tutto sottomesso al Figlio – La fede – Cercare il Pensiero di Dio – Recuperare il Principio – Contemporaneità tra segno e Esserne: Cristo – La rassegnazione – La presenza della persona – La persona è intenzione – L’attenzione a Dio – Dio vuole il pensiero – Il tempo – Concepire – Nel pensiero dell’io tutto è segno – La creazione e Dio -


 

4/Agosto/1985