Onde Gesù disse
loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Gv 10 Vs 7 Primo tema.
Titolo:La chiave di lettura.
Argomenti: La parabola è un giudizio anticipato. Il
libro sigillato. Lettura & conoscienza.La
comunicazione della persona avviene attraverso la parola. Passaggio
dal segno al pensiero. Il
tempo per imparare a leggere e il tempo per leggere. Intenzione & lettura. Persona & intenzione. La realtà diventa parola. Essere
con un "io".
24-25/Dicembre/1989 Casa di
preghiera Fossano.
Non avevano capito
la parabola.
Abbiamo visto
nel versetto sei:"Ma essi non compresero di che cosa parlasse loro".
E adesso
continua dicendo "Onde Gesù disse loro".
"Onde"
motivo per cui, quindi perché non avevano capito la parabola.
E poiché non
avevano capito la parabola Gesù disse "Io sono la porta".
Nella parabola
aveva parlato della porta dell'ovile, la porta delle pecore.
Non avevano
capito.
Abbiamo visto
che tutto è parabola di Dio.
L'universo, la nostra
stessa vita, gli avvenimenti vicini e lontani a ognuno di noi, tutto, in quanto
giunge a noi e entra nel nostro cuore, nella nostra mente, tutto è Parola di
Dio che arriva a noi, quindi è proposta di Dio per noi, è parabola per noi.
Perché ogni
parola che giunge a noi da parte di Dio ci propone Dio.
L'universo ci
annuncia Dio.
L'universo è
creazione di Dio, tanto che nessuno di noi può ignorare la creazione.
In quanto si
annuncia è Parola di Dio, la parola è un annuncio e in quanto è un annuncio è una
proposta.
Tutte le volte
che noi riceviamo una proposta diamo una risposta e in conseguenza di questa
risposta c'è la parabola.
Abbiamo i tre
grandi tempi:
-Parola di Dio
che arriva a noi, senza di noi, indipendentemente da noi.
-Risposta da
parte nostra.
-Parabola di
Dio.
Parabola con
cui Dio ci presenta la valutazione della nostra risposta nella sua verità.
Abbiamo detto
che è un giudizio anticipato.
Il giudizio è
un rapporto.
Con la parabola
Dio rapporta la nostra risposta, quello che noi abbiamo preferito alla sua
proposta, ce lo rapporta alla sua verità.
Da questo
rapporto scaturisce un giudizio, ma è un giudizio anticipato.
Si parla di
anticipo in quanto giunge a noi in una realtà ancora diversa.
Il giudizio non
è ancora la realtà, la realtà è un altra.
La realtà in
cui ci troviamo sono "i buoi i campi, la moglie", sono i nostri
impegni, il nostro lavoro,i nostri affari, questa è la realtà in cui noi ci
troviamo.
Ma in questa
realtà in cui ci troviamo giunge prima la Parola di Dio e poi giunge la parabola
di Dio come giudizio anticipato.
Giudizio
anticipato prima del giudizio che si realizza, perché a un certo momento
scompaiono "i buoi, i campi, la moglie", scompaiono i nostri impegni,
il nostro lavoro e i nostri affari.
Scompare tutto
e si realizza il giudizio.
Dio anticipa a
noi il giudizio.
Dio anticipa
questo rapporto tra la nostra risposta, cioè ciò per cui noi viviamo e la sua
verità, è un atto di misericordia, per dare a noi la possibilità di rivedere.
Tutto è
parabola.
Qui però ci
dice:"Non capirono di che cosa parlasse loro".
Non capirono
allora e non capiamo adesso.
Ancora adesso
si dice che tutto è parabola di Dio: l'universo è parabola di Dio e i fatti di
ogni giorno sono parabole di Dio ma non capiamo.
Tanto che nell'Apocalisse
si presenta il libro sigillato dentro e fuori.
L'universo è
questo libro sigillato dentro e fuori.
La nostra vita
è questo libro sigillato dentro e fuori.
Tutti gli
avvenimenti che accadono per noi sono questo libro sigillato dentro e fuori.
Nell'Apocalisse
si dice:"Ed io piangevo molto perché non si trovava nessuno che potesse
leggere questo libro".
Non si trovava
nessuno.
Questo pianto
rappresenta la tristezza profonda di ogni uomo che si trova di fronte a qualche
cosa che non riesce a capire.
La
caratteristica dell'universo in cui ci troviamo, del mondo e della nostra vita
è di trovarsi di fronte a delle cose che non capiamo.
Questo pianto
di Giovanni di fronte a questo libro sigillato dentro e fuori che nessuno può
aprire e leggere, rappresenta il pianto della nostra anima quando non riesce a
capire.
Noi siamo fatti
per capire e il non riuscire a capire è la tristezza più profonda.
Anche se
ridiamo e ci divertiamo da mattina a sera, noi portiamo questa tristezza
profonda fintanto che non riusciamo a capire.
Però
proseguendo nell'Apocalisse viene detto: "Ho trovato Uno che apre i
sigilli e che può leggere questo libro e quest'Uno è l'agnello
sacrificato".
Dice che è
fatto capace di leggere il libro perché è morto per noi.
Qui Gesù dice:
"Io sono la porta".
Il tema di oggi
è la chiave di lettura.
Perché se il
problema della vita essenziale è giungere alla conoscenza di Dio, quindi alla
conoscenza della verità, la nostra salvezza sta nel conoscere la verità, nel
conoscere Dio.
Noi non
vogliamo capirlo ma la nostra salvezza sta nel conoscere.
La vita eterna
sta nel conoscere.
"Dio vuole
che tutti si salvino e giungano a conoscere la verità".
Quindi la
salvezza sta nel conoscere la verità.
Se il problema
della nostra salvezza è il problema della conoscenza di Dio, il problema
essenziale per ognuno di noi è quello di capire, di imparare a leggere.
Leggere le
parole che Dio, tutti i giorni scrive nella nostra vita.
Perché soltanto
imparando a leggere, noi giungiamo a conoscere.
È Dio che si rivela
a noi, ma se si rivela a noi, si rivela annunciandosi, parlando con noi.
Ed è
importantissimo per noi ascoltare le sue parole, meditare le sue parole,
approfondire le sue parole, capire le sue parole, perché lì è la strada della
nostra salvezza per giungere a conoscere.
Una persona si
giunge a conoscerla soltanto se la si ascolta e si custodiscono le sue parole e
si ha interesse per capire le sue parole.
Altrimenti c'è
un abisso tra una persona e l'altra.
C'è
l'incomunicabilità.
È assolutamente
impossibile conoscere una persona, se quella persona lì non parla a noi, ma è
altrettanto impossibile conoscere una persona se noi non ascoltiamo le sue
parole e non cerchiamo di capirle.
La
comunicazione della persona avviene attraverso la parola.
Gesù dice:"Sarete
veri miei discepoli se resterete nelle mie parole".
Si rimane nelle
parole soltanto in quanto si cerca di capirle.
Dal momento che
tutto l'universo è parabola, è cioè segno di Dio per noi, il problema
essenziale è intendere il significato delle Parole di Dio.
Noi non ci
preoccupiamo di arrivare al significato delle cose.
Al massimo
diciamo:"Chissà cosa vuol dire?".
E restiamo lì.
Non
preoccuparsi di capire, è non preoccuparsi di vivere.
Privandoci del
significato delle cose, noi ci priviamo del senso e del significato della
nostra stessa vita.
E se non
giungiamo a vederne il significato in Dio, tutte le cose perdono di
significato.
Quando le cose
e la vita non hanno più significato per noi, non vale più vivere.
Non si può
vivere per una cosa che non ha significato.
Una vita senza
significato non è sostenibile.
È
insopportabile.
Noi non
preoccupandoci di capire, ci priviamo dell'anima stessa della nostra vita, di
quello che sostiene la nostra vita.
Cosa vuol dire
capire? E come si fa capire?
Tutto è scrittura di Dio e Gesù ci dice di scrutare le scritture, scrutare vuol
dire penetrare:"Parlano di Me".
Ce lo dice
apertamente, tutte le cose parlano di Lui.
D'altronde è
logico, Dio è il Creatore.
Lui solo è.
Lui è Colui che
è.
E se Lui solo
è, Lui in tutte le sue opere (tutto è opera sua), non fa altro che parlare di
Sé a noi.
E Lui
dice:"Scrutate le scritture, parlano di Me".
Perché ci
dice:"Scrutatele"?
Perché
evidentemente soltanto scrutandole noi giungiamo a conoscere Lui: "Parlano
di Me" e conoscere Lui per noi è vita, è vita vera, è vita eterna.
Cosa vuol dire
capire e cosa vuol dire saper leggere?
Leggere
significa passare dai segni all'intenzione di colui che scrive, vedere il
pensiero di colui che scrive.
La parola, il
segno, la parabola sono comunicazioni.
Ora, in quanto
è comunicazione noi dobbiamo preoccuparci di passare attraverso questo mezzo,
per arrivare al pensiero di colui che scrive queste parole.
Colui che
scrive le parole è il Creatore.
Tutto ciò che
avviene è opera del Creatore.
Quindi Colui
che scrive davanti ai nostri occhi tutte le cose è Dio.
Imparare a
leggere e capire le cose di Dio, vuol dire arrivare a vedere il Pensiero di
Dio, l'Intenzione di Dio
Altrimenti non
abbiamo imparato a leggere.
Per cui la
nostra vita è fatta di due grandi tempi.
Il tempo per
imparare a leggere e il tempo per leggere.
Il tempo per
imparare a leggere è un tempo che scade.
Noi non abbiamo
tempo all'infinito per imparare a leggere.
Leggere vuol
dire giunge all'intenzione, al pensiero di colui che parla.
Ma è
assolutamente impossibile passare dai segni all'intenzione di colui che parla
se noi non abbiamo già conosciuto l'intenzione e il pensiero di colui che
parla.
È assolutamente
impossibile passare dai segni all'intenzione dell'autore di quei segni, a meno
di lavorare di fantasia.
Ma se noi
lavoriamo di fantasia, proiettiamo la nostra intenzione e la nostra intenzione
non è mai l'intenzione dell'altro, non è mai l'Intenzione di Dio.
Noi proiettiamo
la nostra intenzione, sui segni sulle parole, sulla scrittura che Dio scrive
per noi e questo vuol dire caricarci di dubbio.
Perché tutto
quello che rivestiamo con le nostre intenzioni, i nostri pensieri, non ci
porterà mai nella certezza che ciò che noi riteniamo intenzione dell'altro sia
realmente l'intenzione dell'altro.
Noi possiamo
entrare nella certezza soltanto se dall'altro noi riceviamo la sua intenzione.
L'intenzione,
il Pensiero di Dio, non si conosce nella scrittura, non si conosce nelle opere,
non si conosce nelle parole, non si conosce nei segni, si conosce soltanto
dalla Persona di Dio.
Soltanto dalla
persona io conosco l'intenzione.
Perché
l'intenzione di una persona è effetto di ciò che quella persona lì è.
È soltanto nella
misura in cui io sto con quella persona e stando con quella persona osservo,
vedo, capisco che cosa lei significa nei segni, che cosa vuole comunicarmi
facendomi dei segni che io ho, poi dopo, la possibilità di passare dai segni
alla sua intenzione, altrimenti non posso nel modo più assoluto.
Cioè, solo
guardando da Dio io ho la possibilità di conoscere l'Intenzione di Dio, il
Pensiero di Dio.
E nella misura
in cui conosco l'Intenzione di Dio e vedo come Dio lega questa sua intenzione
alle cose, ho la possibilità di passare dalle cose alla sua intenzione,
altrimenti non posso, nel modo più assoluto, perché debbo lavorare di fantasia.
Questo ci fa
capire che quanto più uno sta con Dio e osserva Dio e sopratutto conosce il
Pensiero di Dio da Dio, ha la possibilità di intendere il Pensiero di Dio nelle
opere di Dio.
Solo da Dio.
Cosa vuol dire?
Abbiamo detto
che il tempo per imparare a leggere è condizionato (ha un fine) dal fatto
che in noi è presente una realtà diversa da Dio e fintanto che abbiamo una
realtà diversa da Dio, per noi è tempo per imparare a leggere.
Ma arriva
certamente un momento, giorno per giorno arriva, in cui tutta la realtà
sensibile in cui noi ci troviamo diventa parola.
Pura Parola di
Dio.
Come diventa pura
Parola di Dio è scaduto il tempo per noi, per imparare a leggere.
A quel punto lì
se noi non abbiamo imparato a leggere, noi ci troviamo di fronte a un muro.
Tutto è Parola
di Dio e noi non capiamo assolutamente niente.
Di fronte alla
parola noi non possiamo passare dal segno all'intenzione di colui che scrive.
Se io non ho
imparato prima la lingua, nel modo più assoluto, io non posso passare dalla
parola scritta in quella lingua, al pensiero di colui che scrive in quella
lingua.
Quindi c'è una
scadenza chiara ben netta e ben definita.
"Passeranno
i cieli e la terra ma le mie parole non passeranno".
Questo non vuol
dire quello che solitamente noi intendiamo.
Vuol dire che
il cielo e la terra, cioè tutto il nostro mondo sensibile si tramuta Parola di
Dio, diventa Parola di Dio.
Ma se noi non
abbiamo imparato a leggere quando non era ancora Parola di Dio, quando era
segno di Dio, quando era realtà sensibile per noi, adesso ci è impossibile
imparare a leggere.
Perché era in
quel punto lì che a noi veniva data la possibilità di imparare a leggere.
Se guardiamo le
cose da Dio, col Pensiero di Dio, si forma l'associazione tra il segno e
l'Intenzione di Dio.
Ma come questa
realtà qui diventa parola e Parola di Dio, se noi non abbiamo imparato a
leggere, noi siamo chiusi fuori, non possiamo più leggere.
La grande
tristezza.
Il libro
sigillato dentro e fuori.
Il che vuol
dire che tutto ciò che esperimentiamo diventa Parola di Dio.
Ma anche tutto
quello che avviene dentro di noi, questo mondo infinitamente più vasto del
mondo esteriore che osserviamo, tutto questo mondo dentro di noi, diventa pura
Parola di Dio.
"Passeranno
i cieli e la terra ma le mie parole non passeranno".
Quelle restano,
tutto il resto passa.
Questo ci fa
capire che quello che passa è la parabola (giudizio in anticipo).
Parola di Dio e
parabola.
In anticipo
perché?
Perché noi
impariamo a leggere.
Tutta quella
realtà su cui noi sosteniamo la nostra vita diventa parola perché?
Perché muta.
Ogni mutazione di
avvenimento o di creatura, ogni cambiamento, trasforma tutto in Parola di Dio.
Noi siamo fatti
per l'Assoluto e come la realtà davanti ai nostri occhi subisce un mutamento
diventa in noi istanza, bisogno di una giustificazione.
Altrimenti diventa
per noi motivo di morte, di tristezza, non capiamo più niente, perdiamo il
significato.
Le cose stanno
diventando per noi, bisogno, esigenza, costrizione di un significato, un
significato per giustificare il cambiamento.
Noi siamo fatti
per l'Assoluto e non sopportiamo il cambiamento.
Così la realtà
diventa parola ma se noi non abbiamo imparato a leggere prima, noi ci troviamo
davanti a un muro impenetrabile.
In cui noi
possiamo lavorare di fantasia e su queste fantasie fondare tutte le nostre
leggi e le nostre ideologie.
Ma noi
costruiamo sull'utopia, perché sono proiezioni di nostri sentimenti, di nostri
pensieri, di nostre intenzioni.
Tutti i nostri
pensieri, desideri, intenzioni, non si confonderanno mai e non saranno mai
l'intenzione e il Pensiero di Dio.
"I miei
pensieri non sono i vostri, la mia volontà non è la vostra, le mie intenzioni
non sono le vostre".
Non essendo la
nostra intenzione la stessa di Dio, noi ci carichiamo d'incertezze, di dubbi.
Se noi vogliamo
attingere invece la certezza, noi la dobbiamo attingere da Dio.
E solo da Dio.
Allora il
problema per imparare a leggere è la chiave di lettura.
Qui Gesù lo
dice apertamente che non avevano capito la parabola.
"Onde",
motivo per cui Gesù disse:"Io sono la porta", ecco la chiave di lettura.
I discepoli non
avevano capito ma dovevano capire, perché in tutte le cose Dio non fa altro che
significare Se Stesso.
Cosa vuol dire
questa porta?
Porta è il
mezzo attraverso cui si entra, si entra e si esce.
Ecco il campo
dei segni.
Dio nel campo
dei segni significa Se Stesso, per noi.
Il problema
nostro è quello di entrare, entrare nella luce, nella verità.
E allora Lui
apertamente dice:"Io sono la porta".
Il Pensiero di
Dio.
Se io penso a
un "io", io non posso far altro (lo posso fare solo col pensiero) che
portarmi a guardare dal punto di vista dell'altro.
Perché un
"io" è soltanto il pensiero di ciò che ha presente.
E se io voglio
essere con quell'"io" lì, debbo avere presente quello che lui ha
presente, altrimenti non sono con quel"io", sarò con i segni di
quel"io", con il corpo di quell'"io" ma non sono con quel
"io" lì.
Nel modo più
assoluto.
Io non posso
essere con una persona, se non posso guardare, vedere, quello che quella
persona lì ha presente.
Qui siamo
puramente nel campo del pensiero.
Io posso essere
col fisico di una persona, ma non sono con quella persona, perché il fisico non
è la persona.
Io posso essere
nella stessa casa di una persona ma non sono con la persona.
La persona vive
essenzialmente nel pensiero e il pensiero rappresenta ciò cui guarda.
E
l'"Io" del Cristo, del Figlio di Dio è sguardo al Padre.
Fintanto che
noi non ci portiamo, quindi a guardare dal punto di vista dell'Altro, per avere
presente quello che ha presente l'Altro, noi non intendiamo niente dell'Altro.
Lui
dicendoci:"Io sono la porta", ci dà nelle mani la chiave per leggere
tutte le sue opere.
Evidentemente
dicendo:"Porta=Io", ci fa capire che non soltanto la porta ma anche
il seminatore, il campo di grano, le onde del mare sono tutto Dio.
È Dio che
significa Se Stesso in tutto, è Dio che parla di Sé in tutto.
Questa diventa
per noi la chiave di lettura.
Quando io
conosco l'intenzione e il pensiero di un "io", io ho la chiave per
capire tutte le sue parole.
Solo conoscendo
l'intenzione di una persona, noi abbiamo la possibilità di capire il
significato di tutte le cose che fa quella persona e di tutte le cose che dice
quella persona, altrimenti noi siamo chiusi fuori.
Qui Gesù,
siccome non avevano capito la sua parabola, disse:"Io sono la porta".
E metteva nelle
loro mani la chiave di lettura delle sue parole.
Stiamo attenti
che la cosa può essere tragica, perché questo fatto avviene per ognuno di noi.
I tre grandi
tempi della vita sono:
Parola di Dio a
noi, quindi proposta.
Risposta da
parte nostra.
Parabola cioè
giudizio anticipato.
Giudizio
anticipato, vuol dire prossimamente giudizio realizzato.
Quando non
avendo noi capito, Gesù dice:"Io sono la porta", ci dà nelle mani la
chiave di lettura, stiamo attenti che chi ha la chiave in mano ha una
responsabilità tremenda, perché vuol dire che lui può aprire e chiudere.
Dio ponendo in
mano a noi la chiave per leggere le sue opere, dicendo :"Io sono la
porta", ci mette nella possibilità di aprire ma ci mette anche nella
possibilità di restare fuori.
Perché se noi
non apriamo....
Questo è
l'ultimo segno.
Non c'è più
altro segno,....può essere tragico.
Mette nelle
nostre mani la possibilità.
Avendo io la
chiave in mano, posso non aprire.
È l'ultimo segno,
dopo non c'è più niente, dopo che Lui mi ha detto:"Io sono la porta".
Dicendomi:"Io
sono la porta", mi dice che tutte le cose che accadono, tutte le creature
sono tutte significazione di Lui.
Detto questo ha
detto tutto.
A questo punto
qui, se io non apro, resto nettamente chiuso fuori.
Ci presenta la
chiave di lettura, il problema del Natale.
Proprio a
Natale abbiamo Gesù che dice:"Io", ci presenta questo "Io"
qui.
Si fa oggetto
del nostro pensiero.
Facendosi
oggetto del nostro pensiero, si propone ad essere nostro pensiero.
Lui a Natale ci
presenta questa chiave di lettura, ci mette nelle mani questa chiave di
lettura, per dare a noi la possibilità di capire come dobbiamo guardare tutte
le cose.
Lui si presenta
come oggetto del nostro pensiero, per diventare nostro pensiero.
Affinché noi
abbiamo a guardare tutte le cose dal suo punto di vista.
Perché quando
una cosa diventa nostro pensiero, noi osserviamo tutte le cose da quel punto di
vista lì.
Dio opera in
tutte le cose per rendersi presente a noi.
Dà così a noi
la chiave per intendere il significato di tutte le cose.
Il significato
è Lui.
A.: Nella
parabola Gesù anticipa il giudizio su come noi abbiamo risposto alla sua
proposta. E bisogna imparare a leggere, c'è un tempo per imparare a leggere e un
tempo per leggere. Il tempo per imparare a leggere scade e scade quando la
nostra realtà muta e diventa Parola di Dio.
Le Parole di
Dio restano eterne.
Io eternamente
posso venirmi a trovare nell'impossibilità di leggere ed è una grande
tristezza.
Attualmente
anche se non capiamo, noi ci consoliamo col fisico: "Io non capisco il
Natale ma mangio il panettone", mi consolo, eternamente io non mangerò il
panettone, mi resta la tristezza dell'anima dovuta al non capire il Natale.
Quindi il
problema centrale del Natale non è mangiare il panettone ma capire il Natale.
Perché questo
determinerà tutta la nostra persona: il capire e il non capire, perché la
salvezza sta nel conoscere.
Se non ho
imparato a leggere quando avevo tempo, io non posso leggere, quando tutto
diventa Parola di Dio, io non posso più leggere.
Se a quel punto
lì, quando tutto diventa Parola di Dio, io dentro di me non ho già la chiave di
lettura non posso leggere.
Io non posso
passare dal segno al pensiero, il demonio lavora di fantasia, ma sarà sempre la
sua fantasia, può anche pensare Dio ma nella sua fantasia, non sarà mai sicuro
e non può essere sicuro, perché è una proiezione.
E come se io ti
dicessi che tutte le volte che sposto questo registratore da destra a sinistra,
lo faccio per comunicarti questo mio pensiero, questa mia intenzione e tutte le
volte che vedi che io sposto il registratore tu capisci che io ho una certa
intenzione ma, soltanto io posso fare questo e fintanto che c'è il
registratore, una realtà diversa, questo registratore diventa un mezzo comune
per comunicare un mio pensiero: tutte le volte che mi vedrai spostare questo
registratore tu capirai il mio pensiero. Il giorno in cui non c'è più il
registratore, non c'è più la comunicazione e se io non ho capito l'intenzione dell'altro
prima non posso più passare.
L'importante è
imparare a leggere fintanto che c'è questa realtà.
Ma questa
realtà sensibile diventa parola.
Non è che
sparisce questo registratore e mi restano le parole, è questo registratore che
diventa parola.
Quando questo
diventa parola, se io non sono passato al significato, perdo ogni valore in
questa cosa qui, non ha più senso, perché quello che dà senso è l'intenzione,
l'intenzione con cui uno veste questa cosa qui.
A.: E se io
non conosco quest'Intenzione di Dio già prima...
Resti tagliata
fuori.
Per cui il
tempo per leggere scade, il leggere invece diventa eterno.
Ma ognuno è
fatto capace di leggere, soltanto nella misura in cui ha imparato a leggere,
quando c'era una realtà diversa da Dio.
C'era Dio e c'era
una realtà diversa da Dio.
La realtà
diversa sono i buoi, i campi e la moglie.
Fintanto che ci
sono i buoi, i campi e la moglie, Dio mi fa arrivare la sua parola.
E mi dà la
possibilità di legare i buoi, i campi e la moglie alla sua parola e passare al
significato ma, se io preferisco i buoi, i campi e la moglie, questa realtà
alla quale io sacrifico il Pensiero di Dio mi impedisce di avere la chiave di
lettura.
A.: Poi
vedendo che non abbiamo capito, ci dice: "Io sono la porta".
Ma quando ci
dice questo, questo è l'ultimo segno e può diventare una tragedia, perché altri
segni non ce ne sono più.
Il che vuol
dire che mi mette Se Stesso nelle mani.
A quel punto
lì, se io non apro, non ce nessuno che apra per me.
Perché mi ha
messo la chiave nella mani, non so se mi spiego.
Perché per
aprire con questa chiave qui, io debbo guardare le cose dal punto di vista di
quel "Io" lì.
Di quel
"Io" lì!
Dicendo:
"Io sono la porta", mi mette la chiave di lettura nelle mani, il che
vuol dire che io devo guardare tutte le cose con il pensiero dell'altro, perché
è un "Io" e soltanto se io guardo con ciò che Lui ha presente io
riesco, altrimenti no.
Dicendomi:
"Io sono la porta", Lui mi mette tutto Sé nelle mie mani.
Ma è l'ultimo
segno, non ci sono più altri segni.
B.: Più sto
con una persona e più la capisco.
È la persona
che m'insegna a leggere.
Nella misura in
cui io sto con un inglese, io imparo a leggere l'inglese, perché?
Perché associo
da lui.
Lui mi dice:
"Io questa cosa qui la chiamo così, quella cosa là la chiamo cosà" da
lui io imparo con certezza ma se io trovo una parola inglese senza conoscerne
il significato, io posso solo lavorare di fantasia ma resterò sempre
nell'incertezza.
Tutto è segno
per dire che soltanto nella misura in cui noi stiamo con Dio e guardiamo da
Dio, noi capiamo, noi lì abbiamo la possibilità e impariamo a leggere, perché
associamo.
Leggere è un
processo di associazione.
Nella misura in
cui noi stiamo con Dio e guardiamo da Dio, noi impariamo a leggere.
C.: I segni mi
comunicano quello che Dio è?
Tutti i segni
che Lui mi fa arrivare, me li fa arrivare per annunciarmi la sua esistenza.
È una persona
che mi manda dei fiori, mandandomi i fiori mi fa capire che c'è uno che manda
dei fiori ma, non so ancora chi sia quest'uno che mi manda i fiori.
Quindi i segni
che Lui mi manda, me li manda per annunciarmi che Lui c'è.
Per dirmi:
"Interessati di Me".
Ma questo non è
ancora imparare a leggere.
Soltanto se
adesso alzo gli occhi a Lui, a Colui che fa tutte le cose nella mia vita e mi
interesso di Lui, da Lui io imparo a leggere.
Mi spiego o no?
È da Lui che si
impara a leggere.
Non sono io che
imparo a leggere.
È soltanto
guardando Lui che da Lui conosco il suo pensiero, la sua intenzione e quando
conosco l'intenzione di Colui che opera ho la capacità di leggere.
Leggere vuol
dire passare dal segno all'intenzione.
Ma non posso
passare dal segno all'intenzione di uno se, non sono passato dall'intenzione al
segno.
Io ho fatto scioccamente
l'esempio del registratore: ogni volta che lo sposto a destra ho una certa
intenzione, allora chi mi osserva, se mi ha ascoltato capisce la mia intenzione
ogni volta che sposto il registratore.
Ma se vede il
registratore posto in un posto diverso dice: "Chissà che intenzione
avrà?", può lavorare di fantasia ma non capirà mai con certezza la mia
intenzione.
L'intenzione è
propria della persona, il pensiero è proprio della persona, perché è
espressione di quello che la persona è.
E una persona è
inconfondibile con un altra persona.
Per cui se io
non sto con quella persona, io nel modo più assoluto non posso conoscere
quell'intenzione lì.
Perché
l'intenzione è propria di una persona.
Quindi la
chiave di lettura che è l'intenzione di una persona, la posso ricevere soltanto
dalla persona stessa.
Non dai segni e
dalle opere che fa quella persona.
Conoscendo
l'intenzione adesso sono fatto capace di intendere i segni di quella persona.
C.: Il segno
è questa proposta...
In un primo
tempo il segno serve soltanto per farmi fare attenzione a Lui.
E se faccio
attenzione a Lui, da Lui conosco il suo pensiero e la sua intenzione e poi dopo
allora Lui mi parla e parlandomi mi dà la possibilità di restare sempre con
Lui.
Perché io posso
restare con una persona se capisco quella persona lì, ci vuole l'intelligenza
di quella persona, altrimenti io mi separo da quella persona, io resto diviso
perché Lui mi parla e io capisco niente.
Tutte le parole
che Lui mi dice dopo che ho conosciuto la sua intenzione e il suo pensiero, me
le dice per farmi restare con Lui, per mantenermi unito a Lui, per convocarmi
in continuazione al suo volto, alla sua presenza.
Ma questo
presuppone che io abbia capito il suo pensiero, altrimenti no.
Altrimenti tutte
le parole che Lui mi dice sono: "Via da Me, via da Me, via da Me",
tutte le parole che Lui mi dice, mi allontanano da Lui.
Non mi
avvicinano a Lui.
D.:Fino a
quando abbiamo presente la realtà sensibile, noi abbiamo la possibilità di
conoscere Dio.
Aspetta un
momento, perché la realtà sensibile mi diventa parola.
D.: Ma mentre
non è ancora parola.
Ecco, mentre
non è ancora parola.
Perché la
realtà sensibile arriva a me senza di me ma, si trasforma in parola senza di
me.
Per cui a un
certo momento diventa parola.
A un certo
momento mi accorgo che la cosa non mi dice più niente, è a quel punto lì che io
non capisco più.
Perché io ho la
possibilità di imparare a leggere fintanto che la cosa è per me realtà.
Ma quando
quella cosa si carica di un'istanza di un significato, è già diventata una
parola.
Quando una cosa
cambia mi chiedo perché è cambiata
La parola è
istanza di un significato.
Mentre il mondo
attualmente si è ubriacato di figure, perché?
Perché le
figure non sono significato, le figure valgono di per sé.
Il mondo è
ubriaco di questo, non si cerca più la parola, non si cerca più il significato
delle cose.
Per il mondo
quella è la realtà.
D.: Comunque
fintanto che c'è questa realtà c'è un sostegno.
Noi siamo fatti
di realtà ma debbo affrettarmi perché mentre c'è questa realtà qui, in questa
realtà c'è la Parola di Dio.
Se io trascuro
la parola, ben presto questa realtà qui mi diventa parola stessa.
E io non la
capirò più.
"Non
sempre avrete Me", "Fintanto che Io sono nel mondo" è Lui Parola
di Dio nel mondo che mi associa la realtà con il pensiero.
La porta? Lui
mi dice: "Guarda che la porta sono Io, significa Me Stesso".
Però Lui mi
dice anche: "Per poco la luce è con voi".
"Affrettatevi
a camminare fintanto che la luce è con voi, affinché le tenebre non vi
sorprendano".
Cosa sono
queste tenebre che ti sorprendono?
È che tutto
diventa Parola di Dio.
E come tutto
diventa Parola di Dio, io resto fuori se non ho imparato a leggere.
Quando mi dice che
un albero è un albero io mi accontento dell'albero ma quando quell'albero mi
diventa Parola di Dio e mi significa qualcosa di Dio, io sono messo fuori se
non ho imparato a leggere, se non ho la chiave di lettura.
Per questo il
Signore dice: "Le tenebre vi sorprendono", ma le tenebre sono le
parole stesse di Dio se io non ho imparato a leggere prima.
D.: Quindi
fintanto che Lui è con me mi spiega le sue parabole.
Ma vedi, Lui la
parabola la dice a tutti, poi il significato lo rivela personalmente in privato.
Il che vuol
dire che si richiede il silenzio personale, si richiede l'interrogazione
personale, il raccoglimento personale.
Perché la
parabola la dice a tutti ma, il significato della parabola lo dà soltanto a chi
è dentro, cioè a chi guarda Dio.
A un certo
momento Lui dice: "Sono Io, tutte le cose rappresentano Me Stesso", a
questo punto qui mi ha messo tutto nelle mani e se a questo punto qui io non
apro è finita.
Non c'è più un
altro segno, non posso aspettarmi un altro segno.
Tu capisci che
quando ha detto: "Io" ha detto tutto?
Hai capito?
Diventa una
tragedia, perché fintanto che apre Lui noi siamo a posto ma quando Lui mi si
mette nelle mani e sono io che devo aprire, hai voglia!
E.:
L'importanza di Dio che si fa oggetto del nostro pensiero.
Lui si fa
oggetto del nostro pensiero per diventare nostro pensiero.
Nel mondo in un
primo tempo abbiamo tutte le creature che parlano a noi.
Nel secondo
tempo, tutte le creature parlano a noi di Dio.
Nel terzo
tempo, Dio parla a noi in tutte le creature.
I primi due
tempi scadono presto.
Le creature
parlano con noi e noi crediamo che la realtà siano le creature, gli uomini,
attribuiamo tutto agli uomini.
Ma arriva
presto il tempo in cui ci accorgiamo che le creature parlano di altro, non
guardano noi e diventa tutta problematica la vita: tutte le creature ci parlano
di Dio.
Ma anche qui,
fintanto che noi guardiamo a Dio, non arriviamo mica alla verità.
Dobbiamo
arrivare al Dio che parla a me in tutto.
C'è un unico
essere, un unico Creatore, un unico verbo che parla in tutto.
Dio parla con
me in tutto.
È lì che
bisogna arrivare.
Perché solo
quando Dio parla a me in tutto, in Dio e da Dio io ho la chiave di lettura.
Perché è Lui
che mi sta parlando di Sé in tutto.
F.:
"Perché in verità vi dico: Finché il cielo e la terra non passeranno,
neppure un iota, o un solo apice della legge passerà, prima che tutto sia
adempiuto", sono due scadenze, finché non passerà il cielo e la terra...
Io ho la
possibilità di imparare a leggere.
Poi a un certo momento
scadono cielo e terra e tutto diventa Parola di Dio.
Lì non ho più
la possibilità di imparare a leggere.
Perché lì saprò
leggere soltanto per quello che avrò imparato a leggere.
La legge vale
fintanto che ci sono cielo e terra.
La legge,
perché è la legge che ti dice: "Impara a leggere".
Cosa leggi tu
nella legge?
Perché la legge
è per insegnarti a leggere.
F.: La legge
mi deve portare a un pensiero.
Ecco, ti deve
portare a questo, perché è tempo per imparare la chiave di lettura, per
imparare a leggere.
Poi a un certo
momento sarai costretto a leggere.
F.: Quando
tutto sarà compiuto.
Tutto compiuto
vuol dire tutto trasformato in Parola di Dio.
E come tu
quando studi inglese, arriverà un momento in cui tu, necessariamente ti trovi a
Londra.
Tu riuscirai a
capire gli inglesi, solo nella misura in cui avrai studiato, chiuso.
Adesso a Londra
non puoi più imparare.
Lì a Londra
intendi soltanto in base a quello che tu hai interiorizzato.
Arriva
certamente un momento in cui tutto diventa parola.
Ora, fintanto
che tu prima, puoi associare una tua realtà con una parola, hai possibilità di
interiorizzare e quindi di imparare a leggere.
Ma, arriva un
certo momento in cui la realtà tua sparisce e diventa tutto parola straniera.
Tu in questo
punto qui riesci a leggere solo nella misura in cui hai studiato prima.
La legge c'è
fintanto che hai la tua realtà.
La legge ti
dice: "Non vivere per i buoi, i campi e la moglie, cerca Dio con tutto il
tuo cuore", questa è la legge.
Interessati di
Dio, perché tutta la realtà in cui noi ci troviamo è per dirci: "Dio
c'è".
Occupati di Dio
perché soltanto da Dio si impara a leggere, perché si impara a leggere
conoscendo l'intenzione di colui che opera, di colui che scrive.
Se io non
conosco il pensiero di colui che scrive, io non riuscirò mai a passare da ciò
che Lui scrive al suo pensiero.
F.: La legge
ha la funzione di farmi guardare a colui che...
A Colui che può
essere il maestro.
Perché il
maestro è colui che ti insegna a leggere e il maestro è uno solo.
Quindi io devo
affrettarmi a guardare a questo maestro che mi insegni a leggere, che mi
insegni ad associare i buoi, i campi, la moglie, la porta, l'ovile, le pecore
con Dio, perché è Lui che mi dice: "Guarda che con la porta, Io significo
questo, guarda che con il campo Io significo questo, guarda che con
l'agricoltore Io significo questo", Io imparo da Lui, Lui è il Maestro, e
cosa fa il maestro? Il Maestro ti insegna ad associare, ti insegna la
grammatica.
Non siamo mica
noi che impariamo, noi impariamo in quanto l'altro mi fa le associazioni tra il
segno e la realtà.
E noi impariamo
ascoltando l'altro.
F.: Se no
arriva un momento...
Tutto è segno e
tu impari da colui che ti fa le associazioni e chi ti fa le associazioni è il
maestro, è Colui che crea tutte le cose.
È Lui che opera
e che operando ti dice: "Questa cosa qui significa questo di Me e questa
significa quest'altro" e allora impari a leggere.
F.: Se no, mi
trovo davanti a un segno e non conoscendone il significato lavoro di fantasia.
E lì resti fregato.
Lì costruisci e
a un certo momento scopri di aver costruito tutto sull'utopia.
Ti crolla
tutto, perché non sta su.
È il crollo del
mondo comunista di questi giorni qui.
Costruito
sull'utopia, sui falsi valori, a un certo punto crolla, è inevitabile che
crolli, non può farne a meno di crollare ma, questo avviene anche nella vita di
ognuno di noi personalmente.
Questo crollo
avviene su scala mondiale e su scala personale.
Per questo
bisogna affrettarsi perché il tempo scade.
G.:
L'importante è imparare a leggere, quando ancora Dio mi sta parlando...
Ma Dio ti
parlerà eternamente.
Dio ti parla
eternamente.
Importante è
imparare a leggere quando io ho i buoi, i campi, la moglie, quando io ho la
carriera, ho la famiglia, ho tutto un mondo che mi interessa, è lì che devo
imparare a leggere.
Perché questo
mi scade, è lì.
Perché Dio mi
parla sempre, mi parla in tutto, sono io che resto fuori.
Il tempo per
imparare a leggere è brevissimo.
G.: E la cosa
straordinaria è quando Dio mi fa capire che Lui è la porta. Mi dà cioè la
chiave nelle mie mani: "Io in tutto significo Me Stesso". Quello è il
momento determinante...
È l'ultimo
segno. Non hai più altri segni, resti bruciata.
G.: Cristo
che muore in croce è anche l'ultimo segno, è sempre il suo Io che mi dice:
"Io sono morto per te".
E non devo
proiettare il mio io sulla sua morte ma, devo cercare di capire.
Se è l'ultimo
segno vuol dire che è ancora per recuperarmi, perché tutte le altre parabole
precedenti non le ho capite.
Anche se non
capisco la parabola (giudizio anticipato) ho ancora una speranza.
Guarda che
questo qui diventa giudizio reale.
Qui non siamo
più nel giudizio anticipato.
Dicendoti:
"Io...." qui siamo nel giudizio.
G.: Ma quando
dice: "Io" non è sempre parabola?
L'Io non è una parabola,
l'Io è una persona.
Questo è
l'ultimo segno e dopo l'ultimo segno può diventare una tragedia per noi.
G.: Essendo
segno è ancora per salvarmi, non è ancora parola se è segno.
L'Io è una
persona.
G.: Ma allora
perché dici ultimo segno?
Appunto perché
è la chiave di lettura che ti mette nelle mani.
A questo punto
qui non ti dà più niente.
G.: Ma quando
me lo dà non è già parola?
Cosa significa
questo? L'Io è una persona.
G.: Ma hai
detto che è l'ultimo segno...
È l'ultimo
segno perché oltre non c'è più niente.
Il che vuol
dire che t'ha dato nelle mani la chiave di lettura, se tu non apri con questo,
sei chiusa totalmente fuori.
G.: Quando
Lui mi dice "Io" non è detto che io sia già fuori. Se mi dà questa
chiave, questa è l'ultima chance per aprire, poi non ho più altre possibilità.
Oltre all'Io
non c'è nessuna altra possibilità.
Quando Dio si
mette nelle tue mani, oltre all'Io non c'è più nessuno.
G.: Ma quando
si mette nelle mie mani è per darmi la possibilità di aprire, se non apro non
ho nessuna possibilità.
Ma tu capisci
cosa vuol dire aprire? Aprire con l'Io? Con l'Io? Guarda che diventa una
tragedia.
A.: L'agnello
può aprire perché è morto per noi.
Si è messo
nelle mie mani e io sono capace di aprire con l'Io di Dio?
Non ho più
nessun altro segno.
H.: La
misericordia di Dio è infinita e fa di tutto per illuminarci.
Mette il suo Io
nelle nostre mani.
Il problema del
Natale è che ci viene presentato come Dio è presente in noi: come un bambino
messo nelle mani della madre.
Ecco la chiave
"Io sono la porta". Mette la chiave di lettura nelle mie mani.
Il problema di
Natale è un bambino appena nato, tutto affidato alle mani della madre.
Il che vuol
dire che è difficilissima la cosa, poiché è tutto affidato alle nostre cure.
Se fosse un
fiore...
Una volte Madre
Teresa di Calcutta parlando dei problema dei bambini disse: " I bambini
sono come dei fiori, chi mai si è lamentato per l'abbondanza dei fiori sulla
terra?", qualcuno obbiettò: "D'accordo ma i fiori non sporcano e non
si sporcano".
I bambini
sporcano e si sporcano.
Il guaio è
questo che noi il più delle volte, di fronte a questo Bambino che sporca e che
si sporca, noi buttiamo via tutto, perché non è un fiore.
Perché il
bambino sporca e si sporca.
I.: Il
Pensiero di Dio è questo bambino che mi viene dato a Natale.
È l'Io di Dio.
Togliamo le
sovrastrutture e tutto quanto, di fronte al Natale cosa c'è? Dio e noi.
Un bimbo
piccolissimo e cosa vuol dire questo? Lui si offre ad essere oggetto del mio
pensiero.
Semplicissimo, Lui
di fronte al mio pensiero.
Togliamo tutto
il resto, cosa resta? Il mio pensiero e Lui, Lui che si offre ad essere mio
pensiero.
Lui che mi
chiede di farsi mio pensiero, tutto lì.
Ma se Lui
diventa mio pensiero, Lui diventa la mia vita.
Perché
guardando Lui come oggetto del mio pensiero, non posso non pensare che Lui è il
mio Creatore e che Lui è il principio di tutto.
Lui è il
principio stesso del mio pensiero, quindi è Lui che mi fa vivere.
Io credo di
essere io a sostenere e pensare Lui, è Lui che si fa pensare da me, per farmi
rendere partecipe di quello che Lui è.
Per cui Lui
diventa il punto fisso di riferimento e io l'elemento che partecipa di Lui.
M.: Quindi è
Lui che mi insegna a leggere facendomi i collegamenti.
Lui dice:
"Non date a nessuno il nome di maestro", soltanto guardando da Lui io
imparo, perché da Lui, io conosco la sua intenzione ed è l'intenzione che mi
collega. Ho detto quello che mi collega il registratore con il fatto che io lo
sposti è l'intenzione, ma l'altro capisce la mia intenzione solo se io gliela
ho comunicata.
Perché se io
sposto questo registratore senza averti rivelato la mia intenzione, tu non
saprai mai quello che io ti voglio comunicare.
È soltanto la
persona che ti può rivelare la sua intenzione.
Quindi
evidentemente è solo Lui che mi insegna a leggere, perché è solo Lui che mi fa
capire la sua intenzione.
L'Intenzione di
Dio io la conosco solo da Dio e da nessun altro.
Perché
l'intenzione è l'espressione di ciò che uno è.
N.: La chiave
di lettura è la possibilità che mi è data di guardare le cose dal punto di
vista di Dio.
E quanto più
guardo dal suo punto di vista, tanto più sono fatto capace di leggere.
La capacità di
leggere si forma man mano, più tu osservi da quel punto di vista lì e più tu
sei capace di leggere.
Puoi essere
capace di leggere poco o di leggere molto, tutto dipende da quanto tu guardi
dal suo punto di vista.
O.: Le parole
"Io sono" sono le stesse che gli sono costate la morte.
Certo, soltanto
che la sua morte diventa la mia morte.
San Pietro
dice: "Avete ucciso l'autore della vostra vita"
.....Non è
prestissimo, è tardissimo.
Se è l'ultimo
segno è tardissimo.
N.: Siamo
alla fine dei tempi?
Si capisce.
O:: Prima che
Gesù mi dica: "Io sono la porta", prima che Gesù si metta nelle mie
mani con questo ultimo segno, io devo già aver imparato a leggere qualcosa? E
l'ho imparato con il Pensiero di Dio, avevo già una chiave di lettura, era il
Pensiero di Dio in me.
Questa è
l'ultima chiave di lettura, è un passaggio che dobbiamo fare, prima era il
Pensiero di Dio in me che mi portava a collegare i segni con Dio, magari non
ero sicura ma c'era in me questa ricerca di Dio, senza mai la certezza, perché
la certezza viene dalla persona.
Però avevo
già una chiave di lettura...
La chiave di
lettura è una sola e questo è l'ultimo segno.
Onde Gesù disse
loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle
pecore".
Gv
10 Vs 7 Secondo tema.
Titolo: La
lezione di Adamo, diede il vero nome alle cose.
Argomenti: Leggere e imparare a leggere. Il mutamento delle cose. Segno-significato
& presenza di chi scrive. Adamo & il
pensiero dell'io. Nomi
veri & falsi.
7-8/gennaio/1990 Casa di preghiera
Fossano.
I discepoli non
avevano capito la parabola del versetto precedente.
"Gesù
disse loro questa parabola, ma essi non compresero di cosa parlasse loro".
Motivo per cui
Gesù disse:"Sono Io la porta delle pecore".
Gesù, dicendo
loro:"Sono Io la porta delle pecore", metteva loro in mano la chiave
per leggere la parabola.
Aveva parlato
della porta dell'ovile, della porta delle pecore e adesso dice:"Io sono la
porta".
Abbiamo detto
che metteva in mano ai discepoli, la chiave per capire la parabola.
Tutto è
parabola di Dio, poiché tutto è opera di Dio e tutto ha bisogno di una chiave
per intenderla.
Tutto
l'universo e tutta la creazione è parabola di Dio per noi.
Dio parla in
tutto.
Dio è il
Creatore ed essendo Creatore tutto è opera sua.
Ma tutto è
opera sua per chi?
Per coloro che osservano
la sua opera.
Chi osserva la
sua opera è l'uomo.
Noi stessi
uomini, siamo fatti spettatori dell'opera di Dio Creatore.
Dio in tutto il
suo operare, non fa altro che significare Se Stesso.
Non fa altro
che parlare di Sé a noi.
Parlare vuol
dire comunicare.
Dio comunica Se
Stesso a noi.
Ma se tutto è
parlare di Dio, tutto è scrittura di Dio.
Qui il problema
principale che s'affaccia è questo: imparare a leggere, imparare a capire.
Di fronte a una
scrittura, il problema che s'impone è questo.
Come fare per
leggere questa scrittura? Che cosa è necessario, che cosa si richiede per
intendere e per leggere questa scrittura?
Leggere vuol
dire intendere il pensiero di chi scrive.
Giungere a
vedere il pensiero di chi scrive.
Fintanto che
noi possediamo una scrittura ma non riusciamo a vedere il pensiero di chi
scrive, noi diciamo di non essere capaci a leggere.
Abbiamo visto
che tutto l'universo essendo scrittura di Dio è quel famoso libro sigillato di
cui parla l'Apocalisse.
Libro sigillato
scritto dentro e fuori.
Però, dice
l'Apocalisse che non si trovava nessuno capace di rompere questi sigilli e di
leggere questo libro.
La nostra vita
è questo libro.
La nostra vita
è fatta di un mondo esteriore e di un mondo interiore.
Ma sia tutto
quello che capita fuori di noi e sia tutto quello che capita dentro di noi è
sotto il sigillo, è sotto una chiave di lettura e fintanto che non giungiamo ad
avere questa chiave di lettura, noi piangiamo molto, dice l'Apocalisse:"Io
piangevo molto, perché non trovavo nessuno capace di rompere i sigilli e di
leggere il libro".
Il senso del
mistero che ci avvolge e ci penetra, dà all'uomo questo senso di tristezza e di
pianto.
Tutta l'umanità
è questa preghiera, questa invocazione a intendere e a capire.
L'Apocalisse ci
dice che finalmente si trova Colui che è fatto degno di leggere il libro,
d'intenderlo.
Ed è l'agnello
immacolato, sacrificato: il Cristo.
Qui Cristo
dice:"Io sono la porta", ci rivela la chiave per leggere questo libro
sigillato.
E come ci
rivela la chiave?
Dicendo:"Io
sono la porta" ci fa capire che Lui parlando della porta, significava Se
Stesso:"Io sono la porta".
Ci fa capire
che in tutte le opere e in tutta la scrittura, dentro e fuori di noi, Dio
significa Se Stesso.
Per cui Lui può
dire:"Io sono il monte" e se tu vedi l'acqua:"Io sono
l'acqua" e se tu vedi il seme:"Io sono il seme" e se tu vedi
l'albero:"Io sono l'albero" e se tu vedi il filo d'erba:"Io sono
il filo d'erba".
Il monte non è
Dio, l'acqua non è Dio però Dio dice:"Io sono il monte, Io sono
l'acqua".
È Lui che
significa Se Stesso in tutto, d'altronde è logico, Lui solo è il Creatore.
Ed essendo Lui
il Creatore, ordina, comanda a noi di non attribuire nulla ad altri.
Perché Lui solo
è Colui che scrive, Lui solo è Colui che parla.
E quindi non
vedere altri in tutte le opere di Dio.
Cerca in tutto
che cosa Dio significa di Sé.
Allora abbiamo
detto che il vero grande problema di ogni uomo non è quello di essere virtuoso
o di essere o non essere buono, di comportarsi in un modo piuttosto che in un
altro, il problema primo dell'uomo è imparare a leggere.
"Scrutate
le scritture parlano di Me".
Questo è il
grande, fondamentale problema che si presenta ad ogni uomo, perché Dio lo fa
spettatore delle suo opere.
Dio lo fa
spettatore della sua scrittura.
Dio dando
l'esistenza all'uomo lo pone dinanzi a un libro scritto tutto da Lui e solo da
Lui: dentro e fuori.
E se Dio
creandoci pone davanti a noi un libro, il primo grande problema dell'uomo è quello
di imparare a leggere.
Ed è un
problema urgente.
La vita
dell'uomo si divide in due grandi parti.
La prima
attraverso la quale l'uomo impara a leggere, la seconda parte quella in cui
l'uomo deve leggere.
Ed imparare a leggere
ha una scadenza ben precisa, ben definita, per cui c'è una fretta che l'uomo
deve avere e deve sentire in questo imparare a leggere.
Molto
difficilmente se uno non impara a leggere nel primo tempo della sua vita, poi
riuscirà a imparare a leggere dopo.
Il tempo per
imparare a leggere è finito, scade, il tempo per leggere invece è infinito,
dura per l'eternità.
L'uomo
eternamente si troverà di fronte alle Parole di Dio.
Però ognuno
potrà leggere queste parole, nella misura in cui avrà imparato a leggere.
Tutto il nostro
imparare a leggere che noi facciamo nella nostra vita non ci serve, non è
questo il vero imparare a leggere.
Tutto il nostro
imparare a leggere è sempre soltanto un rapportare le opere di Dio, i fatti che
giungono a noi con i nostri sentimenti, con le nostre impressioni.
Tutto il nostro
linguaggio è sempre riferire le cose a quello che noi sentiamo, a quello che
noi esperimentiamo.
Cioè è sempre
riferire tutto al nostro io, il nostro punto fisso di riferimento.
È sempre tutto
un riferire a ciò che avverte, prova e sente il nostro io.
Se noi
andassimo a fondo di tutte le nostre parole, tutto ha sempre un punto fisso di
riferimento: tutto è rapportato al pensiero dell'io dell'uomo.
A quello che
prova, a quello che sente a quello che esperimenta l'io dell'uomo di fronte
alle opere di Dio.
Tutto quello
che accade è opera di Dio e siccome le opere di Dio giungono all'uomo
indipendentemente dall'uomo, l'uomo le subisce, le avverte, quindi le sente, le
esperimenta.
E di fronte a
tutto ciò che esperimenta, l'uomo risponde in un certo modo e questo è un
parlare, il parlare dell'uomo.
Ma tutto questo
linguaggio che noi usiamo ha sempre come punto fisso di riferimento il nostro
io.
Questo non è il
linguaggio che serve a noi, tant'è vero che questo linguaggio a un certo punto
muta e tramonta, non dice più niente a noi.
Soggetto a
vanità vuol dire che è soggetto a mutamento.
Dio ha soggetto
tutto al tempo.
Il tempo crea
mutamenti nelle cose, il che vuol dire che tutte quelle cose che noi conosciamo
in relazione al pensiero del nostro io sono soggette a mutamento cioè alla
vanità.
Però noi siamo
passione d'Assoluto e tutto ciò che muta ci pone il problema di capire il
mutamento, la ragione del cambiamento.
Quel nome che
noi credevamo di aver dato alle cose, a un certo momento salta in aria.
Arriva un
momento nella nostra vita in cui noi dobbiamo necessariamente confessare che
non capiamo più nulla.
Perché?
Perché sono
saltati in aria i nostri punti fissi di riferimento.
Le impressioni
e le esperienze che tu facevi nel pensiero del tuo io e attraverso le quali
giudicavi e leggevi gli avvenimenti e davi il nome alle cose a un certo momento
saltano tutte in aria.
Il tempo per
imparare a leggere scade.
Quando le cose
mutano, diventano in noi esigenza di significato, perché noi abbiamo bisogno di
giustificare il mutamento.
Fintanto che la
cosa non muta, per noi la cosa è tranquilla: la cosa è così.
E noi parliamo
in relazione alla cosa che è così.
Ma quando la
cosa muta?
E Dio ha assoggettato
tutto al mutamento, quindi alla vanità, per salvarci.
Quando una cosa
cambia, noi non la sosteniamo più.
Dobbiamo
trovare una ragione, una giustificazione a questo mutamento.
La cosa non si
sostiene più da sola.
Io posso sostenermi
su una creatura, su una persona e dire che quella persona è così, ma a un certo
momento quella persona cambia.
E io ho bisogno
di andare alla ricerca di una giustificazione a questo mutamento.
L'uomo è una
passione di Assoluto e non sostiene il mutamento se non ha una ragione per
giustificarlo.
Tutte le
creature e tutti gli avvenimenti sono assoggettati al tempo, quindi al
mutamento, quindi diventano per noi esigenza di significato e là dove abbiamo
esigenza di significato abbiamo la parola.
La parola è un
segno che invoca da noi un pensiero, una giustificazione, perché da sola non
sta su.
Ecco che il
problema della significazione diventa più importante delle cose stesse.
L'uomo è una
esigenza assoluta di significato, la sua vita ha bisogno di un significato.
L'universo ha
bisogno di un senso e tutto l'universo ha bisogno di un senso nell'uomo.
L'uomo non si
accontenta di vedere le cose.
In un primo
tempo l'uomo le legge secondo il pensiero che ha in testa, secondo il pensiero
del suo io, secondo le sue impressioni o secondo quello che sente dire e
giudica e si forma una cultura in base a queste conoscenze, poi a un certo
momento le cose cambiano e lui non può più sostenersi su quelle ragioni con
cui lui riteneva di leggere, perché si accorge che non valgono più.
È Dio che gli
butta tutto in aria per dirli che i suoi punti fissi di riferimento, su cui si
sosteneva, non sono sufficienti per leggere.
L'uomo deve
cercare di leggere con altre ragioni, con altri punti di riferimento.
È Dio che sta
chiamando l'uomo, perché l'unica ragione in cui c'è la giustificazione di tutti
gli avvenimenti e di tutte le cose, l'unica chiave di lettura di tutte le opere
di Dio è Dio stesso, è l'Io di Dio.
E fintanto che
noi non giungiamo qui, Dio assoggetta tutti i nostri punti fissi di
riferimento, tutte le nostre ragioni alla vanità, al mutamento e li trasforma
in parole.
Quando tutte le
creature e tutte le cose diventano parole, si apre una grande tragedia.
Perché se noi
non abbiamo imparato prima a leggere, noi veniamo messi con le spalle al muro,
siamo nell'impotenza di leggere le parole che Dio ci presenta.
Perché non si
può passare dalla parola al pensiero.
Non si può
passare dai segni al significato.
Si impara a
leggere non fantasticando sui segni, non attribuendo noi ai segni un'intenzione
o un pensiero.
Altrimenti noi
navighiamo nel soggettivismo, nella proiezione del pensiero del nostro io.
Non arriveremmo
mai ad approdare alla certezza e alla verità.
Si impara a leggere
alla presenza di Colui che parla e di Colui che scrive.
Perché soltanto
alla presenza di Colui che parla, di Colui che scrive, noi possiamo collegare i
segni che fa con la sua intenzione, perché l'intenzione è propria della
persona.
Il pensiero è proprio
della persona e soltanto alla presenza di quella persona, è dato a me di
intendere l'intenzione che quella persona pone nel fare dei segni.
Io posso
disegnare tre punti, ma se non lo rivelo io nessuno conosce con certezza ciò
che io voglio significare con quei tre punti.
Il pensiero e
l'intenzione è personale.
Se io
metto accanto ai tre punti un "uguale esse", chi guarda capisce
che i tre punti significano "esse" ma perché io ho
messo"uguale" accanto ai tre punti.
È la persona
che significa il suo pensiero.
Se io mi vengo
a trovare davanti a tre punti, io posso fantasticare tutto ciò che voglio ma
non arriverò mai a capire il vero significato che voleva trasmettere colui che
ha disegnato i tre punti.
Quindi noi non
possiamo passare dai segni ai significati se non siamo passati prima
dall'intenzione di colui che fa i segni ai segni stessi.
Questo ci fa
capire che solo nella misura in cui io sono passato dalla persona ai segni che
quella persona fa, posso ora dai segni risalire alla persona.
Quei tre punti
li può fare un altra persona con un significato totalmente diverso dal mio, può
dire che quei tre punti rappresentano "erre".
Il fatto
è essenzialmente personale.
Si impara a
leggere solo alla presenza della persona che fa quei segni.
Il giorno in
cui noi veniamo a trovarci soltanto di fronte ai segni fatti da quella persona,
se noi non siamo passati prima dal pensiero di quella persona ai segni che
significano quel pensiero, noi ci troviamo nell'impotenza più assoluta per
leggere i segni ed intendere i segni.
Fantasticheremo
ma noi non approderemo mai all'intelligenza del significato dei segni di Dio.
Noi possiamo
venirci a trovare in questa situazione qui, perché?
Perché il tempo
della presenza di Colui che opera e che fa i segni scade.
Nella nostra vita
restano i segni ma non più la persona che fa i segni:"Fintanto che Io sono
nel mondo, sono luce per il mondo".
Perché fintanto
che lui è nel mondo ci insegna a leggere.
Ma dice
anche:"Non sempre avrete Me".
Non sempre
avremo Lui.
Il che vuol
dire che la formazione della capacità di leggere ha una scadenza.
Ecco quindi
l'urgenza:"Ancora per poco la luce è con voi".
La luce è
quella che collega l'effetto con il principio,la causa e proprio in quanto mi collega
un effetto con la causa, mi dà la possibilità di leggere.
Perché mi fa
vedere il pensiero e il significato nell'effetto (segni) della causa stessa.
Ma questo solo
fintanto che ho la possibilità di avere questa presenza.
L'argomento di
oggi è la lezione di Adamo.
Il problema
della vita non è non fare peccati, il problema della vita non è diventare
buoni, non è essere santi, il primo grande problema è questo imparare a
leggere, e questo è stato il primo vero, grande problema che si è posto Adamo.
Dice la Bibbia
che Dio, dopo aver creato tutte le creature ed anche Adamo, presentò le
creature ad Adamo.
(prima ancora
di creare la donna) affinché Adamo desse il nome alle creature.
È il primo
grande problema che Dio pone ad Adamo.
Ci aspetteremmo
che Dio dopo aver creato tutte le creature dia loro il nome, ma Dio non ha dato
il nome alle creature.
Ha presentato
le creature ad Adamo.
C'è una lezione
enorme qui.
Dio non dà il
nome alle creature, Dio presenta le creature ad Adamo, affinché Adamo dia lui
il nome alle creature.
Quando l'angelo
annuncia a Giuseppe, quello che era avvenuto in Maria, gli dice:"Darà alla
luce un figlio, tu lo chiamerai Gesù".
Maria darà alla
luce un figlio che non è di Giuseppe però il nome dovrà darlo Giuseppe.
Gesù si
presenta a Giovanni Battista per essere battezzato.
Battezzare vuol
dire dare un nome.
Giovanni
Battista si rifiuta e dice:"Sono io che devo venire a Te, non Tu a
me".
Gesù gli
risponde:"Lascia stare, perché è necessario compiere ogni giustizia".
La giustizia in
cosa consiste?
Consiste in Dio
che si presenta alla creatura e le dice:"Che nome mi dai?".
Ma è la
creatura che deve dare il nome.
Perché Dio
presentando tutta la creazione ad Adamo, dice ad Adamo:"Che nome
dai?".
Adamo di fronte
a tutte le creature poteva dire:"Questa mi piace, questa mi è simpatica,
quella è brutta, quella è antipatica, quella è volgare".
Noi in
continuazione diamo dei nomi e tutti i nomi che noi diamo sono sempre in
relazione alle nostre sensazioni, alle nostre impressioni, ai nostri sentimenti.
Ma Adamo non ha
dato come nome alle creature, le sensazioni e i sentimenti che queste
provocavano in lui.
Questi nomi qui
sono venuti dopo, dopo in conseguenza del peccato.
Adamo, per dare
il nome alle creature ha guardato Dio.
Dio ha
presentato ad Adamo le creature cui doveva dare il nome.
Quindi Adamo,
si trova di fronte a Dio che gli presenta le creature e gli dice di dare un
nome a queste.
Noi di fronte
alle creature non vediamo mica Dio che parla a noi, Dio che presenta a noi
queste creature, noi diciamo:"Io vedo questa creatura e mi è simpatica,
quella mi è antipatica", tutto sempre in relazione al nostro io, sono io
che vedo, sono io che tocco e esperimento.
Adamo non fece
così, perché qui siamo prima del peccato.
Il vero grande
problema dell'uomo è questo.
Quindi Adamo ignorava
il suo io, perché era prima del peccato, s'ignorava.
Il momento in
cui anche Adamo deve prendere consapevolezza del suo io, lì abbiamo il crollo
che è il crollo di ognuno di noi.
In un primo tempo,
come ogni bambino, Adamo ignora se stesso.
Vede soltanto
ciò che ha presente e Adamo che cosa ha presente?
Adamo ha
presente il Creatore, Dio, che gli presenta le creature.
Adamo aveva
solo due termini, ignorava se stesso.
Davanti a sé
aveva il Creatore Dio e la creatura.
Dare un nome
vuol dire fare un rapporto.
Vuol dire
rapportare questo a quell'altro.
Adamo aveva un
solo modo per dare il nome alle creature: rapportarle con Dio.
Aveva soltanto
quei due termini lì davanti.
Non conosceva
se stesso.
E la Bibbia ci
dice che Adamo diede il nome alle creature e il nome che diede fu il vero nome.
Il vero nome!
Quando si dice
"il vero nome" ci fa pensare che ci siano dei nomi che non sono veri,
che sono falsi.
Ci fa capire che
il nome che Adamo diede alle creature era il vero e che il nome che noi diamo
alle creature non è il vero nome: è il falso nome.
Perché era
vero?
Adamo guarda la
creatura, guarda Dio, dare un nome vuol dire fare un raffronto, Adamo guardando
la creatura, diceva quello che la creatura significava del Creatore.
Alla presenza
del Creatore ha dato il vero nome, Dio in tutte le creature significa Se
Stesso.
Adamo,
guardando le creature e confrontandole con Dio diceva quello che la creatura
gli significava di Dio.
Il nome che noi
diamo alle cose è un giudizio, rapportato a qualche cosa.
Il vero nome è
quello che è rapportato alla verità, a Colui che significa Se Stesso in tutte
le cose.
E fintanto che
noi, guardando le creature, non diciamo che cosa queste creature significano di
Dio, noi diamo dei nomi sbagliati, dei nomi falsi e dovremo rimangiarceli
tutti.
Perché Dio non
dà Lui il nome ma invita l'uomo a dare il nome?
Dio non dà il
nome alle creature, le presenta all'uomo, ma è l'uomo che deve dare il nome alle
creature che Dio gli presenta e dire che cosa la creatura significa del suo
Dio, perché soltanto dando il nome impara a leggere.
Da Dio (da
Dio!) impara a capire il significato della scrittura di Dio.
Ma da Dio,
quindi per deduzione e nella misura in cui impara a leggere, lui saprà leggere,
perché tutte le volta che Adamo si troverà di fronte a quella creatura cui lui
ha dato il vero nome, quel segno, quella parola gli darà la possibilità di
capire che cosa gli significa di Dio.
Ma gli dà la
possibilità perché Adamo ha imparato, alla presenza di Dio a leggere le opere
di Dio.
La chiave di
lettura che Dio diede ad Adamo per leggere le sue opere era Dio stesso.
Ecco per cui
qui dicendo:"Io sono la porta delle pecore", ci mette nelle mani la stessa
chiave di lettura che aveva Adamo.
Adamo seppe
usare quella chiave di lettura e insegna noi a usare la vera chiave di lettura,
per dare il vero nome alle cose, perché soltanto dando il vero nome alle cose,
noi formiamo in noi la capacità di leggere la scrittura di Dio e quindi di
passare dai segni ai significati.
Passando dai
segni ai significati, noi abbiamo la possibilità di restare con Dio.
Ma se noi non
diamo il vero nome alle creature, noi di fonte ai segni non potremo passare ai
significati e allora resteremo bruciati dai segni.
I segni che non
sono intelletti bruciano e ci disperdono.
L'uomo di
fronte alle cose che non riesce a capire resta confuso.
Nella
confusione non attinge la luce, non attinge la certezza ed esperimenta la
notte, le tenebre e qui si apre tutto il problema del peccato, dell'angoscia,
della morte.
A.: Mi sembra
facile capire che l'uomo è essenzialmente un bisogno di saper leggere, anche
perché si trova di fronte alla creazione che è la sintesi dell'opera di Dio. È
la sintesi sopratutto di quello che Dio vuole significare di Sé all'uomo.
Però di
fronte a questa opera, l'uomo non solo non è in grado di conoscere il contenuto
ma, ignora anche l'alfabeto.
E allora la
strada è una sola, quella di porsi dalla posizione del principio, per cercare
di conoscere gli effetti, le cause, la creazione stessa cioè, se non si pone
sotto la luce del principio creatore, l'uomo non può assolutamente comprendere
che cosa questo principio vuole significare di Sé, in questa opera che gli è
data nelle mani.
Come Adamo
l'uomo è chiamato a dare il nome alle cose. Il nome hai detto bene, è
essenzialmente un rapporto fra quello che viene posto nelle nostre mani e
il principio che lo pone a noi, per capire che cosa ci vuole significare.
Se l'uomo
vuole imparare a dare un nome alle cose, deve non riferirle a sé, al proprio io
ma, deve porle tutte in relazione a Dio e solo in Lui c'è la chiave per
intendere che cosa Lui ci può dire di Sé.
Adamo che ha
dato il nome, è una lezione importantissima.
Adamo è il
primo maestro, prima del peccato, dopo il peccato abbiamo Cristo come maestro.
Ma Adamo faceva
la funzione di Cristo e ha dato una grande lezione per tutta l'umanità di come
si dà il vero nome alle cose.
Cioè, ci ha
insegnato a leggere.
Adamo è colui
che insegna a leggere, ci ha insegnato a leggere.
Ora, quella
lezione lì, è valida ancora oggi per ognuno di noi.
È validissima,
quindi è una lezione importante, importantissima.
Noi abbiamo
incluso tutto sotto l'insegna del peccato, la problematica del peccato ma,
prima della lezione del peccato c'è quest'altra lezione che è fondamentale.
La prima grande
preoccupazione dell'uomo non è il peccato.
La prima grande
preoccupazione dell'uomo è imparare a leggere.
A.: Il
peccato è una conseguenza.
Il peccato è
una conseguenza. L'uomo si trova di fronte a uno ("Scrutate le
scritture") che gli sta parlando.
E quando mi
trovo di fronte a uno che mi sta parlando, la prima cosa importante è questa:
imparare a capire cosa mi dice.
Tutto il resto
verrà dopo ma, prima impara a capire che cosa ti vuol dire.
Soltanto
guardando da Lui io posso imparare a capire.
Da Lui che mi
sta parlando io posso imparare.
Se disegno tre
puntini, soltanto io posso rivelare che cosa voglio significare con quei tre
puntini.
Il problema è che,
o uno intende il significato di quei tre puntini o altrimenti, eternamente
resta di fronte a questi tre puntini con il punto interrogativo.
A.: Che
riveste della sua intenzione.
Quando io
proietto una mia intenzione su un segno di un altro, io sono fregato.
Perché proietto
me stesso su quello: "Vorrà dire questo" ma chi mi assicura che
voglia dire quello.
Perché io nel
pensiero del mio io non giustifico assolutamente niente.
Soltanto se me
lo dice e mi rivela il suo pensiero, colui che ha fatto i tre punti, io sono
nella certezza.
Tre punti e tre
linee: S.O.S. ( · · · — — — · · ·).
Tutta l'umanità
diventa questa invocazione qui di aiuto.
Tutta l'umanità
sta facendo tre punti, tre linee, tre punti.
Vuol dire:
"Salvateci, salvateci", è una invocazione di salvezza.
A.: Gesù
chiede ai discepoli che nome dia la gente a Lui.
Cristo si
sottomette alla creatura, al Giovanni Battista per ricevere un nome.
È Dio che si
sottomette all'uomo: "Tu che nome mi dai?".
Dio poteva dare
il nome Lui e imporre questo nome ma, non lo impone, perché soltanto dando alla
creatura la possibilità di dire lei il nome, dà alla creatura la possibilità di
imparare a leggere.
La mette nella
condizione, gli dà la chiave e gli dice: "Apri".
A.: Cioè, Dio
dice alla creatura: "Apri"?
Certo, la
chiave è Lui, però tu devi aprire.
Presenta la
salvezza di Dio a Giuseppe, però dice a Giuseppe che Lui deve dare il nome.
Sei tu che devi
riconoscere dove sta la tua salvezza.
A.: Però nel:
"Tu gli darai il nome" c'è l'imposizione, non c'è...
Guarda che
quella creatura lì è concepita indipendentemente da Giuseppe, per cui Giuseppe
deve farla sua.
A un certo
momento è Giuseppe che deve accettare.
Quasi a dire
che la donna ha concepito per opera di un altro, quello che però concepisce lo
devi fare tuo.
Lo devi
riconoscere come tuo.
E come lo
riconosci come tuo? Dandogli il nome di Gesù, salvezza di Dio per te.
B.: Ma
Giuseppe deve dargli quel nome perché gli è imposto.
Glielo ha proposto,
perché anche a Zaccaria è stato proposto qualche cosa ma l'altro non ha mica
accettato.
È proposta, ora
guarda che noi, possiamo imparare a leggere fintanto che le cose ci sono
proposte.
Il giorno in
cui ci sono imposte noi abbiamo i segni, perché Dio non lo vediamo, tu nel
pensiero del tuo io Dio non lo vedi, vedi i tre punti ma, tu Dio non lo vedi.
E se non impari
a leggere quando la cosa ti è proposta, quando il segno ti verrà imposto tu non
potrai più leggerlo.
Perché per
imparare a leggere tu devi avere la presenza di Colui che parla con te.
Soltanto che la
presenza di Colui che parla con te, è soltanto temporanea, perché: "Non
sempre avrete Me".
Perché la vera
conoscenza dell'autore di tutte le cose, richiede il superamento del pensiero
del nostro io, altrimenti non lo vediamo mica, noi vediamo i segni di Dio, noi
subiamo i segni di Dio, tutti noi vediamo i tre punti ma qualcuno vede il
pensiero che questi tre punti portano e qualcun altro non vede il pensiero che
questi tre puntini hanno.
Perché per
vedere il significato bisogna superare noi stessi.
Devi superare
il tuo pensiero, quello che hai in testa, altrimenti non lo vedrai e non lo
vedrai eternamente.
Avrai i tre
punti che ti sono imposti, però per te saranno sempre con un punto interrogativo.
C'è la
confusione.
Quindi noi
abbiamo un tempo per imparare a leggere che scade, perché è il tempo in cui c'è
la presenza di Colui che parla e c'è il segno o la parola che Lui ti dice.
E lì ho la possibilità
di collegare, perché io imparo in quanto faccio un collegamento.
Collego il
segno con l'intenzione di colui che fa quel segno lì.
Gesù dice:
"Chi con Me non raccoglie", ecco il vero Maestro.
Cristo è Colui
che raccoglie tutti gli avvenimenti e li riferisce al Padre.
Imparare a
leggere vuol dire raccogliere, riferire, vuol dire riportare, rapportare ogni
cosa al punto fisso di riferimento.
E il punto
fisso di riferimento è l'Io di Dio.
E se ho l'Io di
Dio, tutte le cose sono significazione di Lui.
E allora in
tutte le cose noi dobbiamo dire: "Questo è".
Cos'è l'albero?
Questo è......
Se tu non ti
sei sprofondata in Dio e non hai visto da Dio, qual'è l'Intenzione di Dio, il
fine di Dio, tu resti in "Questo è" e non puoi rispondere.
A un certo momento
noi ci troveremo di fronte a tutte le creature e non potremo rispondere.
Perché solo
nella misura in cui tu hai conosciuto Dio, tu potrai dire: "Questo è"
e dici che cosa ti significa di Dio.
Cos'è una
porta? Riferita al mio io è facile per me dire che cosa è una porta: la porta è
il mezzo attraverso cui entro in una casa, ma qui il punto di riferimento è il
mio io.
A un certo
momento, il mio io non giustifica più niente.
Come mai
nell'universo c'è la porta e c'è la casa? E c'è un essere che attraverso la
porta entra nella casa.
Perché la casa
è Dio, la porta è Dio e questo essere rappresenta Dio: "Questo è Dio che
significa a me il mezzo attraverso cui posso entrare nella sua luce".
Lui è casa e Lui
è porta e siccome Lui è casa e Lui è porta e siccome io non posso entrare in
Lui, conoscere Lui (la mia casa)....."Signore dove abiti?", è
attraverso Lui che posso entrare nella sua casa.
E Lui è la casa
e Lui è la porta.
Per dire a me:
"Guarda che senza di Me tu non puoi entrare nella conoscenza di Dio".
Ma questo lo
posso dire soltanto nella misura in cui ho conosciuto Dio e ho conosciuto
l'Intenzione di Dio e ho conosciuto che Dio mi ha creato per darmi la
possibilità di entrare in Lui.
E il problema
di entrare è rappresentato dalla porta e allora capisco che la porta non ha
valore in quanto significa a me uomo, il mezzo per entrare in una casa ma, c'è
qualcosa di molto più importante. È Dio che mi sta significando il mezzo,
attraverso cui io posso entrare nella conoscenza di Lui.
Allora capisco
cosa significa: "Io sono la porta".
C.: Noi
possiamo avere come punto fisso di riferimento solamente Dio...
Perché i nomi
siano veri. Perché noi un punto fisso di riferimento l'abbiamo, è il pensiero
del nostro io e i nomi non sono veri, sono falsi.
C.: Bisogna
vedere tutto dal Pensiero di Dio e vedendo tutto dal Pensiero di Dio, sappiamo
che Dio, tutto quello che fa lo fa nel suo pensiero.
E il suo
pensiero è unicamente un pensiero d'amore per l'uomo.
Dio significa
Se Stesso in tutto ma, la grande difficoltà per noi è quella di capire che cosa
Lui mi significa di Sé.
Perché Dio
nell'acqua mi significa Sé, nell'albero mi significa Sé, nel filo d'erba mi
significa Sé, nella morte e nella vita mi significa Sé, nel terremoto mi
significa Sé, nel sole e nelle stelle mi significa Sé.
"Signore
che cosa mi dici di Te in questo e in quest'altro?".
Io sono
chiamato a rispondere su tutto l'universo: "Che cosa è questo?".
E dico:
"Questo è...." e non riesco ad andare avanti.
Perché non
contemplo in Dio che cosa è questo.
E fintanto che
io non contemplo Dio, io non posso dirlo, resto fermo.
Non posso
andare avanti.
Io posso dare
tante definizioni umane dell'acqua e dell'albero ma quello non mi serve a un
cavolo di niente, perché avrò solo più presente Dio a un certo momento.
E se io non
riesco a parlare secondo Dio, io resto muto, non posso più parlare.
Tutte le creature mi
chiedono: "Che cosa è questo?", io dico: "Questo è..." e
non posso andare avanti.
Non posso cioè
predicare Dio.
Arriva un
momento in cui noi non possiamo predicare Dio.
Dio ci rende
muti.
La grande
bellezza della creatura è poter predicare Dio.
Poter dire:
"Dio è questo" su tutto e su tutti, sul nostro stesso io.
"Dio è
questo".
D.: C'è questo
rapporto creatura/ Creatore che è un rapporto armonioso. Bisogna ritornare a
essere creatura cioè, fare talmente vuoto dentro di sé da permettere al
Creatore di esprimersi attraverso noi, in modo che Lui possa parlare di Sé.
Si capisce.
D.: Lui parla
attraverso le cose vegetali, la creazione e le creature.
Questo richiede
una trasparenza di pensiero e per noi è terribilmente difficile avere
trasparenza di pensiero.
Tutto il lavoro
di Cristo è per rendere semplice il nostro pensiero.
Perché soltanto
quando il nostro pensiero è semplice, diventa trasparente e allora si vede che
cosa Dio dice di Sé nella creazione, dice di Sé in tutte le cose.
Perché in tutte
le cose, Lui sta parlando di Sé a noi ma, parla a noi nella situazione in
cui ci troviamo, quindi mentre Lui mi dice: "Io sono la casa" ma mi
dice anche: "Io sono la porta" a me non basta sapere che Lui è la
casa, ho bisogno anche di vedere la porta e mi dice: "Io sono la via, Io
sono la strada" e mi parla in tutta la gamma delle situazioni in cui io mi
trovo.
Ma io devo
essere tanto trasparente da poter restare alla sua presenza, perché Lui
parlandomi, mi sta convogliando, mi porta, attraverso tutti i punti in cui mi
vengo a trovare, Lui mi porta sempre alla sua presenza.
E.: Il fatto
che quando Adamo ha dato il nome alle creature non ci fosse Eva, significa che
nessuna creatura ci può aiutare in questo lavoro.
È un fatto
personale, essenzialmente personale.
Il problema
fondamentale dell'uomo è questo: dare il nome alle cose.
A tutte le cose
che Dio gli presenta, poiché è Dio che gliele presenta.
Se l'uomo è
semplice, non pensa a se stesso.
È il nostro io
che ci complica tutto.
Se il nostro io
è semplice, l'uomo guarda soltanto ciò che ha presente, basta guardare.
E cosa ha
presente?
Ha presente il
Creatore e ha presente le creature.
L'uomo ha
presente due cose.
Tra queste due
cose lui deve stabilire un rapporto, il nome è questo.
Il punto fisso
di riferimento è Dio Creatore, la creatura è un segno del Creatore che dice
all'uomo di dare un nome a questo segno.
E Adamo
guardando Dio e guardando la creazione diceva: "Vuol dire questo di
Te", non aveva altro termine.
Quando io ho
due termini non posso che rapportare uno sull'altro.
Avendo il metro
dico: "Questo tavolo è due metri e mezzo", ho dato un nome al tavolo.
Ho la chiave e
misuro.
Con Dio è lo
stesso, è alla presenza di Dio che Adamo dà il nome alle cose.
Perché non
aveva ancora la presenza di sé.
Arriverà il
momento in cui, dovrà dare il nome al suo io e lì c'era già Eva e c'è stato il crollo.
B.: Adamo è
stato il primo maestro che ci ha insegnato come leggere bene.
Tutto è fatto
per noi. Anche Adamo è per noi.
È Dio che ce lo
presenta, come ci presenta il primo peccato, per fare capire a noi in che cosa consiste
il peccato fondamentale da cui derivano tutti i nostri mali e prima del peccato
ci ha insegnato come si legge la creazione e l'opera di Dio.
B.: Come mai
a tutte le cose ha dato il vero nome e al suo io no?
Allora Adamo
non conosceva il suo io.
La creazione:
man mano che l'uomo matura, Dio presenta le creature all'uomo e tu le devi
prendere dalle mani di Dio e devi dargli un nome.
Arriverà un
giorno in cui Dio presenta a te stesso il tuo io e tu devi dare un nome a
questo io.
In mezzo tra
l'io di Adamo e Dio c'era Eva.
E Adamo ha dato
il nome al suo io alla presenza di Eva, anziché alla presenza di Dio.
Comunque Dio ce
lo presenta per insegnare a noi, come si dà il vero nome alle cose.
Per evitarci di
dare un nome sbagliato alle cose.
Il vero nome alle
cose si dà, in quanto le rapportiamo a Dio.
A Dio Creatore.
F.: I punti
di riferimento possono essere solo o Dio o il nostro io. Quindi ignorando il
nostro io, per forza, diamo il vero nome alle cose, perché restiamo con le
creature e con Dio.
Sì ma non
"per forza".
Tu per dare un
nome devi guardare Dio.
E fintanto che
non vedi che cosa Dio significa di Sé....
La creatura ti
sollecita a sprofondarti sempre più in Dio.
Il problema non
era dare il nome alle creature.
Adamo per dare
il vero nome alle creature, doveva penetrare sempre più in Dio.
Adamo stava
crescendo non nella conoscenza delle creature o dell'universo, Adamo stava
crescendo nella conoscenza di Dio.
Tra le creature
noi abbiamo il padre, la madre, i figli.
Il concetto per
noi è semplicissimo: "Sai cos'è un padre?", "Sì, lo so cos'è un
padre", ma questa nostra conoscenza è sentimento nel pensiero del nostro
io.
Questa non è
conoscenza.
A un certo
momento ti trovi con Cristo che ti dice: "Io e il Padre siamo uno",
ti fa saltare tutto in aria, non capisci più niente.
Ti dice una
parola che, fintanto che tu non ti sprofondi in Dio, quella parola per te è un
rebus, non la puoi capire.
Non te la dice
secondo gli schemi del tuo io, perché secondo il tuo io padre, madre e figlio
sono tre esseri ben distinti.
A un certo
momento arriva Gesù che prende le tue categorie, padre e madre, prende questi
concetti ma non li riferisce più a te.
Perché riferite
a te, queste sono persone separate una dall'altra.
Le riferisce a
un altro in cui la cosa non è più valida secondo lo scema del tuo io.
Là, Padre e
Figlio sono uno solo.
Se io voglio
capire questa frase, è inutile che io mi metta ad analizzare le parole, non
concluderò mai nulla.
Registrando o scrivendo
queste parole, non riuscirò a capire come il Padre e il Figlio siano una cosa
sola.
Ho un mezzo
solo, sprofondarmi in Dio.
E devo
sprofondarmi fino al punto in cui diventa trasparente quella parola lì.
E fintanto che
quella parola lì non mi diventa trasparente, chiara, luminosa, capita, vuol
dire che io non sono penetrato in Dio in quella profondità in cui Dio stesso
m'invitava dicendomi: "Io e il Padre siamo una cosa sola".
Ecco
l'importanza della parola, perché la parola, di per sé non ti illumina niente
ma ti sollecita a sprofondarti.
Per cui Adamo
ascoltando e guardando l'opera di Dio, lui si sprofondava e cresceva nella
conoscenza di Dio e man mano che cresceva nella conoscenza di Dio le creature
si illuminavano.
È la conoscenza
di Dio, la profondità della conoscenza di Dio che ti illumina le Parole di Dio.
Altrimenti tu,
le Parole di Dio non le puoi capire nel modo più assoluto.
Tu capisci di
non capire.
Mentre nel
pensiero del nostro io non c'è nulla da capire, per me un albero è pacifico che
è un albero.
Non confonderò
mai un albero con una pietra.
Ma prova a
rapportare l'albero a Dio e dire che cosa l'albero ti dice di Dio.
Vedi che ti
butta tutto in aria?
Fintanto che tu
non conosci Dio, tu non puoi predicare Dio nell'albero e tu resti fuori.
Quindi tutto il
parlare di Dio è per sollecitarci non a conoscere la creazione ma per conoscere
Dio.
Perché soltanto
nella misura in cui conosco Dio, la creazione si illumina.
Diventa chiara
e trasparente.
Capisco che
cosa Dio significa di Sé ma lo capisco perché ho conosciuto Dio.
F.: Ma in
cosa consiste questo sprofondarsi?
Soltanto nel
pensare Dio, quello che conta è pensare Dio.
Volevo leggervi
di nuovo quella lettera di Carlo
Carretto, a un certo momento Carretto
capisce che non è problema di fare, di agitarci, di correre per il mondo, di
fare apostolato.
Tutto è vuoto e
lui lo dice: "Siamo dei pazzi, perché è Dio che fa tutto".
Il problema è
pensare Dio, il problema è fermarci a pensare Dio, sprofondarsi in Dio.
A Dio tu arrivi
con una cosa sola.
Con il suo
pensiero: "Senza di Me fate niente" dice il Figlio di Dio che è il
Pensiero di Dio.
C'è un punto
solo in noi, un punto immacolato, ecco la porta, attraverso il quale noi
possiamo entrare in Dio, il Pensiero di Dio.
Questo Figlio
di Dio che è dato a noi e che viene da noi trascurato, seviziato e ucciso.
Noi ci rendiamo
conto che noi ci stiamo chiudendo in faccia la porta per entrare nella vita
eterna.
G.: Solo riferendo
a Dio posso dare il vero nome.
Il nome è ciò
che una cosa mi significa di Dio.
Noi i nomi li
diamo sempre riferendoli al nostro io: "Quella creatura lì, per me
significa questo" e do un nome.
Se vado a fondo
il nome che do è questo.
L'impressione
che una creatura lascia su di me, quello è il nome che noi diamo alle creature.
E la chiamo
così.
Non chiamarla
così perché ti stai chiudendo la porta della verità così.
Cerca che cosa
Dio significa di Sé nella creatura.
È quello il
vero nome della creatura e quello è il vero nome che ha dato Adamo, perché l'ha
dato alla presenza di Dio.
I.: Essendo
un problema che fa riferimento alla verità è anche un problema di giustizia, un
problema che interessa il peccato, l'amore, la pace, il senso della vita, interessa
tutto.
È il problema
principale dell'uomo.
L'uomo di
fronte a uno che gli sta parlando ha come primo dovere capire ciò che quell'Uno
gli sta dicendo.
M.: Cristo ci
riporta alla situazione iniziale di Adamo dicendoci: "Io sono la
porta".
Ci dà la stessa
chiave che aveva Adamo.
Lui mi dice la
parabola ma io non capisco.
Mi manca la
chiave.
Dio ha fatto
bene le cose.
Adesso mi manca
la chiave perché sono nel peccato, Adamo non era nel peccato e quindi Adamo
aveva la chiave.
Dio parla
le sue parole e dà all'uomo la chiave per capire.
E la chiave è
Lui stesso.
M.: Il
Pensiero di Dio.
Nella
situazione di peccato, Lui dice la parola e le parabole e gli uomini non
capiscono.
Allora ci dà la
chiave: "Io sono il seminatore, Io sono il seme, Io sono l'acqua, Io sono
la pianta"
È sempre
"Io" perché è Lui che significa Se Stesso in tutto.
Ma io devo
arrivare a capire che cosa mi significa di Sé dicendo "porta" e se
devo arrivare qui, nessuno può arrivare a Dio se non per mezzo di Dio.
L'infinito si può
avere soltanto per mezzo dell'infinito.
L'infinito è
abitazione per me ma, allo stesso tempo è anche porta per entrare in questa
abitazione.
M.: Dio
mettendoci nelle nostre mani questa chiave di lettura, ci dà una responsabilità
tremenda perché adesso che so che la chiave è l'Io di Dio se io non metto a
leggere....
Tu resti fuori,
tu ti chiudi la porta con le tue stesse mani, perché Lui ti ha dato la chiave,
perché avevi la chiave in mano e diventa difficilissimo aprire con questa
chiave qui.
È molto facile
aprire le porte con i miei sentimenti, con le mie parole o con le parole che
arrivano a me ma, è difficilissimo aprire la porta con l'Io di Dio.
M.: Il vero
nome delle cose si può comunicare a chi non è nel Pensiero di Dio?
La comunicazione
avviene dove c'è il Pensiero di Dio.
Tra il Pensiero
di Dio e il pensiero dell'io non c'è comunicazione.
C'è un abisso.
Ogni
comunicazione avviene nel Pensiero di Dio, anche nel cielo.
Nel cielo tutte
le comunicazioni avvengono attraverso il Pensiero di Dio.
In cielo Dio è
il punto fisso di riferimento per tutte le anime.
C'è un abisso
tra coloro che hanno come punto di riferimento il Pensiero di Dio e coloro che
hanno come punto di riferimento il pensiero dell'io.
Lì c'è
incomunicabilità.
Uno non può
assimilare quello che l'altro gli dice.
M.: Adamo ha
dato il vero nome alle cose prima che ci fosse Eva, questo magari ha tanti
significati ma sembra quasi un rischio la presenza di un'altra persona per
l'uomo, non possiamo mica ritenere che Adamo avrebbe comunque peccato se non ci
fosse stata Eva? Se ha dato il vero nome alle creature senza Eva, è stata Eva
che ha impedito ad Adamo di dare il vero nome al proprio io? Non poteva dare il
vero nome al proprio io prima di Eva?
Il momento cruciale in Eva e in Adamo è stato quando
hanno dovuto dare il nome al loro io.
M.: Ma se non
ci fosse stata Eva, Adamo solo, avrebbe potuto dare il vero nome al proprio io?
Il nostro io è
creatura, come è creatura l'albero, come è creatura l'acqua.
Quando Gesù
interroga: "Chi dice la gente che Io sia?".
"Uno dice
che sei un profeta, l'altro che sei il Battista, eccetera", è sempre
facile vedere quello che l'altro fa ma, quando devo vedere che cosa io dico,
credo, faccio la cosa diventa più difficile.
Ecco perché
prima c'è il mondo esterno, per me è facile osservare una pietra, un fiore, le
stagioni, il sole.
Dio mi educa
così, mi fa vedere prima le cose facili, poi a un certo momento, devo entrare
dentro di me e qui la cosa si complica all'infinito.
"Che cosa
dice la gente di Me?", è facile...."E voi chi dite che Io sia?",
qui la cosa diventa più difficile.
M.: Possiamo
anche dire che Adamo non ha dato il vero nome a Eva?
Adamo ha preso
Eva dalle mani di Dio: "Ecco la mia carne, l'osso del mio osso".
Ha dato il nome
ad Eva e ha dato il nome giusto.
Quando ha dato
il nome a Eva ha ancora visto se stesso.
Poi sia per Eva
che per Adamo a un certo momento salta fuori il problema dell'io.
E bisogna dare
questo nome a questo io, alla presenza di Dio.
N.: Bisogna immergersi
nel Pensiero di Dio.
Tutte le
creature non sono fatte perché noi abbiamo a conoscere le creature.
Ma sono stimolo
e sollecitazione per sprofondarci in Dio.
O.: Una cosa
è dare il nome alle cose in assenza di creature che possono solleticare l'orgoglio
del proprio io, un altra cosa è avere vicino una creatura di fronte alla quale
il tuo io può essere ingigantito e allora dai un nome diverso, a prescindere
dal fatto che sia uomo o donna.
C'è un rischio
grosso.
O.:
"Sarete dei" ha detto il tentatore ad Adamo ed Eva, se anziché
chiamarmi Adamo divento un piccolo dio la mia posizione vacilla.
E quanta
umanità muore ancora al giorno d'oggi illudendosi di essere dio!
O.: Noi non
facciamo peccato d'orgoglio di fronte a una pietra o un cavallo ma di fronte a
un uomo o una donna lo facciamo.
Il nostro io è
una sorgente di nomi sbagliati.
Soltanto che
questi nomi qui sbagliati, poi dopo ci ricadono tutti addosso.
Noi con
facilità diamo nomi sbagliati ma poi non ce ne liberiamo mica.
P.: Dobbiamo
dimenticarci di noi e metterci davanti solamente a Dio e alle cose.
In realtà siamo
soltanto davanti a Dio e alle cose.
Il pensiero del
nostro io è contemplativo.
Contemplativo
di che cosa?
Contemplativo
di quello che ha presente.
Il nostro io
vive guardando Dio.
È contemplazione
di Dio.
È sguardo su
Dio e basta.
Vi leggo questo
brano di questa lettera di Carretto?
Sì? Posso?
È una lettera
che scrive nei primi mesi del 1955 quando era andato nel deserto.
Scrive a sua
sorella Dolcidia.
Ho ricevuto una
lettera di papà che mi ha fatto sentire tutta l'amarezza per la lontananza.
Tu sai come io
sono affezionato a lui, è come una lama che ti penetra dentro ma tu queste le
hai vissute e le vivi più di me e quindi è inutile parlartene.
In questa
occasione mi ritorna alla mente Gesù: "Voi che avete lasciato", del
resto è necessario che così sia e la sua volontà in tutto regni.
La vita dello
spirito ha bisogno di questi tagli, altrimenti non costruisce, non cresce,
sopratutto non acquista la sua libertà.
Io sono tanto
contento di aver ascoltato Gesù in questo distacco da accettarne tutta
l'amarezza e le conseguenze, vorrei solo viverlo nella sua pienezza
costruttiva, feconda, vitale.
Cioè non vorrei
solo fosse un "è andato lontano", è troppo poco e non dice nulla ma,
"è andato a cercare Dio".
E Dio tu lo sai,
è tanto lontano e tanto vicino che la sua ricerca non è mai finita.
Eppure questa
ricerca è l'unica vera, preziosa, valevole attività a cui siamo chiamati, il
resto è un corollario.
Anche la
costruzione d'imperi, anche le più mastodontiche opere apostoliche, è questo
che mi colpì Dolcidia, quando pensai di abbandonare Roma e il mio vecchio
lavoro.
Vedi, io ho
lavorato molto per la chiesa, lo riconosco, non ho avuto altro pensiero o altra
ansia, ho corso duramente, ho percorso tanti chilometri come il più impegnato
missionario, a un certo punto mi accorsi che ciò che mancava nella chiesa non
era ilo lavoro, l'attività, la costruzione di opere, l'impegno di avvicinare
anime.
Ciò che mancava
o almeno era scarso, era l'elemento preghiera, contemplazione, dono di sé,
intimità con Dio, fedeltà allo Spirito Santo, convinzione che era Lui il vero
costruttore della chiesa, insomma mancava l'elemento sovrannaturale.
Per essere
chiari nella chiesa occorrono sì gli uomini d'azione ma bisogna stare molto
attenti che quell'azione non soffochi l'elemento ben più delicato ma ben più
importante della preghiera.
Se manca
l'azione e c'è la preghiera la chiesa vive, respira ancora ma, se manca la
preghiera e c'è solo azione la chiesa intristisce e muore.
Ti faccio un
esempio fisico che ho qui di fronte nel deserto (il deserto è una grande
scuola!).
C'è un pezzo di deserto, tutto sabbia e morte, tutt'al più qualche spino. Gli
uomini vogliono trasformare il deserto in un'oasi verdeggiante. Incominciano a
lavorare. Si fanno strade, stradette, canali, ponti, case, ecc. ecc. Non cambia
nulla: tutto rimane deserto. Manca l'elemento base: l'acqua. Allora chi ha
capito (è strano che si capisca bene nel mondo fisico e poco bene in quello
soprannaturale) incomincia non a lavorare in superficie, ma si mette a scavare
in profondità. Cerca l'acqua. Fa un pozzo, la fecondità dell'oasi non dipenderà
dai canali fatti, dalle strade,dalle piazze, dalle case, ma da quel pozzo. Se
sgorgherà l'acqua tutto si vivificherà, se no niente.
Infatti Gesù
dice: "Senza di Me fate niente".
Ecco ciò che io
vidi in Europa: un esercito di matti cattolici che costruisce case, collegi,
associazioni, partiti, chiese e quasi nessuno si preoccupa di scavare i pozzi.
Conclusione: tristezza,
scoraggiamento, vuoto interiore e qualche volta disperazione.
Si pretende di
costruire per Dio senza Dio.
E non dirmi
sorella che si prega, no, non si prega.
Anche se si
dicono cento rosari al giorno, se si va regolarmente a messa, la preghiera è un
altra cosa.
La preghiera è
l'adorazione di Dio e della sua volontà, non un mare di formule fatte apposta
per soffocare l'anima per chiuderla fra le tenaglie della consuetudine e del
fissato.
La preghiera è
respiro, è libertà, è amore e colloquio inesausto e sopratutto pensare a Dio.
È questo che
manca nella nostra vecchia cristianità, la quale quando vuol pregare incomincia
ad infilare formule.
Guarda i
sacerdoti, se pregassero sul serio, quando vengono a parlarci ci direbbero cose
nuove di quel Dio che è sempre nuovo e invece ci dicono le solite cose e noi
usciamo senza calore dalla loro predicazione.
La vera
preghiera e noi dobbiamo essere maturi per capirlo è l'adorazione silenziosa di
Dio.
Ti metti davanti
al Santissimo che è qui sulla terra proprio per insegnarci a pregare e partendo
da Lui (ponte tra l'umano e il divino) arrivi al Padre sotto la spinta dello
Spirito.
Un ora al giorno
almeno di questa cura solare, ed entri nel vivo dell'autentica preghiera,
allora sì che la nostra fede diventa viva e forte, allora sì che il nostro
essere cristiani assume un sapore nuovo e non è una minestra riscaldata.
Io sono convinto
che, se l'azione cattolica, le congregazioni militanti, i sacerdoti, i nerbo
della chiesa insomma desse alla preghiera la metà delle sue energie ben
maggiori risultati.
Ecco perché sono
andato via da Roma, ora te l'ho detto chiaro, ero anche io un matto che
impazziva nel lavoro e non pregava.
Ora l'ho capito
e vorrei puntare il dito sul cuore di Dio, il resto non mi interessa più o
almeno mi interessa se entra nel piano di Dio, ci sono tante altre cosa da dire
e ce le diremo, anche perché questa non sarà, a Dio piacendo l'ultima lettera.
Allora Gesù
disse loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle
pecore. Gv 10 Vs 7 Terzo tema.
Titolo: L'Intenzione di Dio si
riflette nella funzione del segno.
Argomenti: La
lezione di Adamo.Cosa vuol dire leggere le opere di Dio?Dare il
vero nome alle creature.
Parlole:tenebre
& trasparenza. Confondere
creature & Creatore. Intenzione
& segni. La funzione della porta.
14-15/Gennaio/1990 Casa di
preghiera Fossano
Restiamo ancora in questo versetto sette.
In quest’affermazione di Gesù, abbiamo visto, c'è la
chiave di lettura della parabola che Gesù aveva detto.
Ma c'è anche la chiave di lettura di tutte le parabole di
Gesù.
E siccome tutto l'universo si riassume nelle parole di
Gesù, perché tutto è fatto nel Figlio di Dio, nel Verbo, nel Pensiero di Dio, e
quindi tutto è parabola di Dio, ancora oggi questa chiave di lettura serve per
leggere tutte le opere di Dio.
Tutta l'opera di Dio è per l'uomo, perché l'uomo è stato
creato alla conclusione delle opere di Dio.
E se è stato creato alla conclusione, vuol dire che tutto
quello che è stato precedente all'uomo è per l'uomo.
E se tutta l'opera di Dio è per l'uomo, tutto è
scrittura per l'uomo.
Il problema fondamentale per l'uomo è quindi quello di
imparare a leggere la scrittura di Dio.
Domenica scorsa ci siamo soffermati sulla lezione che Dio
dà a noi attraverso Adamo.
Il più delle volte quando parliamo di Adamo,
identifichiamo la lezione di Adamo con il peccato e con tutte le conseguenze.
La
lezione principale che Dio dà a noi in Adamo è ben
altra.
È prima del peccato.
Prima della legge.
Prima dei profeti.
Prima di tutti i comandamenti.
C'è una cosa fondamentale e in quanto fondamentale valida
per ogni uomo.
Dio in Adamo rivela, annuncia a noi qual è il fondamento
essenziale della nostra vita, il compito essenziale di ogni uomo.
Dio ce lo rivela invitando Adamo a dare il nome alle
creature che Dio aveva fatto.
Abbiamo visto che Dio crea tutte le creature ma non dà
loro il nome.
Dio presenta ad Adamo le creature: una lezione
meravigliosa perché lì noi, abbiamo l'essenza della nostra stessa vita.
Dio che presenta ad Adamo, quindi presenta all'uomo (in
Adamo c'è tutto l'uomo), le creature da Lui fatte, affinché l'uomo dia il nome
alle creature.
Per cui, prima di ogni problema morale, prima di tutte
quelle che possono essere le conseguenze del peccato, prima di tutto quello che
può essere la nostra religiosità, il nostro comportamento, i nostri modi di
essere, i nostri impegni, i nostri programmi eccetera, prima di tutto questo, a
fondamento di tutto della nostra vita, c'è questo impegno dell'uomo: l'uomo
deve imparare a leggere la scrittura di Dio e le opere di Dio.
Se manca questo, tutti gli altri problemi saltano in
aria.
Noi possiamo essere completamente staccati dal mondo,
essere in fuga dal mondo, essere magari in un deserto, in un convento, in un
monastero, in una trappa, tutto dove volete; possiamo avere le regole più sante
di questo mondo, essere virtuosissimi, avere la fede da smuovere le montagne,
possiamo andare incontro allo sposo, tutta la nostra vita andare incontro allo
sposo ma se noi, non impariamo a leggere le opere di Dio, la scrittura di Dio,
se non ci preoccupiamo di questo, non serve assolutamente a niente tutto il
resto.
Noi con tutta la nostra religiosità, con tutte le nostre
virtù, con tutto il nostro distacco dal mondo, con tutta la nostra, possiamo
chiamarla verginità (ho presente la parabola delle dieci vergini), possiamo
avere tutta la fede da spostare le montagne, avere la lampada accesa, andare
incontro allo sposo ma veniamo a trovarci di fronte a Uno che ci chiude la
porta in faccia e ci dice: "Non vi conosco".
Quel "Non vi conosco" è perché noi non
conosciamo Lui, ci troviamo di fronte allo specchio di quello che noi siamo.
Per cui Dio dirà a noi: "Non ti conosco",
perché tu non ti sei preoccupato di conoscermi.
Il che vuol dire che se è un problema di lettura, a
fondamento c'è il problema di modo di essere.
Non c'è problema di sentimenti, ma c'è un problema
d’intelligenza.
Le vergini stolte vengono escluse perché sono stolte, non
intelligenti.
Quindi il problema fondamentale dell'uomo è un problema
d’intelligenza.
È un problema di lettura, quindi d’intelligenza.
Qui i sentimenti non centrano per niente.
Non s’impara a leggere con i sentimenti.
Con i sentimenti s’impara sì a stravolgere tutte le
letture.
Leggere vuol dire passare dai segni, dalle parole al
pensiero di una persona.
Noi riusciamo a leggere in quanto riusciamo a vedere il
pensiero contenuto nelle parole, nei segni.
Tutta la creazione di Dio è fatta in un pensiero, perché
è fatta da Dio e Dio e uno solo.
"Uno solo è il Creatore, non avrai altro Dio".
Tutto l'universo è fatto da un Essere unico.
E in quanto è fatto da un Essere Unico, tutto l'universo,
tutta l'opera di Dio, tutta la storia, tutta la vita di ogni uomo è fatta in un
unico pensiero: il Pensiero di Dio.
Ora, se leggere vuol dire passare, arrivare a intendere
il pensiero di una persona, imparare a leggere le opere di Dio vuol dire
imparare a vedere il Pensiero di Dio in cui tutte le cose sono fatte.
Fintanto che noi non arriviamo a vedere questo pensiero
in cui tutto è fatto, siamo analfabeti.
Potremmo anche sapere tutte le lingue del mondo, possiamo
anche avere la fede da spostare le montagne ma, ci sentiremo dire da Dio:
"Come mai sei stato analfabeta per tutta la tua vita?".
Potremmo anche aver lavorato tutta la vita, faticato e
sudato tutta la vita e venirci a trovare di fronte a Dio che ci dice:
"Come mai non hai fatto niente tutta la vita, Non hai imparato a
leggere!".
E siccome il tema fondamentale, il problema fondamentale
della vita dell'uomo è imparare a leggere, se noi non impariamo a leggere la scrittura,
le opere di Dio, quindi se noi non impariamo a vedere il Pensiero di Dio,
poiché Dio tutto opera per comunicare il suo Pensiero, tutto quello che noi
facciamo e per cui ci affatichiamo, è niente.
Gesù dice: "Senza di Me fate niente".
E Sant'Agostino commentando dice: "Facendo niente
diventiamo niente".
Riduciamo a niente tutto, per cui ci sarà tolto anche
tutto quello che noi crediamo di avere.
Noi molte volte ci rifugiamo dicendo: "Si questo no,
però... mi salverò con questo".
No, tu non ti salvi con quello, perché il fondamento di
tutto è: Dio parla con te e tu non hai capito quello che ti stava
comunicando.
Meglio una prostituta che si preoccupa di cercare di
capire che cosa Dio le comunica attraverso le cose, gli avvenimenti, o
attraverso la sua prostituzione, perché anche questa è una Parola di Dio,
piuttosto di un santo o di un eremita che non si preoccupa di leggere la Parola
di Dio.
Ecco la grande lezione che Dio ci dà attraverso Adamo.
Adamo diede il vero nome alle creature.
Abbiamo già detto domenica scorsa, che se la Parola di
Dio ci puntualizza e dice: "Adamo ha dato il vero nome", ci fa capire
che tanti altri non danno il vero nome alle creature.
Adamo ha dato il nome prima del peccato; quindi in quanto
prima del peccato era in una situazione di purezza, d’innocenza: era pura
creatura di Dio.
Cosa
vuol dire questo dare il vero nome alle creature?
Adamo era tutto spettatore dell'opera di Dio, aveva di
fronte a sé soltanto due termini: Dio Creatore e la creazione di Dio.
Adamo, Dio non lo vedeva fuori, perché Dio è Spirito e
abita dentro l'uomo, la verità abita dentro l'uomo.
Quindi anche in Adamo Dio non era fuori, però gli era
presente, perché Adamo non pensava a se stesso come realtà spirituale.
Noi diciamo che in paradiso vedremo Dio faccia a Faccia,
però non esteriormente, perché Dio è Spirito e abita nel pensiero.
Il pensiero è una realtà più grande di tutto l'universo
che noi vediamo attorno a noi.
Più grande e più massiccia.
Questo pensiero che noi trascuriamo perché: "È solo
un pensiero"!
A un certo momento questo pensiero diventa più pesante di
una montagna.
Dico: Adamo aveva quindi presente Dio Creatore nel suo
pensiero e aveva presente davanti a sé la creazione di Dio.
Aveva presente questi due termini: Dio e la creazione.
O meglio: Dio che presenta ad Adamo la creazione.
Perché Adamo riceveva la creazione da Dio.
Non era Adamo che vedeva la creazione.
Noi invece diciamo: "Io vedo questo, io incontro
quell'altro”.
Adamo non ragionava così, perché non pensava a se stesso.
Adamo non aveva ancora trovato il suo io, non aveva
ancora preso coscienza del suo io, siamo prima.
Adamo, non pensando a se stesso, vedeva Dio Creatore che
gli presentava le creature e poiché portava in sé la passione di Dio, passione
di Dio che è passione dell'unità (la presenza di Dio crea in noi la passione di
Dio, passione di conoscenza di Dio, quindi passione di unificazione), di fronte
a due cose, Adamo sente il grande vero bisogno di ogni uomo: il bisogno di
unificare, mettere una cosa in rapporto a un'altra, dare un nome.
Dare il nome, cioè rapportare tra loro due cose è
espressione del bisogno di unificazione.
Infatti, è vedere un'altro in rapporto a un punto fisso
di riferimento.
È fare un rapporto.
Ecco, dare il nome è fare un rapporto.
Adamo osservando Dio Creatore che gli presentava le
creature, metteva le creature in rapporto a Dio e mettendole in rapporto a Dio
dava il nome alle creature.
E cos'era questo nome?
Se le metteva in rapporto a Dio misurava le creature con
Dio.
E cosa vuol dire misurare le creature con Dio?
Adamo misurando le creature con Dio, diceva che cosa Dio
significava di Sé nelle creature.
Cioè, cercava Dio nelle creature.
Questo è il nome che dava a esse.
E siccome Dio in tutte le cose non fa altro che parlare
di Sé, manifestare Sé, il rapporto deve essere (questa è la grande lezione di
Adamo, che Dio ci dà in Adamo) tra la creatura e Dio, avendo Dio come punto
fisso di riferimento e non la creatura come punto fisso di riferimento.
Adamo non diceva quello che Dio era in funzione della
creatura ma diceva che cosa era la creatura in funzione di Dio.
Cioè, che cosa Dio diceva di Sé nella creatura.
Quindi leggeva la creatura in Dio e da Dio.
Così dava il vero nome alle creature.
Dare il nome è stabilire un rapporto.
Questo rapporto, questo dare il nome alle creature è il
mattone per costruire la nostra capacità di lettura, perché soltanto dando il
vero nome alle creature noi formiamo noi la capacità di leggere, perché noi non
siamo capaci di leggere.
La
capacità di lettura si forma personalmente dentro ognuno di noi
in relazione ai nomi o al nome che ognuno di noi dà, ed è un fatto personale, a
tutto ciò che gli si presenta.
Perché in un modo o nell'altro, anche se noi non ce ne
rendiamo conto, noi diamo un nome a tutte le cose che si presentano a noi,
perché abbiamo la passione dell'Assoluto e questa passione d'Assoluto ci porta
a stabilire dei rapporti.
Per cui quando vediamo una persona ci chiediamo:
"Chi è quel tale?" e rispondiamo: "Quel tale è il figlio di
quell'altro".
E stabiliamo sempre dei rapporti e diamo un nome.
A differenza di Adamo noi il nome alle creature non lo
diamo in rapporto a Dio, ma lo diamo in rapporto a noi stessi, a quel che
portiamo dentro di noi, ai nostri sentimenti, alle nostre impressioni e diamo
dei nomi sbagliati!
Ecco perché Dio ci presenta in Adamo uno che dà il vero
nome alle creature.
Perché il vero nome alle creature lo si dà solo
rapportando le creature al Creatore.
Se noi rapportiamo le creature e tutto ciò che Dio ci
presenta, al pensiero del nostro io, ai nostri sentimenti, questi sono tutti
nomi sbagliati perché il nostro io non è punto fisso di riferimento.
Tutte le cose sono fatte nel Pensiero di Dio, non nel
pensiero del nostro io.
Il vero nome lo si dà quindi in quanto si rapportano
tutte le cose a Dio e non al pensiero del nostro io.
È lì che noi ci condizioniamo, perché dando il nome, noi
poniamo un mattone all'edificio della nostra capacità di lettura, per cui
ognuno di noi legge in relazione ai nomi che dà alle creature.
Ognuno di noi quindi legge in modo soggettivo.
Si forma la capacità di lettura in modo soggettivo!
Per questo dico che dare il nome è un mattone
nell'edificio della nostra capacità di lettura.
La formazione della capacità di lettura appartiene a un
tempo finito, non infinito, per cui scade.
Arriva un certo momento in cui noi non possiamo più
imparare a leggere.
Gesù lo dice chiaro: c'è un momento in cui la creatura
può essere gettata nelle tenebre esteriori, viene a trovarsi di fronte a una
porta chiusa che non si apre: la creatura bussa per entrare, chiama, invoca ma
non le sarà aperto, non le sarà possibile entrare.
È tempo che scade.
Infatti, Gesù dice: "Affrettatevi!".
Quindi c'è un’urgenza.
"Affinché le tenebre non vi sorprendano".
Ecco, arriva un certo momento in cui le tenebre ci
sorprendono.
Abbiamo detto che tutto è Parola di Dio.
Però notiamo questo: ci sono parole che sono trasparenti
e ci sono parole che sono tenebrose.
Quando è che una parola è trasparente?
E quand'è invece che una parola è tenebrosa?
La parola è segno, annuncio di un pensiero.
La parola è propria di una persona.
Tutto è voce di un'esistente, le persone invece hanno le
parole e la parola è segno del pensiero e noi intendiamo le parole in quanto
arriviamo al pensiero.
Ci sono parole che sono trasparenti, luminose e ci sono
parole che invece sono tenebrose opache.
Quand'è che una parola è trasparente?
È trasparente quando rivela il pensiero, quando rivela il
suo principio.
E quand'è che la parola invece diventa tenebrosa?
La parola è tenebrosa quando annuncia altro che non è il
principio.
Quando noi parliamo:"Io...." tutte le nostre
parole sono tenebrose.
Perché?
Perché offuscano il vero Principio.
Principio è Dio Creatore.
È Lui che parla in tutto e le nostre parole sono
trasparenti soltanto in quanto noi non diciamo:"Io...", ma
diciamo:"Dio...".
"Fate le vostre opere" dice il Signore, cioè
parlate in modo che le vostre parole glorificano il Padre.
Cioè, dite le vostre parole in modo che siano
trasparenti.
In modo che coloro che vi ascoltano vedano il pensiero
che queste parole annunciano.
Quando invece noi parliamo degli uomini, glorifichiamo
gli uomini o parliamo di noi, queste parole non sono trasparenti, ma tenebrose.
Dico: noi corriamo il rischio di essere gettati in queste
tenebre, in queste parole in cui non si vede il principio, in cui non si vede
il pensiero, in cui non si può leggere.
Tutto è segno.
Gesù qui dice: "Io sono la porta".
Dicendoci questo ci dà la chiave di lettura.
Ma corriamo un rischio.
Dicendo:"Sono Io la porta", non dice:"La
porta sono Io".
Dio dice a noi:"Io sono la porta", ma dire:
"Io sono la porta" non è uguale a dire: "La porta è Dio".
Dio è la porta ma la porta non è Dio.
Noi
corriamo il rischio di adorare la porta come se fosse Dio.
Siccome tutte le creature ci annunciano Dio, noi corriamo
il rischio di confondere e lo confondiamo con Dio.
Poiché tutto è Volontà di Dio, tutto è opera di Dio
allora diciamo: "Questo è Volontà di Dio".
Dio dicendo: "Io sono la porta" ci fa correre
il rischio di dire: "La porta è Dio".
Che differenza c'è?
Questo ci fa capire perché Dio non dà Lui il nome alle
cose.
Qui sta dando Lui il nome alle cose.
Visto che l'uomo non ha capito la parabola, non ha dato
il vero nome alla parabola, abbiamo Lui che dice (qui ci fa correre un grande
rischio) che Lui è la porta.
È il rischio che corriamo quando Dio dà il nome.
Ecco per cui dico che Dio ad Adamo ha presentato le
creature ma non ha dato Lui il nome alle creature, ha voluto che fosse Adamo a
dare il nome alle creature.
Come l'angelo dice a Giuseppe: "Tu gli darai il nome
di Gesù".
Il figlio non è di Giuseppe, però l'angelo vuole che
Giuseppe dia lui il nome a Gesù: "Lo chiamerai Gesù".
Soltanto se l'uomo dà il nome alle creature, il vero
nome, evita di confondere il segno con la segnalazione.
Avevamo detto un giorno: il saggio che con il dito indica
la luna, fa correre il rischio allo stolto anziché di guardare la luna di
guardare il dito.
Ora, questa stoltezza non è molto singolare perché è la
stoltezza che caratterizza tutti gli uomini.
Tutti gli uomini stanno esaminando e analizzando il dito
e non guardano ciò che il dito segnala.
Tutte le creature sono questo dito che ci segnala Dio.
Ma tutti gli uomini stanno scrutando, analizzando,
osservando questo dito.
Stanno scrutando cioè le creature e non vedono la
segnalazione.
Perché?
Perché non hanno dato il vero nome alle creature.
Ecco per cui Dio dice ad Adamo di dare il nome alle
creature.
Adamo per dare il nome (lui era in una situazione di
purezza, quindi in lui non c'era questa difficoltà che c'è in noi), confrontava
le creature con il Creatore.
Per guardare il Creatore non guardava certamente a se
stesso (non possiamo contemporaneamente pensare a due cose).
Guardava Dio e guardando Dio superava se stesso.
L'uomo
per dare il vero nome alle creature deve superare se stesso.
Per noi c'è il problema di dimenticare noi stessi,
altrimenti non possiamo dare il vero nome alle creature.
Se non si dimentica sé cosa succede?
Succede questo: che l'uomo guardando i segni di Dio, non
li vede come segni, non vede cioè la significazione, non vede la segnalazione,
non vede l'intenzione.
L'uomo nel pensiero del suo io vede le creature come
creature: un albero è un albero, una strada è una strada, una montagna è una
montagna, un uomo è un uomo, una donna è una donna, le vede così.
Non le vede come segnalazione di-.
Non le vede come frecce, come dito che segnala qualche
cosa.
Nel pensiero del suo io non vede il segno.
C'è una differenza grande.
Se noi teniamo presente Dio, nel segno c'è
un’intenzionalità.
Se non teniamo presente Dio, cioè se pensiamo soltanto a
noi e guardiamo soltanto a noi, noi vediamo la realtà ma non l'intenzionalità:
per noi il segno è senza senso.
Nel
campo dei numeri abbiamo i numeri assoluti e i numeri relativi.
I numeri relativi sono quelli che hanno un segno: più o
meno, cioè un’indicazione, un’intenzione.
L'uomo nel pensiero del suo io vede i segni come valori
assoluti, senza indicazione, senza pensiero.
Perché?
Perché per lui le cose sono vuote di significato.
L'uomo le riveste della propria intenzionalità, di un
proprio pensiero.
Solo guardando Dio, invece, le cose essendo opera di Dio
recano con sé un segno, un’intenzionalità.
E allora quando Dio dice:"Io sono la porta", se
tengo presente Dio non mi fermo alla porta, ma cerco l'Intenzione di Dio nel
dirmi:"Io sono la porta".
E come possiamo vedere questa intenzionalità?
I segni non valgono di per sé, valgono per la funzione
che portano in sé.
Ogni segno è una funzione di-.
La porta è porta in quanto svolge una funzione.
Tutte le creature sono segni di Dio in quanto svolgono
una funzione per noi, cioè recano con sé un’intenzione.
La porta ha una funzione: è il mezzo attraverso cui si
entra in casa.
Questo nel campo della creazione.
Noi guardando una porta vediamo il mezzo per entrare in
casa.
Questo non mi dice ancora niente.
Mi dice però la funzione della porta.
Se Dio mi dice: "Io sono la porta", non devo
guardare la porta.
Non devo adorare la porta perché Lui mi ha detto:
"Io sono la porta".
Se guardo da Dio la porta, devo vedere una funzione,
vedere che cosa Dio mi significa di Sé attraverso la porta.
E già. Ma se io però non contemplo l'Intenzione di Dio
quando ho capito che la porta è un mezzo per entrare in una casa non ho ancora
capito niente.
Perché che la porta sia il mezzo per entrare in una casa
va benissimo come lezione nel campo della creazione ma poi c'è tutto un campo
interiore del rapporto tra me e Dio e questo è un rapporto intimo, personale.
La porta, la casa le vedo fuori, come vedo fuori il
seminatore, vedo fuori il seme e vedo fuori il terreno e tutto quanto.
Ma tutto questo reca con sé un’intenzione che è l'Intenzione
di Dio e quest'Intenzione di Dio è un rapporto intimo, personale, tra l'anima e
Dio.
Se noi non intendiamo l'Intenzione di Dio nei riguardi
dell'uomo, della creatura (perché tutto Dio fa per l'uomo per educare l'uomo a
conoscere Dio, perché la vita vera sta nel conoscere Dio e la vita eterna sta
nel partecipare a ciò che Dio è e Dio fa tutto per condurre l'uomo a questa
partecipazione a questa conoscenza), la funzione delle creature non ci dice
niente.
L'Intenzione di Dio è questa: Dio opera ogni cosa per
farmi entrare.
Per farmi entrare!
Qui
incominciamo a scoprire la funzione della porta.
Dio opera ogni cosa per far entrare me nella sua casa.
Per far entrare me nella vita eterna, per far entrare me
nella conoscenza di Lui, per far entrare!
Il concetto di entrare è il concetto della porta.
C'è l'identità dell'Intenzione di Dio e la funzione del
segno.
E quando c'è questa identità posso leggere, sono fatto
capace di leggere.
Soltanto se parto da Dio sono fatto partecipe
dell'Intenzione di Dio e l'Intenzione di Dio mi viene soltanto da Dio.
Soltanto quindi, nella misura in cui noi ci fermiamo con
Dio, per conoscere Dio, siamo fatti capaci di leggere quello che Dio ci
significa nelle creature.
Perché è Dio che ci rivela la sua intenzione, il suo
pensiero, perché le cose sono di Dio.
Qui siamo fatti capaci di leggere.
Prima dovevamo dare il nome, adesso siamo fatti capaci di
leggere.
Cosa succede?
È l'Intenzione di Dio che si riflette sulla segnalazione,
nella funzione della creatura.
La porta ha la funzione di farmi entrare in casa e Dio
dicendomi: "Io sono la porta ", cosa mi dice?
Mi dice che Lui ha la funzione (o l'intenzione) di farmi
entrare in casa.
E cosa mi dice questo?
Mi dice una cosa stupenda: che la conoscenza di Dio,
entrare nella vita eterna, partecipare a ciò che Lui è, avviene non attraverso
le mie virtù, non attraverso i miei sacrifici, non attraverso la mia
religiosità, non attraverso dei voti, non attraverso rinunce, non attraverso
penitenze, non attraverso fede, attraverso niente di tutto questo.
Avviene soltanto attraverso Lui!!
"Io sono la porta", cioè: "Io sono il
mezzo". Io, Dio, sono il mezzo perché tu possa entrare nella conoscenza di
Dio.
Si giunge alla conoscenza di Dio per mezzo di Dio.
E questo cosa vuol dire?
Vuol dire che noi abbiamo la possibilità di pensare Dio.
E soltanto nella misura in cui noi pensiamo Dio, siamo
fatti capaci di entrare nella conoscenza di Dio.
Dio si conosce soltanto per mezzo di Dio e non per mezzo
delle creature.
Lui ci segnala questo attraverso le creature.
Attraverso le creature ci fa capire che il mezzo per
poter conoscere Dio è Dio stesso.
Questa è la grande lezione.
Qui ci ha insegnato a leggere!Questo vuol dire
raccogliere tesori in cielo.
Questo vuol dire imparare a leggere.
Soltanto nella misura in cui noi raccogliamo tesori in
cielo, il Signore lo dice, noi riceviamo mercede di vita eterna, capacità di
lettura.
La capacità di lettura si forma qui.
Dico: poi scade, perché Gesù dice:"Chi con Me non
raccoglie disperde".
Adesso noi possiamo capire cosa vuol dire
questo:"Chi con Me raccoglie", Lui è la porta, "riceve mercede
di vita eterna": entra nella vita eterna: conosce Dio.
"Ma chi con Me non raccoglie disperde": la
dispersione diventa impotenza.
Ecco per cui la cosa scade: perdi la capacità di leggere.
Eternamente tu sarai impegnato a leggere, ma ti mancherà
la capacità di leggere.
Allora Gesù
disse loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle
pecore. Gv 10 Vs 7 Riassunti
Domenica. Lunedì.
RIASSUNTI
Argomenti: La salvezza non è automatica – Dio significa Se stesso nella
creazione – Dio è la chiave di lettura – Scrutare
le scrittura – L”Io sono” di Dio – L’intenzione
permette la lettura del segno – Scegliere tra la
Vita e la Morte – L’ultimo segno – A Natale
ci viene presentato un Io che si propone ad essere pensato – L’attenzione
al Bambino – Il Pensiero di Dio in noi e nella
creazione – La vanità del tutto – Imparare a
leggere – Il tempo per imparare e leggere e il tempo per leggere – L’urgenza di dare il vero nome alle cose – Dio presente
come Verbo incarnato – Cercare di capire la Parola –
Schiavi di ciò a cui dedichiamo il pensiero – La lezione
di Adamo – Il rapporto tra Dio e la creazione e tra l’io e la creazione – Il nostro io non è principio di nulla – Avere presente
Dio come principio creatore – Precipitare nel tempo
– Raccogliere in cielo – Entrare nella
conoscenza di Dio – Disperdere – “Non vi
conosco” – Restare alla presenza di Dio – L’intelligenza
dei segni – Il falso nome delle cose in rapporto all’io – Dio/io, la creazione e la passione d’assoluto –
La realtà del Pensiero di Dio presente in noi – L’io
è effetto non causa – Dio solo ha in Sé la ragione di tutto – Il peccato d’autonomia che porta alla morte di Cristo –
L’unica libertà dell’uomo – La traduzione dall’io
a Dio – Il battesimo di giustizia -
21-22/Gennaio/1990 Casa di preghiera Fossano