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Onde Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Gv 10 Vs 7 Primo tema.


Titolo:La chiave di lettura.


Argomenti: La parabola è un giudizio anticipato. Il libro sigillato. Lettura & conoscienza.La comunicazione della persona avviene attraverso la parola. Passaggio dal segno al pensiero. Il tempo per imparare a leggere e il tempo per leggere. Intenzione & lettura. Persona & intenzione. La realtà diventa parola. Essere con un "io".


 

24-25/Dicembre/1989 Casa di preghiera Fossano.


Non avevano capito la parabola.

Abbiamo visto nel versetto sei:"Ma essi non compresero di che cosa parlasse loro".

E adesso continua dicendo "Onde Gesù disse loro".

"Onde" motivo per cui, quindi perché non avevano capito la parabola.

E poiché non avevano capito la parabola Gesù disse "Io sono la porta".

Nella parabola aveva parlato della porta dell'ovile, la porta delle pecore.

Non avevano capito.

Abbiamo visto che tutto è parabola di Dio.

L'universo, la nostra stessa vita, gli avvenimenti vicini e lontani a ognuno di noi, tutto, in quanto giunge a noi e entra nel nostro cuore, nella nostra mente, tutto è Parola di Dio che arriva a noi, quindi è proposta di Dio per noi, è parabola per noi.

Perché ogni parola che giunge a noi da parte di Dio ci propone Dio.

L'universo ci annuncia Dio.

L'universo è creazione di Dio, tanto che nessuno di noi può ignorare la creazione.

In quanto si annuncia è Parola di Dio, la parola è un annuncio e in quanto è un annuncio è una proposta.

Tutte le volte che noi riceviamo una proposta diamo una risposta e in conseguenza di questa risposta c'è la parabola.

Abbiamo i tre grandi tempi:

-Parola di Dio che arriva a noi, senza di noi, indipendentemente da noi.

-Risposta da parte nostra.

-Parabola di Dio.

Parabola con cui Dio ci presenta la valutazione della nostra risposta nella sua verità.

Abbiamo detto che è un giudizio anticipato.

Il giudizio è un rapporto.

Con la parabola Dio rapporta la nostra risposta, quello che noi abbiamo preferito alla sua proposta, ce lo rapporta alla sua verità.

Da questo rapporto scaturisce un giudizio, ma è un giudizio anticipato.

Si parla di anticipo in quanto giunge a noi in una realtà ancora diversa.

Il giudizio non è ancora la realtà, la realtà è un altra.

La realtà in cui ci troviamo sono "i buoi i campi, la moglie", sono i nostri impegni, il nostro lavoro,i nostri affari, questa è la realtà in cui noi ci troviamo.

Ma in questa realtà in cui ci troviamo giunge prima la Parola di Dio e poi giunge la parabola di Dio come giudizio anticipato.

Giudizio anticipato prima del giudizio che si realizza, perché a un certo momento scompaiono "i buoi, i campi, la moglie", scompaiono i nostri impegni, il nostro lavoro e i nostri affari.

Scompare tutto e si realizza il giudizio.

Dio anticipa a noi il giudizio.

Dio anticipa questo rapporto tra la nostra risposta, cioè ciò per cui noi viviamo e la sua verità, è un atto di misericordia, per dare a noi la possibilità di rivedere.

Tutto è parabola.

Qui però ci dice:"Non capirono di che cosa parlasse loro".

Non capirono allora e non capiamo adesso.

Ancora adesso si dice che tutto è parabola di Dio: l'universo è parabola di Dio e i fatti di ogni giorno sono parabole di Dio ma non capiamo.

Tanto che nell'Apocalisse si presenta il libro sigillato dentro e fuori.

L'universo è questo libro sigillato dentro e fuori.

La nostra vita è questo libro sigillato dentro e fuori.

Tutti gli avvenimenti che accadono per noi sono questo libro sigillato dentro e fuori.

Nell'Apocalisse si dice:"Ed io piangevo molto perché non si trovava nessuno che potesse leggere questo libro".

Non si trovava nessuno.

Questo pianto rappresenta la tristezza profonda di ogni uomo che si trova di fronte a qualche cosa che non riesce a capire.

La caratteristica dell'universo in cui ci troviamo, del mondo e della nostra vita è di trovarsi di fronte a delle cose che non capiamo.

Questo pianto di Giovanni di fronte a questo libro sigillato dentro e fuori che nessuno può aprire e leggere, rappresenta il pianto della nostra anima quando non riesce a capire.

Noi siamo fatti per capire e il non riuscire a capire è la tristezza più profonda.

Anche se ridiamo e ci divertiamo da mattina a sera, noi portiamo questa tristezza profonda fintanto che non riusciamo a capire.

Però proseguendo nell'Apocalisse viene detto: "Ho trovato Uno che apre i sigilli e che può leggere questo libro e quest'Uno è l'agnello sacrificato".

Dice che è fatto capace di leggere il libro perché è morto per noi.

Qui Gesù dice: "Io sono la porta".

Il tema di oggi è la chiave di lettura.

Perché se il problema della vita essenziale è giungere alla conoscenza di Dio, quindi alla conoscenza della verità, la nostra salvezza sta nel conoscere la verità, nel conoscere Dio.

Noi non vogliamo capirlo ma la nostra salvezza sta nel conoscere.

La vita eterna sta nel conoscere.

"Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la verità".

Quindi la salvezza sta nel conoscere la verità.

Se il problema della nostra salvezza è il problema della conoscenza di Dio, il problema essenziale per ognuno di noi è quello di capire, di imparare a leggere.

Leggere le parole che Dio, tutti i giorni scrive nella nostra vita.

Perché soltanto imparando a leggere, noi giungiamo a conoscere.

È Dio che si rivela a noi, ma se si rivela a noi, si rivela annunciandosi, parlando con noi.

Ed è importantissimo per noi ascoltare le sue parole, meditare le sue parole, approfondire le sue parole, capire le sue parole, perché lì è la strada della nostra salvezza per giungere a conoscere.

Una persona si giunge a conoscerla soltanto se la si ascolta e si custodiscono le sue parole e si ha interesse per capire le sue parole.

Altrimenti c'è un abisso tra una persona e l'altra.

C'è l'incomunicabilità.

È assolutamente impossibile conoscere una persona, se quella persona lì non parla a noi, ma è altrettanto impossibile conoscere una persona se noi non ascoltiamo le sue parole e non cerchiamo di capirle.

La comunicazione della persona avviene attraverso la parola.

Gesù dice:"Sarete veri miei discepoli se resterete nelle mie parole".

Si rimane nelle parole soltanto in quanto si cerca di capirle.

Dal momento che tutto l'universo è parabola, è cioè segno di Dio per noi, il problema essenziale è intendere il significato delle Parole di Dio.

Noi non ci preoccupiamo di arrivare al significato delle cose.

Al massimo diciamo:"Chissà cosa vuol dire?".

E restiamo lì.

Non preoccuparsi di capire, è non preoccuparsi di vivere.

Privandoci del significato delle cose, noi ci priviamo del senso e del significato della nostra stessa vita.

E se non giungiamo a vederne il significato in Dio, tutte le cose perdono di significato.

Quando le cose e la vita non hanno più significato per noi, non vale più vivere.

Non si può vivere per una cosa che non ha significato.

Una vita senza significato non è sostenibile.

È insopportabile.

Noi non preoccupandoci di capire, ci priviamo dell'anima stessa della nostra vita, di quello che sostiene la nostra vita.

Cosa vuol dire capire? E come si fa capire?
Tutto è scrittura di Dio e Gesù ci dice di scrutare le scritture, scrutare vuol dire penetrare:"Parlano di Me".

Ce lo dice apertamente, tutte le cose parlano di Lui.

D'altronde è logico, Dio è il Creatore.

Lui solo è.

Lui è Colui che è.

E se Lui solo è, Lui in tutte le sue opere (tutto è opera sua), non fa altro che parlare di Sé a noi.

E Lui dice:"Scrutate le scritture, parlano di Me".

Perché ci dice:"Scrutatele"?

Perché evidentemente soltanto scrutandole noi giungiamo a conoscere Lui: "Parlano di Me" e conoscere Lui per noi è vita, è vita vera, è vita eterna.

Cosa vuol dire capire e cosa vuol dire saper leggere?

Leggere significa passare dai segni all'intenzione di colui che scrive, vedere il pensiero di colui che scrive.

La parola, il segno, la parabola sono comunicazioni.

Ora, in quanto è comunicazione noi dobbiamo preoccuparci di passare attraverso questo mezzo, per arrivare al pensiero di colui che scrive queste parole.

Colui che scrive le parole è il Creatore.

Tutto ciò che avviene è opera del Creatore.

Quindi Colui che scrive davanti ai nostri occhi tutte le cose è Dio.

Imparare a leggere e capire le cose di Dio, vuol dire arrivare a vedere il Pensiero di Dio, l'Intenzione di Dio

Altrimenti non abbiamo imparato a leggere.

Per cui la nostra vita è fatta di due grandi tempi.

Il tempo per imparare a leggere e il tempo per leggere.

Il tempo per imparare a leggere è un tempo che scade.

Noi non abbiamo tempo all'infinito per imparare a leggere.

Leggere vuol dire giunge all'intenzione, al pensiero di colui che parla.

Ma è assolutamente impossibile passare dai segni all'intenzione di colui che parla se noi non abbiamo già conosciuto l'intenzione e il pensiero di colui che parla.

È assolutamente impossibile passare dai segni all'intenzione dell'autore di quei segni, a meno di lavorare di fantasia.

Ma se noi lavoriamo di fantasia, proiettiamo la nostra intenzione e la nostra intenzione non è mai l'intenzione dell'altro, non è mai l'Intenzione di Dio.

Noi proiettiamo la nostra intenzione, sui segni sulle parole, sulla scrittura che Dio scrive per noi e questo vuol dire caricarci di dubbio.

Perché tutto quello che rivestiamo con le nostre intenzioni, i nostri pensieri, non ci porterà mai nella certezza che ciò che noi riteniamo intenzione dell'altro sia realmente l'intenzione dell'altro.

Noi possiamo entrare nella certezza soltanto se dall'altro noi riceviamo la sua intenzione.

L'intenzione, il Pensiero di Dio, non si conosce nella scrittura, non si conosce nelle opere, non si conosce nelle parole, non si conosce nei segni, si conosce soltanto dalla Persona di Dio.

Soltanto dalla persona io conosco l'intenzione.

Perché l'intenzione di una persona è effetto di ciò che quella persona lì è.

È soltanto nella misura in cui io sto con quella persona e stando con quella persona osservo, vedo, capisco che cosa lei significa nei segni, che cosa vuole comunicarmi facendomi dei segni che io ho, poi dopo, la possibilità di passare dai segni alla sua intenzione, altrimenti non posso nel modo più assoluto.

Cioè, solo guardando da Dio io ho la possibilità di conoscere l'Intenzione di Dio, il Pensiero di Dio.

E nella misura in cui conosco l'Intenzione di Dio e vedo come Dio lega questa sua intenzione alle cose, ho la possibilità di passare dalle cose alla sua intenzione, altrimenti non posso, nel modo più assoluto, perché debbo lavorare di fantasia.

Questo ci fa capire che quanto più uno sta con Dio e osserva Dio e sopratutto conosce il Pensiero di Dio da Dio, ha la possibilità di intendere il Pensiero di Dio nelle opere di Dio.

Solo da Dio.

Cosa vuol dire?

Abbiamo detto che il tempo per imparare a leggere è condizionato (ha un fine) dal fatto che in noi è presente una realtà diversa da Dio e fintanto che abbiamo una realtà diversa da Dio, per noi è tempo per imparare a leggere.

Ma arriva certamente un momento, giorno per giorno arriva, in cui tutta la realtà sensibile in cui noi ci troviamo diventa parola.

Pura Parola di Dio.

Come diventa pura Parola di Dio è scaduto il tempo per noi, per imparare a leggere.

A quel punto lì se noi non abbiamo imparato a leggere, noi ci troviamo di fronte a un muro.

Tutto è Parola di Dio e noi non capiamo assolutamente niente.

Di fronte alla parola noi non possiamo passare dal segno all'intenzione di colui che scrive.

Se io non ho imparato prima la lingua, nel modo più assoluto, io non posso passare dalla parola scritta in quella lingua, al pensiero di colui che scrive in quella lingua.

Quindi c'è una scadenza chiara ben netta e ben definita.

"Passeranno i cieli e la terra ma le mie parole non passeranno".

Questo non vuol dire quello che solitamente noi intendiamo.

Vuol dire che il cielo e la terra, cioè tutto il nostro mondo sensibile si tramuta Parola di Dio, diventa Parola di Dio.

Ma se noi non abbiamo imparato a leggere quando non era ancora Parola di Dio, quando era segno di Dio, quando era realtà sensibile per noi, adesso ci è impossibile imparare a leggere.

Perché era in quel punto lì che a noi veniva data la possibilità di imparare a leggere.

Se guardiamo le cose da Dio, col Pensiero di Dio, si forma l'associazione tra il segno e l'Intenzione di Dio.

Ma come questa realtà qui diventa parola e Parola di Dio, se noi non abbiamo imparato a leggere, noi siamo chiusi fuori, non possiamo più leggere.

La grande tristezza.

Il libro sigillato dentro e fuori.

Il che vuol dire che tutto ciò che esperimentiamo diventa Parola di Dio.

Ma anche tutto quello che avviene dentro di noi, questo mondo infinitamente più vasto del mondo esteriore che osserviamo, tutto questo mondo dentro di noi, diventa pura Parola di Dio.

"Passeranno i cieli e la terra ma le mie parole non passeranno".

Quelle restano, tutto il resto passa.

Questo ci fa capire che quello che passa è la parabola (giudizio in anticipo).

Parola di Dio e parabola.

In anticipo perché?

Perché noi impariamo a leggere.

Tutta quella realtà su cui noi sosteniamo la nostra vita diventa parola perché?

Perché muta.

Ogni mutazione di avvenimento o di creatura, ogni cambiamento, trasforma tutto in Parola di Dio.

Noi siamo fatti per l'Assoluto e come la realtà davanti ai nostri occhi subisce un mutamento diventa in noi istanza, bisogno di una giustificazione.

Altrimenti diventa per noi motivo di morte, di tristezza, non capiamo più niente, perdiamo il significato.

Le cose stanno diventando per noi, bisogno, esigenza, costrizione di un significato, un significato per giustificare il cambiamento.

Noi siamo fatti per l'Assoluto e non sopportiamo il cambiamento.

Così la realtà diventa parola ma se noi non abbiamo imparato a leggere prima, noi ci troviamo davanti a un muro impenetrabile.

In cui noi possiamo lavorare di fantasia e su queste fantasie fondare tutte le nostre leggi e le nostre ideologie.

Ma noi costruiamo sull'utopia, perché sono proiezioni di nostri sentimenti, di nostri pensieri, di nostre intenzioni.

Tutti i nostri pensieri, desideri, intenzioni, non si confonderanno mai e non saranno mai l'intenzione e il Pensiero di Dio.

"I miei pensieri non sono i vostri, la mia volontà non è la vostra, le mie intenzioni non sono le vostre".

Non essendo la nostra intenzione la stessa di Dio, noi ci carichiamo d'incertezze, di dubbi.

Se noi vogliamo attingere invece la certezza, noi la dobbiamo attingere da Dio.

E solo da Dio.

Allora il problema per imparare a leggere è la chiave di lettura.

Qui Gesù lo dice apertamente che non avevano capito la parabola.

"Onde", motivo per cui Gesù disse:"Io sono la porta", ecco la chiave di lettura.

I discepoli non avevano capito ma dovevano capire, perché in tutte le cose Dio non fa altro che significare Se Stesso.

"Io sono la porta!".

Cosa vuol dire questa porta?

Porta è il mezzo attraverso cui si entra, si entra e si esce.

Ecco il campo dei segni.

Dio nel campo dei segni significa Se Stesso, per noi.

Il problema nostro è quello di entrare, entrare nella luce, nella verità.

E allora Lui apertamente dice:"Io sono la porta".

È il suo "Io" la porta.

Il Pensiero di Dio.

Se io penso a un "io", io non posso far altro (lo posso fare solo col pensiero) che portarmi a guardare dal punto di vista dell'altro.

Perché un "io" è soltanto il pensiero di ciò che ha presente.

E se io voglio essere con quell'"io" lì, debbo avere presente quello che lui ha presente, altrimenti non sono con quel"io", sarò con i segni di quel"io", con il corpo di quell'"io" ma non sono con quel "io" lì.

Nel modo più assoluto.

Io non posso essere con una persona, se non posso guardare, vedere, quello che quella persona lì ha presente.

Qui siamo puramente nel campo del pensiero.

Io posso essere col fisico di una persona, ma non sono con quella persona, perché il fisico non è la persona.

Io posso essere nella stessa casa di una persona ma non sono con la persona.

La persona vive essenzialmente nel pensiero e il pensiero rappresenta ciò cui guarda.

E l'"Io" del Cristo, del Figlio di Dio è sguardo al Padre.

Fintanto che noi non ci portiamo, quindi a guardare dal punto di vista dell'Altro, per avere presente quello che ha presente l'Altro, noi non intendiamo niente dell'Altro.

Lui dicendoci:"Io sono la porta", ci dà nelle mani la chiave per leggere tutte le sue opere.

Evidentemente dicendo:"Porta=Io", ci fa capire che non soltanto la porta ma anche il seminatore, il campo di grano, le onde del mare sono tutto Dio.

È Dio che significa Se Stesso in tutto, è Dio che parla di Sé in tutto.

Questa diventa per noi la chiave di lettura.

Quando io conosco l'intenzione e il pensiero di un "io", io ho la chiave per capire tutte le sue parole.

Solo conoscendo l'intenzione di una persona, noi abbiamo la possibilità di capire il significato di tutte le cose che fa quella persona e di tutte le cose che dice quella persona, altrimenti noi siamo chiusi fuori.

Qui Gesù, siccome non avevano capito la sua parabola, disse:"Io sono la porta".

E metteva nelle loro mani la chiave di lettura delle sue parole.

Stiamo attenti che la cosa può essere tragica, perché questo fatto avviene per ognuno di noi.

I tre grandi tempi della vita sono:

Parola di Dio a noi, quindi proposta.

Risposta da parte nostra.

Parabola cioè giudizio anticipato.

Giudizio anticipato, vuol dire prossimamente giudizio realizzato.

Quando non avendo noi capito, Gesù dice:"Io sono la porta", ci dà nelle mani la chiave di lettura, stiamo attenti che chi ha la chiave in mano ha una responsabilità tremenda, perché vuol dire che lui può aprire e chiudere.

Dio ponendo in mano a noi la chiave per leggere le sue opere, dicendo :"Io sono la porta", ci mette nella possibilità di aprire ma ci mette anche nella possibilità di restare fuori.

Perché se noi non apriamo....

Questo è l'ultimo segno.

Non c'è più altro segno,....può essere tragico.

Mette nelle nostre mani la possibilità.

Avendo io la chiave in mano, posso non aprire.

È l'ultimo segno, dopo non c'è più niente, dopo che Lui mi ha detto:"Io sono la porta".

Dicendomi:"Io sono la porta", mi dice che tutte le cose che accadono, tutte le creature sono tutte significazione di Lui.

Detto questo ha detto tutto.

A questo punto qui, se io non apro, resto nettamente chiuso fuori.

Ci presenta la chiave di lettura, il problema del Natale.

Proprio a Natale abbiamo Gesù che dice:"Io", ci presenta questo "Io" qui.

Si fa oggetto del nostro pensiero.

Facendosi oggetto del nostro pensiero, si propone ad essere nostro pensiero.

Lui a Natale ci presenta questa chiave di lettura, ci mette nelle mani questa chiave di lettura, per dare a noi la possibilità di capire come dobbiamo guardare tutte le cose.

Lui si presenta come oggetto del nostro pensiero, per diventare nostro pensiero.

Affinché noi abbiamo a guardare tutte le cose dal suo punto di vista.

Perché quando una cosa diventa nostro pensiero, noi osserviamo tutte le cose da quel punto di vista lì.

Dio opera in tutte le cose per rendersi presente a noi.

Dà così a noi la chiave per intendere il significato di tutte le cose.

Il significato è Lui.


A.: Nella parabola Gesù anticipa il giudizio su come noi abbiamo risposto alla sua proposta. E bisogna imparare a leggere, c'è un tempo per imparare a leggere e un tempo per leggere. Il tempo per imparare a leggere scade e scade quando la nostra realtà muta e diventa Parola di Dio.

Le Parole di Dio restano eterne.

Io eternamente posso venirmi a trovare nell'impossibilità di leggere ed è una grande tristezza.

Attualmente anche se non capiamo, noi ci consoliamo col fisico: "Io non capisco il Natale ma mangio il panettone", mi consolo, eternamente io non mangerò il panettone, mi resta la tristezza dell'anima dovuta al non capire il Natale.

Quindi il problema centrale del Natale non è mangiare il panettone ma capire il Natale.

Perché questo determinerà tutta la nostra persona: il capire e il non capire, perché la salvezza sta nel conoscere.

Se non ho imparato a leggere quando avevo tempo, io non posso leggere, quando tutto diventa Parola di Dio, io non posso più leggere.

Se a quel punto lì, quando tutto diventa Parola di Dio, io dentro di me non ho già la chiave di lettura non posso leggere.

Io non posso passare dal segno al pensiero, il demonio lavora di fantasia, ma sarà sempre la sua fantasia, può anche pensare Dio ma nella sua fantasia, non sarà mai sicuro e non può essere sicuro, perché è una proiezione.

E come se io ti dicessi che tutte le volte che sposto questo registratore da destra a sinistra, lo faccio per comunicarti questo mio pensiero, questa mia intenzione e tutte le volte che vedi che io sposto il registratore tu capisci che io ho una certa intenzione ma, soltanto io posso fare questo e fintanto che c'è il registratore, una realtà diversa, questo registratore diventa un mezzo comune per comunicare un mio pensiero: tutte le volte che mi vedrai spostare questo registratore tu capirai il mio pensiero. Il giorno in cui non c'è più il registratore, non c'è più la comunicazione e se io non ho capito l'intenzione dell'altro prima non posso più passare.

L'importante è imparare a leggere fintanto che c'è questa realtà.

Ma questa realtà sensibile diventa parola.

Non è che sparisce questo registratore e mi restano le parole, è questo registratore che diventa parola.

Quando questo diventa parola, se io non sono passato al significato, perdo ogni valore in questa cosa qui, non ha più senso, perché quello che dà senso è l'intenzione, l'intenzione con cui uno veste questa cosa qui.

A.: E se io non conosco quest'Intenzione di Dio già prima...

Resti tagliata fuori.

Per cui il tempo per leggere scade, il leggere invece diventa eterno.

Ma ognuno è fatto capace di leggere, soltanto nella misura in cui ha imparato a leggere, quando c'era una realtà diversa da Dio.

C'era Dio e c'era una realtà diversa da Dio.

La realtà diversa sono i buoi, i campi e la moglie.

Fintanto che ci sono i buoi, i campi e la moglie, Dio mi fa arrivare la sua parola.

E mi dà la possibilità di legare i buoi, i campi e la moglie alla sua parola e passare al significato ma, se io preferisco i buoi, i campi e la moglie, questa realtà alla quale io sacrifico il Pensiero di Dio mi impedisce di avere la chiave di lettura.

A.: Poi vedendo che non abbiamo capito, ci dice: "Io sono la porta".

Ma quando ci dice questo, questo è l'ultimo segno e può diventare una tragedia, perché altri segni non ce ne sono più.

Il che vuol dire che mi mette Se Stesso nelle mani.

A quel punto lì, se io non apro, non ce nessuno che apra per me.

Perché mi ha messo la chiave nella mani, non so se mi spiego.

Perché per aprire con questa chiave qui, io debbo guardare le cose dal punto di vista di quel "Io" lì.

Di quel "Io" lì!

Dicendo: "Io sono la porta", mi mette la chiave di lettura nelle mani, il che vuol dire che io devo guardare tutte le cose con il pensiero dell'altro, perché è un "Io" e soltanto se io guardo con ciò che Lui ha presente io riesco, altrimenti no.

Dicendomi: "Io sono la porta", Lui mi mette tutto Sé nelle mie mani.

Ma è l'ultimo segno, non ci sono più altri segni.

B.: Più sto con una persona e più la capisco.

È la persona che m'insegna a leggere.

Nella misura in cui io sto con un inglese, io imparo a leggere l'inglese, perché?

Perché associo da lui.

Lui mi dice: "Io questa cosa qui la chiamo così, quella cosa là la chiamo cosà" da lui io imparo con certezza ma se io trovo una parola inglese senza conoscerne il significato, io posso solo lavorare di fantasia ma resterò sempre nell'incertezza.

Tutto è segno per dire che soltanto nella misura in cui noi stiamo con Dio e guardiamo da Dio, noi capiamo, noi lì abbiamo la possibilità e impariamo a leggere, perché associamo.

Leggere è un processo di associazione.

Nella misura in cui noi stiamo con Dio e guardiamo da Dio, noi impariamo a leggere.

C.: I segni mi comunicano quello che Dio è?

Tutti i segni che Lui mi fa arrivare, me li fa arrivare per annunciarmi la sua esistenza.

È una persona che mi manda dei fiori, mandandomi i fiori mi fa capire che c'è uno che manda dei fiori ma, non so ancora chi sia quest'uno che mi manda i fiori.

Quindi i segni che Lui mi manda, me li manda per annunciarmi che Lui c'è.

Per dirmi: "Interessati di Me".

Ma questo non è ancora imparare a leggere.

Soltanto se adesso alzo gli occhi a Lui, a Colui che fa tutte le cose nella mia vita e mi interesso di Lui, da Lui io imparo a leggere.

Mi spiego o no?

È da Lui che si impara a leggere.

Non sono io che imparo a leggere.

È soltanto guardando Lui che da Lui conosco il suo pensiero, la sua intenzione e quando conosco l'intenzione di Colui che opera ho la capacità di leggere.

Leggere vuol dire passare dal segno all'intenzione.

Ma non posso passare dal segno all'intenzione di uno se, non sono passato dall'intenzione al segno.

Io ho fatto scioccamente l'esempio del registratore: ogni volta che lo sposto a destra ho una certa intenzione, allora chi mi osserva, se mi ha ascoltato capisce la mia intenzione ogni volta che sposto il registratore.

Ma se vede il registratore posto in un posto diverso dice: "Chissà che intenzione avrà?", può lavorare di fantasia ma non capirà mai con certezza la mia intenzione.

L'intenzione è propria della persona, il pensiero è proprio della persona, perché è espressione di quello che la persona è.

E una persona è inconfondibile con un altra persona.

Per cui se io non sto con quella persona, io nel modo più assoluto non posso conoscere quell'intenzione lì.

Perché l'intenzione è propria di una persona.

Quindi la chiave di lettura che è l'intenzione di una persona, la posso ricevere soltanto dalla persona stessa.

Non dai segni e dalle opere che fa quella persona.

Conoscendo l'intenzione adesso sono fatto capace di intendere i segni di quella persona.

C.: Il segno è questa proposta...

In un primo tempo il segno serve soltanto per farmi fare attenzione a Lui.

E se faccio attenzione a Lui, da Lui conosco il suo pensiero e la sua intenzione e poi dopo allora Lui mi parla e parlandomi mi dà la possibilità di restare sempre con Lui.

Perché io posso restare con una persona se capisco quella persona lì, ci vuole l'intelligenza di quella persona, altrimenti io mi separo da quella persona, io resto diviso perché Lui mi parla e io capisco niente.

Tutte le parole che Lui mi dice dopo che ho conosciuto la sua intenzione e il suo pensiero, me le dice per farmi restare con Lui, per mantenermi unito a Lui, per convocarmi in continuazione al suo volto, alla sua presenza.

Ma questo presuppone che io abbia capito il suo pensiero, altrimenti no.

Altrimenti tutte le parole che Lui mi dice sono: "Via da Me, via da Me, via da Me", tutte le parole che Lui mi dice, mi allontanano da Lui.

Non mi avvicinano a Lui.

D.:Fino a quando abbiamo presente la realtà sensibile, noi abbiamo la possibilità di conoscere Dio.

Aspetta un momento, perché la realtà sensibile mi diventa parola.

D.: Ma mentre non è ancora parola.

Ecco, mentre non è ancora parola.

Perché la realtà sensibile arriva a me senza di me ma, si trasforma in parola senza di me.

Per cui a un certo momento diventa parola.

A un certo momento mi accorgo che la cosa non mi dice più niente, è a quel punto lì che io non capisco più.

Perché io ho la possibilità di imparare a leggere fintanto che la cosa è per me realtà.

Ma quando quella cosa si carica di un'istanza di un significato, è già diventata una parola.

Quando una cosa cambia mi chiedo perché è cambiata

La parola è istanza di un significato.

Mentre il mondo attualmente si è ubriacato di figure, perché?

Perché le figure non sono significato, le figure valgono di per sé.

Il mondo è ubriaco di questo, non si cerca più la parola, non si cerca più il significato delle cose.

Per il mondo quella è la realtà.

D.: Comunque fintanto che c'è questa realtà c'è un sostegno.

Noi siamo fatti di realtà ma debbo affrettarmi perché mentre c'è questa realtà qui, in questa realtà c'è la Parola di Dio.

Se io trascuro la parola, ben presto questa realtà qui mi diventa parola stessa.

E io non la capirò più.

"Non sempre avrete Me", "Fintanto che Io sono nel mondo" è Lui Parola di Dio nel mondo che mi associa la realtà con il pensiero.

La porta? Lui mi dice: "Guarda che la porta sono Io, significa Me Stesso".

Però Lui mi dice anche: "Per poco la luce è con voi".

"Affrettatevi a camminare fintanto che la luce è con voi, affinché le tenebre non vi sorprendano".

Cosa sono queste tenebre che ti sorprendono?

È che tutto diventa Parola di Dio.

E come tutto diventa Parola di Dio, io resto fuori se non ho imparato a leggere.

Quando mi dice che un albero è un albero io mi accontento dell'albero ma quando quell'albero mi diventa Parola di Dio e mi significa qualcosa di Dio, io sono messo fuori se non ho imparato a leggere, se non ho la chiave di lettura.

Per questo il Signore dice: "Le tenebre vi sorprendono", ma le tenebre sono le parole stesse di Dio se io non ho imparato a leggere prima.

D.: Quindi fintanto che Lui è con me mi spiega le sue parabole.

Ma vedi, Lui la parabola la dice a tutti, poi il significato lo rivela personalmente in privato.

Il che vuol dire che si richiede il silenzio personale, si richiede l'interrogazione personale, il raccoglimento personale.

Perché la parabola la dice a tutti ma, il significato della parabola lo dà soltanto a chi è dentro, cioè a chi guarda Dio.

A un certo momento Lui dice: "Sono Io, tutte le cose rappresentano Me Stesso", a questo punto qui mi ha messo tutto nelle mani e se a questo punto qui io non apro è finita.

Non c'è più un altro segno, non posso aspettarmi un altro segno.

Tu capisci che quando ha detto: "Io" ha detto tutto?

Hai capito?

Diventa una tragedia, perché fintanto che apre Lui noi siamo a posto ma quando Lui mi si mette nelle mani e sono io che devo aprire, hai voglia!

E.: L'importanza di Dio che si fa oggetto del nostro pensiero.

Lui si fa oggetto del nostro pensiero per diventare nostro pensiero.

Nel mondo in un primo tempo abbiamo tutte le creature che parlano a noi.

Nel secondo tempo, tutte le creature parlano a noi di Dio.

Nel terzo tempo, Dio parla a noi in tutte le creature.

I primi due tempi scadono presto.

Le creature parlano con noi e noi crediamo che la realtà siano le creature, gli uomini, attribuiamo tutto agli uomini.

Ma arriva presto il tempo in cui ci accorgiamo che le creature parlano di altro, non guardano noi e diventa tutta problematica la vita: tutte le creature ci parlano di Dio.

Ma anche qui, fintanto che noi guardiamo a Dio, non arriviamo mica alla verità.

Dobbiamo arrivare al Dio che parla a me in tutto.

C'è un unico essere, un unico Creatore, un unico verbo che parla in tutto.

Dio parla con me in tutto.

È lì che bisogna arrivare.

Perché solo quando Dio parla a me in tutto, in Dio e da Dio io ho la chiave di lettura.

Perché è Lui che mi sta parlando di Sé in tutto.

F.: "Perché in verità vi dico: Finché il cielo e la terra non passeranno, neppure un iota, o un solo apice della legge passerà, prima che tutto sia adempiuto", sono due scadenze, finché non passerà il cielo e la terra...

Io ho la possibilità di imparare a leggere.

Poi a un certo momento scadono cielo e terra e tutto diventa Parola di Dio.

Lì non ho più la possibilità di imparare a leggere.

Perché lì saprò leggere soltanto per quello che avrò imparato a leggere.

La legge vale fintanto che ci sono cielo e terra.

La legge, perché è la legge che ti dice: "Impara a leggere".

Cosa leggi tu nella legge?

Perché la legge è per insegnarti a leggere.

F.: La legge mi deve portare a un pensiero.

Ecco, ti deve portare a questo, perché è tempo per imparare la chiave di lettura, per imparare a leggere.

Poi a un certo momento sarai costretto a leggere.

F.: Quando tutto sarà compiuto.

Tutto compiuto vuol dire tutto trasformato in Parola di Dio.

E come tu quando studi inglese, arriverà un momento in cui tu, necessariamente ti trovi a Londra.

Tu riuscirai a capire gli inglesi, solo nella misura in cui avrai studiato, chiuso.

Adesso a Londra non puoi più imparare.

Lì a Londra intendi soltanto in base a quello che tu hai interiorizzato.

Arriva certamente un momento in cui tutto diventa parola.

Ora, fintanto che tu prima, puoi associare una tua realtà con una parola, hai possibilità di interiorizzare e quindi di imparare a leggere.

Ma, arriva un certo momento in cui la realtà tua sparisce e diventa tutto parola straniera.

Tu in questo punto qui riesci a leggere solo nella misura in cui hai studiato prima.

La legge c'è fintanto che hai la tua realtà.

La legge ti dice: "Non vivere per i buoi, i campi e la moglie, cerca Dio con tutto il tuo cuore", questa è la legge.

Interessati di Dio, perché tutta la realtà in cui noi ci troviamo è per dirci: "Dio c'è".

Occupati di Dio perché soltanto da Dio si impara a leggere, perché si impara a leggere conoscendo l'intenzione di colui che opera, di colui che scrive.

Se io non conosco il pensiero di colui che scrive, io non riuscirò mai a passare da ciò che Lui scrive al suo pensiero.

F.: La legge ha la funzione di farmi guardare a colui che...

A Colui che può essere il maestro.

Perché il maestro è colui che ti insegna a leggere e il maestro è uno solo.

Quindi io devo affrettarmi a guardare a questo maestro che mi insegni a leggere, che mi insegni ad associare i buoi, i campi, la moglie, la porta, l'ovile, le pecore con Dio, perché è Lui che mi dice: "Guarda che con la porta, Io significo questo, guarda che con il campo Io significo questo, guarda che con l'agricoltore Io significo questo", Io imparo da Lui, Lui è il Maestro, e cosa fa il maestro? Il Maestro ti insegna ad associare, ti insegna la grammatica.

Non siamo mica noi che impariamo, noi impariamo in quanto l'altro mi fa le associazioni tra il segno e la realtà.

E noi impariamo ascoltando l'altro.

F.: Se no arriva un momento...

Tutto è segno e tu impari da colui che ti fa le associazioni e chi ti fa le associazioni è il maestro, è Colui che crea tutte le cose.

È Lui che opera e che operando ti dice: "Questa cosa qui significa questo di Me e questa significa quest'altro" e allora impari a leggere.

F.: Se no, mi trovo davanti a un segno e non conoscendone il significato lavoro di fantasia.

E lì resti fregato.

Lì costruisci e a un certo momento scopri di aver costruito tutto sull'utopia.

Ti crolla tutto, perché non sta su.

È il crollo del mondo comunista di questi giorni qui.

Costruito sull'utopia, sui falsi valori, a un certo punto crolla, è inevitabile che crolli, non può farne a meno di crollare ma, questo avviene anche nella vita di ognuno di noi personalmente.

Questo crollo avviene su scala mondiale e su scala personale.

Per questo bisogna affrettarsi perché il tempo scade.

G.: L'importante è imparare a leggere, quando ancora Dio mi sta parlando...

Ma Dio ti parlerà eternamente.

Dio ti parla eternamente.

Importante è imparare a leggere quando io ho i buoi, i campi, la moglie, quando io ho la carriera, ho la famiglia, ho tutto un mondo che mi interessa, è lì che devo imparare a leggere.

Perché questo mi scade, è lì.

Perché Dio mi parla sempre, mi parla in tutto, sono io che resto fuori.

Il tempo per imparare a leggere è brevissimo.

G.: E la cosa straordinaria è quando Dio mi fa capire che Lui è la porta. Mi dà cioè la chiave nelle mie mani: "Io in tutto significo Me Stesso". Quello è il momento determinante...

È l'ultimo segno. Non hai più altri segni, resti bruciata.

G.: Cristo che muore in croce è anche l'ultimo segno, è sempre il suo Io che mi dice: "Io sono morto per te".

E non devo proiettare il mio io sulla sua morte ma, devo cercare di capire.

Se è l'ultimo segno vuol dire che è ancora per recuperarmi, perché tutte le altre parabole precedenti non le ho capite.

Anche se non capisco la parabola (giudizio anticipato) ho ancora una speranza.

Guarda che questo qui diventa giudizio reale.

Qui non siamo più nel giudizio anticipato.

Dicendoti: "Io...." qui siamo nel giudizio.

G.: Ma quando dice: "Io" non è sempre parabola?

L'Io non è una parabola, l'Io è una persona.

Questo è l'ultimo segno e dopo l'ultimo segno può diventare una tragedia per noi.

G.: Essendo segno è ancora per salvarmi, non è ancora parola se è segno.

L'Io è una persona.

G.: Ma allora perché dici ultimo segno?

Appunto perché è la chiave di lettura che ti mette nelle mani.

A questo punto qui non ti dà più niente.

G.: Ma quando me lo dà non è già parola?

Cosa significa questo? L'Io è una persona.

G.: Ma hai detto che è l'ultimo segno...

È l'ultimo segno perché oltre non c'è più niente.

Il che vuol dire che t'ha dato nelle mani la chiave di lettura, se tu non apri con questo, sei chiusa totalmente fuori.

G.: Quando Lui mi dice "Io" non è detto che io sia già fuori. Se mi dà questa chiave, questa è l'ultima chance per aprire, poi non ho più altre possibilità.

Oltre all'Io non c'è nessuna altra possibilità.

Quando Dio si mette nelle tue mani, oltre all'Io non c'è più nessuno.

G.: Ma quando si mette nelle mie mani è per darmi la possibilità di aprire, se non apro non ho nessuna possibilità.

Ma tu capisci cosa vuol dire aprire? Aprire con l'Io? Con l'Io? Guarda che diventa una tragedia.

A.: L'agnello può aprire perché è morto per noi.

Si è messo nelle mie mani e io sono capace di aprire con l'Io di Dio?

Non ho più nessun altro segno.

H.: La misericordia di Dio è infinita e fa di tutto per illuminarci.

Mette il suo Io nelle nostre mani.

Il problema del Natale è che ci viene presentato come Dio è presente in noi: come un bambino messo nelle mani della madre.

Ecco la chiave "Io sono la porta". Mette la chiave di lettura nelle mie mani.

Il problema di Natale è un bambino appena nato, tutto affidato alle mani della madre.

Il che vuol dire che è difficilissima la cosa, poiché è tutto affidato alle nostre cure.

Se fosse un fiore...

Una volte Madre Teresa di Calcutta parlando dei problema dei bambini disse: " I bambini sono come dei fiori, chi mai si è lamentato per l'abbondanza dei fiori sulla terra?", qualcuno obbiettò: "D'accordo ma i fiori non sporcano e non si sporcano".

I bambini sporcano e si sporcano.

Il guaio è questo che noi il più delle volte, di fronte a questo Bambino che sporca e che si sporca, noi buttiamo via tutto, perché non è un fiore.

Perché il bambino sporca e si sporca.

I.: Il Pensiero di Dio è questo bambino che mi viene dato a Natale.

È l'Io di Dio.

Togliamo le sovrastrutture e tutto quanto, di fronte al Natale cosa c'è? Dio e noi.

Un bimbo piccolissimo e cosa vuol dire questo? Lui si offre ad essere oggetto del mio pensiero.

Semplicissimo, Lui di fronte al mio pensiero.

Togliamo tutto il resto, cosa resta? Il mio pensiero e Lui, Lui che si offre ad essere mio pensiero.

Lui che mi chiede di farsi mio pensiero, tutto lì.

Ma se Lui diventa mio pensiero, Lui diventa la mia vita.

Perché guardando Lui come oggetto del mio pensiero, non posso non pensare che Lui è il mio Creatore e che Lui è il principio di tutto.

Lui è il principio stesso del mio pensiero, quindi è Lui che mi fa vivere.

Io credo di essere io a sostenere e pensare Lui, è Lui che si fa pensare da me, per farmi rendere partecipe di quello che Lui è.

Per cui Lui diventa il punto fisso di riferimento e io l'elemento che partecipa di Lui.

M.: Quindi è Lui che mi insegna a leggere facendomi i collegamenti.

Lui dice: "Non date a nessuno il nome di maestro", soltanto guardando da Lui io imparo, perché da Lui, io conosco la sua intenzione ed è l'intenzione che mi collega. Ho detto quello che mi collega il registratore con il fatto che io lo sposti è l'intenzione, ma l'altro capisce la mia intenzione solo se io gliela ho comunicata.

Perché se io sposto questo registratore senza averti rivelato la mia intenzione, tu non saprai mai quello che io ti voglio comunicare.

È soltanto la persona che ti può rivelare la sua intenzione.

Quindi evidentemente è solo Lui che mi insegna a leggere, perché è solo Lui che mi fa capire la sua intenzione.

L'Intenzione di Dio io la conosco solo da Dio e da nessun altro.

Perché l'intenzione è l'espressione di ciò che uno è.

N.: La chiave di lettura è la possibilità che mi è data di guardare le cose dal punto di vista di Dio.

E quanto più guardo dal suo punto di vista, tanto più sono fatto capace di leggere.

La capacità di leggere si forma man mano, più tu osservi da quel punto di vista lì e più tu sei capace di leggere.

Puoi essere capace di leggere poco o di leggere molto, tutto dipende da quanto tu guardi dal suo punto di vista.

O.: Le parole "Io sono" sono le stesse che gli sono costate la morte.

Certo, soltanto che la sua morte diventa la mia morte.

San Pietro dice: "Avete ucciso l'autore della vostra vita"

.....Non è prestissimo, è tardissimo.

Se è l'ultimo segno è tardissimo.

N.: Siamo alla fine dei tempi?

Si capisce.

O:: Prima che Gesù mi dica: "Io sono la porta", prima che Gesù si metta nelle mie mani con questo ultimo segno, io devo già aver imparato a leggere qualcosa? E l'ho imparato con il Pensiero di Dio, avevo già una chiave di lettura, era il Pensiero di Dio in me.

Questa è l'ultima chiave di lettura, è un passaggio che dobbiamo fare, prima era il Pensiero di Dio in me che mi portava a collegare i segni con Dio, magari non ero sicura ma c'era in me questa ricerca di Dio, senza mai la certezza, perché la certezza viene dalla persona.

Però avevo già una chiave di lettura...

La chiave di lettura è una sola e questo è l'ultimo segno.


 


Onde Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore".

Gv 10 Vs 7 Secondo tema.


Titolo: La lezione di Adamo, diede il vero nome alle cose.


Argomenti: Leggere e imparare a leggere. Il mutamento delle cose. Segno-significato & presenza di chi scrive. Adamo & il pensiero dell'io. Nomi veri & falsi.


 

7-8/gennaio/1990 Casa di preghiera Fossano.


I discepoli non avevano capito la parabola del versetto precedente.

"Gesù disse loro questa parabola, ma essi non compresero di cosa parlasse loro".

Motivo per cui Gesù disse:"Sono Io la porta delle pecore".

Gesù, dicendo loro:"Sono Io la porta delle pecore", metteva loro in mano la chiave per leggere la parabola.

Aveva parlato della porta dell'ovile, della porta delle pecore e adesso dice:"Io sono la porta".

Abbiamo detto che metteva in mano ai discepoli, la chiave per capire la parabola.

Tutto è parabola di Dio, poiché tutto è opera di Dio e tutto ha bisogno di una chiave per intenderla.

Tutto l'universo e tutta la creazione è parabola di Dio per noi.

Dio parla in tutto.

Dio è il Creatore ed essendo Creatore tutto è opera sua.

Ma tutto è opera sua per chi?

Per coloro che osservano la sua opera.

Chi osserva la sua opera è l'uomo.

Noi stessi uomini, siamo fatti spettatori dell'opera di Dio Creatore.

Dio in tutto il suo operare, non fa altro che significare Se Stesso.

Non fa altro che parlare di Sé a noi.

Parlare vuol dire comunicare.

Dio comunica Se Stesso a noi.

Ma se tutto è parlare di Dio, tutto è scrittura di Dio.

Qui il problema principale che s'affaccia è questo: imparare a leggere, imparare a capire.

Di fronte a una scrittura, il problema che s'impone è questo.

Come fare per leggere questa scrittura? Che cosa è necessario, che cosa si richiede per intendere e per leggere questa scrittura?

E cosa vuol dire leggere?

Leggere vuol dire intendere il pensiero di chi scrive.

Giungere a vedere il pensiero di chi scrive.

Fintanto che noi possediamo una scrittura ma non riusciamo a vedere il pensiero di chi scrive, noi diciamo di non essere capaci a leggere.

Abbiamo visto che tutto l'universo essendo scrittura di Dio è quel famoso libro sigillato di cui parla l'Apocalisse.

Libro sigillato scritto dentro e fuori.

Però, dice l'Apocalisse che non si trovava nessuno capace di rompere questi sigilli e di leggere questo libro.

La nostra vita è questo libro.

La nostra vita è fatta di un mondo esteriore e di un mondo interiore.

Ma sia tutto quello che capita fuori di noi e sia tutto quello che capita dentro di noi è sotto il sigillo, è sotto una chiave di lettura e fintanto che non giungiamo ad avere questa chiave di lettura, noi piangiamo molto, dice l'Apocalisse:"Io piangevo molto, perché non trovavo nessuno capace di rompere i sigilli e di leggere il libro".

Il senso del mistero che ci avvolge e ci penetra, dà all'uomo questo senso di tristezza e di pianto.

Tutta l'umanità è questa preghiera, questa invocazione a intendere e a capire.

L'Apocalisse ci dice che finalmente si trova Colui che è fatto degno di leggere il libro, d'intenderlo.

Ed è l'agnello immacolato, sacrificato: il Cristo.

Qui Cristo dice:"Io sono la porta", ci rivela la chiave per leggere questo libro sigillato.

E come ci rivela la chiave?

Dicendo:"Io sono la porta" ci fa capire che Lui parlando della porta, significava Se Stesso:"Io sono la porta".

Ci fa capire che in tutte le opere e in tutta la scrittura, dentro e fuori di noi, Dio significa Se Stesso.

Per cui Lui può dire:"Io sono il monte" e se tu vedi l'acqua:"Io sono l'acqua" e se tu vedi il seme:"Io sono il seme" e se tu vedi l'albero:"Io sono l'albero" e se tu vedi il filo d'erba:"Io sono il filo d'erba".

Il monte non è Dio, l'acqua non è Dio però Dio dice:"Io sono il monte, Io sono l'acqua".

È Lui che significa Se Stesso in tutto, d'altronde è logico, Lui solo è il Creatore.

Ed essendo Lui il Creatore, ordina, comanda a noi di non attribuire nulla ad altri.

Perché Lui solo è Colui che scrive, Lui solo è Colui che parla.

E quindi non vedere altri in tutte le opere di Dio.

Cerca in tutto che cosa Dio significa di Sé.

Allora abbiamo detto che il vero grande problema di ogni uomo non è quello di essere virtuoso o di essere o non essere buono, di comportarsi in un modo piuttosto che in un altro, il problema primo dell'uomo è imparare a leggere.

"Scrutate le scritture parlano di Me".

Questo è il grande, fondamentale problema che si presenta ad ogni uomo, perché Dio lo fa spettatore delle suo opere.

Dio lo fa spettatore della sua scrittura.

Dio dando l'esistenza all'uomo lo pone dinanzi a un libro scritto tutto da Lui e solo da Lui: dentro e fuori.

E se Dio creandoci pone davanti a noi un libro, il primo grande problema dell'uomo è quello di imparare a leggere.

Ed è un problema urgente.

La vita dell'uomo si divide in due grandi parti.

La prima attraverso la quale l'uomo impara a leggere, la seconda parte quella in cui l'uomo deve leggere.

Ed imparare a leggere ha una scadenza ben precisa, ben definita, per cui c'è una fretta che l'uomo deve avere e deve sentire in questo imparare a leggere.

Molto difficilmente se uno non impara a leggere nel primo tempo della sua vita, poi riuscirà a imparare a leggere dopo.

Il tempo per imparare a leggere è finito, scade, il tempo per leggere invece è infinito, dura per l'eternità.

L'uomo eternamente si troverà di fronte alle Parole di Dio.

Però ognuno potrà leggere queste parole, nella misura in cui avrà imparato a leggere.

Tutto il nostro imparare a leggere che noi facciamo nella nostra vita non ci serve, non è questo il vero imparare a leggere.

Tutto il nostro imparare a leggere è sempre soltanto un rapportare le opere di Dio, i fatti che giungono a noi con i nostri sentimenti, con le nostre impressioni.

Tutto il nostro linguaggio è sempre riferire le cose a quello che noi sentiamo, a quello che noi esperimentiamo.

Cioè è sempre riferire tutto al nostro io, il nostro punto fisso di riferimento.

È sempre tutto un riferire a ciò che avverte, prova e sente il nostro io.

Se noi andassimo a fondo di tutte le nostre parole, tutto ha sempre un punto fisso di riferimento: tutto è rapportato al pensiero dell'io dell'uomo.

A quello che prova, a quello che sente a quello che esperimenta l'io dell'uomo di fronte alle opere di Dio.

Tutto quello che accade è opera di Dio e siccome le opere di Dio giungono all'uomo indipendentemente dall'uomo, l'uomo le subisce, le avverte, quindi le sente, le esperimenta.

E di fronte a tutto ciò che esperimenta, l'uomo risponde in un certo modo e questo è un parlare, il parlare dell'uomo.

Ma tutto questo linguaggio che noi usiamo ha sempre come punto fisso di riferimento il nostro io.

Questo non è il linguaggio che serve a noi, tant'è vero che questo linguaggio a un certo punto muta e tramonta, non dice più niente a noi.

Tutto è soggetto a vanità.

Soggetto a vanità vuol dire che è soggetto a mutamento.

Dio ha soggetto tutto al tempo.

Il tempo crea mutamenti nelle cose, il che vuol dire che tutte quelle cose che noi conosciamo in relazione al pensiero del nostro io sono soggette a mutamento cioè alla vanità.

Però noi siamo passione d'Assoluto e tutto ciò che muta ci pone il problema di capire il mutamento, la ragione del cambiamento.

Quel nome che noi credevamo di aver dato alle cose, a un certo momento salta in aria.

Arriva un momento nella nostra vita in cui noi dobbiamo necessariamente confessare che non capiamo più nulla.

Perché?

Perché sono saltati in aria i nostri punti fissi di riferimento.

Le impressioni e le esperienze che tu facevi nel pensiero del tuo io e attraverso le quali giudicavi e leggevi gli avvenimenti e davi il nome alle cose a un certo momento saltano tutte in aria.

Il tempo per imparare a leggere scade.

Quando le cose mutano, diventano in noi esigenza di significato, perché noi abbiamo bisogno di giustificare il mutamento.

Fintanto che la cosa non muta, per noi la cosa è tranquilla: la cosa è così.

E noi parliamo in relazione alla cosa che è così.

Ma quando la cosa muta?

E Dio ha assoggettato tutto al mutamento, quindi alla vanità, per salvarci.

Quando una cosa cambia, noi non la sosteniamo più.

Dobbiamo trovare una ragione, una giustificazione a questo mutamento.

La cosa non si sostiene più da sola.

Io posso sostenermi su una creatura, su una persona e dire che quella persona è così, ma a un certo momento quella persona cambia.

E io ho bisogno di andare alla ricerca di una giustificazione a questo mutamento.

L'uomo è una passione di Assoluto e non sostiene il mutamento se non ha una ragione per giustificarlo.

Tutte le creature e tutti gli avvenimenti sono assoggettati al tempo, quindi al mutamento, quindi diventano per noi esigenza di significato e là dove abbiamo esigenza di significato abbiamo la parola.

La parola è un segno che invoca da noi un pensiero, una giustificazione, perché da sola non sta su.

Ecco che il problema della significazione diventa più importante delle cose stesse.

L'uomo è una esigenza assoluta di significato, la sua vita ha bisogno di un significato.

L'universo ha bisogno di un senso e tutto l'universo ha bisogno di un senso nell'uomo.

L'uomo non si accontenta di vedere le cose.

In un primo tempo l'uomo le legge secondo il pensiero che ha in testa, secondo il pensiero del suo io, secondo le sue impressioni o secondo quello che sente dire e giudica e si forma una cultura in base a queste conoscenze, poi a un certo momento le cose cambiano e lui non può più sostenersi su quelle ragioni con cui  lui riteneva di leggere, perché si accorge che non valgono più.

È Dio che gli butta tutto in aria per dirli che i suoi punti fissi di riferimento, su cui si sosteneva, non sono sufficienti per leggere.

L'uomo deve cercare di leggere con altre ragioni, con altri punti di riferimento.

È Dio che sta chiamando l'uomo, perché l'unica ragione in cui c'è la giustificazione di tutti gli avvenimenti e di tutte le cose, l'unica chiave di lettura di tutte le opere di Dio è Dio stesso, è l'Io di Dio.

E fintanto che noi non giungiamo qui, Dio assoggetta tutti i nostri punti fissi di riferimento, tutte le nostre ragioni alla vanità, al mutamento e li trasforma in parole.

Quando tutte le creature e tutte le cose diventano parole, si apre una grande tragedia.

Perché se noi non abbiamo imparato prima a leggere, noi veniamo messi con le spalle al muro, siamo nell'impotenza di leggere le parole che Dio ci presenta.

Perché non si può passare dalla parola al pensiero.

Non si può passare dai segni al significato.

Si impara a leggere non fantasticando sui segni, non attribuendo noi ai segni un'intenzione o un pensiero.

Altrimenti noi navighiamo nel soggettivismo, nella proiezione del pensiero del nostro io.

Non arriveremmo mai ad approdare alla certezza e alla verità.

Si impara a leggere alla presenza di Colui che parla e di Colui che scrive.

Perché soltanto alla presenza di Colui che parla, di Colui che scrive, noi possiamo collegare i segni che fa con la sua intenzione, perché l'intenzione è propria della persona.

Il pensiero è proprio della persona e soltanto alla presenza di quella persona, è dato a me di intendere l'intenzione che quella persona pone nel fare dei segni.

Io posso disegnare tre punti, ma se non lo rivelo io nessuno conosce con certezza ciò che io voglio significare con quei tre punti.

Il pensiero e l'intenzione è personale.

Se io metto  accanto ai tre punti un "uguale esse", chi guarda capisce che i tre punti significano "esse" ma perché io ho messo"uguale" accanto ai tre punti.

È la persona che significa il suo pensiero.

Se io mi vengo a trovare davanti a tre punti, io posso fantasticare tutto ciò che voglio ma non arriverò mai a capire il vero significato che voleva trasmettere colui che ha disegnato i tre punti.

Quindi noi non possiamo passare dai segni ai significati se non siamo passati prima dall'intenzione di colui che fa i segni ai segni stessi.

Questo ci fa capire che solo nella misura in cui io sono passato dalla persona ai segni che quella persona fa, posso ora dai segni risalire alla persona.

Quei tre punti li può fare un altra persona con un significato totalmente diverso dal mio, può dire che quei tre punti rappresentano "erre".

Il  fatto è essenzialmente personale.

Si impara a leggere solo alla presenza della persona che fa quei segni.

Il giorno in cui noi veniamo a trovarci soltanto di fronte ai segni fatti da quella persona, se noi non siamo passati prima dal pensiero di quella persona ai segni che significano quel pensiero, noi ci troviamo nell'impotenza più assoluta per leggere i segni ed intendere i segni.

Fantasticheremo ma noi non approderemo mai all'intelligenza del significato dei segni di Dio.

Noi possiamo venirci a trovare in questa situazione qui, perché?

Perché il tempo della presenza di Colui che opera e che fa i segni scade.

Nella nostra vita restano i segni ma non più la persona che fa i segni:"Fintanto che Io sono nel mondo, sono luce per il mondo".

Perché fintanto che lui è nel mondo ci insegna a leggere.

Ma dice anche:"Non sempre avrete Me".

Non sempre avremo Lui.

Il che vuol dire che la formazione della capacità di leggere ha una scadenza.

Ecco quindi l'urgenza:"Ancora per poco la luce è con voi".

La luce è quella che collega l'effetto con il principio,la causa e proprio in quanto mi collega un effetto con la causa, mi dà la possibilità di leggere.

Perché mi fa vedere il pensiero e il significato nell'effetto (segni) della causa stessa.

Ma questo solo fintanto che ho la possibilità di avere questa presenza.

L'argomento di oggi è la lezione di Adamo.

Il problema della vita non è non fare peccati, il problema della vita non è diventare buoni, non è essere santi, il primo grande problema è questo imparare a leggere, e questo è stato il primo vero, grande problema che si è posto Adamo.

Dice la Bibbia che Dio, dopo aver creato tutte le creature ed anche Adamo, presentò le creature ad Adamo.

(prima ancora di creare la donna) affinché Adamo desse il nome alle creature.

È il primo grande problema che Dio pone ad Adamo.

Ci aspetteremmo che Dio dopo aver creato tutte le creature dia loro il nome, ma Dio non ha dato il nome alle creature.

Ha presentato le creature ad Adamo.

C'è una lezione enorme qui.

Dio non dà il nome alle creature, Dio presenta le creature ad Adamo, affinché Adamo dia lui il nome alle creature.

Quando l'angelo annuncia a Giuseppe, quello che era avvenuto in Maria, gli dice:"Darà alla luce un figlio, tu lo chiamerai Gesù".

Maria darà alla luce un figlio che non è di Giuseppe però il nome dovrà darlo Giuseppe.

Gesù si presenta a Giovanni Battista per essere battezzato.

Battezzare vuol dire dare un nome.

Giovanni Battista si rifiuta e dice:"Sono io che devo venire a Te, non Tu a me".

Gesù gli risponde:"Lascia stare, perché è necessario compiere ogni giustizia".

La giustizia in cosa consiste?

Consiste in Dio che si presenta alla creatura e le dice:"Che nome mi dai?".

Ma è la creatura che deve dare il nome.

Perché Dio presentando tutta la creazione ad Adamo, dice ad Adamo:"Che nome dai?".

Adamo di fronte a tutte le creature poteva dire:"Questa mi piace, questa mi è simpatica, quella è brutta, quella è antipatica, quella è volgare".

Noi in continuazione diamo dei nomi e tutti i nomi che noi diamo sono sempre in relazione alle nostre sensazioni, alle nostre impressioni, ai nostri sentimenti.

Ma Adamo non ha dato come nome alle creature, le sensazioni e i sentimenti che queste provocavano in lui.

Questi nomi qui sono venuti dopo, dopo in conseguenza del peccato.

Adamo, per dare il nome alle creature ha guardato Dio.

Dio ha presentato ad Adamo le creature cui doveva dare il nome.

Quindi Adamo, si trova di fronte a Dio che gli presenta le creature e gli dice di dare un nome a queste.

Noi di fronte alle creature non vediamo mica Dio che parla a noi, Dio che presenta a noi queste creature, noi diciamo:"Io vedo questa creatura e mi è simpatica, quella mi è antipatica", tutto sempre in relazione al nostro io, sono io che vedo, sono io che tocco e esperimento.

Adamo non fece così, perché qui siamo prima del peccato.

Il vero grande problema dell'uomo è questo.

Quindi Adamo ignorava il suo io, perché era prima del peccato, s'ignorava.

Il momento in cui anche Adamo deve prendere consapevolezza del suo io, lì abbiamo il crollo che è il crollo di ognuno di noi.

In un primo tempo, come ogni bambino, Adamo ignora se stesso.

Vede soltanto ciò che ha presente e Adamo che cosa ha presente?

Adamo ha presente il Creatore, Dio, che gli presenta le creature.

Adamo aveva solo due termini, ignorava se stesso.

Davanti a sé aveva il Creatore Dio e la creatura.

Dare un nome vuol dire fare un rapporto.

Vuol dire rapportare questo a quell'altro.

Adamo aveva un solo modo per dare il nome alle creature: rapportarle con Dio.

Aveva soltanto quei due termini lì davanti.

Non conosceva se stesso.

E la Bibbia ci dice che Adamo diede il nome alle creature e il nome che diede fu il vero nome.

Il vero nome!

Quando si dice "il vero nome" ci fa pensare che ci siano dei nomi che non sono veri, che sono falsi.

Ci fa capire che il nome che Adamo diede alle creature era il vero e che il nome che noi diamo alle creature non è il vero nome: è il falso nome.

Perché era vero?

Adamo guarda la creatura, guarda Dio, dare un nome vuol dire fare un raffronto, Adamo guardando la creatura, diceva quello che la creatura significava del Creatore.

Alla presenza del Creatore ha dato il vero nome, Dio in tutte le creature significa Se Stesso.

Adamo, guardando le creature e confrontandole con Dio diceva quello che la creatura gli significava di Dio.

Il nome che noi diamo alle cose è un giudizio, rapportato a qualche cosa.

Il vero nome è quello che è rapportato alla verità, a Colui che significa Se Stesso in tutte le cose.

E fintanto che noi, guardando le creature, non diciamo che cosa queste creature significano di Dio, noi diamo dei nomi sbagliati, dei nomi falsi e dovremo rimangiarceli tutti.

Perché Dio non dà Lui il nome ma invita l'uomo a dare il nome?

Dio non dà il nome alle creature, le presenta all'uomo, ma è l'uomo che deve dare il nome alle creature che Dio gli presenta e dire che cosa la creatura significa del suo Dio, perché soltanto dando il nome impara a leggere.

Da Dio (da Dio!) impara a capire il significato della scrittura di Dio.

Ma da Dio, quindi per deduzione e nella misura in cui impara a leggere, lui saprà leggere, perché tutte le volta che Adamo si troverà di fronte a quella creatura cui lui ha dato il vero nome, quel segno, quella parola gli darà la possibilità di capire che cosa gli significa di Dio.

Ma gli dà la possibilità perché Adamo ha imparato, alla presenza di Dio a leggere le opere di Dio.

La chiave di lettura che Dio diede ad Adamo per leggere le sue opere era Dio stesso.

Ecco per cui qui dicendo:"Io sono la porta delle pecore", ci mette nelle mani la stessa chiave di lettura che aveva Adamo.

Adamo seppe usare quella chiave di lettura e insegna noi a usare la vera chiave di lettura, per dare il vero nome alle cose, perché soltanto dando il vero nome alle cose, noi formiamo in noi la capacità di leggere la scrittura di Dio e quindi di passare dai segni ai significati.

Passando dai segni ai significati, noi abbiamo la possibilità di restare con Dio.

Ma se noi non diamo il vero nome alle creature, noi di fonte ai segni non potremo passare ai significati e allora resteremo bruciati dai segni.

I segni che non sono intelletti  bruciano e ci disperdono.

L'uomo di fronte alle cose che non riesce a capire resta confuso.

Nella confusione non attinge la luce, non attinge la certezza ed esperimenta la notte, le tenebre e qui si apre tutto il problema del peccato, dell'angoscia, della morte.


A.: Mi sembra facile capire che l'uomo è essenzialmente un bisogno di saper leggere, anche perché si trova di fronte alla creazione che è la sintesi dell'opera di Dio. È la sintesi sopratutto di quello che Dio vuole significare di Sé all'uomo.

Però di fronte a questa opera, l'uomo non solo non è in grado di conoscere il contenuto ma, ignora anche l'alfabeto.

E allora la strada è una sola, quella di porsi dalla posizione del principio, per cercare di conoscere gli effetti, le cause, la creazione stessa cioè, se non si pone sotto la luce del principio creatore, l'uomo non può assolutamente comprendere che cosa questo principio vuole significare di Sé, in questa opera che gli è data nelle mani.

Come Adamo l'uomo è chiamato a dare il nome alle cose. Il nome hai detto bene, è essenzialmente  un rapporto fra quello che viene posto nelle nostre mani e il principio che lo pone a noi, per capire che cosa ci vuole significare.

Se l'uomo vuole imparare a dare un nome alle cose, deve non riferirle a sé, al proprio io ma, deve porle tutte in relazione a Dio e solo in Lui c'è la chiave per intendere che cosa Lui ci può dire di Sé.

Adamo che ha dato il nome, è una lezione importantissima.

Adamo è il primo maestro, prima del peccato, dopo il peccato abbiamo Cristo come maestro.

Ma Adamo faceva la funzione di Cristo e ha dato una grande lezione per tutta l'umanità di come si dà il vero nome alle cose.

Cioè, ci ha insegnato a leggere.

Adamo è colui che insegna a leggere, ci ha insegnato a leggere.

Ora, quella lezione lì, è valida ancora oggi per ognuno di noi.

È validissima, quindi è una lezione importante, importantissima.

Noi abbiamo incluso tutto sotto l'insegna del peccato, la problematica del peccato ma, prima della lezione del peccato c'è quest'altra lezione che è fondamentale.

La prima grande preoccupazione dell'uomo non è il peccato.

La prima grande preoccupazione dell'uomo è imparare a leggere.

A.: Il peccato è una conseguenza.

Il peccato è una conseguenza. L'uomo si trova di fronte a uno ("Scrutate le scritture") che gli sta parlando.

E quando mi trovo di fronte a uno che mi sta parlando, la prima cosa importante è questa: imparare a capire cosa mi dice.

Tutto il resto verrà dopo ma, prima impara a capire che cosa ti vuol dire.

Soltanto guardando da Lui io posso imparare a capire.

Da Lui che mi sta parlando io posso imparare.

Se disegno tre puntini, soltanto io posso rivelare che cosa voglio significare con quei tre puntini.

Il problema è che, o uno intende il significato di quei tre puntini o altrimenti, eternamente resta di fronte a questi tre puntini con il punto interrogativo.

A.: Che riveste della sua intenzione.

Quando io proietto una mia intenzione su un segno di un altro, io sono fregato.

Perché proietto me stesso su quello: "Vorrà dire questo" ma chi mi assicura che voglia dire quello.

Perché io nel pensiero del mio io non giustifico assolutamente niente.

Soltanto se me lo dice e mi rivela il suo pensiero, colui che ha fatto i tre punti, io sono nella certezza.

Tre punti e tre linee: S.O.S. ( · · · — — — · · ·).

Tutta l'umanità diventa questa invocazione qui di aiuto.

Tutta l'umanità sta facendo tre punti, tre linee, tre punti.

Vuol dire: "Salvateci, salvateci", è una invocazione di salvezza.

A.: Gesù chiede ai discepoli che nome dia la gente a Lui.

Cristo si sottomette alla creatura, al Giovanni Battista per ricevere un nome.

È Dio che si sottomette all'uomo: "Tu che nome mi dai?".

Dio poteva dare il nome Lui e imporre questo nome ma, non lo impone, perché soltanto dando alla creatura la possibilità di dire lei il nome, dà alla creatura la possibilità di imparare a leggere.

La mette nella condizione, gli dà la chiave e gli dice: "Apri".

A.: Cioè, Dio dice alla creatura: "Apri"?

Certo, la chiave è Lui, però tu devi aprire.

Presenta la salvezza di Dio a Giuseppe, però dice a Giuseppe che Lui deve dare il nome.

Sei tu che devi riconoscere dove sta la tua salvezza.

A.: Però nel: "Tu gli darai il nome" c'è l'imposizione, non c'è...

Guarda che quella creatura lì è concepita indipendentemente da Giuseppe, per cui Giuseppe deve farla sua.

A un certo momento è Giuseppe che deve accettare.

Quasi a dire che la donna ha concepito per opera di un altro, quello che però concepisce lo devi fare tuo.

Lo devi riconoscere come tuo.

E come lo riconosci come tuo? Dandogli il nome di Gesù, salvezza di Dio per te.

B.: Ma Giuseppe deve dargli quel nome perché gli è imposto.

Glielo ha proposto, perché anche a Zaccaria è stato proposto qualche cosa ma l'altro non ha mica accettato.

È proposta, ora guarda che noi, possiamo imparare a leggere fintanto che le cose ci sono proposte.

Il giorno in cui ci sono imposte noi abbiamo i segni, perché Dio non lo vediamo, tu nel pensiero del tuo io Dio non lo vedi, vedi i tre punti ma, tu Dio non lo vedi.

E se non impari a leggere quando la cosa ti è proposta, quando il segno ti verrà imposto tu non potrai più leggerlo.

Perché per imparare a leggere tu devi avere la presenza di Colui che parla con te.

Soltanto che la presenza di Colui che parla con te, è soltanto temporanea, perché: "Non sempre avrete Me".

Perché la vera conoscenza dell'autore di tutte le cose, richiede il superamento del pensiero del nostro io, altrimenti non lo vediamo mica, noi vediamo i segni di Dio, noi subiamo i segni di Dio, tutti noi vediamo i tre punti ma qualcuno vede il pensiero che questi tre punti portano e qualcun altro non vede il pensiero che questi tre puntini hanno.

Perché per vedere il significato bisogna superare noi stessi.

Devi superare il tuo pensiero, quello che hai in testa, altrimenti non lo vedrai e non lo vedrai eternamente.

Avrai i tre punti che ti sono imposti, però per te saranno sempre con un punto interrogativo.

C'è la confusione.

Quindi noi abbiamo un tempo per imparare a leggere che scade, perché è il tempo in cui c'è la presenza di Colui che parla e c'è il segno o la parola che Lui ti dice.

E lì ho la possibilità di collegare, perché io imparo in quanto faccio un collegamento.

Collego il segno con l'intenzione di colui che fa quel segno lì.

Gesù dice: "Chi con Me non raccoglie", ecco il vero Maestro.

Cristo è Colui che raccoglie tutti gli  avvenimenti e li riferisce al Padre.

Imparare a leggere vuol dire raccogliere, riferire, vuol dire riportare, rapportare ogni cosa al punto fisso di riferimento.

E il punto fisso di riferimento è l'Io di Dio.

E se ho l'Io di Dio, tutte le cose sono significazione di Lui.

E allora in tutte le cose noi dobbiamo dire: "Questo è".

Cos'è l'albero? Questo è......

Se tu non ti sei sprofondata in Dio e non hai visto da Dio, qual'è l'Intenzione di Dio, il fine di Dio, tu resti in "Questo è" e non puoi rispondere.

A un certo momento noi ci troveremo di fronte a tutte le creature e non potremo rispondere.

Perché solo nella misura in cui tu hai conosciuto Dio, tu potrai dire: "Questo è" e dici che cosa ti significa di Dio.

Cos'è una porta? Riferita al mio io è facile per me dire che cosa è una porta: la porta è il mezzo attraverso cui entro in una casa, ma qui il punto di riferimento è il mio io.

A un certo momento, il mio io non giustifica più niente.

Come mai nell'universo c'è la porta e c'è la casa? E c'è un essere che attraverso la porta entra nella casa.

Perché la casa è Dio, la porta è Dio e questo essere rappresenta Dio: "Questo è Dio che significa a me il mezzo attraverso cui posso entrare nella sua luce".

Lui è casa e Lui è porta e siccome Lui è casa e Lui è porta e siccome io non posso entrare in Lui, conoscere Lui (la mia casa)....."Signore dove abiti?", è attraverso Lui che posso entrare nella sua casa.

E Lui è la casa e Lui è la porta.

Per dire a me: "Guarda che senza di Me tu non puoi entrare nella conoscenza di Dio".

Ma questo lo posso dire soltanto nella misura in cui ho conosciuto Dio e ho conosciuto l'Intenzione di Dio e ho conosciuto che Dio mi ha creato per darmi la possibilità di entrare in Lui.

E il problema di entrare è rappresentato dalla porta e allora capisco che la porta non ha valore in quanto significa a me uomo, il mezzo per entrare in una casa ma, c'è qualcosa di molto più importante. È Dio che mi sta significando il mezzo, attraverso cui io posso entrare nella conoscenza di Lui.

Allora capisco cosa significa: "Io sono la porta".

C.: Noi possiamo avere come punto fisso di riferimento solamente Dio...

Perché i nomi siano veri. Perché noi un punto fisso di riferimento l'abbiamo, è il pensiero del nostro io e i nomi non sono veri, sono falsi.

C.: Bisogna vedere tutto dal Pensiero di Dio e vedendo tutto dal Pensiero di Dio, sappiamo che Dio, tutto quello che fa lo fa nel suo pensiero.

E il suo pensiero è unicamente un pensiero d'amore per l'uomo.

Dio significa Se Stesso in tutto ma, la grande difficoltà per noi è quella di capire che cosa Lui mi significa di Sé.

Perché Dio nell'acqua mi significa Sé, nell'albero mi significa Sé, nel filo d'erba mi significa Sé, nella morte e nella vita mi significa Sé, nel terremoto mi significa Sé, nel sole e nelle stelle mi significa Sé.

"Signore che cosa mi dici di Te in questo e in quest'altro?".

Io sono chiamato a rispondere su tutto l'universo: "Che cosa è questo?".

E dico: "Questo è...." e non riesco ad andare avanti.

Perché non contemplo in Dio che cosa è questo.

E fintanto che io non contemplo Dio, io non posso dirlo, resto fermo.

Non posso andare avanti.

Io posso dare tante definizioni umane dell'acqua e dell'albero ma quello non mi serve a un cavolo di niente, perché avrò solo più presente Dio a un certo momento.

E se io non riesco a parlare secondo Dio, io resto muto, non posso più parlare.

Tutte le creature mi chiedono: "Che cosa è questo?", io dico: "Questo è..." e non posso andare avanti.

Non posso cioè predicare Dio.

Arriva un momento in cui noi non possiamo predicare Dio.

Dio ci rende muti.

La grande bellezza della creatura è poter predicare Dio.

Poter dire: "Dio è questo" su tutto e su tutti, sul nostro stesso io.

"Dio è questo".

D.: C'è questo rapporto creatura/ Creatore che è un rapporto armonioso. Bisogna ritornare a essere creatura cioè, fare talmente vuoto dentro di sé da permettere al Creatore di esprimersi attraverso noi, in modo che Lui possa parlare di Sé.

Si capisce.

D.: Lui parla attraverso le cose vegetali, la creazione e le creature.

Questo richiede una trasparenza di pensiero e per noi è terribilmente difficile avere trasparenza di pensiero.

Tutto il lavoro di Cristo è per rendere semplice il nostro pensiero.

Perché soltanto quando il nostro pensiero è semplice, diventa trasparente e allora si vede che cosa Dio dice di Sé nella creazione, dice di Sé in tutte le cose.

Perché in tutte le cose, Lui sta parlando di Sé a noi ma, parla a  noi nella situazione in cui ci troviamo, quindi mentre Lui mi dice: "Io sono la casa" ma mi dice anche: "Io sono la porta" a me non basta sapere che Lui è la casa, ho bisogno anche di vedere la porta e mi dice: "Io sono la via, Io sono la strada" e mi parla in tutta la gamma delle situazioni in cui io mi trovo.

Ma io devo essere tanto trasparente da poter restare alla sua presenza, perché Lui parlandomi, mi sta convogliando, mi porta, attraverso tutti i punti in cui mi vengo a trovare, Lui mi porta sempre alla sua presenza.

E.: Il fatto che quando Adamo ha dato il nome alle creature non ci fosse Eva, significa che nessuna creatura ci può aiutare in questo lavoro.

È un fatto personale, essenzialmente personale.

Il problema fondamentale dell'uomo è questo: dare il nome alle cose.

A tutte le cose che Dio gli presenta, poiché è Dio che gliele presenta.

Se l'uomo è semplice, non pensa a se stesso.

È il nostro io che ci complica tutto.

Se il nostro io è semplice, l'uomo guarda soltanto ciò che ha presente, basta guardare.

E cosa ha presente?

Ha presente il Creatore e ha presente le creature.

L'uomo ha presente due cose.

Tra queste due cose lui deve stabilire un rapporto, il nome è questo.

Il punto fisso di riferimento è Dio Creatore, la creatura è un segno del Creatore che dice all'uomo di dare un nome a questo segno.

E Adamo guardando Dio e guardando la creazione diceva: "Vuol dire questo di Te", non aveva altro termine.

Quando io ho due termini non posso che rapportare uno sull'altro.

Avendo il metro dico: "Questo tavolo è due metri e mezzo", ho dato un nome al tavolo.

Ho la chiave e misuro.

Con Dio è lo stesso, è alla presenza di Dio che Adamo dà il nome alle cose.

Perché non aveva ancora la presenza di sé.

Arriverà il momento in cui, dovrà dare il nome al suo io e lì c'era già Eva e c'è stato il crollo.

B.: Adamo è stato il primo maestro che ci ha insegnato come leggere bene.

Tutto è fatto per noi. Anche Adamo è per noi.

È Dio che ce lo presenta, come ci presenta il primo peccato, per fare capire a noi in che cosa consiste il peccato fondamentale da cui derivano tutti i nostri mali e prima del peccato ci ha insegnato come si legge la creazione e l'opera di Dio.

B.: Come mai a tutte le cose ha dato il vero nome e al suo io no?

Allora Adamo non conosceva il suo io.

La creazione: man mano che l'uomo matura, Dio presenta le creature all'uomo e tu le devi prendere dalle mani di Dio e devi dargli un nome.

Arriverà un giorno in cui Dio presenta a te stesso il tuo io e tu devi dare un nome a questo io.

In mezzo tra l'io di Adamo e Dio c'era Eva.

E Adamo ha dato il nome al suo io alla presenza di Eva, anziché alla presenza di Dio.

Comunque Dio ce lo presenta per insegnare a noi, come si dà il vero nome alle cose.

Per evitarci di dare un nome sbagliato alle cose.

Il vero nome alle cose si dà, in quanto le rapportiamo a Dio.

A Dio Creatore.

F.: I punti di riferimento possono essere solo o Dio o il nostro io. Quindi ignorando il nostro io, per forza, diamo il vero nome alle cose, perché restiamo con le creature e con Dio.

Sì ma non "per forza".

Tu per dare un nome devi guardare Dio.

E fintanto che non vedi che cosa Dio significa di Sé....

La creatura ti sollecita a sprofondarti sempre più in Dio.

Il problema non era dare il nome alle creature.

Adamo per dare il vero nome alle creature, doveva penetrare sempre più in Dio.

Adamo stava crescendo non nella conoscenza delle creature o dell'universo, Adamo stava crescendo nella conoscenza di Dio.

Tra le creature noi abbiamo il padre, la madre, i figli.

Il concetto per noi è semplicissimo: "Sai cos'è un padre?", "Sì, lo so cos'è un padre", ma questa nostra conoscenza è sentimento nel pensiero del nostro io.

Questa non è conoscenza.

A un certo momento ti trovi con Cristo che ti dice: "Io e il Padre siamo uno", ti fa saltare tutto in aria, non capisci più niente.

Ti dice una parola che, fintanto che tu non ti sprofondi in Dio, quella parola per te è un rebus, non la puoi capire.

Non te la dice secondo gli schemi del tuo io, perché secondo il tuo io padre, madre e figlio sono tre esseri ben distinti.

A un certo momento arriva Gesù che prende le tue categorie, padre e madre, prende questi concetti ma non li riferisce più a te.

Perché riferite a te, queste sono persone separate una dall'altra.

Le riferisce a un altro in cui la cosa non è più valida secondo lo scema del tuo io.

Là, Padre e Figlio sono uno solo.

Se io voglio capire questa frase, è inutile che io mi metta ad analizzare le parole, non concluderò mai nulla.

Registrando o scrivendo queste parole, non riuscirò a capire come il Padre e il Figlio siano una cosa sola.

Ho un mezzo solo, sprofondarmi in Dio.

E devo sprofondarmi fino al punto in cui diventa trasparente quella parola lì.

E fintanto che quella parola lì non mi diventa trasparente, chiara, luminosa, capita, vuol dire che io non sono penetrato in Dio in quella profondità in cui Dio stesso m'invitava dicendomi: "Io e il Padre siamo una cosa sola".

Ecco l'importanza della parola, perché la parola, di per sé non ti illumina niente ma ti sollecita a sprofondarti.

Per cui Adamo ascoltando e guardando l'opera di Dio, lui si sprofondava e cresceva nella conoscenza di Dio e man mano che cresceva nella conoscenza di Dio le creature si illuminavano.

È la conoscenza di Dio, la profondità della conoscenza di Dio che ti illumina le Parole di Dio.

Altrimenti tu, le Parole di Dio non le puoi capire nel modo più assoluto.

Tu capisci di non capire.

Mentre nel pensiero del nostro io non c'è nulla da capire, per me un albero è pacifico che è un albero.

Non confonderò mai un albero con una pietra.

Ma prova a rapportare l'albero a Dio e dire che cosa l'albero ti dice di Dio.

Vedi che ti butta tutto in aria?

Fintanto che tu non conosci Dio, tu non puoi predicare Dio nell'albero e tu resti fuori.

Quindi tutto il parlare di Dio è per sollecitarci non a conoscere la creazione ma per conoscere Dio.

Perché soltanto nella misura in cui conosco Dio, la creazione si illumina.

Diventa chiara e trasparente.

Capisco che cosa Dio significa di Sé ma lo capisco perché ho conosciuto Dio.

F.: Ma in cosa consiste questo sprofondarsi?

Soltanto nel pensare Dio, quello che conta è pensare Dio.

Volevo leggervi di nuovo quella lettera di Carlo Carretto, a un certo momento Carretto capisce che non è problema di fare, di agitarci, di correre per il mondo, di fare apostolato.

Tutto è vuoto e lui lo dice: "Siamo dei pazzi, perché è Dio che fa tutto".

Il problema è pensare Dio, il problema è fermarci a pensare Dio, sprofondarsi in Dio.

A Dio tu arrivi con una cosa sola.

Con il suo pensiero: "Senza di Me fate niente" dice il Figlio di Dio che è il Pensiero di Dio.

C'è un punto solo in noi, un punto immacolato, ecco la porta, attraverso il quale noi possiamo entrare in Dio, il Pensiero di Dio.

Questo Figlio di Dio che è dato a noi e che viene da noi trascurato, seviziato e ucciso.

Noi ci rendiamo conto che noi ci stiamo chiudendo in faccia la porta per entrare nella vita eterna.

G.: Solo riferendo a Dio posso dare il vero nome.

Il nome è ciò che una cosa mi significa di Dio.

Noi i nomi li diamo sempre riferendoli al nostro io: "Quella creatura lì, per me significa questo" e do un nome.

Se vado a fondo il nome che do è questo.

L'impressione che una creatura lascia su di me, quello è il nome che noi diamo alle creature.

E la chiamo così.

Non chiamarla così perché ti stai chiudendo la porta della verità così.

Cerca che cosa Dio significa di Sé nella creatura.

È quello il vero nome della creatura e quello è il vero nome che ha dato Adamo, perché l'ha dato alla presenza di Dio.

I.: Essendo un problema che fa riferimento alla verità è anche un problema di giustizia, un problema che interessa il peccato, l'amore, la pace, il senso della vita, interessa tutto.

È il problema principale dell'uomo.

L'uomo di fronte a uno che gli sta parlando ha come primo dovere capire ciò che quell'Uno gli sta dicendo.

M.: Cristo ci riporta alla situazione iniziale di Adamo dicendoci: "Io sono la porta".

Ci dà la stessa chiave che aveva Adamo.

Lui mi dice la parabola ma io non capisco.

Mi manca la chiave.

Dio ha fatto bene le cose.

Adesso mi manca la chiave perché sono nel peccato, Adamo non era nel peccato e quindi Adamo aveva la chiave.

Dio parla  le sue parole e dà all'uomo la chiave per capire.

E la chiave è Lui stesso.

M.: Il Pensiero di Dio.

Nella situazione di peccato, Lui dice la parola e le parabole e gli uomini non capiscono.

Allora ci dà la chiave: "Io sono il seminatore, Io sono il seme, Io sono l'acqua, Io sono la pianta"

È sempre "Io" perché è Lui che significa Se Stesso in tutto.

Ma io devo arrivare a capire che cosa mi significa di Sé dicendo "porta" e se devo arrivare qui, nessuno può arrivare a Dio se non per mezzo di Dio.

L'infinito si può avere soltanto per mezzo dell'infinito.

L'infinito è abitazione per me ma, allo stesso tempo è anche porta per entrare in questa abitazione.

M.: Dio mettendoci nelle nostre mani questa chiave di lettura, ci dà una responsabilità tremenda perché adesso che so che la chiave è l'Io di Dio se io non metto a leggere....

Tu resti fuori, tu ti chiudi la porta con le tue stesse mani, perché Lui ti ha dato la chiave, perché avevi la chiave in mano e diventa difficilissimo aprire con questa chiave qui.

È molto facile aprire le porte con i miei sentimenti, con le mie parole o con le parole che arrivano a me ma, è difficilissimo aprire la porta con l'Io di Dio.

M.: Il vero nome delle cose si può comunicare a chi non è nel Pensiero di Dio?

La comunicazione avviene dove c'è il Pensiero di Dio.

Tra il Pensiero di Dio e il pensiero dell'io non c'è comunicazione.

C'è un abisso.

Ogni comunicazione avviene nel Pensiero di Dio, anche nel cielo.

Nel cielo tutte le comunicazioni avvengono attraverso il Pensiero di Dio.

In cielo Dio è il punto fisso di riferimento per tutte le anime.

C'è un abisso tra coloro che hanno come punto di riferimento il Pensiero di Dio e coloro che hanno come punto di riferimento il pensiero dell'io.

Lì c'è incomunicabilità.

Uno non può assimilare quello che l'altro gli dice.

M.: Adamo ha dato il vero nome alle cose prima che ci fosse Eva, questo magari ha tanti significati ma sembra quasi un rischio la presenza di un'altra persona per l'uomo, non possiamo mica ritenere che Adamo avrebbe comunque peccato se non ci fosse stata Eva? Se ha dato il vero nome alle creature senza Eva, è stata Eva che ha impedito ad Adamo di dare il vero nome al proprio io? Non poteva dare il vero nome al proprio io prima di Eva?
Il momento cruciale in Eva e in Adamo è stato quando hanno dovuto dare il nome al loro io.

M.: Ma se non ci fosse stata Eva, Adamo solo, avrebbe potuto dare il vero nome al proprio io?

Il nostro io è creatura, come è creatura l'albero, come è creatura l'acqua.

Quando Gesù interroga: "Chi dice la gente che Io sia?".

"Uno dice che sei un profeta, l'altro che sei il Battista, eccetera", è sempre facile vedere quello che l'altro fa ma, quando devo vedere che cosa io dico, credo, faccio la cosa diventa più difficile.

Ecco perché prima c'è il mondo esterno, per me è facile osservare una pietra, un fiore, le stagioni, il sole.

Dio mi educa così, mi fa vedere prima le cose facili, poi a un certo momento, devo entrare dentro di me e qui la cosa si complica all'infinito.

"Che cosa dice la gente di Me?", è facile...."E voi chi dite che Io sia?", qui la cosa diventa più difficile.

M.: Possiamo anche dire che Adamo non ha dato il vero nome a Eva?

Adamo ha preso Eva dalle mani di Dio: "Ecco la mia carne, l'osso del mio osso".

Ha dato il nome ad Eva e ha dato il nome giusto.

Quando ha dato il nome a Eva ha ancora visto se stesso.

Poi sia per Eva che per Adamo a un certo momento salta fuori il problema dell'io.

E bisogna dare questo nome a questo io, alla presenza di Dio.

N.: Bisogna immergersi nel Pensiero di Dio.

Tutte le creature non sono fatte perché noi abbiamo a conoscere le creature.

Ma sono stimolo e sollecitazione per sprofondarci in Dio.

O.: Una cosa è dare il nome alle cose in assenza di creature che possono solleticare l'orgoglio del proprio io, un altra cosa è avere vicino una creatura di fronte alla quale il tuo io può essere ingigantito e allora dai un nome diverso, a prescindere dal fatto che sia uomo o donna.

C'è un rischio grosso.

O.: "Sarete dei" ha detto il tentatore ad Adamo ed Eva, se anziché chiamarmi Adamo divento un piccolo dio la mia posizione vacilla.

E quanta umanità muore ancora al giorno d'oggi illudendosi di essere dio!

O.: Noi non facciamo peccato d'orgoglio di fronte a una pietra o un cavallo ma di fronte a un uomo o una donna lo facciamo.

Il nostro io è una sorgente di nomi sbagliati.

Soltanto che questi nomi qui sbagliati, poi dopo ci ricadono tutti addosso.

Noi con facilità diamo nomi sbagliati ma poi non ce ne liberiamo mica.

P.: Dobbiamo dimenticarci di noi e metterci davanti solamente a Dio e alle cose.

In realtà siamo soltanto davanti a Dio e alle cose.

Il pensiero del nostro io è contemplativo.

Contemplativo di che cosa?

Contemplativo di quello che ha presente.

Il nostro io vive guardando Dio.

È contemplazione di Dio.

È sguardo su Dio e basta.

Vi leggo questo brano di questa lettera di Carretto?

Sì? Posso?

È una lettera che scrive nei primi mesi del 1955 quando era andato nel deserto.

Scrive a sua sorella Dolcidia.

Ho ricevuto una lettera di papà che mi ha fatto sentire tutta l'amarezza per la lontananza.

Tu sai come io sono affezionato a lui, è come una lama che ti penetra dentro ma tu queste le hai vissute e le vivi più di me e quindi è inutile parlartene.

In questa occasione mi ritorna alla mente Gesù: "Voi che avete lasciato", del resto è necessario che così sia e la sua volontà in tutto regni.

La vita dello spirito ha bisogno di questi tagli, altrimenti non costruisce, non cresce, sopratutto non acquista la sua libertà.

Io sono tanto contento di aver ascoltato Gesù in questo distacco da accettarne tutta l'amarezza e le conseguenze, vorrei solo viverlo nella sua pienezza costruttiva, feconda, vitale.

Cioè non vorrei solo fosse un "è andato lontano", è troppo poco e non dice nulla ma, "è andato a cercare Dio".

E Dio tu lo sai, è tanto lontano e tanto vicino che la sua ricerca non è mai finita.

Eppure questa ricerca è l'unica vera, preziosa, valevole attività a cui siamo chiamati, il resto è un corollario.

Anche la costruzione d'imperi, anche le più mastodontiche opere apostoliche, è questo che mi colpì Dolcidia, quando pensai di abbandonare Roma e il mio vecchio lavoro.

Vedi, io ho lavorato molto per la chiesa, lo riconosco, non ho avuto altro pensiero o altra ansia, ho corso duramente, ho percorso tanti chilometri come il più impegnato missionario, a un certo punto mi accorsi che ciò che mancava nella chiesa non era ilo lavoro, l'attività, la costruzione di opere, l'impegno di avvicinare anime.

Ciò che mancava o almeno era scarso, era l'elemento preghiera, contemplazione, dono di sé, intimità con Dio, fedeltà allo Spirito Santo, convinzione che era Lui il vero costruttore della chiesa, insomma mancava l'elemento sovrannaturale.

Per essere chiari nella chiesa occorrono sì gli uomini d'azione ma bisogna stare molto attenti che quell'azione non soffochi l'elemento ben più delicato ma ben più importante della preghiera.

Se manca l'azione e c'è la preghiera la chiesa vive, respira ancora ma, se manca la preghiera e c'è solo azione la chiesa intristisce e muore.

Ti faccio un esempio fisico che ho qui di fronte nel deserto (il deserto è una grande scuola!).
C'è un pezzo di deserto, tutto sabbia e morte, tutt'al più qualche spino. Gli uomini vogliono trasformare il deserto in un'oasi verdeggiante. Incominciano a lavorare. Si fanno strade, stradette, canali, ponti, case, ecc. ecc. Non cambia nulla: tutto rimane deserto. Manca l'elemento base: l'acqua. Allora chi ha capito (è strano che si capisca bene nel mondo fisico e poco bene in quello soprannaturale) incomincia non a lavorare in superficie, ma si mette a scavare in profondità. Cerca l'acqua. Fa un pozzo, la fecondità dell'oasi non dipenderà dai canali fatti, dalle strade,dalle piazze, dalle case, ma da quel pozzo. Se sgorgherà l'acqua tutto si vivificherà, se no niente.

Infatti Gesù dice: "Senza di Me fate niente".

Ecco ciò che io vidi in Europa: un esercito di matti cattolici che costruisce case, collegi, associazioni, partiti, chiese e quasi nessuno si preoccupa di scavare i pozzi.

Conclusione: tristezza, scoraggiamento, vuoto interiore e qualche volta disperazione.

Si pretende di costruire per Dio senza Dio.

E non dirmi sorella che si prega, no, non si prega.

Anche se si dicono cento rosari al giorno, se si va regolarmente a messa, la preghiera è un altra cosa.

La preghiera è l'adorazione di Dio e della sua volontà, non un mare di formule fatte apposta per soffocare l'anima per chiuderla fra le tenaglie della consuetudine e del fissato.

La preghiera è respiro, è libertà, è amore e colloquio inesausto e sopratutto pensare a Dio.

È questo che manca nella nostra vecchia cristianità, la quale quando vuol pregare incomincia ad infilare formule.

Guarda i sacerdoti, se pregassero sul serio, quando vengono a parlarci ci direbbero cose nuove di quel Dio che è sempre nuovo e invece ci dicono le solite cose e noi usciamo senza calore dalla loro predicazione.

La vera preghiera e noi dobbiamo essere maturi per capirlo è l'adorazione silenziosa di Dio.

Ti metti davanti al Santissimo che è qui sulla terra proprio per insegnarci a pregare e partendo da Lui (ponte tra l'umano e il divino) arrivi al Padre sotto la spinta dello Spirito.

Un ora al giorno almeno di questa cura solare, ed entri nel vivo dell'autentica preghiera, allora sì che la nostra fede diventa viva e forte, allora sì che il nostro essere cristiani assume un sapore nuovo e non è una minestra riscaldata.

Io sono convinto che, se l'azione cattolica, le congregazioni militanti, i sacerdoti, i nerbo della chiesa insomma desse alla preghiera la metà delle sue energie ben maggiori risultati.

Ecco perché sono andato via da Roma, ora te l'ho detto chiaro, ero anche io un matto che impazziva nel lavoro e non pregava.

Ora l'ho capito e vorrei puntare il dito sul cuore di Dio, il resto non mi interessa più o almeno mi interessa se entra nel piano di Dio, ci sono tante altre cosa da dire e ce le diremo, anche perché questa non sarà, a Dio piacendo l'ultima lettera.


 


Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Gv 10 Vs 7 Terzo tema.


Titolo: L'Intenzione di Dio si riflette nella funzione del segno.


Argomenti: La lezione di Adamo.Cosa vuol dire leggere le opere di Dio?Dare il vero nome alle creature.

Parlole:tenebre & trasparenza. Confondere creature & Creatore. Intenzione & segni. La funzione della porta.


 

14-15/Gennaio/1990 Casa di preghiera Fossano


Restiamo ancora in questo versetto sette.

In quest’affermazione di Gesù, abbiamo visto, c'è la chiave di lettura della parabola che Gesù aveva detto.

Ma c'è anche la chiave di lettura di tutte le parabole di Gesù.

E siccome tutto l'universo si riassume nelle parole di Gesù, perché tutto è fatto nel Figlio di Dio, nel Verbo, nel Pensiero di Dio, e quindi tutto è parabola di Dio, ancora oggi questa chiave di lettura serve per leggere tutte le opere di Dio.

Tutta l'opera di Dio è per l'uomo, perché l'uomo è stato creato alla conclusione delle opere di Dio.

E se è stato creato alla conclusione, vuol dire che tutto quello che è stato precedente all'uomo è per l'uomo.

E se tutta l'opera di Dio è per l'uomo, tutto è scrittura per l'uomo.

Il problema fondamentale per l'uomo è quindi quello di imparare a leggere la scrittura di Dio.

Domenica scorsa ci siamo soffermati sulla lezione che Dio dà a noi attraverso Adamo.

Il più delle volte quando parliamo di Adamo, identifichiamo la lezione di Adamo con il peccato e con tutte le conseguenze.

La lezione principale che Dio dà a noi in Adamo è ben altra.

È prima del peccato.

Prima della legge.

Prima dei profeti.

Prima di tutti i comandamenti.

C'è una cosa fondamentale e in quanto fondamentale valida per ogni uomo.

Dio in Adamo rivela, annuncia a noi qual è il fondamento essenziale della nostra vita, il compito essenziale di ogni uomo.

Dio ce lo rivela invitando Adamo a dare il nome alle creature che Dio aveva fatto.

Abbiamo visto che Dio crea tutte le creature ma non dà loro il nome.

Dio presenta ad Adamo le creature: una lezione meravigliosa perché lì noi, abbiamo l'essenza della nostra stessa vita.

Dio che presenta ad Adamo, quindi presenta all'uomo (in Adamo c'è tutto l'uomo), le creature da Lui fatte, affinché l'uomo dia il nome alle creature.

Per cui, prima di ogni problema morale, prima di tutte quelle che possono essere le conseguenze del peccato, prima di tutto quello che può essere la nostra religiosità, il nostro comportamento, i nostri modi di essere, i nostri impegni, i nostri programmi eccetera, prima di tutto questo, a fondamento di tutto della nostra vita, c'è questo impegno dell'uomo: l'uomo deve imparare a leggere la scrittura di Dio e le opere di Dio.

Se manca questo, tutti gli altri problemi saltano in aria.

Noi possiamo essere completamente staccati dal mondo, essere in fuga dal mondo, essere magari in un deserto, in un convento, in un monastero, in una trappa, tutto dove volete; possiamo avere le regole più sante di questo mondo, essere virtuosissimi, avere la fede da smuovere le montagne, possiamo andare incontro allo sposo, tutta la nostra vita andare incontro allo sposo ma se noi, non impariamo a leggere le opere di Dio, la scrittura di Dio, se non ci preoccupiamo di questo, non serve assolutamente a niente tutto il resto.

Noi con tutta la nostra religiosità, con tutte le nostre virtù, con tutto il nostro distacco dal mondo, con tutta la nostra, possiamo chiamarla verginità (ho presente la parabola delle dieci vergini), possiamo avere tutta la fede da spostare le montagne, avere la lampada accesa, andare incontro allo sposo ma veniamo a trovarci di fronte a Uno che ci chiude la porta in faccia e ci dice: "Non vi conosco".

Quel "Non vi conosco" è perché noi non conosciamo Lui, ci troviamo di fronte allo specchio di quello che noi siamo.

Per cui Dio dirà a noi: "Non ti conosco", perché tu non ti sei preoccupato di conoscermi.

Il che vuol dire che se è un problema di lettura, a fondamento c'è il problema di modo di essere.

Non c'è problema di sentimenti, ma c'è un problema d’intelligenza.

Le vergini stolte vengono escluse perché sono stolte, non intelligenti.

Quindi il problema fondamentale dell'uomo è un problema d’intelligenza.

È un problema di lettura, quindi d’intelligenza.

Qui i sentimenti non centrano per niente.

Non s’impara a leggere con i sentimenti.

Con i sentimenti s’impara sì a stravolgere tutte le letture.

Cosa vuol dire leggere?

Leggere vuol dire passare dai segni, dalle parole al pensiero di una persona.

Noi riusciamo a leggere in quanto riusciamo a vedere il pensiero contenuto nelle parole, nei segni.

Tutta la creazione di Dio è fatta in un pensiero, perché è fatta da Dio e Dio e uno solo.

"Uno solo è il Creatore, non avrai altro Dio".

Tutto l'universo è fatto da un Essere unico.

E in quanto è fatto da un Essere Unico, tutto l'universo, tutta l'opera di Dio, tutta la storia, tutta la vita di ogni uomo è fatta in un unico pensiero: il Pensiero di Dio.

Ora, se leggere vuol dire passare, arrivare a intendere il pensiero di una persona, imparare a leggere le opere di Dio vuol dire imparare a vedere il Pensiero di Dio in cui tutte le cose sono fatte.

Fintanto che noi non arriviamo a vedere questo pensiero in cui tutto è fatto, siamo analfabeti.

Potremmo anche sapere tutte le lingue del mondo, possiamo anche avere la fede da spostare le montagne ma, ci sentiremo dire da Dio: "Come mai sei stato analfabeta per tutta la tua vita?".

Potremmo anche aver lavorato tutta la vita, faticato e sudato tutta la vita e venirci a trovare di fronte a Dio che ci dice: "Come mai non hai fatto niente tutta la vita, Non hai imparato a leggere!".

E siccome il tema fondamentale, il problema fondamentale della vita dell'uomo è imparare a leggere, se noi non impariamo a leggere la scrittura, le opere di Dio, quindi se noi non impariamo a vedere il Pensiero di Dio, poiché Dio tutto opera per comunicare il suo Pensiero, tutto quello che noi facciamo e per cui ci affatichiamo, è niente.

Gesù dice: "Senza di Me fate niente".

E Sant'Agostino commentando dice: "Facendo niente diventiamo niente".

Riduciamo a niente tutto, per cui ci sarà tolto anche tutto quello che noi crediamo di avere.

Noi molte volte ci rifugiamo dicendo: "Si questo no, però... mi salverò con questo".

No, tu non ti salvi con quello, perché il fondamento di tutto è: Dio parla con te e tu non hai capito quello che ti stava comunicando.

Meglio una prostituta che si preoccupa di cercare di capire che cosa Dio le comunica attraverso le cose, gli avvenimenti, o attraverso la sua prostituzione, perché anche questa è una Parola di Dio, piuttosto di un santo o di un eremita che non si preoccupa di leggere la Parola di Dio.

Ecco la grande lezione che Dio ci dà attraverso Adamo.

Adamo diede il vero nome alle creature.

Abbiamo già detto domenica scorsa, che se la Parola di Dio ci puntualizza e dice: "Adamo ha dato il vero nome", ci fa capire che tanti altri non danno il vero nome alle creature.

Adamo ha dato il nome prima del peccato; quindi in quanto prima del peccato era in una situazione di purezza, d’innocenza: era pura creatura di Dio.

Cosa vuol dire questo dare il vero nome alle creature?

Adamo era tutto spettatore dell'opera di Dio, aveva di fronte a sé soltanto due termini: Dio Creatore e la creazione di Dio.

Adamo, Dio non lo vedeva fuori, perché Dio è Spirito e abita dentro l'uomo, la verità abita dentro l'uomo.

Quindi anche in Adamo Dio non era fuori, però gli era presente, perché Adamo non pensava a se stesso come realtà spirituale.

Noi diciamo che in paradiso vedremo Dio faccia a Faccia, però non esteriormente, perché Dio è Spirito e abita nel pensiero.

Il pensiero è una realtà più grande di tutto l'universo che noi vediamo attorno a noi.

Più grande e più massiccia.

Questo pensiero che noi trascuriamo perché: "È solo un pensiero"!

A un certo momento questo pensiero diventa più pesante di una montagna.

Dico: Adamo aveva quindi presente Dio Creatore nel suo pensiero e aveva presente davanti a sé la creazione di Dio.

Aveva presente questi due termini: Dio e la creazione.

O meglio: Dio che presenta ad Adamo la creazione.

Perché Adamo riceveva la creazione da Dio.

Non era Adamo che vedeva la creazione.

Noi invece diciamo: "Io vedo questo, io incontro quell'altro”.

Adamo non ragionava così, perché non pensava a se stesso.

Adamo non aveva ancora trovato il suo io, non aveva ancora preso coscienza del suo io, siamo prima.

Adamo, non pensando a se stesso, vedeva Dio Creatore che gli presentava le creature e poiché portava in sé la passione di Dio, passione di Dio che è passione dell'unità (la presenza di Dio crea in noi la passione di Dio, passione di conoscenza di Dio, quindi passione di unificazione), di fronte a due cose, Adamo sente il grande vero bisogno di ogni uomo: il bisogno di unificare, mettere una cosa in rapporto a un'altra, dare un nome.

Dare il nome, cioè rapportare tra loro due cose è espressione del bisogno di unificazione.

Infatti, è vedere un'altro in rapporto a un punto fisso di riferimento.

È fare un rapporto.

Ecco, dare il nome è fare un rapporto.

Adamo osservando Dio Creatore che gli presentava le creature, metteva le creature in rapporto a Dio e mettendole in rapporto a Dio dava il nome alle creature.

E cos'era questo nome?

Se le metteva in rapporto a Dio misurava le creature con Dio.

E cosa vuol dire misurare le creature con Dio?

Adamo misurando le creature con Dio, diceva che cosa Dio significava di Sé nelle creature.

Cioè, cercava Dio nelle creature.

Questo è il nome che dava a esse.

E siccome Dio in tutte le cose non fa altro che parlare di Sé, manifestare Sé, il rapporto deve essere (questa è la grande lezione di Adamo, che Dio ci dà in Adamo) tra la creatura e Dio, avendo Dio come punto fisso di riferimento e non la creatura come punto fisso di riferimento.

Adamo non diceva quello che Dio era in funzione della creatura ma diceva che cosa era la creatura in funzione di Dio.

Cioè, che cosa Dio diceva di Sé nella creatura.

Quindi leggeva la creatura in Dio e da Dio.

Così dava il vero nome alle creature.

Dare il nome è stabilire un rapporto.

Questo rapporto, questo dare il nome alle creature è il mattone per costruire la nostra capacità di lettura, perché soltanto dando il vero nome alle creature noi formiamo noi la capacità di leggere, perché noi non siamo capaci di leggere.

La capacità di lettura si forma personalmente dentro ognuno di noi in relazione ai nomi o al nome che ognuno di noi dà, ed è un fatto personale, a tutto ciò che gli si presenta.

Perché in un modo o nell'altro, anche se noi non ce ne rendiamo conto, noi diamo un nome a tutte le cose che si presentano a noi, perché abbiamo la passione dell'Assoluto e questa passione d'Assoluto ci porta a stabilire dei rapporti.

Per cui quando vediamo una persona ci chiediamo: "Chi è quel tale?" e rispondiamo: "Quel tale è il figlio di quell'altro".

E stabiliamo sempre dei rapporti e diamo un nome.

A differenza di Adamo noi il nome alle creature non lo diamo in rapporto a Dio, ma lo diamo in rapporto a noi stessi, a quel che portiamo dentro di noi, ai nostri sentimenti, alle nostre impressioni e diamo dei nomi sbagliati!

Ecco perché Dio ci presenta in Adamo uno che dà il vero nome alle creature.

Perché il vero nome alle creature lo si dà solo rapportando le creature al Creatore.

Se noi rapportiamo le creature e tutto ciò che Dio ci presenta, al pensiero del nostro io, ai nostri sentimenti, questi sono tutti nomi sbagliati perché il nostro io non è punto fisso di riferimento.

Tutte le cose sono fatte nel Pensiero di Dio, non nel pensiero del nostro io.

Il vero nome lo si dà quindi in quanto si rapportano tutte le cose a Dio e non al pensiero del nostro io.

È lì che noi ci condizioniamo, perché dando il nome, noi poniamo un mattone all'edificio della nostra capacità di lettura, per cui ognuno di noi legge in relazione ai nomi che dà alle creature.

Ognuno di noi quindi legge in modo soggettivo.

Si forma la capacità di lettura in modo soggettivo!

Per questo dico che dare il nome è un mattone nell'edificio della nostra capacità di lettura.

La formazione della capacità di lettura appartiene a un tempo finito, non infinito, per cui scade.

Arriva un certo momento in cui noi non possiamo più imparare a leggere.

Gesù lo dice chiaro: c'è un momento in cui la creatura può essere gettata nelle tenebre esteriori, viene a trovarsi di fronte a una porta chiusa che non si apre: la creatura bussa per entrare, chiama, invoca ma non le sarà aperto, non le sarà possibile entrare.

È tempo che scade.

Infatti, Gesù dice: "Affrettatevi!".

Quindi c'è un’urgenza.

"Affinché le tenebre non vi sorprendano".

Ecco, arriva un certo momento in cui le tenebre ci sorprendono.

E cosa sono queste tenebre?

Abbiamo detto che tutto è Parola di Dio.

Però notiamo questo: ci sono parole che sono trasparenti e ci sono parole che sono tenebrose.

Quando è che una parola è trasparente?

E quand'è invece che una parola è tenebrosa?

La parola è segno, annuncio di un pensiero.

La parola è propria di una persona.

Tutto è voce di un'esistente, le persone invece hanno le parole e la parola è segno del pensiero e noi intendiamo le parole in quanto arriviamo al pensiero.

Ci sono parole che sono trasparenti, luminose e ci sono parole che invece sono tenebrose opache.

Quand'è che una parola è trasparente?

È trasparente quando rivela il pensiero, quando rivela il suo principio.

E quand'è che la parola invece diventa tenebrosa?

La parola è tenebrosa quando annuncia altro che non è il principio.

Quando noi parliamo:"Io...." tutte le nostre parole sono tenebrose.

Perché?

Perché offuscano il vero Principio.

Principio è Dio Creatore.

È Lui che parla in tutto e le nostre parole sono trasparenti soltanto in quanto noi non diciamo:"Io...", ma diciamo:"Dio...".

"Fate le vostre opere" dice il Signore, cioè parlate in modo che le vostre parole glorificano il Padre.

Cioè, dite le vostre parole in modo che siano trasparenti.

In modo che coloro che vi ascoltano vedano il pensiero che queste parole annunciano.

Quando invece noi parliamo degli uomini, glorifichiamo gli uomini o parliamo di noi, queste parole non sono trasparenti, ma tenebrose.

Dico: noi corriamo il rischio di essere gettati in queste tenebre, in queste parole in cui non si vede il principio, in cui non si vede il pensiero, in cui non si può leggere.

Tutto è segno.

Gesù qui dice: "Io sono la porta".

Dicendoci questo ci dà la chiave di lettura.

Ma corriamo un rischio.

Dicendo:"Sono Io la porta", non dice:"La porta sono Io".

Dio dice a noi:"Io sono la porta", ma dire: "Io sono la porta" non è uguale a dire: "La porta è Dio".

Dio è la porta ma la porta non è Dio.

Noi corriamo il rischio di adorare la porta come se fosse Dio.

Siccome tutte le creature ci annunciano Dio, noi corriamo il rischio di confondere e lo confondiamo con Dio.

Poiché tutto è Volontà di Dio, tutto è opera di Dio allora diciamo: "Questo è Volontà di Dio".

Dio dicendo: "Io sono la porta" ci fa correre il rischio di dire: "La porta è Dio".

Che differenza c'è?

Questo ci fa capire perché Dio non dà Lui il nome alle cose.

Qui sta dando Lui il nome alle cose.

Visto che l'uomo non ha capito la parabola, non ha dato il vero nome alla parabola, abbiamo Lui che dice (qui ci fa correre un grande rischio) che Lui è la porta.

È il rischio che corriamo quando Dio dà il nome.

Ecco per cui dico che Dio ad Adamo ha presentato le creature ma non ha dato Lui il nome alle creature, ha voluto che fosse Adamo a dare il nome alle creature.

Come l'angelo dice a Giuseppe: "Tu gli darai il nome di Gesù".

Il figlio non è di Giuseppe, però l'angelo vuole che Giuseppe dia lui il nome a Gesù: "Lo chiamerai Gesù".

Soltanto se l'uomo dà il nome alle creature, il vero nome, evita di confondere il segno con la segnalazione.

Avevamo detto un giorno: il saggio che con il dito indica la luna, fa correre il rischio allo stolto anziché di guardare la luna di guardare il dito.

Ora, questa stoltezza non è molto singolare perché è la stoltezza che caratterizza tutti gli uomini.

Tutti gli uomini stanno esaminando e analizzando il dito e non guardano ciò che il dito segnala.

Tutte le creature sono questo dito che ci segnala Dio.

Ma tutti gli uomini stanno scrutando, analizzando, osservando questo dito.

Stanno scrutando cioè le creature e non vedono la segnalazione.

Perché?

Perché non hanno dato il vero nome alle creature.

Ecco per cui Dio dice ad Adamo di dare il nome alle creature.

Adamo per dare il nome (lui era in una situazione di purezza, quindi in lui non c'era questa difficoltà che c'è in noi), confrontava le creature con il Creatore.

Per guardare il Creatore non guardava certamente a se stesso (non possiamo contemporaneamente pensare a due cose).

Guardava Dio e guardando Dio superava se stesso.

L'uomo per dare il vero nome alle creature deve superare se stesso.

Per noi c'è il problema di dimenticare noi stessi, altrimenti non possiamo dare il vero nome alle creature.

Se non si dimentica sé cosa succede?

Succede questo: che l'uomo guardando i segni di Dio, non li vede come segni, non vede cioè la significazione, non vede la segnalazione, non vede l'intenzione.

L'uomo nel pensiero del suo io vede le creature come creature: un albero è un albero, una strada è una strada, una montagna è una montagna, un uomo è un uomo, una donna è una donna, le vede così.

Non le vede come segnalazione di-.

Non le vede come frecce, come dito che segnala qualche cosa.

Nel pensiero del suo io non vede il segno.

C'è una differenza grande.

Se noi teniamo presente Dio, nel segno c'è un’intenzionalità.

Se non teniamo presente Dio, cioè se pensiamo soltanto a noi e guardiamo soltanto a noi, noi vediamo la realtà ma non l'intenzionalità: per noi il segno è senza senso.

Nel campo dei numeri abbiamo i numeri assoluti e i numeri relativi.

I numeri relativi sono quelli che hanno un segno: più o meno, cioè un’indicazione, un’intenzione.

L'uomo nel pensiero del suo io vede i segni come valori assoluti, senza indicazione, senza pensiero.

Perché?

Perché per lui le cose sono vuote di significato.

L'uomo le riveste della propria intenzionalità, di un proprio pensiero.

Solo guardando Dio, invece, le cose essendo opera di Dio recano con sé un segno, un’intenzionalità.

E allora quando Dio dice:"Io sono la porta", se tengo presente Dio non mi fermo alla porta, ma cerco l'Intenzione di Dio nel dirmi:"Io sono la porta".

E come possiamo vedere questa intenzionalità?

I segni non valgono di per sé, valgono per la funzione che portano in sé.

Ogni segno è una funzione di-.

La porta è porta in quanto svolge una funzione.

Tutte le creature sono segni di Dio in quanto svolgono una funzione per noi, cioè recano con sé un’intenzione.

La porta ha una funzione: è il mezzo attraverso cui si entra in casa.

Questo nel campo della creazione.

Noi guardando una porta vediamo il mezzo per entrare in casa.

Questo non mi dice ancora niente.

Mi dice però la funzione della porta.

Se Dio mi dice: "Io sono la porta", non devo guardare la porta.

Non devo adorare la porta perché Lui mi ha detto: "Io sono la porta".

Se guardo da Dio la porta, devo vedere una funzione, vedere che cosa Dio mi significa di Sé attraverso la porta.

E già. Ma se io però non contemplo l'Intenzione di Dio quando ho capito che la porta è un mezzo per entrare in una casa non ho ancora capito niente.

Perché che la porta sia il mezzo per entrare in una casa va benissimo come lezione nel campo della creazione ma poi c'è tutto un campo interiore del rapporto tra me e Dio e questo è un rapporto intimo, personale.

La porta, la casa le vedo fuori, come vedo fuori il seminatore, vedo fuori il seme e vedo fuori il terreno e tutto quanto.

Ma tutto questo reca con sé un’intenzione che è l'Intenzione di Dio e quest'Intenzione di Dio è un rapporto intimo, personale, tra l'anima e Dio.

Se noi non intendiamo l'Intenzione di Dio nei riguardi dell'uomo, della creatura (perché tutto Dio fa per l'uomo per educare l'uomo a conoscere Dio, perché la vita vera sta nel conoscere Dio e la vita eterna sta nel partecipare a ciò che Dio è e Dio fa tutto per condurre l'uomo a questa partecipazione a questa conoscenza), la funzione delle creature non ci dice niente.

L'Intenzione di Dio è questa: Dio opera ogni cosa per farmi entrare.

Per farmi entrare!

Qui incominciamo a scoprire la funzione della porta.

Dio opera ogni cosa per far entrare me nella sua casa.

Per far entrare me nella vita eterna, per far entrare me nella conoscenza di Lui, per far entrare!

Il concetto di entrare è il concetto della porta.

C'è l'identità dell'Intenzione di Dio e la funzione del segno.

E quando c'è questa identità posso leggere, sono fatto capace di leggere.

Soltanto se parto da Dio sono fatto partecipe dell'Intenzione di Dio e l'Intenzione di Dio mi viene soltanto da Dio.

Soltanto quindi, nella misura in cui noi ci fermiamo con Dio, per conoscere Dio, siamo fatti capaci di leggere quello che Dio ci significa nelle creature.

Perché è Dio che ci rivela la sua intenzione, il suo pensiero, perché le cose sono di Dio.

Qui siamo fatti capaci di leggere.

Prima dovevamo dare il nome, adesso siamo fatti capaci di leggere.

Cosa succede?

È l'Intenzione di Dio che si riflette sulla segnalazione, nella funzione della creatura.

La porta ha la funzione di farmi entrare in casa e Dio dicendomi: "Io sono la porta ", cosa mi dice?

Mi dice che Lui ha la funzione (o l'intenzione) di farmi entrare in casa.

E cosa mi dice questo?

Mi dice una cosa stupenda: che la conoscenza di Dio, entrare nella vita eterna, partecipare a ciò che Lui è, avviene non attraverso le mie virtù, non attraverso i miei sacrifici, non attraverso la mia religiosità, non attraverso dei voti, non attraverso rinunce, non attraverso penitenze, non attraverso fede, attraverso niente di tutto questo.

Avviene soltanto attraverso Lui!!

"Io sono la porta", cioè: "Io sono il mezzo". Io, Dio, sono il mezzo perché tu possa entrare nella conoscenza di Dio.

Si giunge alla conoscenza di Dio per mezzo di Dio.

E questo cosa vuol dire?

Vuol dire che noi abbiamo la possibilità di pensare Dio.

E soltanto nella misura in cui noi pensiamo Dio, siamo fatti capaci di entrare nella conoscenza di Dio.

Dio si conosce soltanto per mezzo di Dio e non per mezzo delle creature.

Lui ci segnala questo attraverso le creature.

Attraverso le creature ci fa capire che il mezzo per poter conoscere Dio è Dio stesso.

Questa è la grande lezione.

Qui ci ha insegnato a leggere!Questo vuol dire raccogliere tesori in cielo.

Questo vuol dire imparare a leggere.

Soltanto nella misura in cui noi raccogliamo tesori in cielo, il Signore lo dice, noi riceviamo mercede di vita eterna, capacità di lettura.

La capacità di lettura si forma qui.

Dico: poi scade, perché Gesù dice:"Chi con Me non raccoglie disperde".

Adesso noi possiamo capire cosa vuol dire questo:"Chi con Me raccoglie", Lui è la porta, "riceve mercede di vita eterna": entra nella vita eterna: conosce Dio.

"Ma chi con Me non raccoglie disperde": la dispersione diventa impotenza.

Ecco per cui la cosa scade: perdi la capacità di leggere.

Eternamente tu sarai impegnato a leggere, ma ti mancherà la capacità di leggere.



Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Gv 10 Vs 7 Riassunti Domenica. Lunedì.


RIASSUNTI


Argomenti: La salvezza non è automatica – Dio significa Se stesso nella creazione – Dio è la chiave di lettura – Scrutare le scrittura – L”Io sono” di Dio – L’intenzione permette la lettura del segno – Scegliere tra la Vita e la Morte – L’ultimo segno – A Natale ci viene presentato un Io che si propone ad essere pensato – L’attenzione al Bambino – Il Pensiero di Dio in noi e nella creazione – La vanità del tutto – Imparare a leggere – Il tempo per imparare e leggere e il tempo per leggere – L’urgenza di dare il vero nome alle cose – Dio presente come Verbo incarnato – Cercare di capire la Parola – Schiavi di ciò a cui dedichiamo il pensiero – La lezione di Adamo – Il rapporto tra Dio e la creazione e tra l’io e la creazione – Il nostro io non è principio di nulla – Avere presente Dio come principio creatore – Precipitare nel tempo – Raccogliere in cielo – Entrare nella conoscenza di Dio – Disperdere – “Non vi conosco” – Restare alla presenza di Dio – L’intelligenza dei segni – Il falso nome delle cose in rapporto all’io – Dio/io, la creazione e la passione d’assoluto – La realtà del Pensiero di Dio presente in noi – L’io è effetto non causa – Dio solo ha in Sé la ragione di tutto – Il peccato d’autonomia che porta alla morte di Cristo – L’unica libertà dell’uomo – La traduzione dall’io a Dio – Il battesimo di giustizia -


 

21-22/Gennaio/1990 Casa di preghiera Fossano