GV 10 VS 23 - Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone
Titolo: La marea crescente.
Argomenti: Dentro e fuori. Capire i misteri. Homo faber e homo sapiens. Ritenere che la vita
sia nell’azione. La funzione della creazione. L’errore di volere
fare la creazione assoluta. L’uomo prigioniero della sua soggettività. Il dubbio sul pensiero di Dio. L’uomo è
salvato soltanto dall’oggettività. Dividere la
creazione da Dio. L’assoluto dà
significato al relativo, non viceversa.
2-3/ Giugno/1991
Questa scena è collegata con quanto è stato
affermato precedentemente: “Era inverno” e quindi dobbiamo tenere presente questa
stagione.
“Era inverno e Gesù passeggiava nel tempio
sotto il Portico di Salomone”.
Dobbiamo chiederci che cosa Dio ci voglia
significare con questa stagione.
Evidentemente c’è una stagione nella vita
dell’uomo in cui Gesù non cammina più sulle strade del mondo.
Gesù lo aveva preannunciato: “Mi cercherete e
non mi troverete”.
Qui si dice che “passeggiava nel tempio”, il
tempio l’abbiamo visto è il luogo interiore.
L’uomo stesso è tempio di Dio.
E quindi c’è questa stagione in cui Gesù si
ritira in questa interiorità.
Se si ritira vuol dire che non si trova più
fuori.
E poi precisa ancora: “Nel tempio sotto il
portico di Salomone”.
Il “passeggiare” di uno è segno di
disponibilità.
Vuol dire che è possibile avvicinarsi a Lui, è
possibile parlare con Lui, conversare con Lui...sta passeggiando.
Quasi a dire che sta perdendo tempo.
Gesù cioè era disponibile.
Qui rivela che d’inverno era disponibile, ma
era disponibile solo nel tempio, non fuori.
O non più fuori.
E non soltanto nel tempio ma era disponibile
sotto il portico di Salomone.
Abbiamo detto che c’è questa stagione nella
vita dell’uomo.
Ci sono momenti e momenti.
Gesù quando parla in parabole dice: “A voi
che siete dentro è dato conoscere i misteri del regno”.
“Ma a tutti quelli che sono fuori, tutto è
detto in parabole affinché non capiscano e non si salvino”.
Gesù fa questa distinzione “dentro e fuori”.
E quindi ci fa capire che fuori tutto è detto
in parabole (segni) ma non è possibile capire, è possibile capire solo a coloro
che sono dentro.
E allora cominciamo a capire questo Gesù che
d’inverno passeggia sotto il portico di Salomone, si rende cioè disponibile.
Lui è la sapienza di Dio tra noi, Lui è il
Verbo di Dio tra noi, è la Luce tra noi.
“Fintanto che sono nel mondo sono la Luce del
mondo”.
Quindi è luce che si rende disponibile ma
solo per coloro che sono dentro.
Tutti coloro che sono fuori sentono ma tutto
sentono in parabole, non capiscono e non si salvano.
Eppure Dio vuole salvare tutti.
Ma questo è proprio per farci capire che la
salvezza non sta fuori.
E fintanto che siamo fuori non c’è
possibilità di salvezza.
Ci fa capire che la salvezza sta dentro.
La salvezza sta nel capire: “Perché a voi che
siete dentro è dato capire”.
Quindi la salvezza sta nel capire, perché
coloro che sono fuori non si salvano.
Quindi si salvano coloro che sono dentro.
La salvezza sta nel capire, quindi siamo
nella conoscenza.
Ma capire che cosa?
Gesù stesso lo precisa: ”Capire i misteri del
Regno di Dio”.
Dice “capire i misteri” il che vuol dire che
i misteri una volta capiti non sono più misteri.
Dice: “A voi è dato capire”, non è detto che
a voi è dato credere nei misteri.
Precisa: “A voi è dato capire i misteri del
regno di Dio”.
E la salvezza sta qui.
Allora capiamo quello che dice la parola di
Dio attraverso San Paolo: “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a
conoscere la Verità”.
La salvezza sta nel capire, la salvezza sta
nel conoscere.
Però oggi ci presenta questo fatto qui: il
capire, il conoscere è accessibile soltanto a coloro che sono dentro.
E quale è la funzione del mondo fuori?
Tutto quello che avviene fuori di noi ha una
funzione ben precisa.
L’uomo è essenzialmente costituito dal mondo
esteriore (creazione di Dio), il mondo interiore e la parola di Dio.
Questa parola meravigliosa che orienta
l’uomo, che propone all’uomo, che invita all’uomo, ad occuparsi di questo
piuttosto che di quell’altro.
L’uomo è una sintesi di tutto l’universo, il
che vuol dire che tutto l’universo entra nell’uomo attraverso i sensi, ma come
entra nell’uomo suscita il problema.
L’uomo essendo tempio di Dio, quindi
portatore dell’assoluto, passione d’assoluto, come riceve in sé il mondo
esteriore, la creazione, le creature, gli avvenimenti, i fatti, immediatamente
sente una conflittualità, le cose del mondo esteriore non sono l’assoluto.
Certamente non sono l’assoluto.
Quell’assoluto che l’uomo porta in sé e di
cui lui è fame.
L’uomo è caratterizzato da questo, l’uomo è
una passione d’assoluto.
E come questa passione d’assoluto viene a
contatto con ciò che non è assoluto, qui la cosa non è più sopportabile: l’uomo
sente il problema.
Ha bisogno di una giustificazione.
Ha bisogno d’interrogare, di un perché e di
sentire la risposta, perché le cose mutano, perché le cose passano, perché
tutte le cose sono soggette a morire.
È questa passione d’assoluto, è questo Dio
che l’uomo porta in sé che lo fa interrogare.
E qui di fronte a questo problema, ogni uomo
comincia a qualificarsi.
Incomincia a determinarsi.
Qui noi assistiamo a due tipi di risposte da
parte dell’uomo.
Abbiamo uomini che di fronte a ciò che non è
assoluto, loro che sono passione d’assoluto, rispondono con il tentativo di
trasformare in assoluto quello che non è assoluto.
È la fatica, è lo sforzo, è lo studio di
tutti gli uomini.
Cercare di rendere assoluto, quello che
assoluto non è.
Tutta la fatica umana e tutti i conflitti
umani, hanno questa radice profonda: l’uomo non accetta il mutamento.
L’uomo non accetta che le creature e le cose del
mondo mutino e lui tende a renderle eterne, tende a renderle assolute, a
renderle stabili.
Questa è una delle prime risposte dell’uomo
che l’uomo fa di fronte al problema che gli si impone, perché il problema gli
si impone.
È Dio che glielo impone e glielo impone con
la creazione.
La creazione tutta opera di Dio, arriva
all’uomo indipendentemente dall’uomo, quindi ci è imposta, l’uomo la subisce,
però subisce una cosa che non riesce a digerire, ad assimilare, perché la cosa
non è assoluta e l’uomo è passione d’assoluto.
E allora c’è questa fatica per cercare di
trasformare in assoluto quello che assoluto non è.
Qui abbiamo l’uomo che si definisce l’uomo
“faber”.
L’uomo che lavora, l’uomo che fatica.
Tutto il lavoro umano e tutta la fatica umana
è quella di cercare di rendere assoluto quello che assoluto non è.
E poi c’è la seconda risposta dell’uomo che
non è cercare di rendere assoluto quello che assoluto non è, ma è quella di
cercare che cosa è l’assoluto.
Cioè l’uomo di fronte a tutti i segni che
arrivano a lui, per Dio che gli parla, l’uomo di fronte a questo parlare di
Dio, l’uomo si sente sollecitato a cercare di conoscere che cosa è l’assoluto.
Quindi di fronte al negativo (ciò che non è
assoluto) uomini che anzichè cercare di trasformare in assoluto ciò che non è
assoluto, tendono a capire che cosa è l’assoluto.
E qui abbiamo l’homo sapiens.
Quindi il primo, l’homo faber vive per
trasformare in assoluto quello che non è assoluto.
E diciamolo subito che va verso il fallimento
certamente.
Tutto il lavoro umano, tutta la fatica umana
va verso il fallimento.
Nessun uomo riuscirà a trasformare in
assoluto quello che non è assoluto.
Il problema non sta lì.
L’homo sapiens invece è l’uomo che cerca di
capire.
E abbiamo visto prima che la salvezza sta nel
capire.
Allora la salvezza sta qui, non sta nell’homo
faber.
La salvezza sta nell’homo sapiens.
Se la salvezza sta nel capire, evidentemente
sta nell’homo sapiens, nell’uomo che cerca di capire, di conoscere che cosa è
l’assoluto, chi è l’assoluto.
Qui è l’uomo che cammina verso la sua
salvezza.
Ma allora dobbiamo chiederci perché queste
due risposte diverse degli uomini.
Cos’è che determina un versante piuttosto che
l’altro.
Quale è la linea di spartiacque per cui ci
sono uomini che tendono verso una parte e uomini che tendono verso l’altra.
Uomini che tendono a fare (anche in campo di
apostolato) le cose del mondo esterno, in modo che siano assolute.
E uomini che invece cercano di capire che
cosa è l’assoluto.
Che cosa è che determina questi due versanti?
Tutto dipende dal tenere presente Dio o non tenere presente Dio.
C’è un termine comune per tutti, sia per
l’homo sapiens, sia per l’homo faber: Dio creatore è un essere che nessun uomo
può ignorare.
Certamente l’uomo non è il creatore delle
cose.
L’uomo non si fa da solo.
L’uomo è un essere che riceve l’esistenza e
la vita, la luce, riceve tutto.
L’uomo è un essere che riceve, non è un
principio.
L’uomo non ha in se la ragione delle cose,
certamente.
Quindi Dio è un essere che nessun uomo può
ignorare.
Nessun uomo può farsi principio creatore
delle cose.
Nessun uomo può dire di avere la ragione
delle cose dentro di sé.
Il fatto che Dio sia Colui che nessun uomo
possa ignorare, rende l’uomo responsabile se lo trascura, se non ne tiene
conto.
Abbiamo detto che abbiamo uomini che tendono
a trasformare in assoluto quello che assoluto non è.
E teniamo presente che l’uomo non sopporta
quello che non è assoluto, perché lui è passione d’assoluto.
Quindi tutte le volte che l’uomo non tiene
conto di Dio, immediatamente è portato a trasformare ciò che non è assoluto in
assoluto e a volere la creatura come Dio, la mette al posto di Dio.
Questa è l’anima di tutti i problemi e di
tutta la fatica dell’uomo.
Se invece l’uomo tiene conto di Dio, tutti i
segni che arrivano all’uomo dalla creazione, sono un ammonimento, l’uomo li
sente come ammonimento, come denuncia, come sollecitazione ad approfondire la
conoscenza di Colui che lui non può ignorare.
Già avevamo detto che tutto quello che è dato
a noi senza di noi, non può essere ignorato (è imposto) ma non può essere
conosciuto, senza un nostro darci.
Dio si dà a noi prima di noi, senza di noi,
indipendentemente da noi.
Dio è trascendente, non è condizionato dalla
creatura e quindi opera indipendentemente dalla creatura.
La creatura è portatrice di questo Dio che si
dona indipendentemente dalla creatura e abbiamo visto che l’uomo è il tempio di
Dio.
E Dio è esposto in questo tempio,
indipendentemente dalla creatura.
Che la creatura lo sappia o non lo sappia,
che la creatura lo pensi o non lo pensi, Dio è presente nella creatura.
Ma proprio perché Dio è presente
indipendentemente dalla creatura, la creatura non lo può ignorare, però non lo
conosce.
E non lo potrà conoscere, fintanto che non si
dedicherà a questo Dio che si è donato ad essa prima di essa.
La conoscenza, quindi la salvezza, non
avviene senza la dedizione da parte dell’uomo.
Dio offre la salvezza all’uomo,
indipendentemente dall’uomo, l’uomo non giunge alla sua salvezza, alla
conoscenza, alla sapienza di Dio senza questo suo donarsi.
Possiamo capire quindi cosa vuol dire “essere
dentro”.
Dentro sono coloro che si sono dati, che si
danno al mistero di Dio.
E quelli che sono fuori sono l’uomo faber.
Sono tutti quelli che ritengono che la vita
stia nell’azione, che la salvezza stia nell’azione.
La vita non sta nell’azione, la vita non sta
nel fare, non sta nel possedere, non sta nel rendere assoluto quello che
assoluto non è.
È tutta vita sprecata, tutte case costruite
su delle frane.
Manca la pietra d’angolo.
La pietra fondamentale per far star su
l’edificio.
Ma l’importante è questo: sono dentro coloro
che si danno al mistero.
Perché soltanto nella misura in cui uno si
dà, può giungere a conoscere quello che non può ignorare.
Infatti i suoi discepoli diranno: “Noi
abbiamo lasciato tutto per seguire Te”.
Il lasciare materiale è relativo, si sono
dati tutto con la mente, con il pensiero.
Si sono impegnati nel mistero di Dio.
Ecco questo fa “essere dentro”.
La funzione del fuori è unicamente per
denunciare a noi una insufficiente conoscenza di Dio.
In realtà, Dio non lo possiamo ignorare però
non lo conosciamo.
Il fatto di sapere che Dio abita in noi, che
noi siamo tempio di Dio, questo non ci salva mica.
Perché questo è dato a noi senza di noi e
tutto quello che è dato a noi senza di noi, non ci salva.
Indubbiamente è la condizione essenziale per
giungere alla salvezza, perché senza Dio noi facciamo niente.
Però il fatto di sapere che Dio abita in noi,
che noi siamo il tempio di Dio, questo non ci salva.
Alla salvezza che è capire, che è conoscenza
di Dio, non si giunge senza di noi.
Non si giunge quindi senza questo essere
dentro.
E allora abbiamo tutta la creazione che ha
questa funzione, che ci ammonisce.
La creazione arrivando a noi, presentandosi
come non assoluta, ci ammonisce dicendoci che noi non conosciamo l’assoluto.
Non puoi ignorare l’assoluto, perché tu
stesso sei una passione di assoluto ma non sai ancora chi è: “E noi creature
che passano veniamo a te per dirti di cercare l’assoluto”.
Sprofondati in questo mistero, perché lì è
nascosta la tua vita.
Lì è la tua salvezza.
Lì è la conoscenza.
Questa è la funzione di tutta la creazione.
Condizione essenziale è che l’uomo non
disgiunga la creazione da Dio.
L’uomo deve tenere conto di Dio, deve tenere
conto di Uno che non può ignorare.
Di fronte alla creazione che arriva all’uomo
dicendogli di non essere l’assoluto, se l’uomo trascura Dio, l’uomo tende ad
operare per trasformare questa creazione in assoluto.
E fa un errore madornale.
L’errore madornale sta in questo fatto:
l’uomo diventa prigioniero della sua soggettività.
Ed è la grande prigione dell’uomo perché lo
conduce all’inferno.
L’uomo va all’inferno perché non riesce a
superare il suo io.
Non riesce a liberarsi del pensiero del suo
io.
E l’uomo che trascura Dio e trascorre tutta
la sua vita per cercare di rendere assoluto quello che non è assoluto, l’uomo
si chiude nella prigione del soggettivismo della soggettività.
Il tema di oggi è la marea crescente, la
marea montante.
C’è questa marea di soggettività che invade
la vita dell’uomo.
Invade la mente dell’uomo.
Invade tutto l’uomo.
Tutto, assolutamente tutto.
Al punto tale da invadere la presenza di Dio
nell’uomo.
Invade tutto, anche il tempio di Dio che
l’uomo è.
Questa marea di soggettività, per cui l’uomo
a un certo momento, vede tutto in relazione a se stesso, tutto in relazione al
suo io.
E notate non può mica superarsi, non può
dimenticarsi, per cui gli resta un dubbio eterno, un dubbio tremendo,
terribile.
Un dubbio che viene da questa marea qui di
soggettività che invade l’uomo.
Ed è il dubbio che Dio veramente esiste.
È un dubbio eterno, con cui l’uomo va
all’inferno ma da cui non ne può uscire.
L’uomo da solo non ne può uscire.
Perché Dio non lo può ignorare, anche se va
all’inferno, però dubita che sia un suo pensiero.
Dio veramente esiste o è una proiezione del
nostro io?
Ecco la soggettività.
Gesù dice: “Ancora per poco la luce è con
voi, camminate fintanto che avete la luce, affinché le tenebre non vi
sorprendano”.
Ecco, c’è questo rischio.
Il rischio di essere sorpresi dalla marea di
tenebre.
E la marea di tenebre è la marea della
soggettività.
Soggettivo è ciò che è in relazione al
pensiero dell’uomo, che è relativo all’uomo.
L’uomo che dice: “Questo esiste perché io lo
vedo e lo tocco, lo esperimento”, si chiude in un mondo di soggettività.
Perchè qui l’uomo ritiene che quello che
veramente esista sia quello che lui vede e tocca.
Quindi lui, uomo è il punto fisso di
riferimento.
Tutti i sentimenti dell’uomo, quindi tutto
ciò che l’uomo vede, tocca ed esperimenta, sono in relazione all’uomo e si
concludono nella soggettività dell’uomo.
Punto fisso di riferimento per l’uomo è
quello.
Quello che libera l’uomo è invece
l’oggettività.
L’oggettivo libera l’uomo ed è ciò che esiste
indipendentemente dall’uomo.
Indipendentemente da quello che l’uomo vede,
tocca ed esperimenta.
Ma anche indipendentemente da quello che
l’uomo pensa.
Quello che salva l’uomo non è ciò che l’uomo
pensa di Dio, come l’uomo non è salvato da quello che vede tocca e sente.
Tutte le scienze umane che sono fondate su
quello che l’uomo esperimenta, certamente non salvano l’uomo.
Non lo salvano da questa marea di
soggettività.
Non lo liberano dal pensiero dell’io.
Nel modo più assoluto.
L’uomo è salvato soltanto dall’oggettività.
Cioè da ciò che esiste indipendentemente da
lui.
Per cui esiste sia che l’uomo lo pensi, sia
che l’uomo non lo pensi.
Indipendentemente da ciò che l’uomo vede,
sente e tocca.
Ma allora tutto il mondo soggettivo è forse
fatto per la dannazione dell’uomo?
L’uomo si salva conoscendo Dio, non
lasciandosi guidare da quello che vede, sente e tocca.
Ma tutto il mondo è un vedere, sentire,
toccare.
San Giovanni dice che tutto il mondo è tutto
concupiscenza, degli occhi, del tatto dell’orecchio.
Quindi questo mondo è tutto male?
Il mondo è creazione di Dio.
Dio ha fatto il mondo nel male?
No.
Tutto quello che arriva all’uomo è sentimento
dell’uomo.
Questo non è male.
Se l’uomo si lascia guidare dal sentimento
questo diventa male.
Tutto quello che arriva all’uomo
indipendentemente dall’uomo e quindi tutto quello che l’uomo vede tocca ed
esperimenta, è opera di Dio, creazione di Dio, parola di Dio che arriva
all’uomo ma tutto quello che arriva all’uomo, arriva per dire all’uomo: “Tu non
conosci Dio”.
Gli denuncia cioè una insufficienza di
conoscenza.
Lo mette in crisi, certamente lo mette in
crisi.
Perché gli dice: “Guarda che quello che
conosci di Dio è insufficiente per la tua salvezza”.
Insufficiente per liberarti dal pensiero del
tuo io.
Questo è ciò che dice la creazione all’uomo,
se l’uomo tiene presente Dio.
Ma se l’uomo separa la creazione da Dio, non
tiene conto di Dio, cosa succede?
Succede che tutto quello che arriva all’uomo
e si fa sentire dall’uomo, diventa desiderio dell’uomo.
Diventa pensiero dell’uomo.
È qui la linea di spartiacque.
Fintanto che la creazione arriva all’uomo qui
non c’è il male.
Quindi tutto il mondo non è immerso nel male.
Il male sta nel punto in cui l’uomo disgiunge
da Dio quello che gli arriva dalla creazione.
Cioè se l’uomo sollecitato dalla creazione,
non s’impegna, non si sprofonda, non entra in questa ricerca di Dio, non entra
nella sapienza di Dio, non s’impegna a conoscere Dio.
Il male sta lì.
Il male sta in questo dividere, per poco che
l’uomo divida la creazione di Dio da Dio, immediatamente lui si lascia guidare
dal sentimento, da quello che vede, sente e tocca, da quello di cui fa
esperienza e quello diventa suo pensiero.
Siccome l’uomo come pensiero è passione
d’assoluto, l’uomo desidera che quello che vede, tocca e sente sia assoluto.
E qui comincia la marea di soggettività.
Perché tutto è relativo all’uomo.
Questa relatività fa capo all’uomo, cioè a un
essere in cui non c’è la ragione di niente, per cui l’uomo non riesce a
giustificare niente.
Per cui l’uomo faber, l’uomo scienziato
giustificherà sempre tutto il suo operare, tutto il suo vivere nel fatto che
“questa cosa è vera perché io la sento, perché io la tocco, perché io la
esperimento”.
Ma esperimentare la cosa non gli fa conoscere
la verità.
Perché non giustifica niente.
L’uomo che dice: “Io faccio questo perché
sento così”, non giustifica affatto la ragione delle cose, perché non ha in sé
la ragione delle cose.
Perché il nostro io non è creatore, è
creatura e quindi il nostro io patisce l’opera di Dio, l’opera del Creatore e
se patisce l’opera di Dio non ha in sé la ragione delle cose.
L’uomo patisce tutta la creazione, tutti i
sentimenti sono una passione dell’uomo e in quanto lo patisce, la ragione di
questo suo patire non è in lui ma è in Colui che glielo fa patire.
Quindi l’uomo che riferisce tutte le cose al
suo sentimento, alle sue esperienze, a quello che ha conosciuto delle cose del
mondo, è tutto soggettivismo.
E in quanto fa capo al pensiero dell’io, fa
capo all’ignoranza, ad un mondo di tenebre, alla marea delle tenebre.
Perché il principio della salvezza sta
unicamente nel trovare la ragione delle cose, in Colui nel quale è la ragione
di tutte le cose.
Certamente nell’uomo non c’è la ragione delle
cose, l’uomo non riesce a giustificare neppure un filo d’erba o un granello di
sabbia.
Niente, assolutamente niente.
Ma l’uomo ha la possibilità di capire la
ragione del filo d’erba, del granello di sabbia, di capire la ragione di tutto,
perché ha la possibilità di cercare Dio.
In Dio, nel Creatore, lì c’è la ragione delle
cose.
Lì c’è la giustificazione delle cose.
Lì l’uomo ha la possibilità di accedere a
quello che è il campo dell’oggettività.
Perché l’uomo che è sommerso dalla marea della
soggettività, perde nel modo più assoluto l’oggettività delle cose.
Ed entra in crisi, è la crisi
dell’oggettività.
Ed è una crisi terribile perché l’uomo non ha
più un punto fisso su cui sostenersi.
Un punto su cui giustificare qualche cosa ed
è il tormento più grande dell’uomo perché l’uomo è fatto per conoscere.
Non ha più un punto fisso di riferimento, un
punto in cui possa giustificare, quindi trovare pace.
Finché l’uomo dice che la cosa è così perché
lui la esperimenta certamente non ha pace perché non riesce a dare una ragione
alle cose.
Questo rischio grave della soggettività che
incombe sull’uomo deriva dal fatto che l’uomo ha presente delle cose che sono
diverse da Dio, diverse dall’assoluto.
Il problema è quindi andare al di là di tutto
ciò che non è assoluto.
Il problema si risolve superando tutto ciò
che non è assoluto.
Perché quello che non è assoluto e che mezzo
per giungere all’assoluto, diventa per noi, se trascuriamo l’assoluto, un
rischio mortale e ci chiude nella prigione del soggettivismo.
Il problema è dato dalla mediazione delle
cose.
Fintanto che una cosa è in mezzo tra noi e
Dio c’è questo rischio.
Se il rischio è dato dalla mediazione delle
cose, la salvezza sta nel superare tutto ciò che è mezzo e nello stabilire il
rapporto diretto con Dio.
Soltanto nel guardare direttamente a Dio.
Perché è in Dio, nell’essere assoluto la
ragione delle cose.
Quell’Essere che esiste indipendentemente
dall’uomo.
L’uomo è salvato da Colui che esiste
indipendentemente dall’uomo.
Soltanto se l’uomo ha la possibilità di
trovare questo essere che esiste indipendentemente da lui, indipendentemente
anche dal suo stesso pensare, ha la salvezza.
Fintanto che l’uomo pensa Dio, non è questo
pensare a Dio che lo salva.
È quando l’uomo da Dio riceve la grazia da
Dio di capire che il suo pensare a Dio, viene da Dio, lì l’uomo entra nella
salvezza.
L’uomo patisce la passione dell’assoluto, con
questo lui denuncia questa presenza dell’assoluto in sé ma in questo pensiero
dell’assoluto che l’uomo porta in sé, lì c’è la sua salvezza.
Assoluto vuol dire essere che trascende
tutto, che è indipendente da tutto.
Soltanto se l’uomo s’impegna in questo essere
che è indipendente da tutto, che trascende tutto, soltanto se il suo pensiero
nasce di lì, l’uomo trova la sua salvezza.
E la sua salvezza sta nella liberazione
dall’ossessione del suo io, dall’ossessione della soggettività.
La soggettività oltre che annullare all’uomo
tutti i suoi punti di riferimento, gli annulla anche il significato di tutte le
cose, per cui l’uomo che agisce e che crede di giustificare la sua vita
operando nel mondo, lui stesso si condanna certamente al fallimento di tutto,
cioè a toccare con mano il non-significato di tutto ciò per cui è vissuto.
Perché ciò che dà significato alle cose, non
sono le cose e neppure la nostra fatica per trasformare il mondo, ma è il
collegamento delle cose con l’infinito, con l’assoluto, con l’eterno, con Dio.
È l’infinito che dà significato al finito.
È l’eterno che dà significato alle cose che
passano.
È l’assoluto che dà significato alle cose
relative.
E non viceversa.
Per cui soltanto se le cose ci portano
all’infinito, all’assoluto, all’eterno, a Dio hanno significato.
Proprio in quanto l’uomo ricevendo il
messaggio di tutta la creazione, chiude gli occhi e si raccoglie nel pensiero
di Dio e pensa Dio per ricevere da Dio la conoscenza di quello che Dio è, lì
c’è il significato di tutto l’universo e della creazione.
Quindi tutte le cose che non sono assolute,
ricevono significato da ciò che è assoluto, se l’uomo s’impegna in questo.
Ma se l’uomo non s’impegna in questo e tende
a operare sulle cose, certamente si condanna a perdere il significato delle
cose e quando perde il valore delle cose, perde anche la vita, perché quando
una cosa non ha più significato, l’uomo non può più volerla.
E perde tutto.
GV 10 VS 23 - Gesù camminava nel tempio, nel portico
di Salomone.
Secondo tema - La
disponibilità di Dio.
Argomenti: La vicinanza del regno
di Dio. Il Regno di Dio è il regno dell’oggettività. La disponibilità relativa e negata di
Gesù. Le stagioni
dell’anima. Quando si è dentro e
quando si è fuori. Analizzare la
materia. I pensieri del
bambino. Il ritirarsi di Dio
nel mondo interno e nel Padre. Toccare Dio. La morte infinita. Bisogno e
disponibilità. Bisogno e
intenzionalità. Avere l’intenzione
che deriva o non deriva dalla Realtà. La
disponibilità eterna di Dio.
9-10/ Giugno/1991
L’argomento di domenica scorsa, cioè la crisi
dell’oggettività, come conseguenza della marea di soggettività che invade la vita
di ogni uomo, quando si vive di sentimento, di mondo, anziché raccogliere le
cose in Dio, ci ha preparati ad intendere questa scena di Gesù che passeggia
nel tempio.
Domenica prossima vedremo l’argomento del
portico di Salomone.
Passeggiare è segno di disponibilità.
Gesù che passeggia nel tempio, è segno che è
disponibile.
Disponibile ad essere avvicinato,
interrogato, ascoltato.
Si rende disponibile, ha tempo.
Essere disponibili vuol dire avere tempo per
qualcosa o per qualcuno.
Gesù che qui d’inverno sta passeggiando nel
tempio, dichiarava che aveva tempo, era disponibile.
Lui stesso, nel tempio proclamerà: “Chi ha
sete venga a me e beva”.
Ecco l’anima di questo passeggiare, si rende
disponibile.
Però qui dice “nel tempio”.
Il fatto che precisi che Lui stava
passeggiando nel tempio e quindi era disponibile nel tempio, già ci fa pensare
che non era disponibile fuori.
E allora l’argomento di oggi è questo: c’è
disponibilità e disponibilità.
Ci fa pensare che ci sia un luogo (fuori del
tempio) dove Gesù non è disponibile.
E allora bisogna capire cosa vuol dire essere
fuori e essere dentro e l’abbiamo accennato domenica scorsa.
Gesù è segno dell’opera di Dio tra noi, della
presenza di Dio tra noi.
È il Dio tra noi, il Dio con noi, l’Emanuele.
Apparentemente il Dio tra noi, con noi, Gesù
viene presentato come la massima disponibilità, l’essere che è tutto
disponibile.
Gesù è stato definito “l’uomo per gli altri”.
Tutto disponibile.
In realtà noi troviamo nel Vangelo le parole
di Gesù che dicono: “Chi ha sete venga a me e beva”, è tutto disponibile.
“Il Regno di Dio è vicino”, la vicinanza è
segno di disponibilità.
Gesù che passeggia si rende vicino, si rende
accessibile.
Il concetto di vicinanza non è un concetto di
tempo.
Per cui molti errano dicendo: “Era già vicino
allora e non lo vediamo adesso il venire di Dio”.
Non è questione di tempo.
Gesù stesso lo preciserà: “Non aspettatevi di
vedere venire il regno di Dio tra le cose esteriori”.
Il regno di Dio è questione d’intelligenza.
È già tutto regno di Dio.
Dio è Colui che regna in tutto.
Siamo noi che dobbiamo entrare, nel senso che
dobbiamo capire.
Abbiamo visto che il centro, l’anima, il
principio di ogni oggettività è Dio ed è solo Dio.
E il Regno di Dio è il regno
dell’oggettività, in cui noi ci sentiamo conosciuti e pensati.
Noi non entriamo in questo regno, in quanto
cominciamo a vivere per noi stessi, a pensare a noi stessi.
Lasciandoci guidare dai nostri sentimenti o
da quello che dicono gli altri.
Ed è proprio in questo modo che noi, come
bachi in un bozzolo, ci chiudiamo nei nostri desideri, misuriamo l’universo
secondo la nostra intenzionalità e non vediamo più il Regno di Dio.
E il Regno di Dio diventa per noi una cosa
astratta, lontanissima.
Apparentemente Gesù quindi ci viene
presentato come tutta disponibilità: “Chiedete e otterrete, domandate e vi sarà
dato, bussate e vi sarà aperto, perché viene dato a chi chiede, viene risposto
a chi domanda, viene aperto a chi bussa”.
Abbiamo quindi queste espressioni di tutta
disponibilità.
Per cui noi che siamo portati ad astrarre,
siamo portati a considerare Gesù un essere tutta disponibilità, tutto amore,
tutto concessione.
Sempre disponibile.
Ma girata la pagina, troviamo altre parole di
Gesù.
Gesù dice: “Ancora per poco Io sono con voi”.
“Non sempre avrete Me”.
“Camminate fintanto che avete la Luce,
altrimenti le tenebre vi sorprendono”.
E qui troviamo già una disponibilità
relativa, condizionata.
Gesù non è sempre con noi.
Gesù non è con noi a qualunque costo.
Qui mette delle condizioni.
Sopratutto dice: “Non sempre avrete me”.
E quindi già ci rivela una certa urgenza
perché ci dice che se non camminiamo, restiamo sorpresi dalle tenebre, dalla
notte.
E le tenebre non hanno nulla a che fare con
Lui.
Lui è Luce.
Dio è Luce.
“E se qualcuno cammina nelle tenebre e dice
di essere con Dio è menzognero”.
Si è con Dio soltanto in quanto si è nella
Luce.
In quanto si vede, si capisce e s’intende.
Lo Spirito Santo è spirito di Luce,
d’intelligenza, di verità.
Noi ci illudiamo di avere lo Spirito Santo o
di avere ricevuto lo Spirito Santo.
Gesù dice: “In quel giorno capirete”.
E se noi non capiamo vuol dire che non
abbiamo ricevuto lo Spirito Santo.
La venuta dello Spirito non è un atto magico.
Lo Spirito Santo è intelligenza, è capire.
Se andiamo ancora più avanti noi troviamo
l’opposto della disponibilità.
Noi troviamo Gesù che con la parabola delle
dieci vergini chiude la porta.
Le vergini stolte chiedono, invocano,
bussano, piangono e Gesù non apre.
Quando non si apre, qui evidentemente non
abbiamo più disponibilità.
Qui non è un Dio disponibile, qui è un Dio
che chiude.
E quando gli dicono: “Noi ti abbiamo sentito
predicare nelle nostre piazze, noi abbiamo mangiato con Te alla Tua mensa”, Lui
dice: “Andate via da Me, perché non vi ho mai conosciuti”.
Qui non è un Dio tutto disponibile.
Qui troviamo un Dio che si rifiuta ad essere
disponibile.
Noi troviamo qui creature che invocano
disponibilità.
Quando troviamo parole di Gesù che dice: “Mi
cercherete e non mi troverete”, non abbiamo più un Dio disponibile.
Gesù non è stato disponibile verso quel
fratello che chiedeva giustizia: “Dì a mio fratello che divida con me la sua
parte di eredità”, qui Gesù non è disponibile a fare giustizia.
E noi troviamo che Gesù non è disponibile al
bisogno che Marta esprime: “Dì a mia sorella che mi aiuti”.
Gesù non concede che Maria dia un aiuto a
Marta.
Quindi qui abbiamo un rifiuto di
disponibilità.
E quando addirittura i suoi discepoli gli
chiedono: “Concedici di essere uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel
tuo regno”, Gesù non è disponibile.
Lui si rifiuta.
Addirittura quando sua madre e i suoi parenti
vanno a cercarlo, Lui ha un’espressione offensiva: “Chi è mia madre e chi sono
i miei fratelli?”.
Qui evidentemente abbiamo un Dio che non è
disponibile alla richiesta della creatura.
Quel Dio che aveva detto: “Non preoccupatevi
del mangiare e del vestire e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”, qui
rivela una chiusura.
Ora, noi dobbiamo cercare di capire il significato
di questo.
Abbiamo una disponibilità: “Venite a me voi
tutti che siete affaticati ed oppressi” ma poi questa disponibilità viene
condizionata e a un certo momento viene completamente eliminata.
Questo ci fa capire che ci sono delle
stagioni per l’anima.
La nostra anima ha delle stagioni.
Delle stagioni in cui Dio è con lei, ed è
tutto disponibile, anzi invita a chiedere.
Dio ha delle espressioni in cui ci invita a
chiedere e poi abbiamo l’altra faccia di un rifiuto completo.
Come mai?
Cosa è questa contraddizione?
Qui dice che era inverno e Gesù passeggiava
nel tempio.
Il che vuol dire che non era più disponibile
per quelli che erano fuori.
“A tutti coloro che sono fuori, tutto viene
detto in parabole” ed aggiunge una espressione strana e inconcepibile per il
concetto che noi spesso ci siamo fatti di un Dio sempre disponibile: “Tutto
viene detto in parabole, affinché non capiscano e non si salvino”.
Qui non abbiamo un Dio disponibile.
Non abbiamo un Dio tutta misericordia.
Però aggiunge: “A voi che siete dentro, è
dato conoscere i misteri del Regno”.
Fa questa grande distinzione: dentro e fuori.
Per cui possiamo cominciare a capire cos’è questo Dio che
passeggia nel tempio.
Passeggiare vuol dire che è disponibile, che
ha tempo.
Ha tempo per che cosa?
Dice: “A voi che siete dentro è dato
conoscere i misteri”, quindi a coloro che non sono dentro non è dato conoscere
i misteri.
Intanto se a coloro che sono dentro è dato
conoscere i misteri, vuol dire che questi misteri non sono tanto misteri.
Quindi non dobbiamo trincerarsi dietro il
“mistero”, il mistero è tale perché tu ti sprofondi in esso perchè se tu
“entri” il mistero cessa di essere mistero, diventa tutto luce.
Però fa questa distinzione “dentro e fuori”.
E noi ci siamo chiesti cosa vuol dire essere
fuori e cosa vuol dire essere dentro.
Quand’è che noi siamo fuori e quand’è che noi
siamo dentro?
“Noi abbiamo lasciato tutto per venire dietro
di Te”.
Si è dentro quando si lascia tutto per
cercare di conoscere Dio.
Uno è dentro ad una cosa in quanto s’immerge,
si sprofonda in quella.
E se si sprofonda in quella vuol dire che
lascia tutto il resto e s’immerge per che cosa?
Per capire.
Perché soltanto a coloro che s’impegnano in
Dio come l’unica cosa necessaria, è dato conoscere i misteri del Regno.
E invece coloro che sono fuori, sono tutti
gli altri
Vadano in chiesa, non vadano in chiesa,
credano, non credano.
In quanto non mettono la ricerca, la
conoscenza di Dio, al di sopra di tutto, come il problema principale della loro
vita, sono fuori.
E in quanto sono fuori, non gli è dato
conoscere i misteri del Regno.
Il tempio significa l’interno dell’uomo,
l’uomo interiore, perché Dio abita nell’uomo interiore.
L’uomo è il tempio di Dio, la Verità non
abita fuori.
Fintanto che per noi la realtà è fuori, noi
siamo fuori come l’homo faber che ritiene che la vita stia nel lavorare, nel mangiare, nel
vestirsi, nel fare ed è tutto proiettato nella realtà esterna, perché ritiene
che la vita gli venga da questa realtà esterna.
Ed essendo fuori certamente non si trova Dio,
non si trova la Verità.
Gli uomini possono analizzare la materia ma
certamente non arriveranno a trovare la Verità.
Dio, la Verità non sta nella materia.
La materia è un segno di Dio, una parola di
Dio, certamente, come tutte le creature ma per quanto noi analizziamo la
materia o analizziamo le creature, certamente non troveremo Dio, non troveremo
la verità.
La verità è spirito, la verità è pensiero.
Chi volesse sezionare il cervello per vedere il
pensiero che una persona ha, starebbe fresco, e tutti gli uomini fanno questo
errore.
Tutti gli uomini si sprofondano nel mondo
esteriore, analizzano la materia o analizzano le creature.
Tutta la psicologia è un analisi delle
creature, è tutta un “sezionare” la creatura, credendo di poter trovare la
verità, il pensiero, troveranno della pappetta, della cenere, ma non avranno nè
la verità, ne la creatura.
È tutta un illusione nostra perché si è
trascurato Dio, perché si è separata la creatura dal Creatore.
E separando la creatura dal Creatore, l’uomo
resta fossilizzato sulla creatura, ecco che allora analizza la creatura
credendo di trovare la verità.
La Verità non è fuori, Dio non abita fuori.
Ed è parola di Dio, perché Gesù
dice con precisione: “Non aspettatevi di vedere il Regno di Dio nelle cose
esteriori, il Regno di Dio è dentro di voi”.
Quindi la verità abita dentro l’uomo, Dio abita dentro
l’uomo, l’uomo quindi è il tempio la casa di Dio e soltanto se l’uomo entra
dentro se stesso, qui trova il Gesù che passeggia tra i suoi pensieri, nella
sua mente, qui trova Gesù che è disponibile, che ha tempo.
Mentre invece fuori troviamo sempre un Dio che non ha
tempo per noi.
Abbiamo detto che ci sono diverse stagioni dell’anima.
Perché come ci sono stagioni nella natura (tutto è
segno), così ci sono anche delle stagioni dell’anima.
C’è nella natura la primavera, l’estate, l’autunno,
l’inverno e qui siamo d’inverno.
E così anche per l’anima ci sono queste stagioni.
C’è la stagione in cui Dio è con l’uomo, Dio è con noi,
in tutta la creazione, tutto parla a noi di Dio.
E l’anima è attenta a Dio.
E l’anima riceve tutto da Dio.
Gli angeli, i pensieri del bambino sono tutti alla
presenza del Padre, dice Gesù, perché ricevono tutto da Dio.
C’è questa stagione in cui la realtà del mondo che giunge
a noi, giorno dopo giorno, è tutta legata a Dio, viene tutta da Dio.
Il bambino non ha nessuna difficoltà a vedere Dio
creatore di tutte le cose.
Abbiamo quindi la prima stagione dell’anima in cui Dio
parla in tutto e parla con noi in tutto.
E poi abbiamo invece una stagione in cui Dio si ritira:
Dio non si trova più nel mondo esteriore.
Dio si ritira nel suo tempio, cioè entra dentro l’uomo.
E se l’uomo non cerca Dio dentro di sé, a un certo
momento s’accorge che nel mondo esterno, lui non trova più Dio.
Dio non parla più nel mondo esterno, dove tutto parla
dell’uomo, dei sentimenti.
Ecco c’è questa marea di tenebre, di soggettività che
avvolge l’uomo.
E lo travolge.
A un certo momento L’uomo fa una difficoltà enorme a
convincersi che Dio esista.
Si parte da una stagione in cui tutto glorifica Dio,
tutto parla di Dio, tutto è segno di Dio e si arriva ad un punto in cui l’anima
dubita che Dio esista.
Ed è un tormento grande, perché molti vorrebbero credere
e non possono credere.
Evidentemente perché il credere non è un atto della
nostra volontà, non dipende dalla nostra volontà.
Tutto viene da Dio e noi dobbiamo convincerci che tutto
deve venire a noi da Dio.
Perché Dio è principio di tutte le cose, anche della
nostra fede, anche della Luce, di tutto quanto e sopratutto la presenza di Dio
di cui noi viviamo, perché privi di presenza noi moriamo.
Noi moriamo perché perdiamo il contatto con la presenza
di Dio, non tocchiamo più niente di Dio.
Quell’emorroissa che soffriva perdite di sangue da tanto
tempo perché non toccava niente di Dio: “Che io possa toccare anche un solo
lembo del suo vestito”.
Toccare qualche cosa di Dio, questo salva.
Ecco l’uomo muore in questa soggettività.
E questa emorroissa è segno di una perdita di vita, una
perdita di vita crescente perché non possiamo toccare niente di Dio.
L’uomo è costituito essenzialmente dal “Tu” di Dio.
E quando perde il contatto con questa presenza, l’uomo
comincia a lottare con la morte, ad sperimentare la morte.
Ecco per cui questa marea di tenebre, diventa una marea
di morte.
E di una morte crescente all’infinito, perché l’uomo non
finisce mica mai di morire.
Come c’è una vita crescente all’infinito, ed è vita
eterna, così nell’uomo c’è questo rischio.
L’uomo è immortale e c’è questo rischio di una morte
crescente giorno per giorno all’infinito, senza giungere mai al nulla, perché
il nulla non esiste.
Arriva questo momento in cui il Dio che parlava in tutto
non parla più in nulla.
Perché si ritira e parla solo dentro di noi.
E se noi non rientriamo dentro di noi, per cercare Dio
dentro di noi, noi perdiamo il contatto con Dio e non lo troviamo più.
Noi esperimentiamo soltanto i sentimenti ma i sentimenti
sono già esperienza di morte.
E poi c’è un altra stagione, in cui Dio va oltre il
nostro mondo interiore.
E se noi ci fermiamo al mondo interiore, pur essendo un
passaggio di Dio, noi non lo troveremmo più.
Perché questo Dio che parla con noi, si ritira anche dal
nostro mondo interno e si ritira nel Padre.
E se noi non andiamo al Padre, noi non lo troviamo più.
Ci sono queste stagioni dell’anima.
Ecco per cui, a un certo momento troviamo un Dio che non
è più disponibile, che dice: “Mi cercherete e non mi troverete”, che chiude le
porte, un Dio che dice addirittura: “Andate via da Me perché non vi ho mai
conosciuti”.
Questo è un concetto completamente contrario al Dio
misericordioso, tutto il rovescio del Dio tutta disponibilità.
E perché tutto questo?
Perché Dio si ritira in questo modo e non continua a
parlarci in tutta la creazione come faceva nella primavera?
E perché addirittura Dio si ritira anche dal nostro mondo
interno per andare al Padre, per cui per quanto analizziamo il nostro mondo
interno noi non lo troviamo più?
E se noi non saliamo al Padre, quando Lui ce ne dà la possibilità,
noi perdiamo il contatto con Lui.
Perché questo?
Se noi osserviamo cosa vuole dire “disponibile”, vediamo
che il concetto di disponibilità, è sempre relativo al concetto di bisogno.
Noi troviamo un essere che è disponibile in quanto
abbiamo un certo bisogno.
Quindi il concetto di disponibilità è relativo al
desiderio, alla fame, al bisogno di una creatura.
Se uno ha bisogno che l’altro gli dia del tempo, è per
avere un aiuto in qualcosa che desidera ma che gli manca.
Sopratutto dobbiamo tenere presente questo, perché lì
abbiamo la chiave per capire il Dio che si ritira.
Il concetto di disponibilità, di avere tempo per
qualcuno, è relativo al concetto di bisogno di questo qualcuno.
I bisogni sono molto relativi.
Il bisogno si forma sulla intenzionalità che la creatura
ha.
Se uno ha intenzione di partire per Torino, già si forma
tutto un certo gruppo di bisogni per poter arrivare a Torino.
Ma evidentemente la fonte dei bisogni dell’uomo, sta
nella intenzione che l’uomo porta in sé.
A seconda del fine per cui viviamo, noi stabiliamo già
tutta una serie di bisogni.
Determinando il campo di bisogni, determina la
disponibilità che può trovare o può non trovare.
Se uno vuole andare a Torino, troverà disponibile colui
che gli segnala il mezzo, o gli orari dei treni, o che è disponibile per
spiegarli come andare a Torino.
Uno che risponderà ai suoi bisogni lo troverà
disponibile, uno che non risponderà ai suoi bisogni non lo troverà disponibile.
Il concetto di disponibilità è relativo al bisogno ma il
bisogno è relativo all’intenzione.
Quando abbiamo parlato dell’intenzione, abbiamo visto che
con l’intenzione possiamo renderci la vita impossibile.
Noi possiamo passare tutta la vita cercando delle mele su
un larice.
E possiamo anche invocare e implorare Dio che ci faccia
trovare delle mele sul larice.
Si arriva magari a maledire Dio che non ci fa trovare
mele sul larice.
Ma l’anima di tutto è la sciocchezza, è l’intenzionalità:
un uomo che sta cercando delle mele e le sta cercando stoltamente.
E può anche invocare, supplicare, pregare Dio da mattina
a sera, tutte le preghiere di questo mondo ma certamente lui non otterrà nulla.
Non otterrà l’aiuto di Dio.
Dio non gli farà trovale le mele sul larice.
Guardate che le vergini sagge, sono state tutt’altro che
disponibili verso le vergini stolte.
Le vergini stolte a un certo momento chiedono,
supplicano: “Dateci un po’ del vostro olio”, ed è parola di Dio.
Le vergini sagge non sono state disponibili.
In tutto Dio ci parla di Sé e ci fa capire come viene per
noi una stagione in cui quando supplichiamo Dio di darci un po’ di olio, Dio ci
manda altrove: “Andate a comperarlo”.
Quindi abbiamo l’uomo che, a seconda dell’intenzione che
ha può rendersi la vita terribilmente difficile.
Se l’uomo pretende di estrarre una pallina rossa da un
sacchetto di palline bianche, si rende la vita impossibile.
Non avrà mai le palline rosse, pur pregando e
supplicando.
Quindi l’uomo può avere una intenzione che non deriva
dalla Realtà e qui lui si rende la vita difficile.
Se l’uomo invece ha l’intenzione che deriva dalla Realtà,
Lui viene a trovarsi in un campo di certezza.
Se l’uomo vuole estrarre delle palline bianche da un
sacchetto di palline bianche, lui è sicuro di estrarre palline bianche.
Questo ci fa capire dove sta la certezza e dove sta la
possibilità.
Noi abbiamo la certezza se la nostra intenzione deriva
dalla Realtà.
La Realtà è Dio.
Perché dico che Dio è la Realtà?
Perché Dio è l’essere che nessuno può ignorare.
Non siamo noi i creatori.
Non siamo noi che facciamo le cose.
Quindi c’è un Altro che fa le cose.
Questa è la Realtà.
Se la nostra intenzione
deriva da questa Realtà, noi siamo come quel tale che vuole estrarre palline
bianche da un sacchetto di palline bianche.
Qui c’è la certezza.
Quindi è l’intenzione che
ci porta nel campo della certezza o dell’impossibilità.
Siamo nella certezza, solo
se la nostra intenzione è conseguente a Dio.
Ma se noi anziché avere
l’intenzione, secondo la Realtà, noi cominciamo a volere noi la realtà, secondo
la nostra intenzione, abbiamo il capovolgimento.
Lì noi desideriamo estrarre
palline rosse da sacchetti dove ci sono solo palline bianche.
Lì abbiamo l’uomo che
comincia a volere che la realtà sia secondo la sua intenzione.
Abbiamo l’homo faber.
L’uomo che è tutto fuori.
È l’uomo che agisce che
opera sulla realtà, per fare la realtà secondo la sua intenzione, secondo cioè
il pensiero del suo io.
Dio in un primo momento è
tutto disponibile, perché ci parla la Realtà, ci fa vedere, ci fa capire che è
Lui il Creatore, qui abbiamo Dio con noi.
Quando in noi comincia ad
operare questa intenzionalità diversa che vuole fare la realtà secondo il
nostro io, secondo i nostri interessi, qui abbiamo il Dio che si ritira.
Non è Dio che si ritira,
perché la realtà è sempre quella, è sempre Dio che parla in tutto ma noi non lo
vediamo più.
Qui incomincia l’inverno e
il Dio che si ritira dentro di noi, perché fuori non lo troviamo più.
Oramai siamo guidati da una
intenzionalità che non deriva dalla realtà, non deriva da Dio, non tiene conto
di Dio.
E quando noi non teniamo
conto di Dio possiamo sognarcelo di sperimentare Dio, Dio si ritira dentro e
qui abbiamo il punto del passaggio.
Il momento del passaggio
sta lì, sta quando Dio ci propone di tenere conto di Lui come realtà e noi
cominciamo a dire...”Ma io ho i buoi i campi, la moglie”.
Per noi la realtà diventano
i buoi, i campi, la moglie che sono creature di Dio ma noi cominciamo ad averli
come intenzione.
E questo diventa per noi la
perdita di Dio.
È Dio che si ritira.
E se noi a questo punto,
non lasciamo buoi, campi, moglie, non lasciamo tutto il mondo esterno, per
rientrare dentro di noi, per cercare il Dio che si è ritirato dentro di noi,
noi logoriamo tutta la nostra vita ma giorno per giorno noi assistiamo ad una
perdita di sangue crescente, ad una morte crescente, ad una marea di tenebre
invadente che ci sta portando via tutto e non ce ne rendiamo conto, e più
lottiamo e più perdiamo.
Più noi crediamo di conquistare
mondo e più noi perdiamo Vita.
Allora non è il Dio che si
ritira.
Certo per noi è esperienza
del Dio che si ritira, Dio non muore mica, Dio è l’eterno, Dio è trascendente.
Dio non abita il “luoghi”.
Sopratutto Dio non si
sposta.
Siamo noi che facciamo
questa esperienza.
Appunto perché ad un certo
momento, subentra in noi una intenzione diversa, dall’intenzione che viene da
Dio.
Non abbiamo più
l’intenzione di Dio.
E poi c’è ancora un altro
passaggio.
Dio dall’interno nostro si
ritira nel Padre.
Anche qui è tutto un
processo di maturazione dell’anima, è Dio che attraverso questi passaggi che
Lui ci fa sperimentare (nonostante i nostri errori) per tracciare a noi la
strada, la via, segnando per noi le orme che dobbiamo seguire, per arrivare là,
dove Lui è.
Perché tutto Dio opera, per
condurre noi a trovarlo, dove Lui è, eternamente disponibile.
Eternamente disponibile!
Quindi abbiamo un Dio che
provvisoriamente è disponibile nella Creazione, che parla con noi in tutto e
poi abbiamo un Dio che non parla più con noi in tutto, ma parla soltanto più
dentro di noi e ci traccia una strada, affinché noi abbiamo a passare
dall’esterno all’interno.
E poi abbiamo un Dio che
supera anche il nostro interno e ci traccia la strada.
Se noi ascoltiamo Lui.
Se noi teniamo sempre
presente Lui.
Per condurci là, dove Lui è
eternamente disponibile.
Allora lì, noi abbiamo il
Dio che è tutta disponibilità, misericordia e amore.
Lì si sperimenta Dio,
perché lì abbiamo la presenza eterna di Dio.
Ma per poco che noi
separiamo l’opera di Dio da Dio stesso, immediatamente subentra in noi questa
intenzionalità diversa che ci porta molto, molto lontano da Dio.
Ecco allora questo
passeggiare di Gesù nel tempio.
Questa disponibilità di
Gesù solo più nel tempio e che quindi esclude il fuori del tempio.
È per farci capire che
soltanto da Dio e da Dio Padre, noi possiamo attingere l’oggettività e la
disponibilità eterna di Dio per noi.
Quindi soltanto dal Padre,
noi possiamo attingere la presenza di Dio.
La presenza di Dio viene da
Dio.
Ed è per questo che Dio
opera da lontano, attraverso la creazione, attraverso le sue parole e i suoi
segni, per condurci attraverso questi passaggi, fino a condurci al Padre
stesso.
Perché soltanto dal Padre,
noi possiamo attingere la presenza di Dio, lo spirito della presenza che è lo
Spirito Santo, e lì noi troviamo la disponibilità eterna di Dio per noi.
GV 10 VS 23 - Gesù camminava nel tempio, nel portico
di Salomone.
Terzo tema - Il portico di
Salomone.
Argomenti: Il
bisogno dell'uomo è nudo, da solo non può realizzarlo. Disponibilità
è realizzare il desiderio di un altro. Le vergini stolte. L’eresia dell’azione. La marea di soggettività. La legge della vanità. La stoltezza sta nel
cercare l’assoluto nel luogo sbagliato. La sapienza sta nel cercare l’Assoluto nel suo luogo.
La presenza di Dio nell’uomo non è smentibile dall’uomo. La presenza di Dio in noi impedisce a noi di vedere la
presenza di Dio. Trovare la Presenza di Dio è sintesi tra il desiderio di
conoscerlo e la Realtà che è data a noi: Dio che è già presente.
16-17/Giugno /1991
Le domeniche precedenti abbiamo visto due argomenti
riguardanti la prima parte di questo versetto, cioè:
-
la crisi dell'oggettività (crisi
vuol dire perdita, separazione), conseguenza della marea montante della
soggettività;
-
e la disponibilità di Gesù che
rivela la disponibilità di Dio nel Tempio, cioè nell'interiorità dell'uomo; il
che ci fa capire che la disponibilità di Dio passa nella nostra vita dal mondo
esteriore al mondo interiore, il che vuol dire che nel mondo esteriore arriva
un certo momento nella vita personale di ogni uomo in cui Dio non Lo si trova
più disponibile: chiude la porta e noi restiamo fuori senza di Lui. Lui entra
nel Tempio ed è disponibile solo per coloro che sono “dentro”.
Adesso dobbiamo approfondire il terzo tema che riguarda
la seconda parte di questo versetto, in cui si precisa che nel Tempio Gesù
passeggiava sotto il portico di Salomone.
Basta l'accenno “portico di Salomone” per intuire il significato di
questa precisazione. Salomone è simbolo
di “sapienza”.
Abbiamo detto che passeggiare vuol dire essere
disponibili; Dio è disponibile nel Tempio, sì, ma in un luogo preciso: sotto il
portico di Salomone.
Dovrei precisare che questo portico era costituito da un
atrio con due gradinate (e le due gradinate rappresentano i due argomenti delle
due domeniche precedenti e cioè: la crisi di oggettività e la disponibilità di
Dio) e da sette arcate (che sostengono il porticato). La disponibilità di Gesù
ci annuncia, ci rivela la disponibilità di Dio.
Quando abbiamo accennato al problema della disponibilità abbiamo detto
che la disponibilità presuppone sempre un rapporto con un bisogno. Là dove non
c'è bisogno non c'è disponibilità (non si fa esperienza di disponibilità). Il
bisogno è dato dalla creatura. Ecco perché questa disponibilità di Dio varia,
muta, perché il bisogno dell'uomo assume aspetti diversi. L'uomo ha bisogni
diversi a seconda dell'intenzione che porta in sé e può avere delle intenzioni
molto lontane da Dio, ed è a questo punto che Dio non è più disponibile.
Abbiamo accennato che Dio non è stato disponibile per le
vergini stolte: ha chiuso la porta! non è stato disponibile per quel giovane
che chiedeva giustizia; non è stato disponibile per Marta che invocava l'aiuto
da parte di Maria, ecc. Ci sono molti aspetti nel Vangelo di questa non
disponibilità di Dio, a seconda dei bisogni dell’uomo; anzi, arriva un certo
momento in cui Dio si rende disponibile per un bisogno solo (ecco, ci accentriamo
su quello che è il portico di Salomone): è Dio che a poco per volta rientra in
Se stesso e diventa disponibile per un bisogno solo. Prima, si era reso
disponibile solo per coloro che erano “dentro” (a chi è “fuori” parla invece in
parabole affinché capiscano di non capire {Mt 13,13}). Qui già ci fa capire che
è disponibile soltanto per coloro che amano la Sapienza al di sopra di tutto.
Quindi non basta essere dentro, bisogna avere l'amore
alla Sapienza al disopra di tutto. C'è nella
Scrittura una Parola di Dio che dice che “Dio
non ama se non coloro che amano la Sapienza!” (Sap 7,28). A questo punto
evidentemente abbiamo una porta che si chiude per tutti coloro che non amano la
Sapienza, ed è Parola di Dio.
La disponibilità di Dio consiste nel corrispondere al
bisogno dell'uomo. Poiché l'uomo è essenzialmente fatto di bisogno (abbiamo
detto: l'uomo si caratterizza per il suo bisogno di assoluto), la disponibilità
di Dio si rivela nel corrispondere a questo bisogno dell'uomo.
Dobbiamo chiederci: cosa vuol dire corrispondere ad un
bisogno? E quand’è che uno trova l'Altro disponibile? quando trova comprensione
nell'Altro?
Il bisogno dell'uomo è sempre nudo. E nudo cosa vuol
dire? Vuol dire che l'uomo da solo non riesce a realizzarlo, a soddisfarlo.
Essere disponibile per un bisogno dell'uomo vuol dire
fargli trovare quella realtà che soddisfa quel bisogno. L'uomo è essenzialmente
bisogno, però non trova la realtà corrispondente a quel bisogno. Chi ha fame
certamente si trova in una situazione di bisogno, ed è disponibile per chi ha
fame, colui che offre a questa fame il pane. Ecco, il pane è una realtà, ed è
la realtà che soddisfa a questo bisogno. Essere disponibile vuol dire offrirsi
a realizzare il bisogno di un uomo.
L'uomo è essenzialmente bisogno di realizzazione, ha
bisogno di “presenza”. L'uomo è “fame di
presenza”: da solo non sta su. L'uomo è essenzialmente bisogno di “realtà”, ma
la realtà non dipende dall'uomo. La realtà dipende da Dio Creatore. È il
Creatore che fa la realtà, non è l'uomo che fa la realtà.
L'uomo subisce la Realtà del Dio Creatore: in quanto subisce non la capisce perché tutto quello
che l'uomo subisce non può capirlo. Non può ignorarlo, però non può capirlo.
Anche il Pensiero stesso di Dio, lo vedremo più avanti (in questa stessa
conversazione), la presenza di Dio in sé, l'uomo la subisce e la subisce tanto
che è passione di assoluto.
"Passione" viene da "patire" e patire
vuol dire subire. L'uomo subisce la presenza di Dio, porta in sé la presenza di
Dio: senza saperlo. Quindi non la può ignorare perché la subisce, però non la
conosce. Il fatto di subire qualche cosa, questo patimento da parte dell'uomo,
forma nell'uomo una situazione di fame, mette l'uomo in situazione di bisogno
per giungere a trovare quella Realtà che corrisponde a questo suo bisogno, da
cui deriva questo suo bisogno.
Ecco, essenzialmente l'uomo è questo bisogno: trovare la
Realtà di cui lui sta patendo il bisogno.
L'uomo è “sete” e ha bisogno di trovare una Sorgente che corrisponda a
questa sete: è essenzialmente questo.
Lì si rivela il destino dell'uomo. L'uomo è fatto per
l'Assoluto. Tutta la creazione sollecita l'uomo a questa ricerca dell'Assoluto.
Tutta la creazione di Dio arriva all'uomo indipendente mente dall'uomo, ma non
essendo assoluta (non è assoluta perché è soggetta al tempo e allo spazio,
quindi è relativa) come giunge all'uomo, pone all'uomo dei problemi, perché
l'uomo che è un campo di assoluto, venendosi a trovare a contatto con delle
realtà (creature, fatti, avvenimenti, della creazione di Dio, dell'opera di
Dio) che non sono assolute subisce il problemi della contraddizione.
Abbiamo accennato domenica scorsa che di fronte a questi
problemi che Dio gli impone e glieli impone per orientarlo alla ricerca
dell'Assoluto, l'uomo dà due risposte e da queste due risposte nasce o l’“homo
faber” o l’“homo sapiens”.
Di fronte a ciò che non è assoluto, la risposta
sentimentale, naturale, dell'uomo è il tentativo, per soddisfare la sua
passione di assoluto, di fare assoluto ciò che assoluto non è, di far assoluta
la creatura, di far assolute le cose: ecco l’“homo faber”, l'eresia
dell'azione, cioè la tendenza di fare il mondo secondo quello che riteniamo noi
giusto, vero. Tutto il mondo essendo non assoluto, ci fa correre il rischio di
portarci, ad agire per cercare di renderlo assoluto. Profondamente l'homo
faber" è immerso nella stoltezza; è una stoltezza, perché è stoltezza
cercare di rendere assoluto quello che non è assoluto. Dico sovente volte: uno spreca tutta la vita
a cercare stelle alpine in un campo di grano.
Ed abbiamo visto che Dio non è disponibile per la
stoltezza del l'uomo. Gesù lì è chiarissimo: a quell'uomo cui la campagna aveva
fruttato molto e che adesso pensava di allargare i granai, ecc., dice: “Stolto!” (Lc 13,20). Glielo dice
chiaro: “Stolto!”, questo è
stoltezza! “per chi avrai accumulato?
perché questa notte morirai!”. Ecco, qui abbiamo una caratteristica della
stoltezza: l'uomo si dà da fare per accumulare tesori in terra, cioè per
cercare di rendere assoluto ciò che assoluto non è.
Abbiamo un'altra dichiarazione di stoltezza fatta in modo
aperto da parte di Dio: quella verso le vergini stolte. Apertamente le chiama
stolte. E qui abbiamo un giudizio molto sottile, molto fine, perché si tratta
di vergini, si tratta di creature che avevano la fede, che andavano incontro
allo Sposo con la lampada accesa. Andavano incontro allo Sposo! cioè cercavano
Dio! ma stoltamente. Questo per dire a noi che non basta andare incontro allo
Sposo.
Di fronte a quell'uomo che viveva soltanto per i suoi
granai, per la sua campagna, ecc. per il suo lavoro, Dio ci presenta queste
vergini che avevano la fede, che cercavano Dio, ma che erano stolte: qui
abbiamo, un giudizio molto più sottile; eppure è un giudizio sempre nel campo
della stoltezza, perché le chiama “stolte”
(Mt 25,2): stolte perché non avevano applicato l'intelligenza, non avevano
cercato Dio con intelligenza: si erano accontentate del sentito dire,
dell'appartenere ad un istituto, ad un’istituzione, ad un gruppo, ad una regola,
alla regola di andare incontro allo Sposo, perché anche questo può diventare
una regola e, in quanto regola, si riveste di stoltezza.
E poi abbiamo ancora un'altra dichiarazione aperta e
chiara di Gesù: “Non accumulate tesori in
terra”, precisa: “Accumulate tesori
in Cielo” (Mt 6,19-20).
Quindi di fronte al problema che la creazione di Dio
giungendo al l'uomo suscita, abbiamo questa prima risposta dell'uomo che tende,
opera per trasformare in assoluto quello che non è assoluto, credendo così di
realizzare, cioè di soddisfare questa sua fame di assoluto, questo suo bisogno
di assoluto: ed è stoltezza. È giudizio di Dio! L'uomo resta escluso: non trova
più Dio disponibile.
Non trovare Dio disponibile cosa vuol dire? Vuol dire Dio
che non realizza il bisogno dell'uomo. Disponibilità di Dio vuol dire creazione
di ciò di cui l'uomo ha bisogno. Qui Dio non crea ciò di cui l'uomo ha bisogno.
Bussano le vergini, ma Dio non apre la porta; anzi: “non vi conosco”, dice loro. Non realizza, non soddisfa il loro
bisogno.
Questo ci fa capire che c'è un momento in cui Dio si
ritira. Perché? Perché c'è un
errore. Non si ritira dalla creazione,
ma si ritira dalla risposta che l'uomo dà al problema che la creazione suscita
in lui.
Questo è l’“homo faber”. Una volta si chiamava “l'eresia
dell'azione”: il fare, il voler fare, credendo così di fare la volontà di Dio o
di trovare l'assoluto.
Poi abbiamo una seconda risposta: la risposta dell’“homo
sapiens”, cioè la risposta dell'uomo che di fronte alla sollecitazione di ciò che
non è assoluto (le opere, i segni di Dio non sono assoluti, perché Dio solo è
Assoluto), cerca il significato, cerca il Pensiero di Dio, che cosa Dio vuole
dire di Sé. Questo è l’“homo sapiens”. “Sapiens” vuol dire sapiente. E
arriviamo alla Sapienza e siamo a Salomone.
L'uomo sapiente, è l'uomo che risponde bene, sulla linea
del disegno di Dio, dell'opera di Dio. Questo ci fa capire che Dio opera in
tutte le cose, dà dei segni di Sé, parla per suscitare nell'uomo l'interesse.
L'interesse per che cosa? Non per le cose del mondo o per modificare le cose
del mondo, ma per capire che cosa gli dicono di Dio, soprattutto per orientarci
a cercare Dio.
Infatti, tutte le creature arrivando a noi ci annunciano
Dio, ci predicano Dio, ma tutte ad una voce dicono in un modo o nell'altro,
poiché tutte quante rendono gloria a Dio, dicono: “Noi non siamo Dio”. E
dicendo: “noi non siamo Dio, cioè noi non siamo l'Assoluto, dicono all'uomo che
ha fame di Assoluto: ci “Cerca altrove, non fermarti a noi; dimenticaci! Noi
siamo delle frecce, siamo delle voci, siamo degli annunci che arrivano a te;
siamo degli angeli di Dio che ti annunciano Dio” (tutta la creazione è fatta di
angeli di Dio); siamo degli angeli di Dio che arrivano a te per dirti: “Alza
gli occhi, cerca Dio, immergiti in Dio, perché è Lui che ci ha fatti e ci ha
fatti per te, per dire a te questo, affinché tu abbia a pensare a Lui, affinché
tu abbia a sprofondarti nella ricerca e nella conoscenza di Lui; perché Colui che
ti parla senza di te e che quindi fa arrivare tutti i suoi annunci a te
indipendentemente da te, non si fa conoscere a te senza di te”.
E cosa significa questo “non farsi conoscere da te senza
di te”? Dio Creatore che ti crea senza di te (ognuno di noi è creato
indipendentemente da sé), Dio che crea ancora oggi tutte le cose
indipendentemente da noi non si fa conoscere senza di noi. Cosa significa? Tutta la creazione, tutti i fatti arrivano a
noi indipendentemente da noi, ci sorprendono, e ci sorprendono appunto perché
non siamo noi a volerli, non solo, ma la stessa fame di assoluto che portiamo
in noi, la stessa presenza di Dio che portiamo in noi (noi siamo portatori di
Dio, Tempio di Dio: la Verità non abita fuori di noi, ma dentro), questa
presenza di Dio che è dentro di noi, denuncia, anch’essa annuncia a noi che Dio
si rende presente in noi indipendentemente da noi.
Ho detto: si rende presente, ma è solo un annuncio di
presenza. Ed è lì il problema (il guaio): perché aver presente una cosa che
arriva a noi indipendentemente da noi vuol dire non poterla ignorare, poiché
arriva indipendentemente da noi, quindi si impone; però vuol dire anche non
conoscerla. E l'uomo che si trova di fronte ad una cosa che ha presente, che
non ignora, ma che non conosce, è lì che patisce! E patisce una cosa molto
grossa, perché non c'è strazio più grande che il non capire il perché delle
cose, cioè dell'avere presente un avvenimento, un fatto, e di non riuscire a
capire il perché. Dico: non c'è strazio più grande per l'uomo. L'uomo è straziato dalla conoscenza, o
meglio, dalla non conoscenza. È straziato dalla non conoscenza, ma siamo sempre
nel campo della conoscenza. Qui esula completamente il campo dei sentimenti.
Siamo nel campo puro dell'intelligenza, perché non c'è strazio peggiore, ed è
l’inferno, di questo. Nell’inferno non c’è strazio peggiore di trovarsi con una
Presenza senza aver la possibilità di capire il perché di Essa, cioè senza
poterla conoscere.
E qui si apre il problema di questo portico di Salomone
nel Tempio di Dio, di questo Dio che ormai abbiamo visto che si ritira, non è
più disponibile nel mondo esterno per coloro che non hanno capito la lezione
delle opere di Dio e vivono nella stoltezza.
Il campo della stoltezza riguarda tutti coloro che vivono
“fuori”, per il mondo esterno, che ritengono che la realtà della loro vita sia
fuori, che ritengono che vivere sia interessarsi per le cose del mondo, vivere
per le cose del mondo, appassionarsi per le cose del mondo, correre per il
mondo o agire nel mondo: ritengono che la vita stia lì. Questo è il campo di
stoltezza: Dio si ritira, non è disponibile: si ritira nel Tempio.
È soltanto lì l’'“honio sapiens” che a questo punto fa il
passaggio (l'altro ormai è scartato), fa il passaggio (dall'esterno all'interno),
poiché lì l'“homo sapiens” cerca il significato, cerca di capire il Pensiero di
Dio nelle cose.
Istruito dall'opera di Dio, l’"homo sapiens"
passa dal mondo esterno all'interno, nel Tempio. già qui nel Tempio trova Gesù
che passeggia, che è disponibila (a spiegare le sue parole, le parabole) per
chi è “dentro”.
Però qui oggi ci viene precisato: “passeggia sotto il portico di Salomone”; il che vuol dire (siccome
passeggiare vuol dire essere disponibile): si rende disponibile solo per coloro
che hanno messo la Sapienza al di sopra di tutto, l'amore alla Sapienza al
disopra di tutto. E qui troviamo l'importanza della Sapienza. Lo leggiamo tutte
le domeniche: “Senza sa sapienza da Te
mandata, nulla vale”. È la preghiera di Salomone. È questa l'arcata
principale del portico di Salomone: l'importanza della Sapienza, dichiarata
dalla Parola di Dio: “senza la Sapienza
da Te mandata”, il che vuol dire che non altra sapienza, non altra scienza
di qualunque genere sia, ma soltanto “quella Sapienza che è mandata da Te”.
Dice: “senza la
Sapienza che viene da Te (e qui ci fa capire qual è l'origine della
Sapienza) nulla vale” L'uomo si
riduce al nulla proprio per questo: perché vive senza la Sapienza che viene da
Dio. Gesù precisa: “L'uomo vive di ogni Parola
che esce dalla bocca di Dio”: ecco, questa Parola che esce dalla bocca di
Dio, che viene da Dio è la Sapienza.
Importanza della Sapienza! È ciò che più vale. Ecco
perché l'uomo si deve impegnare nella ricerca della Sapienza, di questa
Sapienza però che viene da Dio, non dalle creature o da quello che dicono gli
uomini, ma viene da Dio; il che vuol dire che richiede un rapporto non più
mediato, ma un rapporto immediato. Già l'altra volta abbiamo precisatolo che
son proprio le cose che sono messe in mezzo, le cose mediate (mezzi), quelle
che ci fanno correre il rischio delle deviazioni, di precipitare nel campo del
soggettivo, di far crescere in noi la marea soggettiva, perché i mezzi, proprio
perché sono mezzi, sono soggetti ad essere rivestiti di intenzioni. Per cui ad
un certo momento Dio deve annullare tutto: ha messo tutto sotto il segno della
vanità. Tutto il mondo esterno, quest'opera meravigliosa di Dio, ecc. Dio l'ha
sotto posta all'annullamento, visto che è diventata per l'uomo motivo di questa
crescita di marea di soggettività (che mette in crisi l'oggettività, e l'uomo
vive di oggettività, di “presenza”), Dio ha annullato tutto; ecco l'inverno. E
annullando tutto, cosa ha fatto? Ha
invitato l'uomo a questo rapporto immediato, diretto con Lui.
Lui stesso dopo aver mandato profeti, leggi, regole,
ecc., Lui stesso dice: “Io vengo e farò
Io il Pastore, visto che i pastori hanno tradito”(Ez 34,10-12). Ecco Dio
stesso viene. E cosa vuol dire questo?
Invita noi a questo rapporto diretto, personale, intimo,
ad attingere la Sapienza unicamente da Lui. Lui si fa il Maestro e ad dirittura
invita tutti gli uomini a non dire più “maestro”" a nessuno: “Non date a nessuno il nome di maestro,
perché Uno solo è il vostro Maestro” (Mt 23,8), ecco la grande nobiltà con
cui Dio tratta l'uomo. Lui stesso si fa
Maestro dell'uomo e vuole che l'uomo non abbia nessun altro maestro, perché
possa attingere dalla sua bocca, possa attingere da Dio alta Sorgente, la
Sapienza. Cosa vuol dire “Sapienza”?
Sapienza è il contrario della stoltezza. Abbiamo detto
che la stoltezza è caratterizzata dal voler trasformare in assoluto ciò che non
lo è, cioè dallo sbagliare luogo. Quindi la stoltezza ci fa capire che cos'è la
Sapienza, perché la meraviglia dell'opera di Dio sta in questo: che tutto rende
gloria a Dio, anche la stoltezza.
L'uomo che vive nel pensiero di sé e quindi tende ad
affermare se stesso, a farsi centro, non trova Dio disponibile, certamente Dio
non è disponibile per questa stoltezza perché è contro la Verità. Dio non
sottoscrive l’errore. Dio è il Creatore, non l'uomo. Dio è il Centro, non
l'uomo; e un uomo che dica “io sono il centro” certamente non ottiene più la
disponibilità di Dio. Dio non sottoscrive l'errore, però utilizza l'errore.
Ecco, dico, la meraviglia dell'opera di Dio: Lui adopera anche la stoltezza
dell'uomo per affermare la sua Verità. La stoltezza dell'uomo sta nel voler
trasformare in assoluto ciò che non lo è, cioè praticamente cerca stelle alpine
in un campo di grano: sbaglia luogo! La stoltezza sta nello sbagliare luogo.
Questo ci evidenzia la sapienza: se la stoltezza sta nello sbagliare luogo, la
Sapienza sta nel non sbagliare luogo.
Ma sbagliare luogo per che cosa? Io dico semplicemente
“stelle alpine cercate in un campo di grano”, ma sostanzialmente l'uomo sbaglia
luogo cercando che cosa? L'uomo sbaglia luogo cercando l’Assoluto dove non è.
Quindi la stoltezza sta nel cercare l'Assoluto là dove l’Assoluto non c'è e non
può esserci, nelle creature. E la Sapienza? La Sapienza è l'opposto. Ecco, come
la stoltezza rende gloria alla Sapienza: ci rivela che cosa è la Sapienza: La
sapienza sta nel non sbagliare luogo nel cercare l'Assoluto. Ora lì è
chiarissimo: il luogo dell'Assoluto è Dio stesso, è l'Assoluto. L'uomo è
sapiente se cerca l'Assoluto nell'Assoluto; se cerca l'Assoluto in Dio, se
cerca l'Infinito nell'Infinito, se cerca l'Eterno nell'Eterno. Cioè l'uomo se
vuole esse re sapiente si deve impegnare direttamente con ciò che è Infinito,
con ciò che è Assoluto, con ciò che è Eterno; si deve impegnare direttamente
con Dio: qui abbiamo “l'homo
sapiens". L'uomo sapiente è l'uomo
che si impegna lì. E si impegna per che cosa?
L'uomo è passione di Assoluto, quindi si impegna per cercare, per
trovare l'Assoluto.
E cosa vuol dire trovare?
Si trova in quanto si giunge alla presenza dell'Assoluto.
Abbiamo detto che Dio è disponibile in quanto realizza. E
"realizzare" cosa vuol dire? È
far trovare la Realtà che corrisponde ad un bisogno.
Se nell'uomo c'è la passione dell'Assoluto e questa
passione dell'Assoluto è intelligente, è sapiente perché cerca l'Assoluto là
dove l'Assoluto c'è, Dio fa trovare l'Assoluto.
Questo ci rivela una grande cosa, una grande condizione:
la sapienza del luogo, e questo vuol dire che alla Presenza dell’Assoluto non
si arriva senza di noi. “Non sapevate - dice
Gesù - che lo mi debbo trovare nelle cose
del Padre mio?”. E lo dice a Maria e a Giuseppe (Lc 2,49).
Dice: “Non
sapevate?”. Invita a questa Sapienza, alla sapienza del luogo: voi dovete
saperlo dove si trova questo Assoluto non sapevate che io mi trovo nel Padre
mio?"), perché ciò che non è Dio certamente non è assoluto, quindi è
perfettamente inutile che noi cerchiamo l'Assoluto negli Angeli, nei Santi,
nelle istituzioni, nel mondo esteriore, nelle creature. Tutto è creazione di Dio, tutto serve, ma non
cercate l'Assoluto lì. L'Assoluto sta soltanto nell'Assoluto. E se lo cerchi
nelle creature c'è il rimprovero di Dio: “Non lo sapevi?”, il che vuol dire che
l'uomo lo deve sapere. E lo deve sapere perché l'uomo stesso è portatore di
questo Assoluto in sé, e quindi è perfettamente inutile che l'uomo si affatichi
tanto per cercare di rendere assoluto quello che assoluto non è.
Ci fa capire una cosa meravigliosa e grandiosa, ed è
questa: che questa Realtà, questa Presenza di Dio, che risponde, che si fa
trovare, che si fa vedere (perché trovare vuol dire arrivare a vedere la
Presenza di quello che si sta cercando), questa non si giunge ad averla senza
di noi. Perché? Perché se Dio la desse, come la dà, senza di noi, e Dio si dà
senza di noi, dico, se Dio la desse ci impedirebbe di vedere, di trovare la sua
Presenza, perché tutto quello che arriva a noi senza di noi, noi non possiamo
ignorarlo, però non possiamo capirlo, e la Verità che non si capisce non si
trova.
Dio è la Verità. Noi non possiamo ignorare e non possiamo
smentire che Dio è presente in noi; fossimo anche atei noi non possiamo
smentire che Dio è presente in noi. Noi non possiamo smentirlo, perché questa
Presenza è data a noi indipendentemente da noi. Il concetto di Dio in Sé già ci
obbliga, ci impegna, ci impedisce di smentire che Dio sia presente in noi.
Questa presenza di Dio in noi non è smentibile dall'uomo. L'uomo non può
dimostrare che Dio non sia presente in lui. Però il fatto che l'uomo non possa
smentire questa Presenza non è che l'uomo veda la Presenza. Ecco, l'uomo si
trova con la presenza di Dio che non può smentire, che non può ignorare, che
non può vedere.
Il fatto che l'uomo non possa vedere la presenza di Dio è
costituito dalla presenza stessa di Dio. È la presenza di Dio in noi che
impedisce a noi di vedere la sua Presenza.
Sto parlando di un argomento che può diventare un
argomento eterno; cioè questa presenza di Dio in noi, che costituisce per noi
impedimento a vedere la sua Presenza, può diventare un impedimento eterno.
Se la nostra salvezza sta nel trovare la presenza di Dio,
sta nel vedere la presenza di Dio, nel giungere alla Presenza di Dio (siamo
stati creati per questo!) la conclusione di tutta l'opera di Dio è la venuta
dello Spirito Santo.
Tutta l'opera di Dio si sintetizza in Cristo e la
conclusione di tutta l'opera del Cristo si sintetizza nella venuta dello
Spirito Santo: lo Spirito Santo è Spirito della Presenza di Dio, che è presenza
del Padre e del Figlio in noi, trovati!
Dio è presente in noi: Padre, Figlio e Spirito Santo: ma
sono presenti indipendentemente da noi, quindi non trovati! Non possiamo smentirlo, ma non possiamo
trovarne la Presenza.
Questo non trovare la Presenza di Dio è costituito dalla
presenza stessa di Dio!
Ma allora, per trovare questa Presenza che cosa si
richiede? È il problema della Sapienza: che cosa si richiede?
Si richiede di entrare in questo “portico di Salomone”,
perché lì Dio è disponibile. Ho detto che là dove noi troviamo Dio disponibile,
noi troviamo Dio che realizza e quindi rende presente quella Realtà che noi
stiamo cercando.
Dio è disponibile sotto il portico di Salomone, il che
vuol dire che realizza, rende presente la Realtà soltanto per coloro che stanno
cercando la Sapienza, il che vuol dire che cercare la Sapienza, amare la
Sapienza, cioè mettere la Sapienza al disopra di tutto, esclusivamente, è
proprio questo che dà all'uomo la possibilità di trovare Dio, di vedere la
presenza di Dio, perché qui abbiamo Dio che è disponibile.
Il fatto che Gesù passeggi sotto il portico di Salomone
(Salomone rappresenta la Sapienza)vuol dire che è disponibile soltanto per chi
ama la Sapienza: disponibile vuol dire che realizza la ricerca di coloro che
hanno messo l’amore alla Sapienza, alla conoscenza di Dio al di sopra di tutto.
Allora dobbiamo dire: a questa Presenza si giunge
attraverso la conoscenza, che è l'amore alla Sapienza.
La Sapienza è “sapere l'Essere” (“Ens”). È cercare la
conoscenza dell'Essere che ci conduce alla Presenza, per cui la Presenza diventa
una conseguenza di questa conoscenza.
Nel campo della natura, quand’è che noi troviamo la
presenza? se noi facciamo attenzione, noi troviamo la presenza quando si
realizza una sintesi. Anche qui ci aiuta l'assenza. Abbiamo detto molte volte: noi diciamo
“assente” una cosa quando l'abbiamo presente nel nostro pensiero (notate:
presente, l'abbiamo presente nel nostro pensiero, nel nostro desiderio); la
stiamo cercando fuori però non la troviamo, non la vediamo: il che vuol dire
che la stiamo cercando in un luogo sbagliato perché l'assenza in assoluto non
esiste: esiste sempre qualche cosa! Se
io qui cerco la biro, dico: qui la biro non la trovo, però ci sono tante altre
cose, ci sono tante presenze quindi non c'è l'assenza; però non c'è quella
realtà che corrisponde ad un mio pensiero, ad un mio desiderio.
Questo avviene nel campo naturale, nel campo della
natura, dei segni, per cui noi diciamo che assenza è una conseguenza di un
nostro desiderio, quindi di un nostro pensiero, di una nostra intenzione, più
un luogo: il luogo in cui noi stiamo cercando. Ed è la fusione di essi, di
entrambi. Ecco noi abbiamo il concetto di assenza che ci aiuta a capire il
concetto di Presenza. È una sintesi: è sintesi di un pensiero, di un desiderio
(perché se io non cerco niente, certamente non trovo né l'assenza, né la
presenza) e di un luogo, un luogo indipendente da noi: perché bisogna che trovi
la presenza; ma la presenza, è opera di Dio, è la realtà, ma la realtà non è
opera nostra; e noi ci affliggiamo quando cerchiamo una cosa, quindi abbiamo
qualcosa in mente, e non riusciamo a trovarla reale in quel mondo in cui le
cose sono fatte da Dio.
E così per la presenza: è una sintesi di un nostro
desiderio e del luogo in cui il desiderio è realizzato.
Questo nel campo della natura, nel campo dei sentimenti;
e tutto è Parola di Dio, tutto è segno, e tutto è segno da capire. Però nel
campo della Verità, nel campo dello Spirito, già ci è stato detto in nodo
aperto: “non cercare la Verità fuori di te”. Evidentemente! E allora io debbo
passare al significato delle cose, dei segni che mi vengono dati sul piano
naturale. Certamente la Verità io non la
trovo desiderandola come desidero la biro: io non troverò mai fuori la Verità.
Se la cerco fuori, questo è stoltezza, e quindi lì Dio non è disponibile,
perché non me la farà mai trovare fuori.
E allora che significato ha il segno? Il significato è
questo: la Presenza della Verità, quindi la Realtà, è una sintesi di due
fattori:
-
un fattore è quello che portiamo
in noi come desiderio, come pensiero, quindi è un fatto soggettivo: pensiero!
Deve essere nel pensiero: ecco quindi l'amore alla Sapienza! Questo amore alla
Sapienza è il primo fattore, la condizione indispensabile per trovare la
Presenza. “Dio non ama se non coloro che
amano la Sapienza”, quindi coloro che hanno questo desiderio. Ci vuole
questo desiderio, altrimenti tu non arrivi certamente alla Presenza di Dio. Non
puoi smentire Dio, però ciò che tu non puoi smentire perché non lo puoi
ignorare perché è dato a te senza di te, tu non Lo vedrai mai come presente,
perché per arrivare a vederlo presente si richiede prima di tutto questo amore
alla Sapienza, quindi il tuo desiderio, il tuo pensiero. E poi abbiamo detto
che per trovare la presenza fuori io debbo vedere una realtà fuori, ma questo
mi è già escluso nel campo dello Spirito, perché la presenza di Dio è dentro di
me. Ma allora cosa si richiede? Teniamo presente che, un desiderio si realizza
in quanto si trova una: "realtà” che non dipende da noi, perché fintanto
che io, penso Dio, fintanto che sono io a pensare Dio, Dio certamente non Lo
trovo. Io posso dire da mattino a sera: “io penso Dio” e posso pregare Dio da
mattino a sera, ma io certamente la presenza di Dio non la trovo, perché la
presenza di Dio non dipende dal mio desiderio, non dipende dal mio pensare, non
dipende dal mio invocare. Le vergini stolte invocano: “Signore, aprici!”, ma Lui risponde: “Non vi conosco!”, il che vuol dire che si esclude tutto questo.
Perché? perché la Presenza non dipende da noi. E se non dipende da noi, da chi
dipende? La presenza di Dio dipende da Dio, soltanto da Dio! così come il
trovare una realtà fuori di noi nel campo della creazione, nel campo dei segni,
è opera di Dio, perché Dio solo è il Creatore, non siamo noi i creatori. Allora
come arrivare a questa Presenza? Soltanto se c'è la Sapienza, l'attrazione, il
desiderio, il pensiero.
-
ma poi, dico: "Senza la sapienza da Te mandata!”, ecco! bisogna che noi
arriviamo a conoscere "come"
(il problema è tutto in questo "come"), bisogna arrivare a conoscere
"come" Dio è presente in noi senza di noi. E questo viene da Dio.
Fintanto che noi non arriviamo a conoscere “come” Dio è presente in noi senza
di noi, noi non arriviamo a trovare la Presenza.
La Presenza di Dio, il trovare la Presenza di Dio è
sintesi tra:
-
l'amore, il desiderio di conoscere
Dio,
-
e questa grande Realtà che è data
a noi senza di noi: Dio che è già presente in noi e che non possiamo ignorare;
e arrivare a conoscere "come" Dio è presente in noi senza di noi;
Qui arriviamo alla Presenza, troviamo Dio, troviamo la
Presenza di Dio in noi.
Ecco, il trovare la Presenza di Dio è la sintesi di
questi due elementi, l'amore alla conoscenza e la conoscenza del
"come" Dio è presente in noi senza di noi.
Qui, in questa Sapienza e in questa Presenza trovata, noi
ritroviamo la conclusione di domenica scorsa: il Dio che è eternamente
disponibile per noi: “In quel giorno,
qualunque cosa chiederete vi sarà data” (Gv
16,23) ecco il Dio tutto
disponibile per la creatura.
Alcuni pensieri tratti dalla conversazione:
-
La Sapienza viene da-, per cui
bisogna guardare da- per ottenerla. Per questo non viene data a noi senza di
noi, bisogna trasferirci a guardare dal punto di vista di Dio, e questo avviene
solo personalmente, perché è un fatto di pensiero.
È questa Sapienza, questo sapere "come"
Dio presente in noi senza di noi, che ci
conduce alla Realtà (Realtà e ciò che esiste da poi indipendentemente da noi: e
l'oggettività) e quindi alla Presenza, a trovare la Presenza.
Il trovare la Presenza è una conseguenza della Sapienza
che viene da-, cioè dal sapere "come" Dio presente in noi
indipendentemente da noi.
Ma questa Sapienza la si ottiene solo se la si ama al di
sopra di tutto, esclusivamente, cioè se si mette l'interesse per conoscere Dio
prima di tutto, superando tutti i sentimenti. Bisogna cercare l'Assoluto con la
sete dell’assoluto, e allora Dio risponde.
-
La Presenza, cioè lo Spirito
Santo, è una conseguenza del conoscere questo "come", perché procede
dalla conoscenza del Padre e del Figlio, conoscenza che si riceve dal Padre in
un rapporto diretto, immediato, intimo, personale.
Giungere alla Presenza è la meta, perché è la Presenza
che mi salva, se no resto dominato dalle altre presenze.
Per questo non basta, la scoperta del Pensiero dì Dio
oggettivo in noi. Trovare il Pensiero oggettivo in me è trovare, il passaggio
obbligato per giungere a conoscere questo "come" è presente in me
senza di me, e quindi alla Presenza. Il pensiero oggettivo non mi salva!
La scoperta del passaggio obbligato è scoprire che questo
sapere il “come”, questa Sapienza viene da-.
-
È trovare la Presenza che ci
salva: senza di essa nulla vale. La Presenza, Realtà oggettiva esperimentata, è
una valanga che travolge e assorbe tutto di noi: ci invade a pensare, a
parlare, ad agire, ma è Dio in noi.
-
Indispensabile è questo isolamento
con Dio, questa solitudine con Dio, questo rapporto, immediato e diretto:
allora la risposta è sicura. Li si concepisce Dio.
GV 10 VS 23 - Gesù camminava nel tempio, nel portico
di Salomone.
RIASSUNTI Domenica-Lunedì.
Argomenti: Dio è eternamente
disponibile solo nel Figlio. La presenza é sintesi tra desiderio e realtà. Il bisogno di fare
anziché capire. La sapienza è il Figlio. Eternizzare. La gloria di Dio. Il pensiero
disturbato. Riferire tutto a Dio. La presenza di Dio ci conduce a vedere la Verità in
tutto.
La presenza di Dio
nell’inferno. L’unificazione del Figlio nel Padre. Il linguaggio della
parabola. Paradiso e inferno. La marea di soggettività: il dubbio. Dio in noi senza noi e Dio in noi con noi.
Passione di ciò cui si guarda. La tragedia della comunicazione
dell’intenzione di Dio.
23-24/ Giugno /1991