Io sono il buon
pastore. Il buon
pastore offre la vita per le pecore. Gv 10 Vs 11 Primo tema.
Titolo: Il
maestro interiore.
Argomenti: La
porta e il pastore. I
cattivi pastori. Il
"futuro" nella Parola di Dio. Il concetto di buono e cattivo. Maestro e fine.
I
desideri. La positività dei ladri e dell'assenza di Dio. Il
significato positivo dei cattivi maestri. La responsabilità di riconoscere il vero. La Verità abita dentro di noi. Condizione per restare con il Maestro. Maestro e Principio.
15-16/Luglio/1990 Casa di
preghiera Fossano.
Siamo giunti al versetto
undici del capitolo dieci di San Giovanni.
Oggi ci dobbiamo soffermare
sulla prima parte di questo versetto: "Io sono il buon Pastore".
Anche qui dobbiamo
chiederci quale lezione, quale significato ci sia in queste Parole di Dio, per
noi personalmente, per la nostra vita essenziale.
Cosa vuol dire il Signore a
noi, affermando :"Io sono il buon pastore"?
Teniamo presente che Lui
prima aveva detto: "Io sono la porta delle pecore".
Come fa qui ad accordare la
porta con il pastore?
Prima aveva affermato che
il pastore passa per la porta e dice anche: "Io sono la porta".
Qui invece dice: "Io
sono il buon pastore".
La prima cosa che salta
agli occhi è questa: come può Lui essere allo stesso tempo porta e pastore?
Il pastore è colui che
conduce le pecore al pascolo.
Le pecore sono gli uomini.
Il pastore è Dio, lo dice
Lui.
E attraverso il
pastore che si giunge ai pascoli della vita.
Abbiamo visto cosa sono
questi pascoli della vita.
L'uomo è fatto per la
conoscenza di Dio e pascolo per la vita dell'uomo è proprio la conoscenza di
Dio.
Pascolo è là, dove uno
trova la vita e Gesù parla di abbondanza di vita.
Quindi il pastore è il
mezzo attraverso cui si giunge alla vita, alla conoscenza di Dio.
Basta accennare questo per
vedere che c'è un significato comune tra il pastore e la porta.
La porta è il mezzo
attraverso cui si entra nella Verità, nella conoscenza di Dio.
Il pastore è il mezzo cui
si giunge ai pascoli dello Spirito, cioè a conoscere la Verità.
L'uno e l'altro come Verbo
si identificano e allora possiamo anche capire come Lui si identifichi sia con
la porta che con il pastore.
Però se dopo averci parlato
della porta qui ci accenna al pastore, evidentemente c'è una lezione più
profonda a cui dobbiamo attingere.
Dichiarandoci: "Io
sono il buon pastore" ci fa capire che ci sono dei pastori cattivi, non
buoni.
E che ci siamo dei pastori
cattivi lo troviamo abbondantemente nella scrittura.
Quante volte la Parola di
Dio si lamenta dei pastori che pascolano se stessi?
Dei pastori che mettono i
loro piedi nell'acqua della sorgente e poi vorrebbero che le pecore bevessero
quell'acqua in cui loro hanno messo i loro piedi.
Parla di pastori che
calpestano con i loro piedi l'erba e poi vorrebbero che le pecore mangiassero
l'erba calpestata dai loro piedi.
È tutta lezione, è tutta
Parola di Dio per ognuno di noi.
Il Signore ci ammonisce
quando Lui stesso dice quella frase: "State attenti a non farvi sedurre
dagli uomini".
Ci sono quindi maestri che
seducono e ci sono pastori che sono cattivi.
E Dio dice attraverso la
sua parola: "Poiché i pastori che Io ho mandato, hanno pascolato per se
stessi e non hanno servito le pecore, Io stesso verrò e sarò Io il pastore
delle pecore".
Questa è una promessa
stupenda e meravigliosa.
Abbiamo visto molte volte
che quando nella Parola di Dio si usa il futuro, si presenta
sempre una Verità presente da scoprire.
La Parola di Dio usa il
futuro per farci capire che c'è una Verità che noi non abbiamo ancora
conosciuto ma nello stesso in quanto ce la annuncia, ci sollecita, ci invita,
ci ammonisce a scoprire questa Verità, perché presso Dio tutto è presente e
quando Lui dice: "Io verrò e farò Io il pastore delle pecore", è
perché nella Verità Lui è il pastore delle pecore.
Quando nella Parola di Dio
si dice: "Saranno tutti ammaestrati da Dio", futuro, è per farci
capire che nella realtà, quindi nella Verità, sono tutti ammaestrati da Dio,
non "saranno", "sono" tutti ammaestrati da Dio.
Dice "saranno"
perché noi non ne siamo consapevoli.
Dice "saranno"
affinché noi prendiamo consapevolezza di questa realtà.
Quando prendiamo
consapevolezza, costatiamo che in realtà tutti gli uomini sono ammaestrati da
Dio.
Tant'è vero che Gesù dice:
"Non date a nessuno il nome di maestro, perché uno solo è il vostro
Maestro".
Ora, se Lui dice: "Non
date a nessuno il nome di maestro perché uno solo è il vostro Maestro",
evidentemente non è un futuro, è una realtà.
Realtà nella nostra vita
presente, attuale.
Dio è il pastore degli
uomini e non degli uomini in massa ma di ognuno di noi.
Dio è il Maestro ed è tanto
Maestro di ognuno di noi che si offende se noi diamo il nome di nome di maestro
ad altri e ci ammonisce, ci rimprovera, perché dice che uno solo è il nostro
Maestro.
E dicendo che uno solo è il
Maestro, ammonisce, invita ognuno di noi a cercare il vero insegnamento da
questo Maestro.
Altrimenti noi tradiamo la
Parola di Dio.
La scrittura e la parola
stessa di Dio ci fanno capire che ci sono pastori cattivi e maestri che
deviano.
Il problema che si affaccia
a ognuno di noi è come fare per distinguere il pastore cattivo dal pastore
buono.
Come fare per riconoscere
il maestro buono dai maestri cattivi.
Quale criterio?
Teniamo presente che i
concetti di buono e di cattivo sono sempre concetti relativi.
Quando si dice relativi,
significa che dipendono da qualcos'altro.
Non esiste il concetto di
buono e di cattivo di per sé.
Il buono e il cattivo sono
in relazione sempre a qualcos'altro.
Non esiste la strada buona
o cattiva.
La strada è buona o cattiva
sempre relativamente a un termine.
Di per sé tutte le strade
sono buone.
Le strade diventano buone o
cattive in relazione al fine che portiamo in noi.
Se devo andare a Saluzzo,
la strada buona è quella che conduce a Saluzzo e cattive saranno tutte le altre
strade.
Ecco perché dico che i
concetti di buono e di cattivo sono concetti relativi.
Relativi a che cosa?
Relativi al fine.
Quindi tutto dipende dal
fine.
Quando qui Gesù dice:
"Io sono il buon pastore" ci mette in evidenza che ci sono pastori
cattivi e quindi il problema è come fare per distinguere il pastore buono dai
pastori cattivi.
I concetti di buono e
cattivo sono relativi al fine, quindi tutto dipende dal fine ma il fine è
essenzialmente personale.
È lo stesso quando dice:
"Nessuno può venire a Me (seguire Me, ascoltare Me) se il Padre non lo
attrae", cioè se non ha per fine il Padre, se non ha come scopo Dio.
Se non è attratto dalla
conoscenza di Dio, dalla vita eterna l'uomo non può andare a Lui.
Lui è il buon pastore.
Però Lui è la strada e
nessuno può percorrere quella strada lì se non ha quella finalità lì.
Ecco il criterio per
distinguere il buon pastore dal pastore cattivo.
Noi chiamiamo
"buono" quello che serve per uno scopo e "cattivo" ciò che
non serve per quello scopo.
Se il nostro scopo è
conoscere Dio, noi sappiamo riconoscere ciò che è buono, cioè quello che serve
a noi per conoscere Dio.
E Gesù dice: "Nessuno
può venire a Me (quindi nessuno può riconoscere Me come buon pastore, come cosa
buona) se non ha interesse per conoscere Dio, per la vita
eterna".
Evidentemente se noi
abbiamo un fine diverso dalla conoscenza di Dio, noi possiamo anche dire:
"Signore, Signore" da mattina a sera o dire: "È il Signore che
mi fa fare questo", ma certamente noi non abbiamo in noi il criterio per
distinguere il buon pastore dal cattivo pastore.
Lo dice San Paolo nella
lettera a Timoteo: "Verrà il tempo in cui gli uomini sceglieranno i loro
maestri in base ai loro desideri".
Ecco il grande rischio in
cui si trova ogni uomo.
L'uomo corre il rischio di
mettere prima di tutto il suo desiderio e poi di scegliere il maestro in
conseguenza del suo desiderio.
E allora, evidentemente, se
uno ha come desiderio il denaro, ha come fine il denaro, avrà l'orecchio aperto
a quei maestri che gli insegnano a guadagnare più denaro possibile.
E così per tutto, ognuno ha
l'orecchio aperto per quei maestri che lo aiutano a conseguire il fine che egli
si è posto.
"Nessuno può venire a
Me, se non ha per fine Dio".
Chi non ha per fine Dio scarta
quindi il Cristo come maestro
E se anche incontra il
Cristo fa salotto con il Cristo ma non può certamente avere il Cristo come
maestro.
Maestro della sua vita sarà
altro.
È il rischio grande in cui
si trova l'uomo.
L'uomo porta con sé la
passione dell'Assoluto, ma questa passione è informe.
Perché l'Assoluto, l'uomo
non lo vede.
Lui vede le creature e le
creature non sono l'Assoluto.
Lui vede le cose, vede il
denaro, vede le passioni del mondo, vede gli interessi del mondo ma non vede
mica l'Assoluto, non vede la Verità, non vede Dio.
Porta la passione
dell'Assoluto, però ha presente altro dall'Assoluto.
Il che vuol dire che l'uomo
corre un rischio.
Quello che l'uomo ha
presente provoca in lui desideri (siamo nel campo del sentimento).
I nostri desideri nascono
sempre da ciò che noi abbiamo presente.
L'uomo corre il rischio di
lasciarsi dominare dai suoi desideri e dominato dai suoi desideri va a cercare
quei maestri che lo aiutano per portare a compimento i suoi desideri.
L'uomo può anche arrivare a
dire: "Dio mi fa fare questo, Dio mi fa dire questo" ma a questo
punto se il suo desiderio non nasce da Dio, quest'uomo si prepara a dire un
giorno: "Dio mi fa andare all'inferno".
Quando in noi il desiderio
predomina sulla conoscenza di Dio, noi abbiamo il sentimento che domina in noi.
Qui noi siamo aperti alla
scelta di quei maestri che soddisfano i nostri desideri e certamente non
possiamo qui riconoscere il Cristo come il vero maestro, come il buon pastore.
Ma a questo punto dobbiamo
anche chiederci perché ci sono i cattivi pastori.
Perché ci sono i cattivi maestri?
Se ci sono è Dio che li fa
esistere.
E se esistono devono avere
un significato e un significato positivo.
Abbiamo visto l'opera dei
ladri le domeniche scorse e la funzione dei ladri.
Il tempo è un grande ladro
nella vita di ognuno di noi.
Ci porta via tutto.
Abbiamo visto che a un
certo momento, non soltanto il demonio è un ladro ma anche Dio (ed è
Parola di Dio) diventa un ladro.
Arriva un momento nella
nostra vita, in cui Dio stesso viene come un ladro di notte.
Il tempo d'altronde è
creatura di Dio.
Laudato sii mi Signore,
anche per nostro fratello tempo che ci porta via tutte le cose.
È opera di Dio.
E se è opera di Dio ha un
significato positivo e noi abbiamo visto che il tempo ha la funzione di
portarci via tutte quelle cose che noi non raccogliamo in Dio che noi non
portiamo a compimento in Dio.
Tutto ciò che noi non
assimiliamo in Dio ci viene portato via dal tempo.
Tutta la creazione é stata
soggetta al tempo, è stata soggetta alla vanità appunto per questo.
E la funzione positiva è
quella di farci toccare con mano che quello per cui noi viviamo, ciò che noi
abbiamo presente (creazione e creature), per cui il tempo portandoci via tutto
ci fa esperimentare l'assenza di Dio, il vuoto di Dio, il silenzio di Dio.
Abbiamo detto che c'è un
significato e un significato positivo e l'abbiamo visto: l'assenza di Dio è una
categoria della presenza di Dio.
Per cui facendo
l'esperienza d'assenza di Dio, noi siamo condotti a scoprire la presenza di
Dio, perché se non avessimo la presenza di Dio in noi, noi non scopriremmo
l'assenza di Dio.
Abbiamo anche detto che non
ci fa scoprire solo la presenza di Dio ma ci fa scoprire anche il luogo in cui
è questa presenza.
Il luogo della presenza di
Dio è dentro di noi.
Se dentro di noi, noi non
avessimo presente Dio, noi non esperimenteremmo l'assenza di Dio fuori di noi,
attorno a noi.
Quindi il significato
positivo dei ladri è quello di farci scoprire che Dio è presente e il luogo in
cui Dio è presente.
La Verità abita dentro di
noi.
E poi c'è ancora un altro
fatto, avendo Dio parlato di "sicurezza", i ladri accelerano in noi
la corsa verso questo luogo sicuro, accelerano quindi in noi la ricerca di Dio.
Quanto più in fretta noi
entriamo in questo di sicurezza, tanto più noi ci sottraiamo all'azione dei
ladri di Dio, all'azione del tempo.
Così come abbiamo visto il
significato positivo dei ladri per la nostra vita vera, anche qui, in questi
pastori cattivi ci deve essere un significato e un significato positivo.
Qual è?
Dio proprio presentandoci
maestri che ingannano, Dio vuole che ci assumiamo la responsabilità di
riconoscere noi stessi quello che è vero, quando questo vero
si presenta.
Vuole che noi siamo
responsabili di una fede, di un amore, di una Verità.
Ecco la grande lezione dei
pastori cattivi.
Gesù dice: "Perché non
riconoscete da voi stessi quello che è giusto?".
È un interrogativo grave,
perché noi andiamo sempre a cercare quello che dicono gli altri, l'approvazione
da parte degli altri.
E Dio ci dice: "E tu,
perché non riconosci da te stesso?".
Se Gesù che è Dio, dice ad
ognuno di noi: "Perché non riconosci da te stesso?", vuol dire che
Lui ha posto in noi la possibilità di riconoscere quello che è giusto.
E se abbiamo la possibilità
di riconoscere quello che è giusto, abbiamo il sacrosanto dovere di impegnarci
in esso, contro tutto e contro tutti, contro tutte le istituzioni e contro
tutte le autorità.
Noi abbiamo il sacrosanto
dovere di impegnarci con quello che Dio ci presenta come vero.
Perché soltanto
impegnandosi e impegnandosi personalmente si accede alla conoscenza della
Verità, altrimenti non si accede minimamente alla conoscenza della Verità.
Fintanto che io vivo di
sentito dire non accedo alla conoscenza della Verità.
La Verità abita dentro di
noi: testimonianza dell'assenza di Dio e di Dio stesso: "Non aspettatevi
di vedere il Regno di Dio venire tra le cose esteriori, il Regno di Dio è
dentro di voi".
Dio abita dentro di noi, la
Verità abita dentro di noi.
E se abita dentro di noi, è
segno che noi possiamo attingerne, è a disposizione nostra.
Il Regno di Dio subisce
violenze dice il Signore, è a disposizione dell'uomo.
L'uomo ha a disposizione
questa sorgente meravigliosa di luce e di Verità.
La porta dentro di sé, nei
suoi stessi pensieri, nella sua stessa mente.
Se la porta in sé, qui lui
ha la possibilità di riconoscere quello che è giusto, quello che è vero, quello
che è buono.
Lo costatiamo questo, Dio
ci fa costatare che la Verità non è fuori ma la Verità è dentro.
Ma adesso non basta sapere
che Dio è dentro, non basta sapere che la Verità è dentro di noi
Sapendo questo, noi abbiamo
la grande responsabilità di attingere a questa Verità, di attingere a questo
Maestro.
Se la Verità è dentro di
noi, il Principio luce è dentro di noi.
Ma se il Principio luce è
dentro di noi, noi abbiamo il sacrosanto dovere di attingere a questa luce,
altrimenti siamo ingannati da tutto e da tutti, ma la responsabilità è nostra,
perché avendo a disposizione il Principio della luce, non abbiamo attinto a
questa luce.
Ecco allora il Maestro,
Colui che abita dentro di me è anche il Maestro di me.
E se è il Maestro di me è
Colui che io debbo ascoltare al di sopra di tutto e di tutti.
Per cui qualunque cosa accada,
io debbo sempre volgermi a questo maestro per attingere da Lui la conoscenza
sulla Verità o meno, sulla bontà o meno della cosa che mi arriva.
Questo noi d'altronde lo
facciamo sempre.
Tutte le notizie, tutte le
parole che ci arrivano, in quanto arrivano a noi, noi le confrontiamo sempre
con qualche "vero" che portiamo dentro di noi.
E confrontando diciamo:
"Questo non è vero, questo non serve" e diamo sempre un giudizio
senza rendercene conto.
Quando qualcuno parla,
anche se ci ha insegnato tante cose, non è lui che ci ha insegnato tante cose.
Io sto parlando in questo
momento ma non sono assolutamente io che insegno, sarebbe ridicolo che qualcuno
mi dicesse o che io mi dicessi che sono maestro.
Non sono io che insegno, io
parlando non faccio altro che convocare la vostra attenzione al Maestro
interiore che portate dentro di voi.
E senza che voi vi rendiate
conto, le parole che vi dico, voi le confrontate con la Verità che portate
dentro di voi e confrontandole con la Verità voi dite: "Questo è vero oppure:
"Questa è una menzogna", ma allora non sono io che insegno.
È il maestro interiore che
portate dentro di voi che vi dice: "Questo è vero e questo è falso".
Io potrei dire che due
più due fa cinque ma nessuno di voi lo accetterebbe, perché quello che vi
dico, voi lo misurate con la Verità che portate dentro di voi e dite che non è
vero.
Allora se è vero questo,
come è vero, che tutto ciò che arriva a noi, noi dentro lo portiamo sempre a
confronto con quella Verità che è dentro di noi, per poter dire se è vero o
meno, se è giusto o meno e lasciarlo entrare o meno, allora se noi facciamo
questo, noi dobbiamo, sapendo che il vero Maestro (Dio, la Verità) è dentro di
noi, noi dobbiamo stare molto attenti sempre a interrogare questa luce che portiamo
in noi, questa Verità assoluta che portiamo in noi.
Non dobbiamo fermarci ad
altro.
Qui scopriamo la condizione
per restare con questo Maestro.
Sapendo che il Maestro
divino è dentro di noi, la condizione per restare con questo Maestro è
interrogarlo in tutto.
Se io non interrogo il
Maestro interiore che è dentro di me, io perdo il contatto.
Maestro è colui che insegna
ma cosa vuol dire insegnare?
È colui che ci conduce a
veder la Verità.
Ma per condurci a vedere la
Verità, deve condurci ad attingere la Verità nel Principio stesso, in modo che
noi posiamo dire che questo è vero perché: "È così" e la collego col
Principio.
Una cosa, ognuno di noi la
conosce veramente in quanto ha la possibilità di avere il Principio di quella
cosa stessa.
Noi quando diciamo di non
conoscere qualcosa è perché non ne vediamo il Principio.
Il vero Maestro è colui che
mi collega il segno con il suo Principio.
E il Principio è Dio.
Il vero Maestro è colui che
mi conduce a vedere le cose da Dio.
Nel Principio.
E solo vedendole così che
la Verità si comunica a noi.
Ecco che il vero Maestro è
Colui che ci comunica la Verità, ma la Verità si comunica soltanto in quanto
noi abbiamo la possibilità di attingerla nel suo Principio.
Ma se noi l'attingiamo non
nel Principio ma in luoghi derivati la Verità non si comunica.
È come se noi attingessimo
un avvenimento, una notizia, non di prima mano dal fatto o dall'avvenimento ma
per sentito dire: le notizie sono sempre deformate, non possiamo mai essere
sicuri di una cosa.
Perché la sicurezza noi la
possiamo avere in quanto possiamo attingere l'avvenimento, la notizia,
direttamente nella sua sorgente.
Questa è una grazia enorme
che Dio ha voluto dare a tutti gli uomini.
Dio ha dato all'uomo la
possibilità di attingere la notizia, la Verità alla sua sorgente.
Ed è una grande pena,
vedere che tutti gli uomini che hanno la possibilità di attingere la Verità
nella sua sorgente, vanno a elemosinare scintille di Verità a destra e manca e
rifiutano il vero Maestro.
Rifiutano quella luce che
Dio ha posto in loro, per la loro vita eterna, per la loro salvezza.
A.: Noi
possiamo riconoscere ciò che è vero e il nostro tomento nasce dal fatto che
vogliamo ignorare questa possibilità.
Chiariamo bene.
Possibilità è un concetto
relativo.
Relativo vuol dire che
dipende.
In questo caso la
possibilità dipende dal fine.
Fintanto che noi abbiamo
altri fini da Dio, non abbiamo questa possibilità.
Io posso conoscere la bontà
o la Verità di una strada solo in quanto mi propongo di arrivare a una certa
meta.
Allora riconosco la strada
che è buona e la strada che è cattiva.
Ma se non ho un fine, io
non ho questa possibilità.
Il che vuol dire che
fintanto che io non ho come fine Dio, io non ho questa possibilità.
Solo se ho come fine Dio,
questa meta qui, allora ho la possibilità di riconoscere il vero e buon Maestro
dal cattivo maestro.
Buono è quello che mi aiuta
a raggiungere il fine.
Il cattivo non esiste di
per sé, è sempre relativo al fine.
A.: Noi siamo
convinti che il nostro fine è la conoscenza di Dio, magari non lo vogliamo
ammettere...
No,no, no, il fine è fine
in quanto è il mio fine, a meno che sia scemo.
Io sto impegnandomi con
tutta la mia vita, con tutta la mia mente, con tutte le forze, con tutto il
cuore, con tutto il tempo, per arrivare a quel fine lì, cioè è la mia
preoccupazione principale.
Quando uno parte in
macchina, la prima cosa che mette è il fine.
E poi il fine lo tiene
presente durante tutto il tragitto finché non arriva a destinazione.
Per poco che lui trascuri
il fine non sa più dove andare.
Il fine è la prima cosa da
mettere ed è la cosa da mantenere sempre presente.
Altrimenti ad ogni bivio io
sono in crisi.
Ecco perché noi subiamo
tante crisi, perché non manteniamo fisso il fine verso il quale stiamo andando,
è l'unica cosa da tenere sempre presente, perché è quella che m'illumina e mi
fa capire tutto.
Per questo il Signore dice
che se tu non hai come fine la conoscenza del Padre, tu non puoi minimamente
seguire il Cristo.
Puoi stare col Cristo
cinque minuti perché ti fa comodo, fai salotto, ma poi al primo bivio sei in
crisi o scegli altro.
Non puoi.
Solo chi ha come fine Dio
può.
Ecco la meraviglia per cui
Dio diventa il nostro Maestro.
Subordinato al fatto che
Lui sia mio fine.
Altrimenti Lui comincia a
portarmi via tutto.
E fintanto che io non metto
Lui come fine mi ruba tutto, per farmi capire che le cose sono sue e mi sono
date unicamente come mezzo per giungere a quel fine lì.
B.: Solo in
questa preoccupazione e ricerca di Dio posso trovare questo Maestro interiore.
Certo, chi è il maestro?
È colui che ti aiuta a
conseguire un certo fine.
Dobbiamo stare molto
attenti a non sceglierci i maestri in relazione ai nostri desideri.
Se io ho desiderio di
imparare la matematica, questo desiderio mi porterà certamente a scegliere quei
maestri che mi insegnano la matematica.
A questo punto qui io mi
sono chiuso in me stesso, perché ho messo in funzione i maestri in relazione al
mio desiderio.
Ma i maestri non devo
scegliermeli in relazione al mio desiderio.
Io devo scegliere il mio
desiderio in relazione alla Verità.
Certo se io voglio emergere
in un certo sport, vado a scegliermi quei maestri che mi aiutano a conseguire
ottimi risultati in quello sport.
Il maestro è chi ti aiuta a
conseguire una meta, in relazione al tuo desiderio.
Per questo Gesù dice:
"Nessuno può venire a Me, se non è attratto dal Padre", se non ha
cioè il desiderio del Padre.
Se il Padre quindi non ti
ha convinto che la cosa da mettere prima di tutto è la conoscenza di Lui, è la
vita eterna, tu non puoi andare al Cristo.
Il Cristo è una strada e tu
non puoi percorrere quella strada fintanto che hai un'altra meta.
Fintanto che tu non ti
convinci che la meta che devi conseguire è quella, tu quella strada lì la
scarterai sempre, perché non ti serve.
Il maestro è uno che serve,
Gesù stesso dice: "Io sono venuto per servire".
Serve proprio in quanto ti
conduce a raggiungere quella meta da cui sei attratto.
C.: Una volta
posto il fine è importante interrogare il Maestro interiore.
Tu interroghi in quanto hai
un interesse, altrimenti non interroghi mica e tu hai un interesse in quanto
hai un fine ben preciso.
Ora, siccome Lui è venuto
per portarti a conoscere Dio, a conoscere il Padre, evidentemente solo se tu
hai questo interesse qui tu interroghi.
Ed è interrogando che
rimani, rimani con Lui.
Altrimenti Lui resta solo
una pia poesia, però io vivo per altro.
D.: È il
Verbo interiore che ci fa riconoscere la validità delle parole del Verbo
incarnato, però questo Verbo parla in noi nella misura in cui c'è l'interesse
per Dio.
"Nessuno può venire a
Me se non è attratto dal Padre".
D.:
Altrimenti posso dire che Dio mi fa fare questo e quell'altro, però....
Arriva certo un momento in
cui tu dirai: "Dio mi mette nell'inferno".
Non puoi farne a meno,
perché tu sei determinato dal tuo desiderio.
Infatti dice: "Via da
Me", tu dirai: "Dio mi manda via da Sé".
Non puoi farne a meno.
Noi non dobbiamo volere la
realtà in funzione dei nostri interessi.
Tu in questo caso tendi a trasformare
in Assoluto quello che Assoluto non è.
Tu devi fare il tuo
desiderio conforme alla Verità, cioè, devi derivare il tuo desiderio dalla
Verità.
Poiché Dio è così, io
desidero questo.
Allora tu hai il desiderio
che è conseguenza della Realtà di Dio.
Il desiderio è una
conseguenza.
Tu vedi una bella auto, tu
desideri quella bella auto, vedi che il desiderio nasce da ciò che tu hai
presente, solo se tu hai presente Dio il desiderio nasce da Dio e qui siamo in
sintonia.
Il desiderio deve essere
una conseguenza, se invece il tuo desiderio è una premessa e condizioni le cose
secondo il tuo desiderio è finito e sbagli tutto.
Il tuo desiderio deve
essere una conseguenza di Dio.
Poiché Dio è così, io
desidero questo.
Attrazione è desiderio e
per poco che io mi scosto da Dio che è il massimo centro di attrazione,
immediatamente io cado vittima di altri desideri.
Tutte le cose sono
desiderabili e io non posso mica sottrarmi perché non sono libero.
Io non sono libero di
sottrarmi all'attrazione delle cose quando non ho Dio come massima attrazione.
Io cado schiavo di tutto e
di tutti e solo Dio mi libera dalle altre attrazioni.
Tutto è segno di Dio e Dio
è la massima attrazione, succede che tutte le creature sono dei centri di
attrazione e solo se in me l'attrazione per Dio è dominante, io cammino bene in
terra.
Ma se l'attrazione per Dio
non è in me dominante, tutte le creature mi dominano.
Mi straziano, non posso io
resistere, perché sono creatura, non sono creatore.
È un errore dire che sono
libero, solo Dio mi libera, se ho l'attrazione posta al di sopra di tutto per
Lui.
E.: Se
interrogo non è che vedo sempre la risposta...
Anche lì bisogna chiarire
bene le cose.
Dio non parla con parole
umane, non che interroghi e lui manda una risposta scritta.
Le parole sono dei segni e
quando tu ricevi un segno, il segno è ancora tutto da capire.
Dio non ti parla con dei
segni che poi dopo devi capire, Dio ti fa capire.
La Parola di Dio è luce,
perché ti dà la possibilità di attingere la cosa nel Principio.
Interrogare non vuol mica
dire delle parole, interrogare vuol dire pensare a-.
Perché soltanto pensando a
Dio tu sei collegata con il Principio.
Quando tu pensi una cosa,
tu guardi dal punto di vista di quella cosa.
Ed è guardando da Dio, dal
Principio che Dio ti risponde, facendoti vedere le cose da Lui, nel suo
Principio.
Soltanto quando tu vedi la
cosa nel Principio, tu conosci la Verità.
Noi non conosciamo la
Verità perché vediamo gli effetti non nel Principio, lontani dal Principio.
Gli effetti non collegati con
la causa non li capisci.
Se senti una parola che non
è collegata con il Principio: pensiero, tu non capisci la parola.
Lui è il Principio di
tutto, ecco perché Lui si è fatto Maestro.
Lui è il Principio e quindi
interrogare Lui,vuol dire guardare le cose in Lui, nel Principio.
È nel Principio che c'è la
giustificazione e la luce.
Lui parla facendoti capire
le cose in Se Stesso, come sono da Lui, dal suo punto di vista e il suo punto
di vista è un punto di vista eterno.
Tu interroghi veramente in
quanto dedichi il tuo pensiero che ha ascoltato una parola che Dio ti ha fatto
arrivare, elevando la mente a Dio, tu colleghi questa parola con Dio Principio
di tutto e cerchi di vederla da Dio.
Con il pensiero tu vedi
da-.
L'unica possibilità che noi
abbiamo è il pensiero, perché con il pensiero tu ti porti dove vuoi: io in
questo momento con il pensiero posso andare a Cuneo e vedere le cose dal punto
di vista di Cuneo.
Col pensiero noi possiamo
guardare le cose dal punto di vista di Dio.
Ma Dio è la Verità e
guardando le cose dal punto di vista della Verità, ecco che conosci veramente
le cose.
E allora capisci cosa vuol
dire una parola che Dio ti ha fatto arrivare, solo quando la contempli dalla
Verità.
E.: Il
Principio dell'ordine è la sorgente dalla Verità che è Dio, se io nella mia
vita ho il desiderio di conoscere Dio, Cristo è il mezzo per giungere a Dio e
io lo riconosco e lo seguo perché è Colui che risponde alla mia fame.
F.: Se io
desidero la conoscenza di Dio, certamente Dio mi farà trovare il Maestro
interiore che mi condurrà alla sorgente della vita.
C'è già, Lui è già dentro
di me e chi me lo fa trovare è il fine, soltanto se io ho come fine Dio io
trovo questo Maestro divino, se ho un altro fine trovo altri maestri che sono
cattivi maestri.
G.: Il
rischio che corriamo è quello di piegare Dio al nostro desiderio, non facendo
nascere, come dovremmo il nostro desiderio da Dio.
Così come noi corriamo il
rischio di impiegare tutta la nostra vita per cercare di rendere Assoluto
quello che Assoluto non è.
Tutte le nostre fatiche è i
nostri lavori li facciamo per cercare di rendere assoluta una cosa che non è
assoluta.
G.: Il
desiderio nasce da ciò che abbiamo presente.
Se noi
abbiamo presente le cose che vediamo e tocchiamo, necessariamente il nostro
desiderio non nasce dall'Assoluto ma noi desideriamo di rendere Assoluto ciò
che vediamo e tocchiamo.
Ma quando
abbiamo presente Dio, l'Assoluto, il desiderio nostro nasce di lì.
Il desiderio nasce da ciò
che abbiamo presente, solo se tu hai presente Dio, il tuo desiderio nasce da
Dio.
Questo desiderio poi dopo
ti fa capace di identificare il Maestro.
G.: Solo se
il mio desiderio coincide con la Realtà, lì ho veramente come fine Dio e posso
interrogare il Maestro interiore.
Ogni maestro è una strada,
soltanto quando tu hai eletto il tuo fine hai la possibilità di scegliere la
strada giusta e di scartare le altre strade.
Ogni maestro è una strada e
la Verità è maestra di Se Stessa, per cui Gesù dice: "Io sono la via, la
Verità, la vita".
Io sono il buon
pastore. Il buon pastore offre la sua vita per
le pecore. Gv 10 Vs 11 Secondo tema.
Titolo: La
vita del Pastore.
Argomenti: Cos'è
la vita? Vita
vegetale - Vita
animale - Vita
umana. L'assimilazione. Canto
notturno di un pastore errante. Il vero
bisogno dell'uomo. Il Maestro interiore. L'Assoluto è il vivente. Alimentarsi di Dio.
22-23/Luglio/1990 Casa di preghiera Fossano.
Domenica scorsa abbiamo
visto la prima parte: "Io sono il buon pastore", il Maestro
interiore.
Questo Maestro che ogni
uomo porta dentro di sé e che il più delle volte non si preoccupa né di
consultare, né d'interrogare.
Qui adesso afferma:
"Il buon pastore offre la sua vita per le pecore".
Oggi ci fermiamo su questo:
"Il buon pastore offre la sua vita" e il tema è: la vita del pastore.
Anche qui dobbiamo
chiederci quale significato personale per noi s'intenda con questa dichiarazione:
"Il buon pastore offre la sua vita" e l'accento va posto su questo
"sua vita", "sua".
Evidentemente dicendo
"sua", dice una cosa singolare.
Una cosa propria del
pastore, una cosa quindi inconfondibile.
E se una cosa è singolare,
c'è da chiedersi come il buon pastore possa offrire la sua vita.
Se ci presenta questo, è
una lezione di Dio per ognuno di noi, il che vuol dire che deve essere per noi
importante capire.
Dio parla sempre per
comunicarci qualcosa, quindi per farci capire, perché soltanto comprendendo,
noi incominciamo a desiderare e volere.
Se Dio per primo non ci
annuncia le cose, la nostra volontà non può nemmeno immaginare e desiderare.
È sempre necessario che
qualcuno presenti a noi una cosa perché noi la possiamo volere.
E Dio per primo in tutto,
ci presenta, ci annuncia i suoi argomenti, per dare a noi la possibilità di
dedicarci ad essi.
Ora qui in quanto dice:
"La vita del pastore", "La sua vita", ci presenta questo in
quanto noi abbiamo a desiderare quello che Lui dà, "offre".
Evidentemente si offre una
cosa a uno che questa cosa ancora non ha.
E la si offre in quanto la
possa forse desiderare e quindi ottenere.
Se però sa e conosce di
cosa si tratta.
Quindi è molto importante cercare
di capire il significato, il Pensiero di Dio in questa dichiarazione: "La
vita del pastore", "La sua vita".
Pastore abbiamo detto che è
il Maestro divino che ognuno di noi porta dentro di sé, quindi la vita di
questo Maestro divino viene offerta per le pecore.
C'è da chiedersi quale
scambio sia possibile tra la vita del pastore e la vita delle pecore.
Eppure tutto ha un
significato e un significato profondo.
Evidentemente qui siamo
nelle parabole del Signore e tutto parla in parabole ed in quanto parla in
parabole significa sempre rapporti tra Lui e noi.
In quanto qui parla di
pastore e pecore, evidentemente Lui è significato nel pastore e nelle pecore
siamo significati noi.
C'è una fase della nostra
vita in cui questa può paragonarsi alla vita delle pecore.
Le pecore sono animali e
molta parte della nostra vita è vissuta da animali, cioè seguendo il
sentimento.
Negli animali Dio
rappresenta la vita secondo il sentimento.
Però Dio ci dà una lezione
profonda attraverso tutte le cose che ci presenta.
Il problema principale è
cercare di capire che cosa voglia intendere Dio dicendoci la vita del pastore.
Dicendo "sua"
dice una cosa singolare, propria del pastore, caratteristica del pastore.
Nello stesso tempo ci
presenta la possibilità da parte del pastore di offrire e quindi di comunicare
questa sua vita alle pecore, cioè a chi vive come le pecore.
Dobbiamo chiederci prima di
tutto cos'è la vita per arrivare poi a capire cosa sia
questa vita del pastore.
La vita, secondo quello che
possiamo vedere e toccare, è essenzialmente assimilazione, comunicazione,
partecipazione.
Un essere è vivo in quanto
assimila.
Ma cosa vuol dire
assimilare?
L'assimilazione avviene in
quanto c'è un organismo che ha la possibilità di assorbire in se stesso ciò che
non appartiene al suo organismo, rendere cioè partecipe della sua vita altro da
sé.
Evidentemente l'organismo
deve essere vivente ma non basta che l'organismo sia vivente, deve assimilare
altro da sé.
Ogni significazione di vita
nell'universo, è sempre questa captazione da parte di un organismo vivente di
"altro" per trasformarlo in sua vita.
E Dio ci significa diverse
qualità di vita.
Perché Dio attraverso tutto
il suo universo, non fa altro che significare qualche cosa di Sé per noi, per
dare a noi la possibilità di entrare nella sua vita: tutto è lezione di Dio per
noi.
È lezione per noi tutto ciò
che esiste, la creazione stessa di Dio ma è sopratutto lezione di Dio per noi
ciò che è vivo.
In tutte le cose Dio significa
Se Stesso per noi e siccome Lui è il vivente, non significa soltanto le cose
esistenti ma significa anche esseri viventi e Dio significa la vita a noi
sopratutto in tre grandi forme.
Abbiamo la vita vegetale,
la vita animale e la vita umana e sono Parole di Dio per noi.
Sono lezioni di Dio per
noi.
E siccome dobbiamo giungere
a capire che cosa s'intenda per: "La vita del pastore", il Signore ci
fa progredire attraverso queste semplificazioni.
È facile osservare la vita del
vegetale, la vita di una pianta.
La pianta è un organismo
vivente.
Abbiamo detto che un
organismo è vivente in quanto riesce ad assorbire nella sua vita altro da
sé.
La pianta assorbe altro da
sé.
Parte dal seme e assorbendo
dal terreno gli elementi fondamentali per la sua vita cresce.
Però la caratteristica
della vita vegetale è che è condizionata dal luogo, dall'ambiente in cui si
trova.
Non può muoversi.
Per cui se in questo
ambiente la pianta non ha cibo sufficiente, la pianta muore.
Tutto è lezione di Dio per
ognuno di noi.
E poi c'è la vita animale e
qui abbiamo una significazione della vita a un livello superiore.
L'animale non è legato
strettamente (come la pianta) all'ambiente, per cui se nel luogo in cui è non
trova cibo, l'animale può andare alla ricerca del cibo, qui abbiamo già un
progresso.
Abbiamo l'organismo vivente
che va alla ricerca del suo cibo per alimentarsi.
E poi abbiamo la vita umana
e nella vita umana abbiamo la vita animale: l'uomo va alla ricerca
di cibo per alimentare la sua vita e trasforma tutto ciò che non è sua vita in
sua vita ma abbiamo un problema più grosso nell'uomo, anche se la maggior parte
degli uomini, trascorre tutta la propria vita unicamente per procurarsi cibo e
qui siamo sul piano prettamente animale.
Ma che nell'uomo ci sia
altro lo costatiamo, perché l'uomo è un essere profondamente triste.
L'animale dopo che ha
trovato il suo cibo ed ha mangiato se ne sta tranquillo, sereno, non ha altro
problema.
L'uomo quando ha mangiato
non ha risolto il suo problema.
Questa sera facciamo
entrare a servizio della Parola di Dio, Leopardi con il suo Canto notturno di un pastore
errante dell'Asia.
Proprio per notare questa
situazione di crisi in cui l'uomo si trova.
Perché l'animale quando ha
mangiato e quindi ha soddisfatto la sua vita se ne sta tranquillo e in pace?
E perché l'uomo invece
quando ha trovato il suo cibo materiale e ha quindi soddisfatto la sua parte
animale è triste, è profondamente triste?
Adesso ne leggiamo una
parte perché anche questo ci aiuta per approfondire il concetto di vita
dell'uomo.
Qui Leopardi a un certo
momento fa dire al pastore errante che parla rivolto alla luna e dice:
O greggia mia
che posi, oh te beata,
Che la miseria
tua, credo, non sai!
Quanta invidia
ti porto!
Non sol perché
d'affanno
Quasi libera
vai;
Ch'ogni stento,
ogni danno,
Ogni estremo
timor subito scordi;
Ma più perché
giammai tedio non provi.
Quando tu siedi
all'ombra, sovra l'erbe,
Tu sé queta e
contenta;
E gran parte
dell'anno
Senza noia
consumi in quello stato.
Ed io pur seggo
sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio
m'ingombra
La mente, ed uno
spron quasi mi punge
Sì che, sedendo,
più che mai son lunge
Da trovar pace o
loco.
E pur nulla non
bramo,
E non ho fino a
qui cagion di pianto.
Quel che tu goda
o quanto,
Non so già dir;
ma fortunata sei.
Ed io godo ancor
poco,
O greggia mia,
né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar
sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché
giacendo
A bell'agio,
ozioso,
S'appaga ogni
animale;
Me, s'io giaccio
in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io
l'ale
Da volar su le
nubi,
E noverar le
stelle a una a una,
O come il tuono
errar di giogo in giogo,
Più felice
sarei, dolce mia greggia,
Più felice
sarei, candida luna.
O forse erra dal
vero,
Mirando all'altrui
sorte, il mio pensiero:
Forse in qual
forma, in quale
Stato che sia,
dentro covile o cuna,
È funesto a chi
nasce il dì natale.
Leopardi conclude con la
sua tristezza profonda, però accenna qui una cosa molto importante che rivela
l'animo dell'uomo, l'animo della vita dell'uomo.
Perché l'uomo dopo aver
mangiato, dopo aver soddisfatto il suo bisogno principale (la vita è
assimilazione) se ne sta triste, non gli basta il riposo, non riesce a trovare
riposo.
Però dice a un certo
momento:
Forse s'avess'io
l'ale
Da volar su le
nubi,
E noverar le
stelle a una a una.
Cosa rivela qui?
Rivela che l'uomo ha
bisogno di conoscere.
Rivela che l'uomo ha
bisogno di capire: s'io potessi noverar le stelle a una a una: se io potessi
conoscere, rendermi conto.
Ecco il punto che distingue
la vita dell'uomo dalla vita dell'animale.
L'animale è un essere
vivente e quindi ha bisogno d'assimilare e anche l'uomo è un essere vivente ma
nell'uomo c'è la presenza di qualche cosa di diverso, per cui non è soltanto
animale, ha bisogno di conoscere, di capire, di rendersi conto.
E se non arriva a capire, a
rendersi conto, tutto il mangiare di questo mondo, tutto il possesso del mondo
stesso non è sufficiente per dargli pace: "A che vale possedere anche
tutto il mondo se tu perdi la tua anima?".
Quello che determina tutto
nell'uomo non è la ricchezza, i beni economici o il potere, quello che
determina tutto nell'uomo è l'anima, è questa tristezza di fondo, profonda che
l'uomo porta, perché non riesce a contare le stelle a una a una.
Non riesce a rendersi conto
delle cose.
Non riesce a capire il
significato di tutto ciò che esiste.
Perché si nasce? Perché si
muore?
Io se non vi stanco vorrei
leggervelo tutto questo canto notturno, perché dice e dice bene e rivela lo
stato d'animo dell'uomo, posso farlo? Perché è Vangelo anche questo.
S'intitola il canto
notturno di un pastore errante dell'Asia.
E il pastore nella notte
dice:
Che fai tu,
luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e
vai,
Contemplando i deserti;
indi ti posi.
Ancor non sei tu
paga
Di riandare i
sempiterni calli?
Ancor non prendi
a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste
valli?
Somiglia alla
tua vita
La vita del
pastore.
Sorge in sul
primo albore;
Move la greggia
oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane
ed erbe;
Poi stanco si
riposa in su la sera:
Altro mai non
ispera.
Dimmi, o luna: a
che vale
Al pastor la sua
vita,
La vostra vita a
voi?
Ecco il problema della
vita. Dimmi a che vale, a che vale al pastor la sua vita?
È il problema che tormenta
gli uomini, il problema di dar un significato alle cose.
dimmi: ove tende
Questo vagar mio
breve,
Il tuo corso
immortale?
Vecchierel
bianco, infermo,
Mezzo vestito e
scalzo,
Con gravissimo
fascio in su le spalle,
Per montagna e
per valle,
Per sassi acuti,
ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla
tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando
poi gela,
Corre via,
corre, anela,
Varca torrenti e
stagni,
Cade, risorge, e
più e più s'affretta,
Senza posa o
ristoro,
Lacero, sanguinoso;
infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto
affaticar fu volto:
Abisso orrido,
immenso,
Ov'ei
precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna,
tale
È la vita
mortale.
Nasce l'uomo a
fatica,
Ed è rischio di
morte il nascimento.
Prova pena e
tormento
Per prima cosa;
e in sul Principio stesso
La madre e il
genitore
Il prende a
consolar dell'esser nato.
Poi che
crescendo viene,
L'uno e l'altro
il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con
parole
Studiasi fargli
core,
E consolarlo dell'umano
stato:
Altro ufficio
più grato
Non si fa da
parenti alla lor prole.
Ma perché dare
al sole,
Perché reggere
in vita
Chi poi di
quella consolar convenga?
Se la vita è
sventura
Perché da noi si
dura?
Intatta luna,
tale
E` lo stato
mortale.
Ma tu mortal non
sei,
E forse del mio
dir poco ti cale.
Pur tu, solinga,
eterna peregrina,
Che sì pensosa
sei, tu forse intendi,
Questo viver
terreno,
Il patir nostro,
il sospirar, che sia;
Che sia questo
morir, questo supremo
Scolorar del
sembiante,
E perir dalla
terra, e venir meno
Ad ogni usata,
amante compagnia.
E tu certo
comprendi
Il perché delle
cose, e vedi il frutto
Del mattin,
della sera,
Del tacito,
infinito andar del tempo.
Tu sai, tu
certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi
l'ardore, e che procacci
Il verno co'
suoi ghiacci.
Mille cose sai
tu, mille discopri,
Che son celate
al semplice pastore.
Spesso quand'io
ti miro
Star così muta
in sul deserto piano,
Che, in suo giro
lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia
greggia
Seguirmi
viaggiando a mano a mano;
E quando miro in
cielo arder le stelle;
Dico fra me
pensando:
A che tante
facelle?
Che fa l'aria
infinita, e quel profondo
Infinito seren?
che vuol dir questa
Solitudine immensa?
ed io che sono?
Così meco
ragiono: e della stanza
Smisurata e
superba,
E
dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto
adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste,
ogni terrena cosa,
Girando senza
posa,
Per tornar
sempre là donde son mosse;
Uso alcuno,
alcun frutto
Indovinar non
so. Ma tu per certo,
Giovinetta
immortal, conosci il tutto.
Questo io
conosco e sento,
Che degli eterni
giri,
Che dell'esser
mio frale,
Qualche bene o
contento
Avrà fors'altri;
a me la vita è male.
E poi continua con quello
che abbiamo già visto prima.
Qui è vero che abbiamo
l'uomo che si rivolge alla luna, ma la luna qui è Dio.
Qui sta rivelando l'uomo,
il suo bisogno principale: "Tu conosci, tu sai" dice alla luna.
Dio conosce, Dio sa.
E noi che ci troviamo a
contatto con questa luna, a contatto con questo Dio che sa tutto, noi ci
troviamo nella situazione di non capire e soffriamo ma soffriamo perché ci
troviamo con la luna che sa.
Ci troviamo cioè con Dio
che sa.
E allora la nostra
tristezza profonda sta nel non partecipare di quello che Dio sa.
Ecco il vero bisogno
dell'uomo.
L'uomo si trova con questo
Maestro che porta con sé che conosce tutto, che sa tutto e la grande tristezza
è di non poter essere con Lui.
È di non poter partecipare
di quello che Lui sa.
Ecco la "sua"
vita, la vita del Pastore, la vita del Maestro che l'uomo porta dentro di sé.
È questo Maestro che offre
la sua vita all'uomo.
E l'uomo si trova con
questo Maestro che gli offre la sua vita e si trova nell'incapacità di ricevere
questa vita.
Perché l'uomo si trova di
fronte all'incapacità di ricevere questa vita?
Perché a un certo momento
di fronte a questa possibilità l'uomo conclude dicendo: "A me la vita è male"?
Forse Dio ha fatto le cose
in modo sbagliato?
Evidentemente no, Dio ha
posto in noi questa sete, questo bisogno d'infinito.
Eppure perché ci troviamo
con uomini che concludono così: "Perché nascere? A che vale tutto questo?
Che significato ha?".
Abbiamo detto che la vita è
assimilazione.
Un essere vive in quanto
assimila.
Dio ci ha condotti a
scoprire la presenza del Maestro interiore dentro di noi e abbiamo visto che
questa presenza è data dall'Assoluto in noi.
Siamo giunti a questo
osservando che l'Assoluto non si trova attorno a noi, nel mondo esteriore, in
questo mondo meraviglioso e così abissale noi sentiamo tutti gli annunci di
Dio, tutto ci richiama all'Assoluto, però l'Assoluto non si trova.
La Verità non la vediamo.
Dio non si vede, non si
tocca e non si esperimenta.
Però proprio qui, abbiamo
visto che c'è la meravigliosa opera di Dio, perché attraverso l'esperienza
dell'assenza sua nel mondo esterno, conduce noi a scoprire la presenza sua
dentro di noi.
Cioè ci conduce a scoprire
la presenza dell'Assoluto dentro di noi e non fuori di noi, quindi l'Assoluto è
infinitamente più presente, più intimo, più a contatto con la nostra stessa
anima, di quanto potrebbe essere se noi vedessimo l'Assoluto, l'eterno e
l'infinito, Dio, attorno a noi nel mondo esterno.
La lezione meravigliosa che
Dio fa con ognuno di noi facendoci esperimentare, toccare con mano la sua
assenza.
Per cui a un certo momento
l'uomo arriva addirittura a concludere che Dio non esiste o che la vita non
serve a nulla.
La lezione meravigliosa che
Dio opera su noi, facendoci esperimentare la sua assenza nel mondo esterno, è
per farci scoprire che Lui è dentro di noi, che la Verità abita dentro di noi,
che l'Assoluto, l'eterno, Dio è in noi.
Questa presenza
dell'Assoluto che per noi è il punto fisso di riferimento, diventa per noi il
Maestro: punto fisso di riferimento.
Ogni uomo lo porta con sé
quindi lo ha a disposizione.
Avendo a disposizione il
Maestro, ha la possibilità d'interrogarlo quando e come vuole, perché Dio è
sempre presente in noi, fossimo anche nel peccato e nelle colpe più nere che
noi possiamo immaginare.
Fossimo anche nella
disperazione più nera, Dio è sempre con noi.
Lui non si muove.
E in quanto è sempre con
noi, noi, sia di notte che di giorno, sia quando c'è il sole o quando piove, noi
abbiamo la possibilità d'interrogare questo Maestro.
Non solo abbiamo la
possibilità, ma Dio stesso ci comanda, ci ordina, ci ammonisce d'interrogarlo e
si offende se non lo interroghiamo.
Noi corriamo a destra e a sinistra
per cercare sapienza dagli uomini, a interrogare uomini, professori e
scienziati quando abbiamo Dio e la sua sapienza a disposizione nostra.
La sapienza di Dio a
disposizione.
Questo pover uomo di
Leopardi che sta cantando la sua disperazione, aveva Dio a sua disposizione.
Solo interrogando noi
possiamo ottenere la luce.
Solo interrogando.
Questo Maestro interiore
viene dalla presenza dell'Assoluto in noi.
Teniamo presente cosa vuol
dire Assoluto.
L'Assoluto significa:
essere che non dipende da nessuno.
Ma se non dipende da
nessuno, non ha bisogno d'assimilare per vivere.
Ogni altro esistente,
abbiamo visto è vivente in quanto assimila.
Abbiamo detto che la vita è
assimilazione.
E assimilare vuol dire
unire altro da sé a sé.
Tant'è vero che se non troviamo
cibo da assimilare noi moriamo.
La pianta che non trova
cibo attorno a sé muore.
L'animale che non trova
cibo a un certo momento muore.
Dio che è Assoluto non ha
bisogno di mangiare, non ha bisogno di altro da Sé.
Ma se non ha bisogno di
altro da Sé, vuol dire che l'Assoluto è il vivente.
È il vivente di per Sé.
Lui è la vita.
Dio non ha la vita, Dio è
la vita.
Ma è la vita perché è
l'Assoluto.
Ogni altro esistente
vivente, per vivere ha bisogno di altro da sé.
Ed è significazione di Dio,
della vita di Dio.
Ma nello stesso tempo è
significazione e proprio perché è segno, rivela, denuncia questa relatività, la
creatura viva, da sola non sta su, ha bisogno di altro: è segno.
Dio non ha bisogno di
altro.
Dio è il vivente.
Ma allora se Lui è il
vivente e se invece noi creature per vivere abbiamo bisogno di altro da noi, la
sorgente della vita è in noi, non sta mica nel cibo attorno a noi.
Ecco per cui l'uomo è
triste anche dopo che ha mangiato.
Anche quando ha guadagnato tutte
le ricchezze del mondo l'uomo continua a essere profondamente triste.
Quand'anche avesse
costruito il più grande impero economico del mondo, l'uomo è profondamente
triste.
Certo perché il suo
alimento non è quello.
Il suo alimento è Dio.
L'uomo ha bisogno di
alimentarsi di Dio, perché questa è la vita.
Ma come l'uomo si alimenta
di Dio?
L'uomo si alimenta di Dio
solo conoscendolo.
È solo attraverso la
conoscenza che c'è la partecipazione e quindi la vita.
L'uomo vive in quanto partecipa,
ma non dei cibi materiali, questi sono segni.
Abbiamo un processo
graduale dei segni: vegetale, animale, uomo, per condurre noi fino a scoprire
quella vita che non ci è data senza la dedizione nostra.
C'è un passaggio tra la
pianta e l'animale.
La pianta assimila quello
che ha attorno a sé mentre l'animale va alla ricerca del cibo, quindi si dedica
alla ricerca del cibo.
Tutto questo per insegnare
a noi che arriva un certo momento in cui siamo noi stessi impegnati a dedicarci
a trovare il cibo della nostra vita, a capire dov'è il cibo della nostra vita.
Altrimenti facciamo
esperienza di morte.
Il cibo della nostra vita
si offre ad essere cercato e cercato personalmente da ognuno di noi.
Poiché la tristezza di
fondo dell'uomo sta nel non capire il perché delle cose, il cibo per la nostra
vita sta nel capire il perché, la ragione delle cose.
E la ragione delle cose si
trova soltanto nel Principio, nel Principio delle cose stesse, in Colui che ha
la ragione in Sé di tutto, cioè nel Creatore.
Dio Creatore.
Solo scoprendo, trovando,
conoscendo questo Principio Creatore di tutte le cose che ha in Sé la ragione
di tutte le cose e che quindi è la Verità, solo trovando questo, noi troviamo
la nostra vita.
La nostra vera vita è
la vita del Pastore, perché la vita del Pastore è la conoscenza ed è questa
conoscenza che il Pastore (Maestro) vuole dare a noi.
Maestro è colui che
insegna, che comunica la Verità.
La vuol dare a noi per
farci passare da pecore a uomini, a figli di Dio.
A.: Essendo
l'uomo esigenza dell'Assoluto, vediamo che quando l'uomo si occupa di altri
valori o si nutre di altri cibi resta triste poiché l'uomo solo in Dio può
trovare la sua luce e la sua pace.
Ed è quella
vita che gli dà il Pastore che è il Figlio di Dio che vive della vita del Principio.
La vita del Pastore, cioè
del Maestro interiore è Dio stesso.
Il Pastore avendo in Sé la
presenza della Verità, riferisce tutto al Principio.
La sua vita sta nel
riferire tutto al Principio, la vita del Figlio è di accogliere tutto dal Padre
e di riportare tutto al Padre.
Questa è la sua vita.
Dio non ha bisogno della
creazione, non ha bisogno di "mangiare" la creazione.
Dio non crea per vivere,
Dio essendo Assoluto è vivente.
Dio è vivo di per Sé.
A.: È molto
importante per l'uomo giungere a capire che l'Assoluto che porta in sé, è Dio
Stesso, poiché l'uomo il più delle volte ha questa insoddisfazione e questa
tristezza e lo vediamo nel canto del pastore....
Però non può fare la
diagnosi poiché l'uomo subisce l'effetto.
Ad esempio, l'uomo è portatore
della passione dell'Assoluto, ma lui non può fare la diagnosi, scoprire cioè il
motivo per cui lui patisce questo, questo lo può fare soltanto Colui che
contempla la Verità, il Maestro.
Ecco per cui nessuno può
insegnare all'uomo se non il Maestro interiore, diceva Sant Agostino.
Solo Colui che contempla la
Verità dice all'uomo: "Tu patisci questo a motivo di questo" e quando
il Maestro glielo dice, lui non può che costatarlo e dire: "Hai
ragione".
Perché il Maestro comprende
la situazione dell'uomo e ti fa vedere la causa.
A quel punto lì l'uomo non
può far a meno di dire: "Hai ragione".
Ma soltanto Colui che
contempla la Verità può dire questo, colui che non contempla la Verità subisce
l'effetto, però non riesce a fare la diagnosi, per cui dice di non capire
niente e si rivolge alla luna sperando che lei sappia qualche cosa.
A.: Solo
interrogando possiamo ottenere la luce.
Come, l'uomo
che non ha ancora consapevolezza che l'esigenza di Assoluto che porta in sé è
la presenza stessa di Dio, come può interrogare questo sconosciuto di cui però
sente la pressione?
Deve interrogare, perché
viene dato solo a chi chiede.
A.: Mi viene
in mente l'altare al Dio ignoto che ha trovato San Paolo ad Atene, è una
presenza che ignota, che ancora non conosco.
La conoscenza ti viene da
Dio Stesso.
Qui Dio ci ha annunciato un
tema: la vita del Pastore, è una singolarità in quanto è propria, sua del
Pastore, il che vuol dire che più noi ci allontaniamo da Dio e più ci
accorgiamo che la vita diventa comune.
Diventa monotona, uguale
l'uno all'altro.
La vita del mondo si
caratterizza perché a un certo momento c'è la noia dominante.
Più ci avviciniamo a Dio e
più la vita diventa invece singolarità, propria della persona.
È Dio che forma le persone.
Lui che è persona, è Lui
che forma le persone, per cui a un certo momento la conoscenza diventa propria
della persona.
Ma come diventa propria
della persona?
Nella misura in cui la
persona si è dedicata a questa.
Quindi la vita non si forma
in noi senza la dedizione nostra.
C'è un processo di sviluppo
nell'elezione di Dio, noi passiamo da creature che mangiano quello che hanno a
disposizione e basta, altre che invece si dedicano alla caccia, è tutta una
lezione per dire che tu trovi vita man mano che ti dedichi a-, fino ad arrivare
a superare tutto di te per dedicarti tutto a-, perché soltanto dedicandoti
tutto tu trovi.
La vita sta lì.
C'è una crescita graduale.
Se la vita è condizionata
dalla dedizione della creatura a-, vedi che qui abbiamo il fatto personale?
Uno si dedica cento,
l'altro novanta e l'altro ancora quaranta.
Ma come può avvenire questa
dedizione a uno che io non conosco?
Perché io non posso volere
una cosa che non conosco.
Il mio desiderio, desidera
in quanto vede, non può desiderare una cosa che non vede.
Ecco qui l'opera di Dio che
si annuncia a me, per cui io non posso ignorarlo.
Posso trascurarlo, non lo
conosco ancora, però si annuncia.
Io non lo posso ignorare.
Lui per primo,
annuncia a me una cosa che non conosco ma che non posso ignorare: "Io
sono il Creatore di tutte le cose".
La Parola di Dio arriva a
noi indipendentemente da noi.
Se noi prestiamo attenzione
a quello che Lui ci propone e quindi ci dedichiamo, qui incomincia la ricerca
del cibo ma incominci a cercare il cibo perché sei stato sollecitato dalla
Parola.
Se Lui mi dice:
"Cercami e mi troverai", io non posso ignorare di aver trovato questa
Parola di Uno che mi dice: "Cercami e mi troverai".
E se la ignoro è perché
voglio (ecco la mia volontà) trascurare una cosa che non posso ignorare.
Allora qui entro in colpa,
mi assumo la responsabilità, ho altro da fare.
Ma Lui mi dice:
"Cercami perché sicuramente mi troverai".
Lui non si fa mica
conoscere subito, perché la conoscenza è vita piena, è logico, però mi invita a
conoscerlo.
Pone in me il problema:
"Cercami e mi troverai", quindi io sento il problema, mi arriva
questa parola, questo annuncio, non posso ignorare che Dio è il Creatore, non
conosco però chi sia, però c'è la Parola di Dio che mi dice: "Cercami e mi
troverai".
Anzi mi dice che viene
aperto solo a chi bussa e viene aperto solo a colui che chiede.
Il che vuol dire che il
cibo viene dato solo nella misura in cui uno si preoccupa di trovare questo
cibo.
Il cibo c'è, però tu lo
devi cercare.
Ora, proprio in questa
ricerca la faccenda diventa una cosa personale.
Quindi la vita con Dio
assume un aspetto nettamente personale, perché richiede dedizione.
Ma perché si richiede
questa dedizione?
Ma perché Dio essendo
l'Assoluto, può essere conosciuto solo per mezzo di Dio e richiede quindi il
superamento di tutto ciò che non è Dio, per guardare dal suo punto di vista.
Tutto ciò che non è Dio è
però necessario per svegliarmi a Dio.
Dobbiamo aprire molto gli
occhi sulla creazione di Dio ma a un certo punto chiudere gli occhi sulla creazione
di Dio per prendere contatto con Dio, per guardare le cose dal punto di vista
di Dio.
Ma per guardare da Dio, io
debbo non solo superare tutta la creazione, ma debbo superare anche il pensiero
di me stesso.
Dio si conosce solo per
mezzo di Dio.
Ecco quindi l'opera del
Maestro.
Noi non siamo soli.
Noi non siamo creature
abbandonate nel deserto dell'Asia come dice Leopardi, creature sole a
contemplar la luna con questo problema abissale che portiamo dentro di noi.
Con noi c'è il Maestro che
è Dio stesso.
Per cui mentre Dio mi fa
sentire il problema mi dice: "Senti, metti il piede qui, metti il piede là
e arriverai".
Abbiamo quindi con noi un
Maestro ma è logico che dobbiamo ascoltarlo questo Maestro.
Questo Maestro non è muto.
A.: Devo
lasciarmi condurre dal Maestro a guardare da Dio. Non è iniziativa mia.
Noi dobbiamo imparare a
vivere nell'iniziativa di Dio.
Il problema del Maestro non
è quello di imbottirmi di nozioni.
Sono i maestri umani che
credendo di essere maestri t'imbottiscono di nozioni.
Ma quello in tempo di
guerra si faceva con le oche per ingrassarle.
Con Dio no.
Il Maestro divino non
t'imbottisce di nozioni.
Il Maestro divino ti
conduce a vedere il Principio.
In modo che tu stesso possa
costatarlo, ecco il vero Maestro.
Non si sostituisce a te.
Ma ti mette nella
condizione di costatare la Verità, per cui tu stesso dici che la Verità è così,
perché tu stesso lo hai costatato.
Ecco l'opera del Maestro,
l'opera del Maestro è quella di condurti a costatare.
Lì è la meraviglia, Dio non
ha bisogno di noi per vivere, Dio non è uno che ci "mangia", ma
essendo Dio l'Assoluto, manifesta la sua Verità su tutto non per imposizione
ma, per partecipazione.
Dio non impone, non
"mangia"le creature, noi mangiamo le creature per vivere, Dio non ha
bisogno delle creature perché Lui è il vivente.
Ma allora la sua vita come
la manifesta? Donandosi, quindi Dio è carità.
Cioè la Verità è carità.
...............Il Pastore
offre la sua vita in quanto conduce la creatura a costatare la Verità, per cui
non la impone ma la propone.
Ecco per cui la Verità è
nascosta.
Dio non è nascosto perché
voglia sottrarsi a noi e allora perché è nascosto? Perché non si vede Dio?
È nascosto proprio perché
vuole darsi.
E vuole darsi
personalmente, è lì la meraviglia.
Vuole darsi personalmente.
Per cui Lui si tiene
nascosto fintanto che non lo incontro personalmente.
Perché Lui si rivela solo
personalmente.
Per cui si tiene nascosto
fintanto che io sono massa, nazione, gente, gruppo, fintanto che io porto
dentro di me il pensiero di tutti gli uomini, Lui non lo troverò mai.
Fintanto che personalmente
non salgo a questo appuntamento a tu per Tu con Lui, io non posso conoscerlo.
Perché Lui offre la sua
conoscenza personalmente.
Ecco perché si tiene
nascosto, perché si riserva per noi, per ognuno di noi.
B.: Si
manifesta personalmente però ai discepoli si manifesta in gruppo.
Ma quelli sono segni, è
recitazione.
È teatro per noi.
Il rapporto di Dio è con
noi personalmente.
Lui fa recitare tutte le
creature, le fa recitare per ognuno di noi personalmente.
Per chiamare noi
personalmente.
Non ci conosce mica come
massa Lui.
Tanto che quando Cristo si
è presentato al suo popolo eletto e ha voluto stabilire un rapporto personale
lo han mandato a morte.
Evidentemente perché non lo
conoscevano.
C.:
L'Assoluto non ha bisogno di niente e di nessuno.
È logico, non dipende da
nessuno.
La pianta per vivere
dipende da-, noi per vivere abbiamo bisogno di-, Lui no, Lui di per Sé è vivo.
C.: Solo chi
è vita può dare la vita all'altro, perché chi non è vita in sé, non può mica
prendere la vita da uno per donarla all'altro.
La vita principale
dell'uomo è conoscere, capire, noi crediamo che la vita stia nel guadagnar
soldi nell'abbuffarci di cibo, nel mangiare, nell'ingrassare, noi crediamo che
la vita stia lì.
Questa è tutta una
menzogna, la vita vera dell'uomo sta nel capire, nel conoscere.
Noi possiamo essere ricchi
sfondati e metterci a piangere con Leopardi.
D.: C'è una
dimensione spirituale nell'uomo che gli uomini stanno facendo di tutto per
riuscire a dimenticare.
Dai giornali
alla tv al cinema è tutta una propaganda per escludere quel bisogno interiore
che portiamo in noi.
Sì ma è una corsa al
suicidio.
D.: A me ciò che
fa paura è che noi con tanta fatica stiamo cercando di risalire la china, ma i
giovani e i bambini di oggi avranno più difficoltà ancora di noi.
Sono
preoccupato per i miei figli e i miei nipoti cui io non ho saputo insegnare e
non c'è nessuno che si preoccupi di insegnargli.
Noi abbiamo
sentito molte volte che tutto quello che riceviamo è segno e Parola di Dio ma
non abbiamo ancora provato a portare queste cose a Dio perché Dio ce le
illumini.
Continuiamo a
ripetere che Dio ci parla in tutto, però non l'abbiamo ancora messo come punto
fermo nella nostra vita.
E bisogna che
ci decidiamo a metterlo nella nostra vita se no rimane cultura che non nutre.
Questo è
mettere in pratica.
Noi crediamo
che il mettere in pratica sia chissà cosa, ma è applicare quel pensiero lì.
È interrogare il Maestro
interiore che ognuno porta dentro di sé e non c'è nessuno che lo possa
interrogare al posto nostro.
D.: È un
fatto personale, è un fatto individuale.
È Dio stesso
che ci sollecita e in tutti i modi.
E la nostra
insoddisfazione ci dice che non siamo ancora arrivati.
Certo.
E.: Quello
che determina tutto nella vita dell'uomo è il bisogno di capire.
Per cui
l'uomo, anche se ha tutto...
Ha niente.
E.: L'uomo se
si accontenta della vita animale che è poi la vita sentimentale, se si
accontenta di essere pecora.....
O pianta, perché la maggior
parte della nostra vita è una vita vegetativa poiché siamo tutti determinati
dall'ambiente in cui ci troviamo.
E.: L'anima è
proprio questo desiderio di capire che determina tutto nell'uomo.
Nell'uomo c'è
un'apertura a un altra vita.
Nell'uomo c'è una
saldatura.
L'uomo è il vertice
dell'universo.
Nell'uomo c'è l'universo,
quindi il mondo animale, vegetale e c'è l'eternità, l'Assoluto.
Nell'uomo c'è il punto di
contatto e in questo punto di contatto c'è la crisi.
Perché nell'uomo c'è tutto
l'universo, tutta la creazione di Dio si conclude nell'uomo.
L'uomo è stato creato il
sesto giorno, cioè nella conclusione.
E in questo punto
dell'universo c'è il punto di contatto con l'eterno.
E la difficoltà dell'uomo è
passare all'eterno.
E l'uomo fintanto che non
passa all'eterno, a guardare le cose dal punto di vista di Dio, l'uomo
"naturalmente" è profondamente triste e angosciato.
E.: E magari
interroga la luna anziché Dio.
Però proprio interrogando
la luna, lui manifesta e rivela il suo bisogno di capire: "Tu sai, tu
sai...".
E.: Noi siamo
convinti che c'è qualcuno che ci supera.
Si capisce, chiamalo come
vuoi, però l'importante in questa poesia è l'animo dell'uomo che si rivela.
E.: Noi
sappiamo che c'è qualcuno in cui c'è la ragione di tutto e noi siamo tristi
perché non partecipiamo di questo sapere.
Quando tu senti un
problema, certamente ti è data la possibilità di giungere alla soluzione.
Se Dio non ti desse la
possibilità della soluzione, non ti farebbe sentire il problema.
Ma se ti fa sentire il
bisogno di capire è perché certamente tu puoi arrivare a capire.
E.:
Oltretutto questo bisogno di capire è proprio dato dalla sua presenza in noi.
Quando io mi trovo a vivere
con una persona, io sono triste se non riesco a conoscere e condividere tutto
di quella persona lì.
La tristezza è data da un
dislivello, io mi trovo nell'impossibilità di partecipare di quello che l'altro
è.
Questa sensazione di non
capire, mi è data dalla presenza dell'infinito, della Persona divina in me che
vive con me, che sa tutto e io non so.
E.: Quindi mi
offre la sua vita in quanto mi offre la sua conoscenza.
Il Pastore mi offre il
passaggio da me pecora a Lui Pastore.
Mi trasforma in Pastore.
E.: Mi fa
passare dalla vita sentimentale, animale alla vita della luce.
Però la condizione è
interrogarlo.
La condizione è superare il
mio mondo.
Dobbiamo superare i nostri
desideri e i nostri interessi per cercare di vedere la cosa dal punto di vista
dell'altro.
Interrogare è pensare.
Tu con il pensiero cosa
fai?
Col pensiero ti trasferisci
a guardare dal punto di vista dell'altro.
F.: Bisogna
essere fame di Assoluto....
No, siamo fame di Assoluto,
volenti o nolenti siamo fame di Assoluto.
Andiamo all'inferno proprio
per la nostra fame di Assoluto.
L'importante è che questa
fame trovi il suo pane.
G.: Bisogna
approfondire queste parole: "Il Pastore offre la sua vita".
Bisogna cioè capire cos'è
questa "sua vita".
Se dice "sua" vuol
dire che è una vita singolare e bisogna capirlo.
Abbiamo tante
manifestazioni di vita, abbiamo la vita dell'animale, del vegetale, dell'uomo,
qui abbiamo la vita del Pastore.
Bisogna capire cosa è
questa sua vita.
F.: Dio è
presente anche in noi stessi.
Dio è solo presente in noi.
Fuori s'annuncia, fuori
sono rumori, segni, ma la sua presenza è solo in noi.
Per cui fintanto che noi
non ci raccogliamo dentro di noi, nel nostro intimo noi non lo troviamo.
G.: Dio
parlandoci ci fa superare il nostro mondo materiale.
Certo, se Lui non parla noi
restiamo nella nostra bagna, non possiamo fare un salto così.
Parlando, ci dà la
possibilità ma non è detto che noi partiamo.
Ma senza il suo parlare noi
facciamo e capiamo assolutamente niente.
Se Lui parla ci dà la
possibilità, sulla sua Parola abbiamo la possibilità di partire.
Se adesso noi facciamo la
sua Parola, ci impegniamo in ciò che Lui ci propone, allora partecipiamo.
H.: Dio è in
me ma non è detto che io lo metta al primo posto.
Fintanto che io non lo metto
al primo posto, assolutamente non ho nessun contatto, giro sempre alla larga.
M.: Mi pare
che l'assimilazione e la partecipazione alla vita dell'Assoluto di cui siamo un
esigenza totale, sia possibile solo attraverso una dedizione assoluta, quindi
sciolta da ogni elemento relativo.
Certo, ci vuole il pensiero
puro, altrimenti non concepisci.
Ci vuole la vergine, la
verginità mentale, poiché soltanto il pensiero puro concepisce.
Quando il pensiero è
inquinato, ci sono cioè altre presenze, altri interessi, il pensiero non può
concepire.
Tutta l'opera del Maestro è
quella di formare in noi questa purezza di pensiero.
Perché nella purezza c'è la
trasparenza e c'è la comunicazione.
Quindi c'è il concepimento,
in caso diverso no.
N.: La Verità
è amore.
Sì ma non amore come
intendiamo noi.
Dio essendo l'essere
Assoluto è vivente, Lui ci dà vita dandoci Se Stesso, dandoci il suo Essere.
P.: L'uomo
sente il bisogno d'interrogare, però il più delle volte interroga maestri
sbagliati.
Per questo Lui ti dice di
non interrogare altri maestri e ti proibisce di dare il nome di maestro ad
altri.
Noi siamo sempre lì a
interrogare giornali, no, non dare a nessuno il nome di maestro:
"Rivolgiti solo a Me".
P.: Lui offre
la sua vita....
Non ce la dà, ce la offre.
P.: Ce la offre
affinché abbiamo a desiderarla...
Perché soltanto
desiderandola possiamo averla.
Ad ognuno sarà dato ciò che
avrà voluto desiderare.
P.: La nostra
tristezza è data dal nostro bisogno di capire e dalla nostra incapacità di
capire.
Se la nostra vita sta nella
conoscenza, soltanto cercando di capire noi viviamo, altrimenti noi ci scaviamo
delle solenni tombe cercando altro.
La prima preoccupazione
deve essere capire.
P.: Questo
Maestro interiore ci porta al Principio del sapere, il Principio creatore.
Il Maestro interiore non ti
impone quello che Lui sa.
Ti conduce ad attingere tu
stessa, in modo che tu possa attingere direttamente dal Padre.
Il Cristo stesso a un certo
punto si ritira e ti affida al Padre, perché tu stessa possa conoscere il
Padre, lì è la meraviglia.
Quello è il vero Maestro.
Il Maestro non si
sostituisce mica a te.
Io sono il buon Pastore.
Il buon Pastore offre la sua vita per le
pecore.
Gv 10 Vs 11 Terzo tema.
Titolo: L'offerta
e la comunicazione della vita del Pastore.
Argomenti: Incomunicabilità
della vita nei segni. Restare
con l'Essere che è in noi. Dio
si fa conoscere solo personalmente all'uomo. Comunicabilità e incomunicabilità. Offerta & comunicazione.
Impossibile,
possibile, certo. Il
nostro desiderio deve derivare dalla realtà. L'essere si comunica
attraverso la conoscenza.
29-30/Luglio/1990 Casa di preghiera Fossano.
Abbiamo visto
precedentemente il significato di questo: "Io sono il buon Pastore" e
poi la vita del Pastore.
Adesso ci rimane da considerare
questa offerta della vita da parte del Pastore alle sue pecore.
Gesù dicendo: "Io sono
il buon Pastore", ci fa capire che questo "Io" è Dio stesso.
Dio stesso che si fa
Pastore per gli uomini, Pastore di ogni uomo, Lui stesso si fa Maestro, confermando
quello che è stato detto dalla Parola stessa di Dio: "Saranno tutti
ammaestrati da Me".
L'uomo è un essere che ha
per Maestro Dio.
E parlando della vita del
Pastore, abbiamo visto che la vita del Pastore è la conoscenza stessa di Dio.
Dio vive conoscendo Se
Stesso.
Dio vive di Sé.
Abbiamo visto che ogni
altro esistente vive assimilando altro da sé, poiché la vita è assimilazione,
abbiamo visto.
Dio vive di per Sé, ha la
vita in Se stesso.
Anzi, abbiamo precisato che
Dio è la vita, poiché Dio è l'Assoluto.
E l'Assoluto non ha bisogno
di assimilare altro per vivere.
Tutto ciò che non è
Assoluto ha bisogno di assimilare altro per vivere, perché da solo non sta su.
Tutti quanti noi facciamo
esperienza che da soli non stiamo su, abbiamo bisogno di assimilare altro.
Dio invece non ha bisogno
di assimilare altro, Lui è l'Assoluto, quindi è il vivente.
Adesso il problema è
l'offerta della sua vita, quindi la comunicazione della sua vita.
Dio comunica la sua vita,
Dio offre la sua vita, ma noi dobbiamo chiederci prima di tutto cosa voglia
dire comunicare la vita e poi sopratutto quali siano le condizioni per poter
ricevere la comunicazione, per poter ricevere la comunicazione di questa vita.
Apparentemente non c'è
possibilità di comunicare la vita.
Dio significa la vita nella
creazione attraverso segni diversi.
Abbiamo visto la vita
vegetale, la vita animale e la vita umana.
E vediamo che la pianta non
può comunicare la vita alla materia.
E allora diciamo che la
vita della pianta è singolare, propria della pianta.
E ciò che è singolare non
può essere comunicato a un altro.
Così l'animale non può
comunicare la sua vita alla pianta e diciamo che la vita dell'animale è
singolare all'animale stesso e non può quindi trasferirsi, comunicarsi alla
pianta.
E così la vita dell'uomo,
l'uomo non può comunicare la sua vita all'animale, la vita dell'uomo è
singolare, propria dell'uomo e non può essere comunicata ad alcuno.
Nel mondo dei segni, noi
esperimentiamo che la vita è propria, come qui è propria del Pastore abbiamo visto.
La vita è propria
dell'essere vivente e non può essere comunicata.
Eppure qui si dice che il
Pastore offre, quindi comunica la sua vita.
Noi sappiamo per fede che
Dio comunica la vita all'uomo.
Dobbiamo vedere se e come
questo sia possibile.
In realtà non è che si
faccia tanta esperienza della comunicazione della vita di Dio.
L'uomo è un essere che
patisce, soffre e che è profondamente triste.
A differenza degli altri
viventi noi già troviamo questa caratteristica.
Abbiamo detto che la pietra
non può ricevere vita dal vegetale.
Però la pietra non patisce
di non ricevere vita dalla pianta.
E la pianta non riceve vita
dall'animale, però la pianta non patisce di non ricevere vita dall'animale.
E l'animale non riceve vita
dall'uomo, però l'animale non patisce questo.
Abbiamo visto domenica
scorsa Leopardi: la pecora quando ha mangiato se ne sta tranquilla e si riposa.
E perché l'uomo no?
L'animale non riceve la
vita dall'uomo però non patisce di non ricevere questa vita.
L'uomo patisce di non
ricevere la vita da Dio.
Perché?
Perché nel suo canto
notturno quel pastore rivolgendosi alla luna dice: "Tu sai, tu capisci
tutto e io invece non so, non capisco a che serva questo mio andare
solitario"?
Ecco, ogni uomo ha questo
suo andare solitario.
Questo pastore errante,
"A che serve tutto questo?"
Perché l'uomo invidia la
luna?
E abbiamo visto che
Leopardi rivolgendosi alla luna si rivolge a Dio: Colui che sa tutte le cose,
"Tu che sai tutto", Dio sa tutto.
E perché l'uomo soffre nel vedere
uno che sa tutto e prima ancora perché l'uomo sa che c'è uno che sa tutto?
La pianta e l'animale, non
si accorgono che c'è uno che sa il tutto.
E perché l'uomo s'accorge
che c'è uno che sa il tutto?
Perché Leopardi dice alla
luna: "Tu sai tutto" e perché soffre di non sapere lui questo tutto?
Perché soffre di non poter
partecipare lui a questa sapienza?
La vita del Pastore abbiamo
detto che è la sapienza.
Si vive di verità, si vive
di sapienza.
L'uomo soffre di non essere
sapiente, l'uomo soffre di patire gli avvenimenti, i fatti, la vita stessa e di
non vedere il significato del tutto, di non capire perché si nasca, si muoia e
perché si debba soffrire tanto.
Perché ci sono tante
vicende nella vita, questi alti e bassi, perché tutto questo?
E perché l'uomo si
interroga sul "perché"?
L'uomo patisce perché
"convive" con un essere che sa.
Ecco la differenza che c'è
tra l'uomo e tutti gli altri esseri viventi.
Ecco perché gli altri
esseri viventi non invidiano la vita degli esseri superiori mentre l'uomo
invidia la vita dei superiori.
L'uomo si trova a contatto
con Uno che sa tutto, con Uno che è infinitamente sapiente.
Con Uno che ha in Sé la
ragione e il significato di tutte le cose e patisce di non partecipare a Esso.
Perché patisce di non poter
partecipare?
Patisce perché vorrebbe
essere una cosa sola con quest'Uno.
Ecco la passione che l'uomo
porta dentro di sé e che rivela che nell'uomo c'è Dio, questo Essere in cui c'è
la ragione di tutte le cose e l'uomo convive con questo Essere e vorrebbe anche
lui conoscere come questo Essere conosce, perché intuisce che soltanto
conoscendo tutto quello che conosce quell'Essere, lui può restare con
quell'Essere, altrimenti non può restare.
Quando noi siamo costretti
a vivere con un essere con cui non possiamo restare, noi siamo terribilmente
tristi.
Questo ci rivela che la
condizione per restare con Dio che è con noi, che resta con noi nonostante
tutto, non è fare atti di devozione, invocarlo da mattina a sera, non è
piangere, lamentarsi, fare dei riti o delle funzioni.
Si può restare con Dio
soltanto in quanto si conosce come conosce Lui, in quanto si partecipa di
quello che conosce Lui, in quanto si può condividere il suo pensiero in tutto.
L'uomo rivela in questa sua
tristezza il suo destino, altrimenti non patirebbe questo.
Però l'uomo
esperimenta che non c'è questa comunicazione.
Eppure se Dio l'ha creato e
l'ha creato con il destino di conoscere Dio, Dio vuole comunicare all'uomo.
La scrittura stessa dice
che Dio è luce e non ama le tenebre.
Dio non ama nascondersi o
tenersi nascosto.
È vero che Dio non lo
vediamo, non lo tocchiamo e non lo esperimentiamo ma questo non significa che
Lui ami sottrarsi a noi.
No, è perché Lui vuole
donarsi a noi.
Ma vuole donarsi in una
forma personale e intima, quindi nella vera forma, di piena conoscenza.
Per cui Lui si rifiuta di
farsi conoscere in quella forma in cui noi possiamo conoscerlo.
Tutte le creature noi le
incontriamo senza conoscerle.
Facciamo esperienza di
tutte le creature senza conoscerle.
Dio si sottrae a questa
forma di conoscenza, perché Dio vuole essere veramente conosciuto.
Ecco per cui mentre noi
esperimentiamo la presenza delle creature non esperimentiamo la presenza di
Dio.
E non c'è comunicazione con
la presenza di Dio: Dio è là e io sono qua.
Dio non comunica la sua
presenza ma Dio comunica la sua presenza.
Dio si tiene nascosto
perché vuole farsi conoscere personalmente da ognuno di noi.
E fintanto che noi siamo
massa, gruppo, numero, fintanto che noi non siamo persone e quindi non ci assumiamo
personalmente la responsabilità del nostro credere, del nostro amare, pensare e
vivere, Lui non si fa conoscere, perché si fa conoscere solo personalmente.
E allora qui entriamo nel
problema della comunicabilità.
È possibile comunicare e a
quali condizioni?
Apparentemente (segni di
Dio) noi diremmo no, cosa c'è tra il nostro finito e l'infinito di Dio?
Cosa c'è tra la nostra
terra e il cielo di Dio?
Cosa c'è tra la
temporaneità nostra e l'eternità di Dio?
Cosa c'è in comune?
Tra finito e infinito non
c'è niente in comune.
E non si può passare dal
finito all'infinito, come non si può passare dal tempo all'eterno.
Fintanto che noi ci
immaginiamo l'eternità come un prolungamento del tempo, noi siamo completamente
sfasati.
Dio stesso, Gesù stesso, Parola
di Dio, dice: "Io sono di lassù, voi siete di quaggiù".
E aggrava la situazione
dicendo: "Dove Io sono, voi non potete venire".
Quindi incomunicabilità.
Però nello stesso tempo ci
dice, ci invita, ci sollecita ad essere dove Lui è: "Io vado a prepararvi
un posto, affinché dove Io sono siate anche voi" e prega il Padre:
"Affinché dove Io sono, possano essere anche loro e possano vedere la mia
gloria".
Abbiamo questi termini:
incomunicabilità e comunicabilità.
Incomunicabilità:
"Senza di Me fate niente", "Dove Io sono voi non potete
venire", "Io sono di laggiù e voi siete di quaggiù": niente da
fare.
Comunicabilità: Tutta
l'opera di Dio che tende a portarci dove Lui è.
Evidentemente Dio qui ci
rivela un'impotenza da parte nostra.
L'uomo è un essere che sente
questa tristezza di fondo.
L'uomo stesso confessa e
testimonia che la vita non sta nel mangiare, nel viaggiare, nel conoscere la
cultura o gli uomini, la vita sta nel conoscere Dio.
La vita eterna, vera sta
nel conoscere Dio come vero Dio.
Qui sta la vita.
Perché se l'uomo non
attinge a questa sapienza, a questa eternità, a questa conoscenza, l'uomo porta
un buco di vuoto dentro di sé che ricchezza, viaggi, mondo e cultura non
possono riempire.
Quando l'uomo porta il
vuoto dentro, questo determina tutto della sua vita.
Tutto determina.
A questa tristezza in cui
l'uomo muore, non supplisce nessuna ricchezza che l'uomo possa accumulare
attorno a sé.
Ed è un fallimento lo
spendere tutta la propria vita soltanto per accumulare delle ricchezze, solo
per guadagnare, lavorare, solo per farsi una posizione.
È un fallimento perché è
una contraddizione con la vita stessa.
La vita, secondo la Parola
di Dio è capire, è conoscere ed è ciò che gli uomini maggiormente trascurano.
Ma è possibile comunicare questa
vita? Passare questo infinito di Dio in cui tutto è luce alla povertà della
creatura che porta sempre dentro di sé questa pena e questa tristezza?
È possibile dare la pace
all'uomo?
C'è un episodio in cui,
Gesù mandando i suoi discepoli dice: "In qualunque casa entriate, dite:
Pace a questa casa e se c'è un figlio degno di pace, la vostra pace passerà a
lui, ma se non c'è un figlio degno di pace, la pace ritornerà a voi".
Qui ci fa un cenno su
quella che è la comunicazione.
Voi offrite la pace, ma non
è detto che offrendo la pace questa sia comunicata.
Qui c'è il Pastore:
"Il Pastore offre la sua vita".
Il Pastore è Dio quindi Dio
offre la sua vita.
Non è detto che la vita di
Dio passi alle pecore, passi agli uomini.
Gesù dice: "Se c'è un
figlio degno di pace".
È qui che noi dobbiamo
approfondire, per capire quali sono le condizioni perché questa comunicazione
passi.
Dio vuole che tutti si
salvino, Dio vuole comunicare la sua sapienza, la sua luce, la sua pace a tutti
gli uomini, perché vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la verità.
Non dice che giungano a
mangiare o viaggiare!
Dio vuole che tutti si
salvino e giungano a conoscere la verità.
"Se c'è un figlio
degno di pace"
Cos'è questo essere degni
della pace affinché questa pace possa essere comunicata?
Direi: se c'è un figlio
degno della luce, degno della sapienza di Dio.
Cos'è questa dignità che dà
la possibilità del passaggio della comunicazione?
L'uomo è fatto
sostanzialmente di due grandi realtà e l'abbiamo visto molte volte.
Una realtà che è data a lui
senza di lui.
Ed una realtà che non è
data a lui senza di lui.
La prima realtà, cioè ciò
che è dato a lui senza di lui sono i talenti, è la creazione, è la vita stessa,
è la fede, è il Pensiero stesso di Dio, è Dio stesso che si dona a noi
indipendentemente da noi.
È tutto ciò che noi
portiamo con noi, in noi, attorno a noi indipendentemente da noi.
Questa è la realtà che è
data agli uomini, affinché gli uomini possano esistere, possano credere,
possano amare.
Questa è la creazione di Dio,
è l'opera di Dio.
Però c'è l'altra realtà che
non è data all'uomo senza l'uomo.
La prima realtà che è data,
l'uomo la sente, la patisce e la subisce.
Anche Dio l'uomo lo
subisce.
Anche nell'inferno Dio si
subisce ma non si conosce.
Tutto ciò che è dato a noi
senza di noi, noi non lo possiamo smentire, ne subiamo la presenza, però non lo
conosciamo.
Invece la realtà che non è
data a noi senza di noi è tutto il mondo della conoscenza.
Ed il mondo della
conoscenza che è poi il vero mondo, la vera vita, questo non si attinge senza
di noi.
Noi dobbiamo chiederci
qual'è la condizione per entrare in questo mondo che non si attinge senza di
noi, che ci fa degni di ricevere la comunicazione della sapienza di Dio.
Dio non è geloso dei suoi
doni, Dio non trattiene per Sé i suoi doni.
Dio ci ha creati per
donarci i suoi doni.
Se c'è una pena e una
tristezza in Dio è proprio questa: ci ha creati per donarci i
suoi doni e nessuno di noi è interessato a ricevere i doni per i quali Lui ci
ha creati.
Perché nessuno sale a
ricevere questi doni che non possono essere dati a noi senza di noi.
Qual'è la condizione perché
la comunicazione sia possibile?
Sono andato anche qui alla
ricerca della matematica al servizio di Dio.
Tutto serve e anche le
formule matematiche servono.
C'è un ramo della
matematica che riguarda il campo delle possibilità, delle probabilità.
E ci rivela quali sono le
condizioni perché una cosa sia possibile, impossibile o sia certa.
L'uomo è un essere che
sperimenta cose possibili, cose impossibili e voglia Dio, anche la certezza.
È una piccola formula
matematica.
Di per sé vale poco......
Abbiamo due realtà a
confronto che sono quelle cui ho accennato prima.
Una cosa, perché sia
possibile, deve essere fondata su una realtà.
In matematica questa realtà
possibile è significata al denominatore con una lettera qualsiasi, diciamo la
lettera N.
E poi c'è il raffronto di
questa realtà delle cose possibili con la realtà favorevole, con quello che uno
desidera.
E quello che uno desidera è
segnato al numeratore con un altra lettera, diciamo la M.
Facendo un esempio semplice
che si fa anche in matematica, diciamo che se uno ha dieci palline bianche e
mette queste dieci palline in un sacchetto e poi ne estrae una, è certissimo
che la pallina che esce è bianca.
Ha messo dieci palline
bianche, estraendone una, è certissimo che la pallina estratta sarà bianca, qui
c'è la certezza.
Ha estratto una pallina
bianca.
Notate che qui c'è
certezza, non esce certamente una pallina nera.
Però se lui mettesse nove
palline bianche e una pallina nera e poi volesse estrarre una pallina bianca,
non sarebbe più sicuro di estrarre una pallina bianca, già sarebbe
nell'incertezza.
Si dice il
caso...l'incertezza, perché?
Perché può essere che esca
fuori quella nera.
E se lui anziché una
pallina nera ne mettesse cinque nere nel sacchetto, l'incertezza aumenterebbe.
E se lui mettesse nove
palline nere e una bianca, l'incertezza di estrarne una bianca sarebbe
altissima.
Qui passiamo dalla certezza
alla probabilità ed è una probabilità che diminuisce sempre di più,
quanto più aumenta il numero di palline nere rispetto alle bianche.
Ci fa capire certe
cose.....
La certezza si indica con
l'uno, l'unità, siamo sempre lì.
L'uno è la certezza.
Se si arrivasse al punto da
introdurre dieci palline nere e più nessuna bianca, qui si verificherebbe
l'impossibilità di estrarre una pallina bianca.
E qui abbiamo il caso
dell'impossibilità che si indica con zero.
Per cui gli estremi sono
impossibilità e certezza.
Impossibilità zero, certezza
uno, la possibilità varia dallo zero all'uno.
Abbiamo chiesto in prestito
questo servizio alla matematica.
Perché abbiamo detto che
l'uomo si trova con una realtà che non può smentire: la realtà è Dio Creatore.
Non è certamente l'uomo che
fa le cose.
Questa realtà sono le dieci
palline bianche.
Però abbiamo detto che
l'uomo può estrarre...
Si parla in matematica di
casi favorevoli, si fanno i confronti fra i casi possibili e di casi
favorevoli.
I casi possibili sono
quelli che sono determinati dalla realtà.
C'è una realtà: Dio.
E poi c'è il pensiero, il
desiderio, l'intenzione dell'uomo che vuole estrarre qualcosa.
E siccome questo pensiero
dell'uomo è una passione d'Assoluto, l'uomo corre il rischio che pur avendo
tutte palline bianche, possa avere il desiderio di tirar fuori una pallina
nera.
Le palline sono tutte
bianche ma lui può avere il desiderio di tirar fuori una pallina nera.
Non dico cose stravaganti,
perché questa è la realtà di cui vivono tutti gli uomini.
La realtà con cui l'uomo si
trova, sono tutte palline bianche, il desiderio, il pensiero, l'intenzione
dell'uomo (nella stragrande maggioranza dei casi) è invece quello di estrarre
una pallina nera.
E l'uomo fa esperienza
della impossibilità.
Noi diciamo che è assurdo,
certo è assurdo.
La maggior parte della vita
degli uomini è un'assurdità.
Perché se la vita sta nel
capire, nel conoscere la verità, sta nel poter partecipare a questa sapienza
che è con noi, per poter restare con questo essere che è Dio che è con noi, la
più grande assurdità che noi facciamo è che avendo come realtà a disposizione
tutte palline bianche, noi pretendiamo di tirare fuori una pallina nera.
E continuamente ci
lamentiamo perché escono sempre palline bianche e non escono palline nere.
L'uomo fa esperienza di
questo: c'è incomunicabilità.
Non si comunica.
Non c'è un figlio degno di
pace.
Fintanto che l'uomo
desidera, pensa, porta con sé come scopo della sua vita, come fine della sua
vita altro da Dio, non abbiamo un figlio degno di pace, non abbiamo un figlio
degno della luce di Dio.
Dio offre a tutti la sua
luce e la testimonianza è che tutti sono tristi.
Dio la offre a tutti e la
testimonianza è che tutti esperimentano l'impossibilità.
In che cosa consiste questa
dignità che ci fa capaci di ricevere la comunicazione della vita di Dio e la
vita è la conoscenza, è la sapienza, la vita è capire.
Cos'è che ci fa degni di
capire?
La realtà ci è data, sono
tutte palline bianche, non si scappa di lì.
L'errore sta nel desiderio
dell'uomo, l'errore sta nel pensiero dell'uomo.
L'errore sta in ciò che
l'uomo come intenzione vuole tirare fuori da quel sacchetto.
Quello che fa degno l'uomo
è che il pensiero dell'uomo coincida con la realtà.
Bisogna che il pensiero
dell'uomo, il desiderio dell'uomo desideri tirare fuori una pallina bianca e
siccome sono tutte bianche lì abbiamo la certezza: la pallina sarà bianca.
Ma bisogna che l'uomo
desideri la pallina bianca, se l'uomo desidera la pallina nera, l'uomo
esperimenta l'impossibilità.
Quindi quello che fa
degno l'uomo, è quello che l'uomo porta dentro di sé come pensiero, come
interesse, come intenzione.
È questo che gli fa
esperimentare l'impossibilità, la possibilità o anche la certezza.
Ecco il figlio degno, degno
di ricevere la comunicazione di Dio.
Infatti nella parabola dei
talenti, il Signore quando ritorna, non premia mica i talenti dati.
Premia l'interesse che
ognuno ha saputo trarre da quei talenti.
L'interesse, il pensiero,
l'intenzione, non palline nere, non cioè ciò che non è secondo la realtà, ma
quello che è secondo la realtà.
Ci siamo chiesti all'inizio
qual'è la condizione perché questa comunicazione qui che è comunicazione di
verità avvenga.
Primo è assolutamente
necessario che Dio ci dia queste palline bianche e Lui ce le dà.
La realtà Lui ce la mette
davanti: Lui abita con noi.
Noi non possiamo smentirlo,
nessuno può ignorare che Dio è il Creatore.
Queste sono le palline
bianche.
Ma perché la comunicazione
avvenga non basta che Dio ci dia questo.
È necessario che collimi il
pensiero, l'interesse nostro con questa realtà.
Il nostro interesse deve
derivare dalla realtà.
Cioè io debbo desiderare di
estrarre una pallina bianca: la realtà è questa, tutte sono palline bianche.
Io debbo desiderare una pallina
bianca, se desidero una pallina nera io esperimento l'impossibilità.
L'interesse, il pensiero e
l'intenzione sono poi il fine.
Se ognuno di noi
personalmente vive per conoscere Dio (pallina bianca) succede che il fine per
cui vive, diventa il motivo della sua vita.
Ed è il movente della sua
vita.
Ma il movente della vita di
ognuno di noi (indipendentemente da noi sia chiaro) è il Creatore, è Dio.
È Dio che ci fa essere, è
Dio che ci fa vivere.
Se ognuno di noi ha per
fine (interesse, intenzione, pensiero) conoscere Dio......
Vivendo per-, vive per-.
C'è una differenza enorme
tra vivendo per-, si vive per-.
Vivendo per un fine, si
vive di quel fine e quel fine diventa il movente della nostra vita.
Cioè diventa il principio
della nostra vita.
La madre che vive per il
bambino a un certo momento trova il significato della sua vita nel bambino
stesso.
L'uomo che costruisce un
azienda, a un certo momento trova nell'azienda il principio, quindi il movente
della sua stessa vita (la pallina nera).
L'uomo che vive per
conoscere Dio, trova in Dio il movente, il principio della propria vita.
Ma Dio è il principio della
vita dell'uomo.
Qui abbiamo la
comunicazione della verità.
Qui scopriamo la
comunicazione della verità: la verità si comunica.
Abbiamo detto che
conoscendo la verità, c'è la comunicazione dell'essere.
Il Figlio di Dio (il
Pastore, il Maestro interiore) guardando il Padre (la vita del Figlio è il
Padre) conoscendo il Padre, vede quello che il Padre fa (il Padre genera il suo
pensiero, quindi genera suo Figlio) e riceve l'essere dal Padre.
L'essere si comunica
attraverso la conoscenza.
L'essere non si comunica
attraverso altri modi.
In Assoluto, l'essere si
comunica attraverso la conoscenza.
Per cui tra il Figlio e il
Padre l'essere è unico e l'essere è del Padre.
E il Figlio vive
dell'essere del Padre.
Questa comunicazione è la
vera comunicazione.
La vera comunicazione si
riceve attraverso la conoscenza della verità.
La conoscenza della verità si
ottiene solo in quanto uno ha come suo fine la verità stessa ed è solo avendola
come fine che scopre che quella è il suo movente, quindi il suo principio.
Conoscendola come
principio, qui abbiamo il Principio che coincide con il nostro principio.
Qui abbiamo la
comunicazione della verità, qui abbiamo il Pastore che avendo offerto la sua
vita alle pecore, comunica la sua vita alle pecore.
A.: L'uomo
soffre perché convive con Uno che ha in Sé il principio di tutte le cose, della
verità, della sapienza che naturalmente anche l'uomo vorrebbe avere.
Per partecipare
della vita di questo Uno bisogna esserne degni.
Hai definito la
dignità come ciò che dà la possibilità del passaggio, della comunicazione.
Perché Lui dice:"Se
non è degno della verità, la verità torna a voi", la verità non passa.
A.: La dignità
consiste nella coincidenza del pensiero dell'uomo con la realtà.
Non ho capito
se per realtà dobbiamo intendere il principio in Assoluto, quello che trascende
ed è fuori...
Quella è la realtà.
A.: Oppure quella
realtà che può essere la realtà delle palline bianche...
La realtà delle palline
bianche è l'Assoluto.
A.: La realtà
delle palline bianche è l'Assoluto?
È l'Assoluto.
Cioè è il Dio che nessuno
può ignorare, questa è la realtà che ti è data.
Tu non puoi ignorare Dio
Creatore di tutte le cose.
Questa è la realtà da cui
tu devi derivare il tuo desiderio.
Il tuo desiderio per
attingere la certezza deve essere una conseguenza della realtà, non deve essere
espressione della tua fantasia.
Se tu vai a cercare mele su
un larice ti metti nella situazione di impossibilità.
Non troverai mele, ma
evidentemente il tuo desiderio non è nato dalla realtà.
A.: Ma la
coincidenza del pensiero con la realtà, è un passaggio estremamente difficile.
Intanto la realtà non è conosciuta in sé...
Non è conosciuta perché la
conoscenza è il risultato di una comunicazione.
Invece la realtà che ti è
data, non la conosci mica ma non la puoi ignorare.
Ora proprio perché non la
puoi ignorare sei responsabile.
A.: E che tipo
di comunicazione si stabilisce con questa realtà?
Tu devi averla come
fine....
Le "palline
bianche" sono la realtà del Dio Creatore che non puoi ignorare.
La realtà è ciò che tu non
puoi ignorare.
A.: Non lo capisco
perché le palline bianche le capisco come creature, non le vedo come Realtà...
L'uomo si trova con due
mondi: il mondo che è dato a lui senza di lui e il mondo che non è dato a lui
senza di lui.
Il mondo che non è dato a
lui senza di lui è la conoscenza.
Cioè è la visione di tutte
le cose da Dio.
Il mondo che è dato a lui
senza di lui è tutto ciò che lui non può smentire, quindi anche Dio ma è dato a
lui senza di lui, per cui noi ci troviamo creature qui viventi con questo
Pensiero di Dio Creatore in noi, non ce lo siamo mica dato noi, come ci
troviamo con tutta la creazione (opera di Dio), noi non la possiamo smentire,
noi non possiamo smentire Dio Creatore.
Per smentirlo dovrei dire
che io sono il creatore, non sono io il creatore, è un altro.
Questa è la realtà che mi è
data.
Io debbo avere come fine
quello che è il principio, soltanto se l'ho come fine adesso qui c'è la
partecipazione.
Ecco quello che mi fa
degno.
Io posso avere come fine
altro.
Io posso avere come fine
non la realtà e posso desiderare le palline nere.
A.: Ma la
comunicazione con la realtà non avviene subito...
Avviene dopo.
Qui siamo nel rispetto
della giustizia.
È per giustizia che io devo
desiderare le palline bianche se tutte le palline sono bianche.
Sono scemo a desiderare una
pallina nera quando tutte le palline sono bianche e mi rodo l'animo perché
tutte le volte che voglio estrarre una pallina nera mi esce sempre bianca.
Ma si capisce che esce
sempre bianca, esce sempre tutta opera di Dio, si capisce perché tutto è opera
di Dio.
È inutile che tu pretendi
che le cose siano opera di un altro.
Nota che se il mio
desiderio è conforme alla realtà, c'è la certezza.
Sei nostri desideri fossero
veramente secondo Dio, noi avremmo la certezza.
Noi viviamo nell'incertezza
o ci buttiamo con la testa contro i muri, unicamente perché il nostro desiderio
non collima con la realtà, con quella realtà che ci è data.
Con quella realtà che
esiste in noi indipendentemente da noi.
È quella che determina
tutto.
Le palline bianche esistono
indipendentemente da me, è il mio desiderio che non esiste indipendentemente da
me.
Il mio comportamento verso
queste palline mi dà la certezza o l'impossibilità.
Cioè, l'impossibilità o la
certezza è il risultato (sintesi) di due fattori: ciò che mi è dato senza di
me, più il mio desiderio, il mio fine.
Fintanto che il mio fine
non collima con la realtà, io mi rompo la testa.
Non posso farne a meno
perché la realtà è quella.
Se io ho come fine Dio, io scopro
che Dio diventa anche il mio principio, ma Dio è il Principio di tutto.
C'è una differenza enorme
tra l'essere il mio principio personale e il mio Principio come realtà
oggettiva.
Dio è il mio principio, qui
la verità è comunicata, io ho scoperto la verità.
A.: Questa
verità però ha una presa debole sul pensiero dell'uomo.
Guarda che tu non scopri
mica la verità per opera tua, per opera del tuo pensiero.
Il tuo pensiero è
necessario....
A.: La Realtà
come Principio non posso scoprirla con il pensiero...
Certo ma il tuo pensiero è
assolutamente necessario, tu devi averla come fine.
Però tu non la scopri per
il tuo pensiero, tu scopri la verità per dono di Dio.
È necessario il tuo
pensiero, perché senza il tuo pensiero non sei degno e la comunicazione non
passa.
Se tu desideri altro da
Dio, la comunicazione non passa.
Tu non la puoi smentire ma
Dio resta sempre Dio e tu sei nella bagna: tu non conosci.
Il mondo delle cose
invisibili non è dato a te senza di te, però è per grazia di Dio.
È solo per grazia di Dio
che tu, avendo Dio come fine, scopri che Dio è il tuo principio.
A.: Ma tutti i
segni intermedi non rendono facile questa comunicazione con la realtà.
Bisogna tenere presente che
tutti questi segni sono segni.
Io non posso staccare i
segni da Colui che fa i segni.
I segni non li faccio io, è
poco ma sicuro.
Noi la vita la subiamo, noi
il tempo non vorremmo che passasse, passa.
Ora, evidentemente questo è
un segno perché è una cosa che io subisco, che noi tutti subiamo.
E se la subiamo non siamo
noi a volerla, è un altro che ce la impone.
Vedi che c'è una realtà che
s'impone su di noi?
In quanto s'impone,
s'impone a me, indipendentemente da me.
Tutto quello che s'impone a
me indipendentemente da me, io non lo posso smentire.
..........Il vedere le cose
dal principio, richiede da te il superamento non solo del pensiero del tuo io
ma di tutti gli effetti, di tutta la creazione, di tutti i segni che arrivano a
te, perché devi vedere tutto dal principio.
Ecco perché Dio è nascosto.
Per darti la possibilità di
vedere le cose dal Principio, perché soltanto vedendole dal Principio tu
conosci.
Fintanto che tu subisci,
esperimenti le cose ma non vedi il Principio delle cose, tu non le conosci
queste cose qui.
Tu subisci ma non conosci.
A.: Ma oltre il
superamento devo ancora incontrare il Pensiero, il Figlio di questa realtà, di
questo Principio che mi porta a vedere le cose dal Principio.
Il Figlio è Colui che parla
a te il Creatore.
Questo è il Figlio, parla a
te il Creatore e tu non lo puoi smentire.
A.: Ma non è
ancora conoscenza.
Non è conoscenza, tu lo
ricevi e tutto quello che tu ricevi, non è conoscenza.
Conoscere vuol dire
possedere, avere il principio di una cosa.
Conoscere una cosa nella
sua causa, guardarla dalla sua causa.
E siccome noi non siamo la
causa, si richiede che noi superiamo tutto il nostro mondo e lo stesso pensiero
del nostro io, per guardare le cose dal punto di vista della Causa.
Altrimenti io non
parteciperò mai alla conoscenza.
Come posso guardare le cose
dal punto di vista della causa?
Solo con il pensiero e il
Pensiero di Dio che è il Figlio.
Ma io per avere questo
Pensiero di Dio, devo avere Dio come fine, fintanto che io non ho Dio come fine
è assurdo, io non conoscerò mai le cose.
Perché le cose per conoscerle
debbo guardarle dal punto di vista di Dio ma non posso guardare dal punto di
vista di Dio se non supero tutto ciò che non è Dio.
E come lo supero?
Con il Pensiero di Dio e il
Pensiero di Dio ti è dato: il Maestro interiore.
La componente per arrivare alla
certezza, alla comunicazione è non solo la realtà ma è anche il pensiero, cioè
il fine che tu hai.
Fintanto che il tuo fine
non è Dio, tu ti precludi l'entrata nella seconda realtà, quella realtà in cui
non si entra senza di noi e non si entra per opera nostra, sia chiaro, si entra
per opera del Pensiero di Dio.
Non si entra senza di noi
perché per aderire al Pensiero di Dio io devo superare tutti i miei pensieri,
però la grazia è di Dio.
Lì c'è la comunicazione, lì
c'è la sintonia, perché Dio si comunica solo al suo Pensiero.
Il Pensiero di Dio è in
sintonia con il Padre ma i nostri pensieri non sono in sintonia con il Padre e
fintanto che non sono in sintonia con il Padre, stai certo che non c'è nessuna
comunicazione, noi possiamo piangere tutte le nostre lacrime ma non c'è nessuna
comunicazione.
Tu muori disperato ma non
c'è comunicazione.
Perché non puoi cogliere la
verità e la vita sta nella conoscenza della verità.
A.: Si arriva
per certezza o per possibilità a considerare le cose dalla realtà?
No è certezza.
Tu sei certo che avendo
tutte palline bianche e desiderando estrarne una bianca il tuo desiderio è
certo di essere soddisfatto.
Se io mi metto in testa di
avere una rosa e tutti mi mandano i tulipani, io mi offendo.
La fregatura è nel mio pensiero,
nel mio desiderio, noi restiamo fregati dal desiderio.
Roviniamo la nostra vita
nel desiderio, in ciò che abbiamo cioè come fine.
B.: Io posso
con la mente sapere che devo volere la pallina bianca e non la pallina nera, però
dato che la comunicazione del pensiero è grazia di Dio, io posso trovarmi in
una situazione difficile da capire, capire per me vuol dire estrarre la pallina
bianca....
Le palline bianche
rappresentano la realtà che è data a me senza di me, quindi in quanto è data a
me senza di me, io so che le palline sono bianche e so che sono scemo a
desiderare le nere.
Sapevi che le palline erano
bianche e perché allora desideravi le nere? Scemo.
Sentimenti o situazioni in
cui uno si trova contano nulla, conta quello che uno sa.
Tu sapevi.
Dio non mi dirà:"Tu
sentivi o non sentivi, anche questo era opera mia, ma tu sapevi".
Il giudizio sta lì.
B.: Ma Dio
spesso ci mette davanti a delle prove amare, come si fa a capire?
Tu sai che le palline sono
bianche, devi desiderare le palline bianche e sei nella certezza.
B.: Ma è
spontaneo che io voglia allontanare da me una prova o una malattia...
Il problema non è
allontanare una malattia, il problema è avere come fine (desiderio vuol dire
fine) Dio.
Se tu hai come fine Dio, Dio
diventa il tuo principio, il tuo movente.
E tu entri nella realtà,
perché nella realtà Dio è il Movente.
Non è dicendo che Dio mi fa
fare questo o mi fa dire l'altro che Dio è il mio movente, non è quello.
È quando io personalmente
ho Dio come fine che Dio diventa il mio movente.
Lì io percepisco la
comunicazione della verità.
Altrimenti io non
percepisco la comunicazione della verità, faccio delle parole ma non percepisco
la comunicazione.
E resto fuori.
Solo se ho Dio come fine,
cioè oggetto del mio pensiero scopro che Dio è il Soggetto del mio pensiero.
Ma scoprendo questo ho la
comunicazione della verità.
Dio è il Soggetto del mio
pensiero.
Come il Padre è soggetto di
suo Figlio.
C'è stata la comunicazione
e come c'è stata?
Perché l'ho avuto come oggetto
del mio pensiero.
Avendolo come oggetto,
scopro che è soggetto del mio pensiero.
Vedi che c'è comunicazione,
tutte le altre sono solo tutte scuse.
C.: Quando
prendo una pallina bianca la tengo o la butto via se desidero la nera?
No, io la butto via, perché
io desidero la nera e mi offendo.
Io resto dominato da quello
che desidero.
Se io voglio le rose, mi
offendo se tutti mi inondano di tulipani.
Se io desiderassi tulipani
sarei felice, ma io mi sento non pensato se desidero rose e mi mandano
tulipani.
Per cui quando io ho un
desiderio diverso da Dio, mi sento non pensato da Dio.
Mi sento ignorato da Dio,
mi sento tradito da Dio.
Lì mi è impossibile entrare
nella verità.
D.: Bisogna
ricollegarsi col Principio, proprio nel punto in cui si è rotto l'incantesimo.
Ci ricolleghiamo col
Principio in quanto l'abbiamo come fine.
Dio ha fatto le cose
meravigliosamente bene, per cui avendo una cosa come fine, quella diventa il
mio principio.
Diventa il mio movente e lì
scopro la comunicazione della verità.
Lì c'è certezza, Dio non ti
lascia nel dubbio.
E.: Con Dio c'è
solo o l'impossibilità o la certezza?
C'è anche la possibilità,
la probabilità.
Perché noi possiamo volere
Dio ma ancora in mezzo a volontà diverse.
Per la certezza è necessario
quello che abbiamo visto....
E.: Però quando
c'è altro oltre a Dio siamo nell'impossibilità?
Navighi nell'improbabile,
nelle nubi.
Fintanto che non arrivi
alla nettezza di avere un fine solo.
Non puoi volere
contemporaneamente due o tre fini.
E.: C'è la
possibilità in quanto Dio sta operando per portarmi ad avere un fine unico.
Certo, Dio non ci lascia
mai soli, quindi Dio dialoga sempre con noi, ci fa battere delle testate, ci fa
sanguinare e una cosa e l'altra, è tutto Dio che lavora, non ci aspetta Lui
all'ultimo, Lui è sempre con noi, nonostante tutti i nostri errori, ecco per
cui c'è questo spazio tra lo zero (impossibilità) e uno (certezza) in cui c'è
tutta la gamma delle cose probabili.
Ma sono probabili, infatti
il Cristo stesso lo vedrai venire fra le nubi, non hai ancora la certezza, la
certezza c'è soltanto in quanto in te si decantano talmente i valori da avere
un valore unico e quel valore unico lì ti dà la certezza. Là dove il pensiero
coincide con l'Essere, lì hai la certezza.
Perché Dio si rivela
soltanto al suo Pensiero, lì c'è la certezza perché il pensiero diventa figlio
dell'Essere.
F.: Come
facciamo a non capire che stiamo buttando via le bianche?
Per capire ci vuole la
luce.
Noi siamo come dei pazzi,
ossessionati da quello che hanno in testa.
E quando noi abbiamo un
desiderio, una passione, un fine nostro, noi siamo dominati da quello, noi
diventiamo figli di quello.
Il fine diventa nostro
principio e noi diventiamo figli del nostro fine e quando io ho un fine sono come
ossessionato da quel fine lì, ho bisogno di risolvere quello.
Quando ho fame è inutile
che vengano a raccontarmi di Dio, ho bisogno di mangiare.
Resto figlio di questo mio
bisogno.
Ognuno di noi fintanto che
non arriva a quella luce che viene solo da Dio, è dominato da avvenimenti che
ci ossessionano, perché è la luce che ci libera.
Noi non siamo mica liberi,
noi siamo ossessionati.
Noi crediamo di essere
liberi ma noi siamo ossessionati dagli avvenimenti, dai fatti, dalle creature,
da tutto quanto, siamo dominati dai problemi della nostra giornata e della
nostra vita e solo con la conoscenza della verità che si diventa liberi.
"Conoscerete la verità
e la verità vi farà liberi".
Ma "conoscerete"
e fintanto che non conosci sei dominato.
Se sei dominato dalla
passione delle palline nere, tutte le bianche che estrai le butti via.
E non ti rendi conto che
non usciranno mai le palline nere.
Tutta la fregatura e la
frustrazione della vita sta lì.
G.: Quindi se
il nostro desiderio è veramente desiderio di Dio...
Tu desideri Dio in quanto
lo hai come fine.
La conoscenza di Dio come
fine.
Soltanto lì scopri che
quello è il tuo Principio.
Ma fintanto che tu
esperimenti altro, Dio è il tuo Principio ma Dio non è il tuo principio,
non è il tuo movente.
Se tu vivi per altro da
Dio, resti dominata da quest'altro e quest'altro diventa il movente della tua
vita.
Ma quell'altro non è il
Principio, il Principio è Dio e tu non lo puoi mica smentire.
Il tuo principio non
coincide con il Principio di Dio e non c'è comunicazione: tu non conosci la
verità.
G.: Ma cos'è
che forma in noi il desiderio di Dio e non di altro?
Dio, solo Dio.
Dio ha posto in te questo
desiderio dell'Assoluto in quanto Lui vive con te.
Tu vuoi che tutto quello
che tu ami (fine) sia Assoluto.
Hai la macchina? Vuoi che
sia assoluta e allora ti metti a pulirla, verniciarla, curarla, perché vuoi che
sia assoluta.
Deve permanere, se ami una
persona, vuoi che resti assoluta e fatichi tutta la vita.
Noi tutta la vita la
sacrifichiamo per rendere assoluta una cosa che non può essere assoluta.
Perché l'animale quando ha
mangiato se ne sta tranquillo?
Noi anche dopo mangiato non
siamo mica tranquilli.
Abbiamo la nostra passione
d'Assoluto da conseguire e da raggiungere.
Dio ha posto in noi questa passione
d'Assoluto, perché ha posto in noi Se Stesso.
Fintanto che noi non
conosciamo Lui e non vediamo le cose da Lui, noi resteremo sempre ingannati
dalla nostra passione d'Assoluto e ci lamentiamo perché non escono mai palline
nere.
H.: È attraverso
il fallimento della vita che Dio ci recupera, è proprio battendo le testate che
io dico che c'è un muro ed è inutile che io seguiti sbatterci la testa contro.
Se non c'è uno che
m'illumina, io per l'eternità batto la testa contro il muro.
H.: Con Cristo
arrivo a vedere il rovescio della medaglia.
Dio non ha dato
a tutti i talenti di un pensiero sottile come il tuo, però dà a tutti la
possibilità di arrivare a recuperare qualcosa.
Il pensiero sottile o meno,
profondo o meno (il Vangelo è molto sottile e profondo) è necessario per
condurre quanti non hanno questo pensiero sottile, a costatare e quando hai
costatato, tu non puoi dire che non è vero.
Il pensiero ti conduce a
costatarlo, dopo faticherai tutto quello che dovrai faticare, l'importante è che
tu sappia la cosa.
Se tu batti la testa contro
il muro non c'è santo che tenga, tu batti la testa contro il muro per
l'eternità.
Non basta battere la testa
contro il muro per diventare saggi.
Non si diventa saggi
sbattendo la testa contro il muro, stai pur tranquillo.
H.: Però è uno
strumento utilissimo...
È Dio che te la fa battere,
ma nessun dolore e nessuna rinuncia, nessuna pena e nessuna
disgrazia ti salva, se non hai Colui che t'illumina il significato di
quella pena o di quella disgrazia.
M.: Il buon
Pastore offre la sua vita alle pecore e le fa passare da pecore a figli di Dio.
Si è visto la
volta scorsa che la vita del Pastore è la conoscenza del Padre, la conoscenza
del Principio.
La offre quindi non ci è
data, ci è offerta....
Offerta non vuol dire che
avviene la comunicazione.
M.: Noi
dobbiamo essere degni di riceverla.
Appunto perché c'è tutta la
realtà che non arriva a noi senza di noi.
M.: Non è che
Dio voglia negarsi a noi, ma vuole comunicarsi personalmente.
Questa vita va desiderata e
conosciuta personalmente.
Alla certezza si arriva non
in massa o in gruppo, perché il passaggio obbligato è avere Dio come fine,
fintanto che tu non hai Dio come fine, Dio ti sfugge come principio, quindi ti
sfugge la verità.
È un fatto essenzialmente
personale.
M.: La
possibilità di ricevere questa comunicazione di vita del Pastore, è determinata
dalla realtà del Dio che porto in me e la realtà di Dio Creatore ma è
determinata anche dal mio desiderio, ci sono quindi due componenti.
Se il mio
desiderio collima con la Realtà, lì ho la certezza, perché il Principio diventa
il mio fino e quindi il mio principio.
Quando tu metti Dio come
fine, come oggetto del tuo pensiero, non hai ancora ricevuto la comunicazione
della verità.
M.: È solo avendo
Dio come fine, avendolo come oggetto del mio pensiero, a un certo punto quando
vuole Lui, Lui mi fa scoprire che è soggetto del mio pensiero.
Lì avviene la
comunicazione.
M.:La vita del
Pastore è il Padre come principio, quindi me la comunica quando il Padre è
anche mio principio, oggettivamente è già in me, ma Lui me la comunica solo
qui.
Questo avviene solo quando
ho Dio come mio fine.
Lì c'è la comunicazione
meravigliosa ma c'è anche la fregatura "stupenda" di tutti gli
uomini, gli uomini non si rendono conto che soltanto quando hanno Dio come
fine, possono arrivare a scoprire che Dio è il Principio.
È una cosa meravigliosa:
Dio ha creato l'uomo per renderlo partecipe della sua verità eterna e lo ha
fatto in modo che solo se ha Dio come fine personale può accedere alla
conoscenza ma lo ha messo in un terribile rischio: l'uomo avendo come fine
altro da Dio viene ad avere come movente, come principio, padre, altro da Dio.
M.: Quando
siamo in cammino possiamo avere Dio come fine ma insieme ad altri fini.
Si, perché tu puoi avere
nel sacchetto qualche pallina nera e qualche pallina bianca e se tu tiri fuori
la nera resti fregata.
M.: Il
sacchetto sarebbe la nostra mente e le palline i nostri desideri....
Il sacchetto è la realtà,
però nella tua realtà, in ciò che hai presente ci sono anche delle palline
nere, c'è Dio Creatore ma ci sono anche gli uomini, delle altre cause diverse
da Dio.
Fintanto che Dio non ti fa
capire che la realtà sono tutte palline bianche, tu non arrivi mica alla
certezza.
M.: Devo riguardarmi
la formula...
È semplicissima: M fratto N
è uguale a P probabilità.
M.: M sarebbe
la realtà?
No, M è il tuo desiderio,
il numeratore e N è la realtà che ti è data.
M.: Ma nel
campo dello spirito le palline sono bianche e io non posso metterne nessuna
nera.
Però come realtà in te, c'è
Dio (pallina bianca) ma c'è anche il mangiare (nera), i soldi (nera), il mio
prossimo (nera), c'è Dio ma c'è anche altro.
Nella Realtà, non nella tua
realtà, nella Realtà le palline sono tutte bianche, Dio è Colui che opera
tutto, Dio è l'unica realtà e fintanto che tu hai fini diversi, tu fai la
fatica di desiderare palline nere quando sono tutte bianche.
E allora tocchi con mano
l'impossibilità che chiamiamo fallimento della vita, ma questo perché la tua intenzione
non coincide con la Realtà.
M.: Il mio
desiderio deve nascere dalla realtà.
Certo, il desiderio non
deve nascere da te e dai tuoi sentimenti ma deve nascere da Dio.
Solo quando nasce da Dio
collima.
Se il tuo pensiero nasce da
Dio, capisci che il tuo pensiero è il Figlio di Dio?
Le cose collimano e c'è la
certezza.
Io sono il buon Pastore. Il buon
Pastore offre la sua vita per le pecore. Gv 10 Vs 11 Riassunti
Domenica/Lunedì.
- RIASSUNTI -
Argomenti: L’attrazione del Padre – Cristo Maestro di vita di ogni uomo – L’interrogazione – Il battesimo di Giovanni – Il motivo del nostro vivere – I cattivi maestri – Riconoscere la Verità – Il regno di Dio subisce
violenza – La Verità è accessibile personalmente –
Restare ingannati dagli uomini – Il vero che portiamo
in noi – La luce e le tenebre in noi – Restare
con Dio – Il Maestro interiore – Elemosinare la
verità – La Vita del Pastore – La vita è
assimilazione – Vita vegetale, animale, umana –
La Vera Vita – Chiedere i doni maggiori – Cibo
materiale e spirituale – Canto notturno di un pastore errante – Partecipare al Sapere – La fame dell’uomo – La privazione di Vita – La vita sta nel capire – Il luogo della Vita – Il cibo specifico – La vita spirituale – La conoscenza di Dio – Il Principio delle cose – La Verità è pace – La comunicazione della Vita – La singolarità della
vita – L’incarnazione del Verbo – Essere degni – Desiderare ciò che ci viene offerto – Le due realtà
dell’uomo -
5-6/ Agosto /1990 Casa di preghiera Fossano.