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Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore.   Gv 10 Vs 11 Primo tema.


Titolo: Il maestro interiore.


Argomenti: La porta e il pastore. I cattivi pastori. Il "futuro" nella Parola di Dio. Il concetto di buono e cattivo. Maestro e fine. I desideri. La positività dei ladri e dell'assenza di Dio. Il significato positivo dei  cattivi maestri. La responsabilità di riconoscere il vero. La Verità abita dentro di noi. Condizione per restare con il Maestro. Maestro e Principio.


 

15-16/Luglio/1990 Casa di preghiera Fossano.


Siamo giunti al versetto undici del capitolo dieci di San Giovanni.

Oggi ci dobbiamo soffermare sulla prima parte di questo versetto: "Io sono il buon Pastore".

Anche qui dobbiamo chiederci quale lezione, quale significato ci sia in queste Parole di Dio, per noi personalmente, per la nostra vita essenziale.

Cosa vuol dire il Signore a noi, affermando :"Io sono il buon pastore"?

Teniamo presente che Lui prima aveva detto: "Io sono la porta delle pecore".

Come fa qui ad accordare la porta con il pastore?

Prima aveva affermato che il pastore passa per la porta e dice anche: "Io sono la porta".

Qui invece dice: "Io sono il buon pastore".

La prima cosa che salta agli occhi è questa: come può Lui essere allo stesso tempo porta e pastore?

Il pastore è colui che conduce le pecore al pascolo.

Le pecore sono gli uomini.

Il pastore è Dio, lo dice Lui.

E attraverso  il pastore che si giunge ai pascoli della vita.

Abbiamo visto cosa sono questi pascoli della vita.

L'uomo è fatto per la conoscenza di Dio e pascolo per la vita dell'uomo è proprio la conoscenza di Dio.

Pascolo è là, dove uno trova la vita e Gesù parla di abbondanza di vita.

Quindi il pastore è il mezzo attraverso cui si giunge alla vita, alla conoscenza di Dio.

Basta accennare questo per vedere che c'è un significato comune tra il pastore e la porta.

La porta è il mezzo attraverso cui si entra nella Verità, nella conoscenza di Dio.

Il pastore è il mezzo cui si giunge ai pascoli dello Spirito, cioè a conoscere la Verità.

L'uno e l'altro come Verbo si identificano e allora possiamo anche capire come Lui si identifichi sia con la porta che con il pastore.

Però se dopo averci parlato della porta qui ci accenna al pastore, evidentemente c'è una lezione più profonda a cui dobbiamo attingere.

Intanto dicendo :"Io sono il buon pastore"  già fa pensare che Lui voglia distinguersi da altri pastori che non sono buoni.

Dichiarandoci: "Io sono il buon pastore" ci fa capire che ci sono dei pastori cattivi, non buoni.

E che ci siamo dei pastori cattivi lo troviamo abbondantemente nella scrittura.

Quante volte la Parola di Dio si lamenta dei pastori che pascolano se stessi?

Dei pastori che mettono i loro piedi nell'acqua della sorgente e poi vorrebbero che le pecore bevessero quell'acqua in cui loro hanno messo i loro piedi.

Parla di pastori che calpestano con i loro piedi l'erba e poi vorrebbero che le pecore mangiassero l'erba calpestata dai loro piedi.

È tutta lezione, è tutta Parola di Dio per ognuno di noi.

Il Signore ci ammonisce quando Lui stesso dice quella frase: "State attenti a non farvi sedurre dagli uomini".

Ci sono quindi maestri che seducono e ci sono pastori che sono cattivi.

E Dio dice attraverso la sua parola: "Poiché i pastori che Io ho mandato, hanno pascolato per se stessi e non hanno servito le pecore, Io stesso verrò e sarò Io il pastore delle pecore".

Questa è una promessa stupenda e meravigliosa.

Abbiamo visto molte volte che quando nella Parola di Dio si usa il futuro, si presenta sempre una Verità presente da scoprire.

La Parola di Dio usa il futuro per farci capire che c'è una Verità che noi non abbiamo ancora conosciuto ma nello stesso in quanto ce la annuncia, ci sollecita, ci invita, ci ammonisce a scoprire questa Verità, perché presso Dio tutto è presente e quando Lui dice: "Io verrò e farò Io il pastore delle pecore", è perché nella Verità Lui è il pastore delle pecore.

Quando nella Parola di Dio si dice: "Saranno tutti ammaestrati da Dio", futuro, è per farci capire che nella realtà, quindi nella Verità, sono tutti ammaestrati da Dio, non "saranno", "sono" tutti ammaestrati da Dio.

Dice "saranno" perché noi non ne siamo consapevoli.

Dice "saranno" affinché noi prendiamo consapevolezza di questa realtà.

Quando prendiamo consapevolezza, costatiamo che in realtà tutti gli uomini sono ammaestrati da Dio.

Tant'è vero che Gesù dice: "Non date a nessuno il nome di maestro, perché uno solo è il vostro Maestro".

Ora, se Lui dice: "Non date a nessuno il nome di maestro perché uno solo è il vostro Maestro", evidentemente non è un futuro, è una realtà.

Realtà nella nostra vita presente, attuale.

Dio è il pastore degli uomini e non degli uomini in massa ma di ognuno di noi.

Dio è il Maestro ed è tanto Maestro di ognuno di noi che si offende se noi diamo il nome di nome di maestro ad altri e ci ammonisce, ci rimprovera, perché dice che uno solo è il nostro Maestro.

E dicendo che uno solo è il Maestro, ammonisce, invita ognuno di noi a cercare il vero insegnamento da questo Maestro.

Altrimenti noi tradiamo la Parola di Dio.

La scrittura e la parola stessa di Dio ci fanno capire che ci sono pastori cattivi e maestri che deviano.

Il problema che si affaccia a ognuno di noi è come fare per distinguere il pastore cattivo dal pastore buono.

Come fare per riconoscere il maestro buono dai maestri cattivi.

Quale criterio?

Teniamo presente che i concetti di buono e di cattivo sono sempre concetti relativi.

Quando si dice relativi, significa che dipendono da qualcos'altro.

Non esiste il concetto di buono e di cattivo di per sé.

Il buono e il cattivo sono in relazione sempre a qualcos'altro.

Non esiste la strada buona o cattiva.

La strada è buona o cattiva sempre relativamente a un termine.

Di per sé tutte le strade sono buone.

Le strade diventano buone o cattive in relazione al fine che portiamo in noi.

Se devo andare a Saluzzo, la strada buona è quella che conduce a Saluzzo e cattive saranno tutte le altre strade.

Ecco perché dico che i concetti di buono e di cattivo sono concetti relativi.

Relativi a che cosa?

Relativi al fine.

Quindi tutto dipende dal fine.

Quando qui Gesù dice: "Io sono il buon pastore" ci mette in evidenza che ci sono pastori cattivi e quindi il problema è come fare per distinguere il pastore buono dai pastori cattivi.

I concetti di buono e cattivo sono relativi al fine, quindi tutto dipende dal fine ma il fine è essenzialmente personale.

È lo stesso quando dice: "Nessuno può venire a Me (seguire Me, ascoltare Me) se il Padre non lo attrae", cioè se non ha per fine il Padre, se non ha come scopo Dio.

Se non è attratto dalla conoscenza di Dio, dalla vita eterna l'uomo non può andare a Lui.

Lui è il buon pastore.

Però Lui è la strada e nessuno può percorrere quella strada lì se non ha quella finalità lì.

Ecco il criterio per distinguere il buon pastore dal pastore cattivo.

Noi chiamiamo "buono" quello che serve per uno scopo e "cattivo" ciò che non serve per quello scopo.

Se il nostro scopo è conoscere Dio, noi sappiamo riconoscere ciò che è buono, cioè quello che serve a noi per conoscere Dio.

E Gesù dice: "Nessuno può venire a Me (quindi nessuno può riconoscere Me come buon pastore, come cosa buona) se non ha interesse per conoscere Dio, per la vita eterna".

Evidentemente se noi abbiamo un fine diverso dalla conoscenza di Dio, noi possiamo anche dire: "Signore, Signore" da mattina a sera o dire: "È il Signore che mi fa fare questo", ma certamente noi non abbiamo in noi il criterio per distinguere il buon pastore dal cattivo pastore.

Lo dice San Paolo nella lettera a Timoteo: "Verrà il tempo in cui gli uomini sceglieranno i loro maestri in base ai loro desideri".

Ecco il grande rischio in cui si trova ogni uomo.

L'uomo corre il rischio di mettere prima di tutto il suo desiderio e poi di scegliere il maestro in conseguenza del suo desiderio.

E allora, evidentemente, se uno ha come desiderio il denaro, ha come fine il denaro, avrà l'orecchio aperto a quei maestri che gli insegnano a guadagnare più denaro possibile.

E così per tutto, ognuno ha l'orecchio aperto per quei maestri che lo aiutano a conseguire il fine che egli si è posto.

"Nessuno può venire a Me, se non ha per fine Dio".

Chi non ha per fine Dio scarta quindi il Cristo come maestro

E se anche incontra il Cristo fa salotto con il Cristo ma non può certamente avere il Cristo come maestro.

Maestro della sua vita sarà altro.

È il rischio grande in cui si trova l'uomo.

L'uomo porta con sé la passione dell'Assoluto, ma questa passione è informe.

Perché l'Assoluto, l'uomo non lo vede.

Lui vede le creature e le creature non sono l'Assoluto.

Lui vede le cose, vede il denaro, vede le passioni del mondo, vede gli interessi del mondo ma non vede mica l'Assoluto, non vede la Verità, non vede Dio.

Porta la passione dell'Assoluto, però ha presente altro dall'Assoluto.

Il che vuol dire che l'uomo corre un rischio.

Quello che l'uomo ha presente provoca in lui desideri (siamo nel campo del sentimento).

I nostri desideri nascono sempre da ciò che noi abbiamo presente.

L'uomo corre il rischio di lasciarsi dominare dai suoi desideri e dominato dai suoi desideri va a cercare quei maestri che lo aiutano per portare a compimento i suoi desideri.

L'uomo può anche arrivare a dire: "Dio mi fa fare questo, Dio mi fa dire questo" ma a questo punto se il suo desiderio non nasce da Dio, quest'uomo si prepara a dire un giorno: "Dio mi fa andare all'inferno".

Quando in noi il desiderio predomina sulla conoscenza di Dio, noi abbiamo il sentimento che domina in noi.

Qui noi siamo aperti alla scelta di quei maestri che soddisfano i nostri desideri e certamente non possiamo qui riconoscere il Cristo come il vero maestro, come il buon pastore.

Ma a questo punto dobbiamo anche chiederci perché ci sono i cattivi pastori.

Perché ci sono i cattivi maestri?

Se ci sono è Dio che li fa esistere.

E se esistono devono avere un significato e un significato positivo.

Abbiamo visto l'opera dei ladri le domeniche scorse e la funzione dei ladri.

Il tempo è un grande ladro nella vita di ognuno di noi.

Ci porta via tutto.

Abbiamo visto che a un certo momento, non soltanto il demonio è un ladro ma anche Dio (ed è Parola di Dio) diventa un ladro.

Arriva un momento nella nostra vita, in cui Dio stesso viene come un ladro di notte.

Il tempo d'altronde è creatura di Dio.

Laudato sii mi Signore, anche per nostro fratello tempo che ci porta via tutte le cose.

È opera di Dio.

E se è opera di Dio ha un significato positivo e noi abbiamo visto che il tempo ha la funzione di portarci via tutte quelle cose che noi non raccogliamo in Dio che noi non portiamo a compimento in Dio.

Tutto ciò che noi non assimiliamo in Dio ci viene portato via dal tempo.

Tutta la creazione é stata soggetta al tempo, è stata soggetta alla vanità appunto per questo.

E la funzione positiva è quella di farci toccare con mano che quello per cui noi viviamo, ciò che noi abbiamo presente (creazione e creature), per cui il tempo portandoci via tutto ci fa esperimentare l'assenza di Dio, il vuoto di Dio, il silenzio di Dio.

Abbiamo detto che c'è un significato e un significato positivo e l'abbiamo visto: l'assenza di Dio è una categoria della presenza di Dio.

Per cui facendo l'esperienza d'assenza di Dio, noi siamo condotti a scoprire la presenza di Dio, perché se non avessimo la presenza di Dio in noi, noi non scopriremmo l'assenza di Dio.

Abbiamo anche detto che non ci fa scoprire solo la presenza di Dio ma ci fa scoprire anche il luogo in cui è questa presenza.

Il luogo della presenza di Dio è dentro di noi.

Se dentro di noi, noi non avessimo presente Dio, noi non esperimenteremmo l'assenza di Dio fuori di noi, attorno a noi.

Quindi il significato positivo dei ladri è quello di farci scoprire che Dio è presente e il luogo in cui Dio è presente.

La Verità abita dentro di noi.

E poi c'è ancora un altro fatto, avendo Dio parlato di "sicurezza", i ladri accelerano in noi la corsa verso questo luogo sicuro, accelerano quindi in noi la ricerca di Dio.

Quanto più in fretta noi entriamo in questo di sicurezza, tanto più noi ci sottraiamo all'azione dei ladri di Dio, all'azione del tempo.

Così come abbiamo visto il significato positivo dei ladri per la nostra vita vera, anche qui, in questi pastori cattivi ci deve essere un significato e un significato positivo.

Qual è?

Dio proprio presentandoci maestri che ingannano, Dio vuole che ci assumiamo la responsabilità di riconoscere noi stessi quello che è vero, quando questo vero si presenta.

Vuole che noi siamo responsabili di una fede, di un amore, di una Verità.

Ecco la grande lezione dei pastori cattivi.

Gesù dice: "Perché non riconoscete da voi stessi quello che è giusto?".

È un interrogativo grave, perché noi andiamo sempre a cercare quello che dicono gli altri, l'approvazione da parte degli altri.

E Dio ci dice: "E tu, perché non riconosci da te stesso?".

Se Gesù che è Dio, dice ad ognuno di noi: "Perché non riconosci da te stesso?", vuol dire che Lui ha posto in noi la possibilità di riconoscere quello che è giusto.

E se abbiamo la possibilità di riconoscere quello che è giusto, abbiamo il sacrosanto dovere di impegnarci in esso, contro tutto e contro tutti, contro tutte le istituzioni e contro tutte le autorità.

Noi abbiamo il sacrosanto dovere di impegnarci con quello che Dio ci presenta come vero.

Perché soltanto impegnandosi e impegnandosi personalmente si accede alla conoscenza della Verità, altrimenti non si accede minimamente alla conoscenza della Verità.

Fintanto che io vivo di sentito dire non accedo alla conoscenza della Verità.

La Verità abita dentro di noi: testimonianza dell'assenza di Dio e di Dio stesso: "Non aspettatevi di vedere il Regno di Dio venire tra le cose esteriori, il Regno di Dio è dentro di voi".

Dio abita dentro di noi, la Verità abita dentro di noi.

E se abita dentro di noi, è segno che noi possiamo attingerne, è a disposizione nostra.

Il Regno di Dio subisce violenze dice il Signore, è a disposizione dell'uomo.

L'uomo ha a disposizione questa sorgente meravigliosa di luce e di Verità.

La porta dentro di sé, nei suoi stessi pensieri, nella sua stessa mente.

Se la porta in sé, qui lui ha la possibilità di riconoscere quello che è giusto, quello che è vero, quello che è buono.

Lo costatiamo questo, Dio ci fa costatare che la Verità non è fuori ma la Verità è dentro.

Ma adesso non basta sapere che Dio è dentro, non basta sapere che la Verità è dentro di noi

Sapendo questo, noi abbiamo la grande responsabilità di attingere a questa Verità, di attingere a questo Maestro.

Se la Verità è dentro di noi, il Principio luce è dentro di noi.

Ma se il Principio luce è dentro di noi, noi abbiamo il sacrosanto dovere di attingere a questa luce, altrimenti siamo ingannati da tutto e da tutti, ma la responsabilità è nostra, perché avendo a disposizione il Principio della luce, non abbiamo attinto a questa luce.

Ecco allora il Maestro, Colui che abita dentro di me è anche il Maestro di me.

E se è il Maestro di me è Colui che io debbo ascoltare al di sopra di tutto e di tutti.

Per cui qualunque cosa accada, io debbo sempre volgermi a questo maestro per attingere da Lui la conoscenza sulla Verità o meno, sulla bontà o meno della cosa che mi arriva.

Questo noi d'altronde lo facciamo sempre.

Tutte le notizie, tutte le parole che ci arrivano, in quanto arrivano a noi, noi le confrontiamo sempre con qualche "vero" che portiamo dentro di noi.

E confrontando diciamo: "Questo non è vero, questo non serve" e diamo sempre un giudizio senza rendercene conto.

Quando qualcuno parla, anche se ci ha insegnato tante cose, non è lui che ci ha insegnato tante cose.

Io sto parlando in questo momento ma non sono assolutamente io che insegno, sarebbe ridicolo che qualcuno mi dicesse o che io mi dicessi che sono maestro.

Non sono io che insegno, io parlando non faccio altro che convocare la vostra attenzione al Maestro interiore che portate dentro di voi.

E senza che voi vi rendiate conto, le parole che vi dico, voi le confrontate con la Verità che portate dentro di voi e confrontandole con la Verità voi dite: "Questo è vero oppure: "Questa è una menzogna", ma allora non sono io che insegno.

È il maestro interiore che portate dentro di voi che vi dice: "Questo è vero e questo è falso".

Io potrei dire che due più due fa cinque ma nessuno di voi lo accetterebbe, perché  quello che vi dico, voi lo misurate con la Verità che portate dentro di voi e dite che non è vero.

Allora se è vero questo, come è vero, che tutto ciò che arriva a noi, noi dentro lo portiamo sempre a confronto con quella Verità che è dentro di noi, per poter dire se è vero o meno, se è giusto o meno e lasciarlo entrare o meno, allora se noi facciamo questo, noi dobbiamo, sapendo che il vero Maestro (Dio, la Verità) è dentro di noi, noi dobbiamo stare molto attenti sempre a interrogare questa luce che portiamo in noi, questa Verità assoluta che portiamo in noi.

Non dobbiamo fermarci ad altro.

Qui scopriamo la condizione per restare con questo Maestro.

Sapendo che il Maestro divino è dentro di noi, la condizione per restare con questo Maestro è interrogarlo in tutto.

Se io non interrogo il Maestro interiore che è dentro di me, io perdo il contatto.

Maestro è colui che insegna ma cosa vuol dire insegnare?

È colui che ci conduce a veder la Verità.

Ma per condurci a vedere la Verità, deve condurci ad attingere la Verità nel Principio stesso, in modo che noi posiamo dire che questo è vero perché: "È così" e la collego col Principio.

Una cosa, ognuno di noi la conosce veramente in quanto ha la possibilità di avere il Principio di quella cosa stessa.

Noi quando diciamo di non conoscere qualcosa è perché non ne vediamo il Principio.

Il vero Maestro è colui che mi collega il segno con il suo Principio.

E il Principio è Dio.

Il vero Maestro è colui che mi conduce a vedere le cose da Dio.

Nel Principio.

E solo vedendole così che la Verità si comunica a noi.

Ecco che il vero Maestro è Colui che ci comunica la Verità, ma la Verità si comunica soltanto in quanto noi abbiamo la possibilità di attingerla nel suo Principio.

Ma se noi l'attingiamo non nel Principio ma in luoghi derivati la Verità non si comunica.

È come se noi attingessimo un avvenimento, una notizia, non di prima mano dal fatto o dall'avvenimento ma per sentito dire: le notizie sono sempre deformate, non possiamo mai essere sicuri di una cosa.

Perché la sicurezza noi la possiamo avere in quanto possiamo attingere l'avvenimento, la notizia, direttamente nella sua sorgente.

Questa è una grazia enorme che Dio ha voluto dare a tutti gli uomini.

Dio ha dato all'uomo la possibilità di attingere la notizia, la Verità alla sua sorgente.

Ed è una grande pena, vedere che tutti gli uomini che hanno la possibilità di attingere la Verità nella sua sorgente, vanno a elemosinare scintille di Verità a destra e manca e rifiutano il vero Maestro.

Rifiutano quella luce che Dio ha posto in loro, per la loro vita eterna, per la loro salvezza.


A.: Noi possiamo riconoscere ciò che è vero e il nostro tomento nasce dal fatto che vogliamo ignorare questa possibilità.

Chiariamo bene.

Possibilità è un concetto relativo.

Relativo vuol dire che dipende.

In questo caso la possibilità dipende dal fine.

Fintanto che noi abbiamo altri fini da Dio, non abbiamo questa possibilità.

Io posso conoscere la bontà o la Verità di una strada solo in quanto mi propongo di arrivare a una certa meta.

Allora riconosco la strada che è buona e la strada che è cattiva.

Ma se non ho un fine, io non ho questa possibilità.

Il che vuol dire che fintanto che io non ho come fine Dio, io non ho questa possibilità.

Solo se ho come fine Dio, questa meta qui, allora ho la possibilità di riconoscere il vero e buon Maestro dal cattivo maestro.

Buono è quello che mi aiuta a raggiungere il fine.

Il cattivo non esiste di per sé, è sempre relativo al fine.

A.: Noi siamo convinti che il nostro fine è la conoscenza di Dio, magari non lo vogliamo ammettere...

No,no, no, il fine è fine in quanto è il mio fine, a meno che sia scemo.

Io sto impegnandomi con tutta la mia vita, con tutta la mia mente, con tutte le forze, con tutto il cuore, con tutto il tempo, per arrivare a quel fine lì, cioè è la mia preoccupazione principale.

Quando uno parte in macchina, la prima cosa che mette è il fine.

E poi il fine lo tiene presente durante tutto il tragitto finché non arriva a destinazione.

Per poco che lui trascuri il fine non sa più dove andare.

Il fine è la prima cosa da mettere ed è la cosa da mantenere sempre presente.

Altrimenti ad ogni bivio io sono in crisi.

Ecco perché noi subiamo tante crisi, perché non manteniamo fisso il fine verso il quale stiamo andando, è l'unica cosa da tenere sempre presente, perché è quella che m'illumina e mi fa capire tutto.

Per questo il Signore dice che se tu non hai come fine la conoscenza del Padre, tu non puoi minimamente seguire il Cristo.

Puoi stare col Cristo cinque minuti perché ti fa comodo, fai salotto, ma poi al primo bivio sei in crisi o scegli altro.

Non puoi.

Solo chi ha come fine Dio può.

Ecco la meraviglia per cui Dio diventa il nostro Maestro.

Subordinato al fatto che Lui sia mio fine.

Altrimenti Lui comincia a portarmi via tutto.

E fintanto che io non metto Lui come fine mi ruba tutto, per farmi capire che le cose sono sue e mi sono date unicamente come mezzo per giungere a quel fine lì.

B.: Solo in questa preoccupazione e ricerca di Dio posso trovare questo Maestro interiore.

Certo, chi è il maestro?

È colui che ti aiuta a conseguire un certo fine.

Dobbiamo stare molto attenti a non sceglierci i maestri in relazione ai nostri desideri.

Se io ho desiderio di imparare la matematica, questo desiderio mi porterà certamente a scegliere quei maestri che mi insegnano la matematica.

A questo punto qui io mi sono chiuso in me stesso, perché ho messo in funzione i maestri in relazione al mio desiderio.

Ma i maestri non devo scegliermeli in relazione al mio desiderio.

Io devo scegliere il mio desiderio in relazione alla Verità.

Certo se io voglio emergere in un certo sport, vado a scegliermi quei maestri che mi aiutano a conseguire ottimi risultati in quello sport.

Il maestro è chi ti aiuta a conseguire una meta, in relazione al tuo desiderio.

Per questo Gesù dice: "Nessuno può venire a Me, se non è attratto dal Padre", se non ha cioè il desiderio del Padre.

Se il Padre quindi non ti ha convinto che la cosa da mettere prima di tutto è la conoscenza di Lui, è la vita eterna, tu non puoi andare al Cristo.

Il Cristo è una strada e tu non puoi percorrere quella strada fintanto che hai un'altra meta.

Fintanto che tu non ti convinci che la meta che devi conseguire è quella, tu quella strada lì la scarterai sempre, perché non ti serve.

Il maestro è uno che serve, Gesù stesso dice: "Io sono venuto per servire".

Serve proprio in quanto ti conduce a raggiungere quella meta da cui sei attratto.

C.: Una volta posto il fine è importante interrogare il Maestro interiore.

Tu interroghi in quanto hai un interesse, altrimenti non interroghi mica e tu hai un interesse in quanto hai un fine ben preciso.

Ora, siccome Lui è venuto per portarti a conoscere Dio, a conoscere il Padre, evidentemente solo se tu hai questo interesse qui tu interroghi.

Ed è interrogando che rimani, rimani con Lui.

Altrimenti Lui resta solo una pia poesia, però io vivo per altro.

D.: È il Verbo interiore che ci fa riconoscere la validità delle parole del Verbo incarnato, però questo Verbo parla in noi nella misura in cui c'è l'interesse per Dio.

"Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre".

D.: Altrimenti posso dire che Dio mi fa fare questo e quell'altro, però....

Arriva certo un momento in cui tu dirai: "Dio mi mette nell'inferno".

Non puoi farne a meno, perché tu sei determinato dal tuo desiderio.

Infatti dice: "Via da Me", tu dirai: "Dio mi manda via da Sé".

Non puoi farne a meno.

Noi non dobbiamo volere la realtà in funzione dei nostri interessi.

Tu in questo caso tendi a trasformare in Assoluto quello che Assoluto non è.

Tu devi fare il tuo desiderio conforme alla Verità, cioè, devi derivare il tuo desiderio dalla Verità.

Poiché Dio è così, io desidero questo.

Allora tu hai il desiderio che è conseguenza della Realtà di Dio.

Il desiderio è una conseguenza.

Tu vedi una bella auto, tu desideri quella bella auto, vedi che il desiderio nasce da ciò che tu hai presente, solo se tu hai presente Dio il desiderio nasce da Dio e qui siamo in sintonia.

Il desiderio deve essere una conseguenza, se invece il tuo desiderio è una premessa e condizioni le cose secondo il tuo desiderio è finito e sbagli tutto.

Il tuo desiderio deve essere una conseguenza di Dio.

Poiché Dio è così, io desidero questo.

Attrazione è desiderio e per poco che io mi scosto da Dio che è il massimo centro di attrazione, immediatamente io cado vittima di altri desideri.

Tutte le cose sono desiderabili e io non posso mica sottrarmi perché non sono libero.

Io non sono libero di sottrarmi all'attrazione delle cose quando non ho Dio come massima attrazione.

Io cado schiavo di tutto e di tutti e solo Dio mi libera dalle altre attrazioni.

Tutto è segno di Dio e Dio è la massima attrazione, succede che tutte le creature sono dei centri di attrazione e solo se in me l'attrazione per Dio è dominante, io cammino bene in terra.

Ma se l'attrazione per Dio non è in me dominante, tutte le creature mi dominano.

Mi straziano, non posso io resistere, perché sono creatura, non sono creatore.

È un errore dire che sono libero, solo Dio mi libera, se ho l'attrazione posta al di sopra di tutto per Lui.

E.: Se interrogo non è che vedo sempre la risposta...

Anche lì bisogna chiarire bene le cose.

Dio non parla con parole umane, non che interroghi e lui manda una risposta scritta.

Le parole sono dei segni e quando tu ricevi un segno, il segno è ancora tutto da capire.

Dio non ti parla con dei segni che poi dopo devi capire, Dio ti fa capire.

La Parola di Dio è luce, perché ti dà la possibilità di attingere la cosa nel Principio.

Interrogare non vuol mica dire delle parole, interrogare vuol dire pensare a-.

Perché soltanto pensando a Dio tu sei collegata con il Principio.

Quando tu pensi una cosa, tu guardi dal punto di vista di quella cosa.

Ed è guardando da Dio, dal Principio che Dio ti risponde, facendoti vedere le cose da Lui, nel suo Principio.

Soltanto quando tu vedi la cosa nel Principio, tu conosci la Verità.

Noi non conosciamo la Verità perché vediamo gli effetti non nel Principio, lontani dal Principio.

Gli effetti non collegati con la causa non li capisci.

Se senti una parola che non è collegata con il Principio: pensiero, tu non capisci la parola.

Lui è il Principio di tutto, ecco perché Lui si è fatto Maestro.

Lui è il Principio e quindi interrogare Lui,vuol dire guardare le cose in Lui, nel Principio.

È nel Principio che c'è la giustificazione e la luce.

Lui parla facendoti capire le cose in Se Stesso, come sono da Lui, dal suo punto di vista e il suo punto di vista è un punto di vista eterno.

Tu interroghi veramente in quanto dedichi il tuo pensiero che ha ascoltato una parola che Dio ti ha fatto arrivare, elevando la mente a Dio, tu colleghi questa parola con Dio Principio di tutto e cerchi di vederla da Dio.

Con il pensiero tu vedi da-.

L'unica possibilità che noi abbiamo è il pensiero, perché con il pensiero tu ti porti dove vuoi: io in questo momento con il pensiero posso andare a Cuneo e vedere le cose dal punto di vista di Cuneo.

Col pensiero noi possiamo guardare le cose dal punto di vista di Dio.

Ma Dio è la Verità e guardando le cose dal punto di vista della Verità, ecco che conosci veramente le cose.

E allora capisci cosa vuol dire una parola che Dio ti ha fatto arrivare, solo quando la contempli dalla Verità.

E.: Il Principio dell'ordine è la sorgente dalla Verità che è Dio, se io nella mia vita ho il desiderio di conoscere Dio, Cristo è il mezzo per giungere a Dio e io lo riconosco e lo seguo perché è Colui che risponde alla mia fame.

F.: Se io desidero la conoscenza di Dio, certamente Dio mi farà trovare il Maestro interiore che mi condurrà alla sorgente della vita.

C'è già, Lui è già dentro di me e chi me lo fa trovare è il fine, soltanto se io ho come fine Dio io trovo questo Maestro divino, se ho un altro fine trovo altri maestri che sono cattivi maestri.

G.: Il rischio che corriamo è quello di piegare Dio al nostro desiderio, non facendo nascere, come dovremmo il nostro desiderio da Dio.

Così come noi corriamo il rischio di impiegare tutta la nostra vita per cercare di rendere Assoluto quello che Assoluto non è.

Tutte le nostre fatiche è i nostri lavori li facciamo per cercare di rendere assoluta una cosa che non è assoluta.

G.: Il desiderio nasce da ciò che abbiamo presente.

Se noi abbiamo presente le cose che vediamo e tocchiamo, necessariamente il nostro desiderio non nasce dall'Assoluto ma noi desideriamo di rendere Assoluto ciò che vediamo e tocchiamo.

Ma quando abbiamo presente Dio, l'Assoluto, il desiderio nostro nasce di lì.

Il desiderio nasce da ciò che abbiamo presente, solo se tu hai presente Dio, il tuo desiderio nasce da Dio.

Questo desiderio poi dopo ti fa capace di identificare il Maestro.

G.: Solo se il mio desiderio coincide con la Realtà, lì ho veramente come fine Dio e posso interrogare il Maestro interiore.

Ogni maestro è una strada, soltanto quando tu hai eletto il tuo fine hai la possibilità di scegliere la strada giusta e di scartare le altre strade.

Ogni maestro è una strada e la Verità è maestra di Se Stessa, per cui Gesù dice: "Io sono la via, la Verità, la vita".



Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la sua vita per le pecore.  Gv 10 Vs 11 Secondo tema.


Titolo: La vita del Pastore.


Argomenti: Cos'è la vita? Vita vegetale - Vita animale - Vita umana.  L'assimilazione. Canto notturno di un pastore errante. Il vero bisogno dell'uomo. Il Maestro interiore. L'Assoluto è il vivente. Alimentarsi di Dio.


 

22-23/Luglio/1990 Casa di preghiera Fossano.


Domenica scorsa abbiamo visto la prima parte: "Io sono il buon pastore", il Maestro interiore.

Questo Maestro che ogni uomo porta dentro di sé e che il più delle volte non si preoccupa né di consultare, né d'interrogare.

Qui adesso afferma: "Il buon pastore offre la sua vita per le pecore".

Oggi ci fermiamo su questo: "Il buon pastore offre la sua vita" e il tema è: la vita del pastore.

Anche qui dobbiamo chiederci quale significato personale per noi s'intenda con questa dichiarazione: "Il buon pastore offre la sua vita" e l'accento va posto su questo "sua vita", "sua".

Evidentemente dicendo "sua", dice una cosa singolare.

Una cosa propria del pastore, una cosa quindi inconfondibile.

E se una cosa è singolare, c'è da chiedersi come il buon pastore possa offrire la sua vita.

Se ci presenta questo, è una lezione di Dio per ognuno di noi, il che vuol dire che deve essere per noi importante capire.

Dio parla sempre per comunicarci qualcosa, quindi per farci capire, perché soltanto comprendendo, noi incominciamo a desiderare e volere.

Se Dio per primo non ci annuncia le cose, la nostra volontà non può nemmeno immaginare e desiderare.

È sempre necessario che qualcuno presenti a noi una cosa perché noi la possiamo volere.

E Dio per primo in tutto, ci presenta, ci annuncia i suoi argomenti, per dare a noi la possibilità di dedicarci ad essi.

Ora qui in quanto dice: "La vita del pastore", "La sua vita", ci presenta questo in quanto noi abbiamo a desiderare quello che Lui dà, "offre".

Evidentemente si offre una cosa a uno che questa cosa ancora non ha.

E la si offre in quanto la possa forse desiderare e quindi ottenere.

Se però sa e conosce di cosa si tratta.

Quindi è molto importante cercare di capire il significato, il Pensiero di Dio in questa dichiarazione: "La vita del pastore", "La sua vita".

Pastore abbiamo detto che è il Maestro divino che ognuno di noi porta dentro di sé, quindi la vita di questo Maestro divino viene offerta per le pecore.

C'è da chiedersi quale scambio sia possibile tra la vita del pastore e la vita delle pecore.

Eppure tutto ha un significato e un significato profondo.

Evidentemente qui siamo nelle parabole del Signore e tutto parla in parabole ed in quanto parla in parabole significa sempre rapporti tra Lui e noi.

In quanto qui parla di pastore e pecore, evidentemente Lui è significato nel pastore e nelle pecore siamo significati noi.

C'è una fase della nostra vita in cui questa può paragonarsi alla vita delle pecore.

Le pecore sono animali e molta parte della nostra vita è vissuta da animali, cioè seguendo il sentimento.

Negli animali Dio rappresenta la vita secondo il sentimento.

Però Dio ci dà una lezione profonda attraverso tutte le cose che ci presenta.

Il problema principale è cercare di capire che cosa voglia intendere Dio dicendoci la vita del pastore.

Dicendo "sua" dice una cosa singolare, propria del pastore, caratteristica del pastore.

Nello stesso tempo ci presenta la possibilità da parte del pastore di offrire e quindi di comunicare questa sua vita alle pecore, cioè a chi vive come le pecore.

Dobbiamo chiederci prima di tutto cos'è la vita per arrivare poi a capire cosa sia questa vita del pastore.

La vita, secondo quello che possiamo vedere e toccare, è essenzialmente assimilazione, comunicazione, partecipazione.

Un essere è vivo in quanto assimila.

Ma cosa vuol dire assimilare?

L'assimilazione avviene in quanto c'è un organismo che ha la possibilità di assorbire in se stesso ciò che non appartiene al suo organismo, rendere cioè partecipe della sua vita altro da sé.

Evidentemente l'organismo deve essere vivente ma non basta che l'organismo sia vivente, deve assimilare altro da sé.

Ogni significazione di vita nell'universo, è sempre questa captazione da parte di un organismo vivente di "altro" per trasformarlo in sua vita.

E Dio ci significa diverse qualità di vita.

Perché Dio attraverso tutto il suo universo, non fa altro che significare qualche cosa di Sé per noi, per dare a noi la possibilità di entrare nella sua vita: tutto è lezione di Dio per noi.

È lezione per noi tutto ciò che esiste, la creazione stessa di Dio ma è sopratutto lezione di Dio per noi ciò che è vivo.

In tutte le cose Dio significa Se Stesso per noi e siccome Lui è il vivente, non significa soltanto le cose esistenti ma significa anche esseri viventi e Dio significa la vita a noi sopratutto in tre grandi forme.

Abbiamo la vita vegetale, la vita animale e la vita umana e sono Parole di Dio per noi.

Sono lezioni di Dio per noi.

E siccome dobbiamo giungere a capire che cosa s'intenda per: "La vita del pastore", il Signore ci fa progredire attraverso queste semplificazioni.

È facile osservare la vita del vegetale, la vita di una pianta.

La pianta è un organismo vivente.

Abbiamo detto che un organismo è vivente in quanto riesce ad assorbire nella sua vita altro da sé.

La pianta assorbe altro da sé.

Parte dal seme e assorbendo dal terreno gli elementi fondamentali per la sua vita cresce.

Però la caratteristica della vita vegetale è che è condizionata dal luogo, dall'ambiente in cui si trova.

Non può muoversi.

Per cui se in questo ambiente la pianta non ha cibo sufficiente, la pianta muore.

Tutto è lezione di Dio per ognuno di noi.

E poi c'è la vita animale e qui abbiamo una significazione della vita a un livello superiore.

L'animale non è legato strettamente (come la pianta) all'ambiente, per cui se nel luogo in cui è non trova cibo, l'animale può andare alla ricerca del cibo, qui abbiamo già un progresso.

Abbiamo l'organismo vivente che va alla ricerca del suo cibo per alimentarsi.

E poi abbiamo la vita umana e nella vita umana abbiamo la vita animale: l'uomo va alla ricerca di cibo per alimentare la sua vita e trasforma tutto ciò che non è sua vita in sua vita ma abbiamo un problema più grosso nell'uomo, anche se la maggior parte degli uomini, trascorre tutta la propria vita unicamente per procurarsi cibo e qui siamo sul piano prettamente animale.

Ma che nell'uomo ci sia altro lo costatiamo, perché l'uomo è un essere profondamente triste.

L'animale dopo che ha trovato il suo cibo ed ha mangiato se ne sta tranquillo, sereno, non ha altro problema.

L'uomo quando ha mangiato non ha risolto il suo problema.

Questa sera facciamo entrare a servizio della Parola di Dio, Leopardi con il suo Canto notturno di un pastore errante dell'Asia.

Proprio per notare questa situazione di crisi in cui l'uomo si trova.

Perché l'animale quando ha mangiato e quindi ha soddisfatto la sua vita se ne sta tranquillo e in pace?

E perché l'uomo invece quando ha trovato il suo cibo materiale e ha quindi soddisfatto la sua parte animale è triste, è profondamente triste?

Adesso ne leggiamo una parte perché anche questo ci aiuta per approfondire il concetto di vita dell'uomo.

Qui Leopardi a un certo momento fa dire al pastore errante che parla rivolto alla luna e dice:

O greggia mia che posi, oh te beata,

Che la miseria tua, credo, non sai!

Quanta invidia ti porto!

Non sol perché d'affanno

Quasi libera vai;

Ch'ogni stento, ogni danno,

Ogni estremo timor subito scordi;

Ma più perché giammai tedio non provi.

Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,

Tu sé queta e contenta;

E gran parte dell'anno

Senza noia consumi in quello stato.

Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,

E un fastidio m'ingombra

La mente, ed uno spron quasi mi punge

Sì che, sedendo, più che mai son lunge

Da trovar pace o loco.

E pur nulla non bramo,

E non ho fino a qui cagion di pianto.

Quel che tu goda o quanto,

Non so già dir; ma fortunata sei.

Ed io godo ancor poco,

O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.

Se tu parlar sapessi, io chiederei:

Dimmi: perché giacendo

A bell'agio, ozioso,

S'appaga ogni animale;

Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?

Forse s'avess'io l'ale

Da volar su le nubi,

E noverar le stelle a una a una,

O come il tuono errar di giogo in giogo,

Più felice sarei, dolce mia greggia,

Più felice sarei, candida luna.

O forse erra dal vero,

Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:

Forse in qual forma, in quale

Stato che sia, dentro covile o cuna,

È funesto a chi nasce il dì natale.

Leopardi conclude con la sua tristezza profonda, però accenna qui una cosa molto importante che rivela l'animo dell'uomo, l'animo della vita dell'uomo.

Perché l'uomo dopo aver mangiato, dopo aver soddisfatto il suo bisogno principale (la vita è assimilazione) se ne sta triste, non gli basta il riposo, non riesce a trovare riposo.

Però dice a un certo momento:

Forse s'avess'io l'ale

Da volar su le nubi,

E noverar le stelle a una a una.

Cosa rivela qui?

Rivela  che l'uomo ha bisogno di conoscere.

Rivela che l'uomo ha bisogno di capire: s'io potessi noverar le stelle a una a una: se io potessi conoscere, rendermi conto.

Ecco il punto che distingue la vita dell'uomo dalla vita dell'animale.

L'animale è un essere vivente e quindi ha bisogno d'assimilare e anche l'uomo è un essere vivente ma nell'uomo c'è la presenza di qualche cosa di diverso, per cui non è soltanto animale, ha bisogno di conoscere, di capire, di rendersi conto.

E se non arriva a capire, a rendersi conto, tutto il mangiare di questo mondo, tutto il possesso del mondo stesso non è sufficiente per dargli pace: "A che vale possedere anche tutto il mondo se tu perdi la tua anima?".

Quello che determina tutto nell'uomo non è la ricchezza, i beni economici o il potere, quello che determina tutto nell'uomo è l'anima, è questa tristezza di fondo, profonda che l'uomo porta, perché non riesce a contare le stelle a una a una.

Non riesce a rendersi conto delle cose.

Non riesce a capire il significato di tutto ciò che esiste.

Perché si nasce? Perché si muore?

Io se non vi stanco vorrei leggervelo tutto questo canto notturno, perché dice e dice bene e rivela lo stato d'animo dell'uomo, posso farlo? Perché è Vangelo anche questo.

S'intitola il canto notturno di un pastore errante dell'Asia.

E il pastore nella notte dice:

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,

Silenziosa luna?

Sorgi la sera, e vai,

Contemplando i deserti; indi ti posi.

Ancor non sei tu paga

Di riandare i sempiterni calli?

Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga

Di mirar queste valli?

Somiglia alla tua vita

La vita del pastore.

Sorge in sul primo albore;

Move la greggia oltre pel campo, e vede

Greggi, fontane ed erbe;

Poi stanco si riposa in su la sera:

Altro mai non ispera.

Dimmi, o luna: a che vale

Al pastor la sua vita,

La vostra vita a voi?

Ecco il problema della vita. Dimmi a che vale, a che vale al pastor la sua vita?

È il problema che tormenta gli uomini, il problema di dar un significato alle cose.

dimmi: ove tende

Questo vagar mio breve,

Il tuo corso immortale?

Vecchierel bianco, infermo,

Mezzo vestito e scalzo,

Con gravissimo fascio in su le spalle,

Per montagna e per valle,

Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,

Al vento, alla tempesta, e quando avvampa

L'ora, e quando poi gela,

Corre via, corre, anela,

Varca torrenti e stagni,

Cade, risorge, e più e più s'affretta,

Senza posa o ristoro,

Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva

Colà dove la via

E dove il tanto affaticar fu volto:

Abisso orrido, immenso,

Ov'ei precipitando, il tutto obblia.

Vergine luna, tale

È la vita mortale.

Nasce l'uomo a fatica,

Ed è rischio di morte il nascimento.

Prova pena e tormento

Per prima cosa; e in sul Principio stesso

La madre e il genitore

Il prende a consolar dell'esser nato.

Poi che crescendo viene,

L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre

Con atti e con parole

Studiasi fargli core,

E consolarlo dell'umano stato:

Altro ufficio più grato

Non si fa da parenti alla lor prole.

Ma perché dare al sole,

Perché reggere in vita

Chi poi di quella consolar convenga?

Se la vita è sventura

Perché da noi si dura?

Intatta luna, tale

E` lo stato mortale.

Ma tu mortal non sei,

E forse del mio dir poco ti cale.

Pur tu, solinga, eterna peregrina,

Che sì pensosa sei, tu forse intendi,

Questo viver terreno,

Il patir nostro, il sospirar, che sia;

Che sia questo morir, questo supremo

Scolorar del sembiante,

E perir dalla terra, e venir meno

Ad ogni usata, amante compagnia.

E tu certo comprendi

Il perché delle cose, e vedi il frutto

Del mattin, della sera,

Del tacito, infinito andar del tempo.

Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore

Rida la primavera,

A chi giovi l'ardore, e che procacci

Il verno co' suoi ghiacci.

Mille cose sai tu, mille discopri,

Che son celate al semplice pastore.

Spesso quand'io ti miro

Star così muta in sul deserto piano,

Che, in suo giro lontano, al ciel confina;

Ovver con la mia greggia

Seguirmi viaggiando a mano a mano;

E quando miro in cielo arder le stelle;

Dico fra me pensando:

A che tante facelle?

Che fa l'aria infinita, e quel profondo

Infinito seren? che vuol dir questa

Solitudine immensa? ed io che sono?

Così meco ragiono: e della stanza

Smisurata e superba,

E dell'innumerabile famiglia;

Poi di tanto adoprar, di tanti moti

D'ogni celeste, ogni terrena cosa,

Girando senza posa,

Per tornar sempre là donde son mosse;

Uso alcuno, alcun frutto

Indovinar non so. Ma tu per certo,

Giovinetta immortal, conosci il tutto.

Questo io conosco e sento,

Che degli eterni giri,

Che dell'esser mio frale,

Qualche bene o contento

Avrà fors'altri; a me la vita è male.

E poi continua con quello che abbiamo già visto prima.

Qui è vero che abbiamo l'uomo che si rivolge alla luna, ma la luna qui è Dio.

Qui sta rivelando l'uomo, il suo bisogno principale: "Tu conosci, tu sai" dice alla luna.

Dio conosce, Dio sa.

E noi che ci troviamo a contatto con questa luna, a contatto con questo Dio che sa tutto, noi ci troviamo nella situazione di non capire e soffriamo ma soffriamo perché ci troviamo con la luna che sa.

Ci troviamo cioè con Dio che sa.

E allora la nostra tristezza profonda sta nel non partecipare di quello che Dio sa.

Ecco il vero bisogno dell'uomo.

L'uomo si trova con questo Maestro che porta con sé che conosce tutto, che sa tutto e la grande tristezza è di non poter essere con Lui.

È di non poter partecipare di quello che Lui sa.

Ecco la "sua" vita, la vita del Pastore, la vita del Maestro che l'uomo porta dentro di sé.

È questo Maestro che offre la sua vita all'uomo.

E l'uomo si trova con questo Maestro che gli offre la sua vita e si trova nell'incapacità di ricevere questa vita.

Perché l'uomo si trova di fronte all'incapacità di ricevere questa vita?

Perché a un certo momento di fronte a questa possibilità l'uomo conclude dicendo: "A me la vita è male"?

Forse Dio ha fatto le cose in modo sbagliato?

Evidentemente no, Dio ha posto in noi questa sete, questo bisogno d'infinito.

Eppure perché ci troviamo con uomini che concludono così: "Perché nascere? A che vale tutto questo? Che significato ha?".

Abbiamo detto che la vita è assimilazione.

Un essere vive in quanto assimila.

Dio ci ha condotti a scoprire la presenza del Maestro interiore dentro di noi e abbiamo visto che questa presenza è data dall'Assoluto in noi.

Siamo giunti a questo osservando che l'Assoluto non si trova attorno a noi, nel mondo esteriore, in questo mondo meraviglioso e così abissale noi sentiamo tutti gli annunci di Dio, tutto ci richiama all'Assoluto, però l'Assoluto non si trova.

La Verità non la vediamo.

Dio non si vede, non si tocca e non si esperimenta.

Però proprio qui, abbiamo visto che c'è la meravigliosa opera di Dio, perché attraverso l'esperienza dell'assenza sua nel mondo esterno, conduce noi a scoprire la presenza sua dentro di noi.

Cioè ci conduce a scoprire la presenza dell'Assoluto dentro di noi e non fuori di noi, quindi l'Assoluto è infinitamente più presente, più intimo, più a contatto con la nostra stessa anima, di quanto potrebbe essere se noi vedessimo l'Assoluto, l'eterno e l'infinito, Dio, attorno a noi nel mondo esterno.

La lezione meravigliosa che Dio fa con ognuno di noi facendoci esperimentare, toccare con mano la sua assenza.

Per cui a un certo momento l'uomo arriva addirittura a concludere che Dio non esiste o che la vita non serve a nulla.

La lezione meravigliosa che Dio opera su noi, facendoci esperimentare la sua assenza nel mondo esterno, è per farci scoprire che Lui è dentro di noi, che la Verità abita dentro di noi, che l'Assoluto, l'eterno, Dio è in noi.

Questa presenza dell'Assoluto che per noi è il punto fisso di riferimento, diventa per noi il Maestro: punto fisso di riferimento.

Il Maestro interiore.

Ogni uomo lo porta con sé quindi lo ha a disposizione.

Avendo a disposizione il Maestro, ha la possibilità d'interrogarlo quando e come vuole, perché Dio è sempre presente in noi, fossimo anche nel peccato e nelle colpe più nere che noi possiamo immaginare.

Fossimo anche nella disperazione più nera, Dio è sempre con noi.

Lui non si muove.

E in quanto è sempre con noi, noi, sia di notte che di giorno, sia quando c'è il sole o quando piove, noi abbiamo la possibilità d'interrogare questo Maestro.

Non solo abbiamo la possibilità, ma Dio stesso ci comanda, ci ordina, ci ammonisce d'interrogarlo e si offende se non lo interroghiamo.

Noi corriamo a destra e a sinistra per cercare sapienza dagli uomini, a interrogare uomini, professori e scienziati quando abbiamo Dio e la sua sapienza a disposizione nostra.

La sapienza di Dio a disposizione.

Questo pover uomo di Leopardi che sta cantando la sua disperazione, aveva Dio a sua disposizione.

Solo interrogando noi possiamo ottenere la luce.

Solo interrogando.

Questo Maestro interiore viene dalla presenza dell'Assoluto in noi.

Teniamo presente cosa vuol dire Assoluto.

L'Assoluto significa: essere che non dipende da nessuno.

Ma se non dipende da nessuno, non ha bisogno d'assimilare per vivere.

Ogni altro esistente, abbiamo visto è vivente in quanto assimila.

Abbiamo detto che la vita è assimilazione.

E assimilare vuol dire unire altro da sé a sé.

Tant'è vero che se non troviamo cibo da assimilare noi moriamo.

La pianta che non trova cibo attorno a sé muore.

L'animale che non trova cibo a un certo momento muore.

Dio che è Assoluto non ha bisogno di mangiare, non ha bisogno di altro da Sé.

Ma se non ha bisogno di altro da Sé, vuol dire che l'Assoluto è il vivente.

È il vivente di per Sé.

Lui è la vita.

Dio non ha la vita, Dio è la vita.

Ma è la vita perché è l'Assoluto.

Ogni altro esistente vivente, per vivere ha bisogno di altro da sé.

Ed è significazione di Dio, della vita di Dio.

Ma nello stesso tempo è significazione e proprio perché è segno, rivela, denuncia questa relatività, la creatura viva, da sola non sta su, ha bisogno di altro: è segno.

Dio non ha bisogno di altro.

Dio è il vivente.

Ma allora se Lui è il vivente e se invece noi creature per vivere abbiamo bisogno di altro da noi, la sorgente della vita è in noi, non sta mica nel cibo attorno a noi.

Ecco per cui l'uomo è triste anche dopo che ha mangiato.

Anche quando ha guadagnato tutte le ricchezze del mondo l'uomo continua a essere profondamente triste.

Quand'anche avesse costruito il più grande impero economico del mondo, l'uomo è profondamente triste.

Certo perché il suo alimento non è quello.

Il suo alimento è Dio.

L'uomo ha bisogno di alimentarsi di Dio, perché questa è la vita.

Ma come l'uomo si alimenta di Dio?

L'uomo si alimenta di Dio solo conoscendolo.

È solo attraverso la conoscenza che c'è la partecipazione e quindi la vita.

L'uomo vive in quanto partecipa, ma non dei cibi materiali, questi sono segni.

Abbiamo un processo graduale dei segni: vegetale, animale, uomo, per condurre noi fino a scoprire quella vita che non ci è data senza la dedizione nostra.

C'è un passaggio tra la pianta e l'animale.

La pianta assimila quello che ha attorno a sé mentre l'animale va alla ricerca del cibo, quindi si dedica alla ricerca del cibo.

Tutto questo per insegnare a noi che arriva un certo momento in cui siamo noi stessi impegnati a dedicarci a trovare il cibo della nostra vita, a capire dov'è il cibo della nostra vita.

Altrimenti facciamo esperienza di morte.

Il cibo della nostra vita si offre ad essere cercato e cercato personalmente da ognuno di noi.

Poiché la tristezza di fondo dell'uomo sta nel non capire il perché delle cose, il cibo per la nostra vita sta nel capire il perché, la ragione delle cose.

E la ragione delle cose si trova soltanto nel Principio, nel Principio delle cose stesse, in Colui che ha la ragione in Sé di tutto, cioè nel Creatore.

Dio Creatore.

Solo scoprendo, trovando, conoscendo questo Principio Creatore di tutte le cose che ha in Sé la ragione di tutte le cose e che quindi è la Verità, solo trovando questo, noi troviamo la nostra vita.

La nostra vera vita  è la vita del Pastore, perché la vita del Pastore è la conoscenza ed è questa conoscenza che il Pastore (Maestro) vuole dare a noi.

Maestro è colui che insegna, che comunica la Verità.

La vuol dare a noi per farci passare da pecore a uomini, a figli di Dio.


A.: Essendo l'uomo esigenza dell'Assoluto, vediamo che quando l'uomo si occupa di altri valori o si nutre di altri cibi resta triste poiché l'uomo solo in Dio può trovare la sua luce e la sua pace.

Ed è quella vita che gli dà il Pastore che è il Figlio di Dio che vive della vita del Principio.

La vita del Pastore, cioè del Maestro interiore è Dio stesso.

Il Pastore avendo in Sé la presenza della Verità, riferisce tutto al Principio.

La sua vita sta nel riferire tutto al Principio, la vita del Figlio è di accogliere tutto dal Padre e di riportare tutto al Padre.

Questa è la sua vita.

Dio non ha bisogno della creazione, non ha bisogno di "mangiare" la creazione.

Dio non crea per vivere, Dio essendo Assoluto è vivente.

Dio è vivo di per Sé.

A.: È molto importante per l'uomo giungere a capire che l'Assoluto che porta in sé, è Dio Stesso, poiché l'uomo il più delle volte ha questa insoddisfazione e questa tristezza e lo vediamo nel canto del pastore....

Però non può fare la diagnosi poiché l'uomo subisce l'effetto.

Ad esempio, l'uomo è portatore della passione dell'Assoluto, ma lui non può fare la diagnosi, scoprire cioè il motivo per cui lui patisce questo, questo lo può fare soltanto Colui che contempla la Verità, il Maestro.

Ecco per cui nessuno può insegnare all'uomo se non il Maestro interiore, diceva Sant Agostino.

Solo Colui che contempla la Verità dice all'uomo: "Tu patisci questo a motivo di questo" e quando il Maestro glielo dice, lui non può che costatarlo e dire: "Hai ragione".

Perché il Maestro comprende la situazione dell'uomo e ti fa vedere la causa.

A quel punto lì l'uomo non può far a meno di dire: "Hai ragione".

Ma soltanto Colui che contempla la Verità può dire questo, colui che non contempla la Verità subisce l'effetto, però non riesce a fare la diagnosi, per cui dice di non capire niente e si rivolge alla luna sperando che lei sappia qualche cosa.

A.: Solo interrogando possiamo ottenere la luce.

Come, l'uomo che non ha ancora consapevolezza che l'esigenza di Assoluto che porta in sé è la presenza stessa di Dio, come può interrogare questo sconosciuto di cui però sente la pressione?

Deve interrogare, perché viene dato solo a chi chiede.

A.: Mi viene in mente l'altare al Dio ignoto che ha trovato San Paolo ad Atene, è una presenza che ignota, che ancora non conosco.

La conoscenza ti viene da Dio Stesso.

Qui Dio ci ha annunciato un tema: la vita del Pastore, è una singolarità in quanto è propria, sua del Pastore, il che vuol dire che più noi ci allontaniamo da Dio e più ci accorgiamo che la vita diventa comune.

Diventa monotona, uguale l'uno all'altro.

La vita del mondo si caratterizza perché a un certo momento c'è la noia dominante.

Più ci avviciniamo a Dio e più la vita diventa invece singolarità, propria della persona.

È Dio che forma le persone.

Lui che è persona, è Lui che forma le persone, per cui a un certo momento la conoscenza diventa propria della persona.

Ma come diventa propria della persona?

Nella misura in cui la persona si è dedicata a questa.

Quindi la vita non si forma in noi senza la dedizione nostra.

C'è un processo di sviluppo nell'elezione di Dio, noi passiamo da creature che mangiano quello che hanno a disposizione e basta, altre che invece si dedicano alla caccia, è tutta una lezione per dire che tu trovi vita man mano che ti dedichi a-, fino ad arrivare a superare tutto di te per dedicarti tutto a-, perché soltanto dedicandoti tutto tu trovi.

La vita sta lì.

C'è una crescita graduale.

Se la vita è condizionata dalla dedizione della creatura a-, vedi che qui abbiamo il fatto personale?

Uno si dedica cento, l'altro novanta e l'altro ancora quaranta.

Ma come può avvenire questa dedizione a uno che io non conosco?

Perché io non posso volere una cosa che non conosco.

Il mio desiderio, desidera in quanto vede, non può desiderare una cosa che non vede.

Ecco qui l'opera di Dio che si annuncia a me, per cui io non posso ignorarlo.

Posso trascurarlo, non lo conosco ancora, però si annuncia.

Io non lo posso ignorare.

Lui per primo, annuncia  a me una cosa che non conosco ma che non posso ignorare: "Io sono il Creatore di tutte le cose".

La Parola di Dio arriva a noi indipendentemente da noi.

Se noi prestiamo attenzione a quello che Lui ci propone e quindi ci dedichiamo, qui incomincia la ricerca del cibo ma incominci a cercare il cibo perché sei stato sollecitato dalla Parola.

Se Lui mi dice: "Cercami e mi troverai", io non posso ignorare di aver trovato questa Parola di Uno che mi dice: "Cercami e mi troverai".

E se la ignoro è perché voglio (ecco la mia volontà) trascurare una cosa che non posso ignorare.

Allora qui entro in colpa, mi assumo la responsabilità, ho altro da fare.

Ma Lui mi dice: "Cercami perché sicuramente mi troverai".

Lui non si fa mica conoscere subito, perché la conoscenza è vita piena, è logico, però mi invita a conoscerlo.

Pone in me il problema: "Cercami e mi troverai", quindi io sento il problema, mi arriva questa parola, questo annuncio, non posso ignorare che Dio è il Creatore, non conosco però chi sia, però c'è la Parola di Dio che mi dice: "Cercami e mi troverai".

Anzi mi dice che viene aperto solo a chi bussa e viene aperto solo a colui che chiede.

Il che vuol dire che il cibo viene dato solo nella misura in cui uno si preoccupa di trovare questo cibo.

Il cibo c'è, però tu lo devi cercare.

Ora, proprio in questa ricerca la faccenda diventa una cosa personale.

Quindi la vita con Dio assume un aspetto nettamente personale, perché richiede dedizione.

Ma perché si richiede questa dedizione?

Ma perché Dio essendo l'Assoluto, può essere conosciuto solo per mezzo di Dio e richiede quindi il superamento di tutto ciò che non è Dio, per guardare dal suo punto di vista.

Tutto ciò che non è Dio è però necessario per svegliarmi a Dio.

Dobbiamo aprire molto gli occhi sulla creazione di Dio ma a un certo punto chiudere gli occhi sulla creazione di Dio per prendere contatto con Dio, per guardare le cose dal punto di vista di Dio.

Ma per guardare da Dio, io debbo non solo superare tutta la creazione, ma debbo superare anche il pensiero di me stesso.

Dio si conosce solo per mezzo di Dio.

Ecco quindi l'opera del Maestro.

Noi non siamo soli.

Noi non siamo creature abbandonate nel deserto dell'Asia come dice Leopardi, creature sole a contemplar la luna con questo problema abissale che portiamo dentro di noi.

Con noi c'è il Maestro che è Dio stesso.

Per cui mentre Dio mi fa sentire il problema mi dice: "Senti, metti il piede qui, metti il piede là e arriverai".

Abbiamo quindi con noi un Maestro ma è logico che dobbiamo ascoltarlo questo Maestro.

Questo Maestro non è muto.

A.: Devo lasciarmi condurre dal Maestro a guardare da Dio. Non è iniziativa mia.

Noi dobbiamo imparare a vivere nell'iniziativa di Dio.

Il problema del Maestro non è quello di imbottirmi di nozioni.

Sono i maestri umani che credendo di essere maestri t'imbottiscono di nozioni.

Ma quello in tempo di guerra si faceva con le oche per ingrassarle.

Con Dio no.

Il Maestro divino non t'imbottisce di nozioni.

Il Maestro divino ti conduce a vedere il Principio.

In modo che tu stesso possa costatarlo, ecco il vero Maestro.

Non si sostituisce a te.

Ma ti mette nella condizione di costatare la Verità, per cui tu stesso dici che la Verità è così, perché tu stesso lo hai costatato.

Ecco l'opera del Maestro, l'opera del Maestro è quella di condurti a costatare.

Lì è la meraviglia, Dio non ha bisogno di noi per vivere, Dio non è uno che ci "mangia", ma essendo Dio l'Assoluto, manifesta la sua Verità su tutto non per imposizione ma, per partecipazione.

Dio non impone, non "mangia"le creature, noi mangiamo le creature per vivere, Dio non ha bisogno delle creature perché Lui è il vivente.

Ma allora la sua vita come la manifesta? Donandosi, quindi Dio è carità.

Cioè la Verità è carità.

...............Il Pastore offre la sua vita in quanto conduce la creatura a costatare la Verità, per cui non la impone ma la propone.

Ecco per cui la Verità è nascosta.

Dio non è nascosto perché voglia sottrarsi a noi e allora perché è nascosto? Perché non si vede Dio?

È nascosto proprio perché vuole darsi.

E vuole darsi personalmente, è lì la meraviglia.

Vuole darsi personalmente.

Per cui Lui si tiene nascosto fintanto che non lo incontro personalmente.

Perché Lui si rivela solo personalmente.

Per cui si tiene nascosto fintanto che io sono massa, nazione, gente, gruppo, fintanto che io porto dentro di me il pensiero di tutti gli uomini, Lui non lo troverò mai.

Fintanto che personalmente non salgo a questo appuntamento a tu per Tu con Lui, io non posso conoscerlo.

Perché Lui offre la sua conoscenza personalmente.

Ecco perché si tiene nascosto, perché si riserva per noi, per ognuno di noi.

B.: Si manifesta personalmente però ai discepoli si manifesta in gruppo.

Ma quelli sono segni, è recitazione.

È teatro per noi.

Il rapporto di Dio è con noi personalmente.

Lui fa recitare tutte le creature, le fa recitare per ognuno di noi personalmente.

Per chiamare noi personalmente.

Non ci conosce mica come massa Lui.

Tanto che quando Cristo si è presentato al suo popolo eletto e ha voluto stabilire un rapporto personale lo han mandato a morte.

Evidentemente perché non lo conoscevano.

C.: L'Assoluto non ha bisogno di niente e di nessuno.

È logico, non dipende da nessuno.

La pianta per vivere dipende da-, noi per vivere abbiamo bisogno di-, Lui no, Lui di per Sé è vivo.

C.: Solo chi è vita può dare la vita all'altro, perché chi non è vita in sé, non può mica prendere la vita da uno per donarla all'altro.

La vita principale dell'uomo è conoscere, capire, noi crediamo che la vita stia nel guadagnar soldi nell'abbuffarci di cibo, nel mangiare, nell'ingrassare, noi crediamo che la vita stia lì.

Questa è tutta una menzogna, la vita vera dell'uomo sta nel capire, nel conoscere.

Noi possiamo essere ricchi sfondati e metterci a piangere con Leopardi.

D.: C'è una dimensione spirituale nell'uomo che gli uomini stanno facendo di tutto per riuscire a dimenticare.

Dai giornali alla tv al cinema è tutta una propaganda per escludere quel bisogno interiore che portiamo in noi.

Sì ma è una corsa al suicidio.

D.: A me ciò che fa paura è che noi con tanta fatica stiamo cercando di risalire la china, ma i giovani e i bambini di oggi avranno più difficoltà ancora di noi.

Sono preoccupato per i miei figli e i miei nipoti cui io non ho saputo insegnare e non c'è nessuno che si preoccupi di insegnargli.

Noi abbiamo sentito molte volte che tutto quello che riceviamo è segno e Parola di Dio ma non abbiamo ancora provato a portare queste cose a Dio perché Dio ce le illumini.

Continuiamo a ripetere che Dio ci parla in tutto, però non l'abbiamo ancora messo come punto fermo nella nostra vita.

E bisogna che ci decidiamo a metterlo nella nostra vita se no rimane cultura che non nutre.

Questo è mettere in pratica.

Noi crediamo che il mettere in pratica sia chissà cosa, ma è applicare quel pensiero lì.

È interrogare il Maestro interiore che ognuno porta dentro di sé  e non c'è nessuno che lo possa interrogare al posto nostro.

D.: È un fatto personale, è un fatto individuale.

È Dio stesso che ci sollecita e in tutti i modi.

E la nostra insoddisfazione ci dice che non siamo ancora arrivati.

Certo.

E.: Quello che determina tutto nella vita dell'uomo è il bisogno di capire.

Per cui l'uomo, anche se ha tutto...

Ha niente.

E.: L'uomo se si accontenta della vita animale che è poi la vita sentimentale, se si accontenta di essere pecora.....

O pianta, perché la maggior parte della nostra vita è una vita vegetativa poiché siamo tutti determinati dall'ambiente in cui ci troviamo.

E.: L'anima è proprio questo desiderio di capire che determina tutto nell'uomo.

Nell'uomo c'è un'apertura a un altra vita.

Nell'uomo c'è una saldatura.

L'uomo è il vertice dell'universo.

Nell'uomo c'è l'universo, quindi il mondo animale, vegetale e c'è l'eternità, l'Assoluto.

Nell'uomo c'è il punto di contatto e in questo punto di contatto c'è la crisi.

Perché nell'uomo c'è tutto l'universo, tutta la creazione di Dio si conclude nell'uomo.

L'uomo è stato creato il sesto giorno, cioè nella conclusione.

E in questo punto dell'universo c'è il punto di contatto con l'eterno.

E la difficoltà dell'uomo è passare all'eterno.

E l'uomo fintanto che non passa all'eterno, a guardare le cose dal punto di vista di Dio, l'uomo "naturalmente" è profondamente triste e angosciato.

E.: E magari interroga la luna anziché Dio.

Però proprio interrogando la luna, lui manifesta e rivela il suo bisogno di capire: "Tu sai, tu sai...".

E.: Noi siamo convinti che c'è qualcuno che ci supera.

Si capisce, chiamalo come vuoi, però l'importante in questa poesia è l'animo dell'uomo che si rivela.

E.: Noi sappiamo che c'è qualcuno in cui c'è la ragione di tutto e noi siamo tristi perché non partecipiamo di questo sapere.

Quando tu senti un problema, certamente ti è data la possibilità di giungere alla soluzione.

Se Dio non ti desse la possibilità della soluzione, non ti farebbe sentire il problema.

Ma se ti fa sentire il bisogno di capire è perché certamente tu puoi arrivare a capire.

E.: Oltretutto questo bisogno di capire è proprio dato dalla sua presenza in noi.

Quando io mi trovo a vivere con una persona, io sono triste se non riesco a conoscere e condividere tutto di quella persona lì.

La tristezza è data da un dislivello, io mi trovo nell'impossibilità di partecipare di quello che l'altro è.

Questa sensazione di non capire, mi è data dalla presenza dell'infinito, della Persona divina in me che vive con me, che sa tutto e io non so.

E.: Quindi mi offre la sua vita in quanto mi offre la sua conoscenza.

Il Pastore mi offre il passaggio da me pecora a  Lui Pastore.

Mi trasforma in Pastore.

E.: Mi fa passare dalla vita sentimentale, animale alla vita della luce.

Però la condizione è interrogarlo.

La condizione è superare il mio mondo.

Dobbiamo superare i nostri desideri e i nostri interessi per cercare di vedere la cosa dal punto di vista dell'altro.

Interrogare è pensare.

Tu con il pensiero cosa fai?

Col pensiero ti trasferisci a guardare dal punto di vista dell'altro.

F.: Bisogna essere fame di Assoluto....

No, siamo fame di Assoluto, volenti o nolenti siamo fame di Assoluto.

Andiamo all'inferno proprio per la nostra fame di Assoluto.

L'importante è che questa fame trovi il suo pane.

G.: Bisogna approfondire queste parole: "Il Pastore offre la sua vita".

Bisogna cioè capire cos'è questa "sua vita".

Se dice "sua" vuol dire che è una vita singolare e bisogna capirlo.

Abbiamo tante manifestazioni di vita, abbiamo la vita dell'animale, del vegetale, dell'uomo, qui abbiamo la vita del Pastore.

Bisogna capire cosa è questa sua vita.

F.: Dio è presente anche in noi stessi.

Dio è solo presente in noi.

Fuori s'annuncia, fuori sono rumori, segni, ma la sua presenza è solo in noi.

Per cui fintanto che noi non ci raccogliamo dentro di noi, nel nostro intimo noi non lo troviamo.

G.: Dio parlandoci ci fa superare il nostro mondo materiale.

Certo, se Lui non parla noi restiamo nella nostra bagna, non possiamo fare un salto così.

Parlando, ci dà la possibilità ma non è detto che noi partiamo.

Ma senza il suo parlare noi facciamo e capiamo assolutamente niente.

Se Lui parla ci dà la possibilità, sulla sua Parola abbiamo la possibilità di partire.

Se adesso noi facciamo la sua Parola, ci impegniamo in ciò che Lui ci propone, allora partecipiamo.

H.: Dio è in me ma non è detto che io lo metta al primo posto.

Fintanto che io non lo metto al primo posto, assolutamente non ho nessun contatto, giro sempre alla larga.

M.: Mi pare che l'assimilazione e la partecipazione alla vita dell'Assoluto di cui siamo un esigenza totale, sia possibile solo attraverso una dedizione assoluta, quindi sciolta da ogni elemento relativo.

Certo, ci vuole il pensiero puro, altrimenti non concepisci.

Ci vuole la vergine, la verginità mentale, poiché soltanto il pensiero puro concepisce.

Quando il pensiero è inquinato, ci sono cioè altre presenze, altri interessi, il pensiero non può concepire.

Tutta l'opera del Maestro è quella di formare in noi questa purezza di pensiero.

Perché nella purezza c'è la trasparenza e c'è la comunicazione.

Quindi c'è il concepimento, in caso diverso no.

N.: La Verità è amore.

Sì ma non amore come intendiamo noi.

Dio essendo l'essere Assoluto è vivente, Lui ci dà vita dandoci Se Stesso, dandoci il suo Essere.

P.: L'uomo sente il bisogno d'interrogare, però il più delle volte interroga maestri sbagliati.

Per questo Lui ti dice di non interrogare altri maestri e ti proibisce di dare il nome di maestro ad altri.

Noi siamo sempre lì a interrogare giornali, no, non dare a nessuno il nome di maestro: "Rivolgiti solo a Me".

P.: Lui offre la sua vita....

Non ce la dà, ce la offre.

P.: Ce la offre affinché abbiamo a desiderarla...

Perché soltanto desiderandola possiamo averla.

Ad ognuno sarà dato ciò che avrà voluto desiderare.

P.: La nostra tristezza è data dal nostro bisogno di capire e dalla nostra incapacità di capire.

Se la nostra vita sta nella conoscenza, soltanto cercando di capire noi viviamo, altrimenti noi ci scaviamo delle solenni tombe cercando altro.

La prima preoccupazione deve essere capire.

P.: Questo Maestro interiore ci porta al Principio del sapere, il Principio creatore.

Il Maestro interiore non ti impone quello che Lui sa.

Ti conduce ad attingere tu stessa, in modo che tu possa attingere direttamente dal Padre.

Il Cristo stesso a un certo punto si ritira e ti affida al Padre, perché tu stessa possa conoscere il Padre, lì è la meraviglia.

Quello è il vero Maestro.

Il Maestro non si sostituisce mica a te.



Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore offre la sua vita per le pecore. Gv 10 Vs 11 Terzo tema.


Titolo: L'offerta e la comunicazione della vita del Pastore.


Argomenti: Incomunicabilità della vita nei segni. Restare con l'Essere che è in noi. Dio  si  fa conoscere solo personalmente all'uomo. Comunicabilità e incomunicabilità. Offerta & comunicazione.

Impossibile, possibile, certo. Il nostro desiderio deve derivare dalla realtà. L'essere si comunica attraverso la conoscenza.


 

29-30/Luglio/1990 Casa di preghiera Fossano.


Abbiamo visto precedentemente il significato di questo: "Io sono il buon Pastore" e poi la vita del Pastore.

Adesso ci rimane da considerare questa offerta della vita da parte del Pastore alle sue pecore.

Gesù dicendo: "Io sono il buon Pastore", ci fa capire che questo "Io" è Dio stesso.

Dio stesso che si fa Pastore per gli uomini, Pastore di ogni uomo, Lui stesso si fa Maestro, confermando quello che è stato detto dalla Parola stessa di Dio: "Saranno tutti ammaestrati da Me".

L'uomo è un essere che ha per Maestro Dio.

E parlando della vita del Pastore, abbiamo visto che la vita del Pastore è la conoscenza stessa di Dio.

Dio vive conoscendo Se Stesso.

Dio vive di Sé.

Abbiamo visto che ogni altro esistente vive assimilando altro da sé, poiché la vita è assimilazione, abbiamo visto.

Dio vive di per Sé, ha la vita in Se stesso.

Anzi, abbiamo precisato che Dio è la vita, poiché Dio è l'Assoluto.

E l'Assoluto non ha bisogno di assimilare altro per vivere.

Tutto ciò che non è Assoluto ha bisogno di assimilare altro per vivere, perché da solo non sta su.

Tutti quanti noi facciamo esperienza che da soli non stiamo su, abbiamo bisogno di assimilare altro.

Dio invece non ha bisogno di assimilare altro, Lui è l'Assoluto, quindi è il vivente.

Adesso il problema è l'offerta della sua vita, quindi la comunicazione della sua vita.

Dio comunica la sua vita, Dio offre la sua vita, ma noi dobbiamo chiederci prima di tutto cosa voglia dire comunicare la vita e poi sopratutto quali siano le condizioni per poter ricevere la comunicazione, per poter ricevere la comunicazione di questa vita.

Apparentemente non c'è possibilità di comunicare la vita.

Dio significa la vita nella creazione attraverso segni diversi.

Abbiamo visto la vita vegetale, la vita animale e la vita umana.

E vediamo che la pianta non può comunicare la vita alla materia.

E allora diciamo che la vita della pianta è singolare, propria della pianta.

E ciò che è singolare non può essere comunicato a un altro.

Così l'animale non può comunicare la sua vita alla pianta e diciamo che la vita dell'animale è singolare all'animale stesso e non può quindi trasferirsi, comunicarsi alla pianta.

E così la vita dell'uomo, l'uomo non può comunicare la sua vita all'animale, la vita dell'uomo è singolare, propria dell'uomo e non può essere comunicata ad alcuno.

Nel mondo dei segni, noi esperimentiamo che la vita è propria, come qui è propria del Pastore abbiamo visto.

La vita è propria dell'essere vivente e non può essere comunicata.

Eppure qui si dice che il Pastore offre, quindi comunica la sua vita.

Noi sappiamo per fede che Dio comunica la vita all'uomo.

Dobbiamo vedere se e come questo sia possibile.

In realtà non è che si faccia tanta esperienza della comunicazione della vita di Dio.

L'uomo è un essere che patisce, soffre e che è profondamente triste.

A differenza degli altri viventi noi già troviamo questa caratteristica.

Abbiamo detto che la pietra non può ricevere vita dal vegetale.

Però la pietra non patisce di non ricevere vita dalla pianta.

E la pianta non riceve vita dall'animale, però la pianta non patisce di non ricevere vita dall'animale.

E l'animale non riceve vita dall'uomo, però l'animale non patisce questo.

Abbiamo visto domenica scorsa Leopardi: la pecora quando ha mangiato se ne sta tranquilla e si riposa.

E perché l'uomo no?

L'animale non riceve la vita dall'uomo però non patisce di non ricevere questa vita.

L'uomo patisce di non ricevere la vita da Dio.

Perché?

Perché nel suo canto notturno quel pastore rivolgendosi alla luna dice: "Tu sai, tu capisci tutto e io invece non so, non capisco a che serva questo mio andare solitario"?

Ecco, ogni uomo ha questo suo andare solitario.

Questo pastore errante, "A che serve tutto questo?"

Perché l'uomo invidia la luna?

E abbiamo visto che Leopardi rivolgendosi alla luna si rivolge a Dio: Colui che sa tutte le cose, "Tu che sai tutto", Dio sa tutto.

E perché l'uomo soffre nel vedere uno che sa tutto e prima ancora perché l'uomo sa che c'è uno che sa tutto?

La pianta e l'animale, non si accorgono che c'è uno che sa il tutto.

E perché l'uomo s'accorge che c'è uno che sa il tutto?

Perché Leopardi dice alla luna: "Tu sai tutto" e perché soffre di non sapere lui questo tutto?

Perché soffre di non poter partecipare lui a questa sapienza?

La vita del Pastore abbiamo detto che è la sapienza.

Si vive di verità, si vive di sapienza.

L'uomo soffre di non essere sapiente, l'uomo soffre di patire gli avvenimenti, i fatti, la vita stessa e di non vedere il significato del tutto, di non capire perché si nasca, si muoia e perché si debba soffrire tanto.

Perché ci sono tante vicende nella vita, questi alti e bassi, perché tutto questo?

E perché l'uomo si interroga sul "perché"?

L'uomo patisce perché "convive" con un essere che sa.

Ecco la differenza che c'è tra l'uomo  e tutti gli altri esseri viventi.

Ecco perché gli altri esseri viventi non invidiano la vita degli esseri superiori mentre l'uomo invidia la vita dei superiori.

L'uomo si trova a contatto con Uno che sa tutto, con Uno che è infinitamente sapiente.

Con Uno che ha in Sé la ragione e il significato di tutte le cose e patisce di non partecipare a Esso.

Perché patisce di non poter partecipare?

Patisce perché vorrebbe essere una cosa sola con quest'Uno.

Ecco la passione che l'uomo porta dentro di sé e che rivela che nell'uomo c'è Dio, questo Essere in cui c'è la ragione di tutte le cose e l'uomo convive con questo Essere e vorrebbe anche lui conoscere come questo Essere conosce, perché intuisce che soltanto conoscendo tutto quello che conosce quell'Essere, lui può restare con quell'Essere, altrimenti non può restare.

Quando noi siamo costretti a vivere con un essere con cui non possiamo restare, noi siamo terribilmente tristi.

Questo ci rivela che la condizione per restare con Dio che è con noi, che resta con noi nonostante tutto, non è fare atti di devozione, invocarlo da mattina a sera, non è piangere, lamentarsi, fare dei riti o delle funzioni.

Si può restare con Dio soltanto in quanto si conosce come conosce Lui, in quanto si partecipa di quello che conosce Lui, in quanto si può condividere il suo pensiero in tutto.

L'uomo rivela in questa sua tristezza il suo destino, altrimenti non patirebbe questo.

Però l'uomo esperimenta  che non c'è questa comunicazione.

Eppure se Dio l'ha creato e l'ha creato con il destino di conoscere Dio, Dio vuole comunicare all'uomo.

La scrittura stessa dice che Dio è luce e non ama le tenebre.

Dio non ama nascondersi o tenersi nascosto.

È vero che Dio non lo vediamo, non lo tocchiamo e non lo esperimentiamo ma questo non significa che Lui ami sottrarsi a noi.

No, è perché Lui vuole donarsi a noi.

Ma vuole donarsi in una forma personale e intima, quindi nella vera forma, di piena conoscenza.

Per cui Lui si rifiuta di farsi conoscere in quella forma in cui noi possiamo conoscerlo.

Tutte le creature noi le incontriamo senza conoscerle.

Facciamo esperienza di tutte le creature senza conoscerle.

Dio si sottrae a questa forma di conoscenza, perché Dio vuole essere veramente conosciuto.

Ecco per cui mentre noi esperimentiamo la presenza delle creature non esperimentiamo la presenza di Dio.

E non c'è comunicazione con la presenza di Dio: Dio è là e io sono qua.

Dio non comunica la sua presenza ma Dio comunica la sua presenza.

Dio si tiene nascosto perché vuole farsi conoscere personalmente da ognuno di noi.

E fintanto che noi siamo massa, gruppo, numero, fintanto che noi non siamo persone e quindi non ci assumiamo personalmente la responsabilità del nostro credere, del nostro amare, pensare e vivere, Lui non si fa conoscere, perché si fa conoscere solo personalmente.

E allora qui entriamo nel problema della comunicabilità.

È possibile comunicare e a quali condizioni?

Apparentemente (segni di Dio) noi diremmo no, cosa c'è tra il nostro finito e l'infinito di Dio?

Cosa c'è tra la nostra terra e il cielo di Dio?

Cosa c'è tra la temporaneità nostra e l'eternità di Dio?

Cosa c'è in comune?

Tra finito e infinito non c'è niente in comune.

E non si può passare dal finito all'infinito, come non si può passare dal tempo all'eterno.

Fintanto che noi ci immaginiamo l'eternità come un prolungamento del tempo, noi siamo completamente sfasati.

Dio stesso, Gesù stesso, Parola di Dio, dice: "Io sono di lassù, voi siete di quaggiù".

E aggrava la situazione dicendo: "Dove Io sono, voi non potete venire".

Quindi incomunicabilità.

Però nello stesso tempo ci dice, ci invita, ci sollecita ad essere dove Lui è: "Io vado a prepararvi un posto, affinché dove Io sono siate anche voi" e prega il Padre: "Affinché dove Io sono, possano essere anche loro e possano vedere la mia gloria".

Abbiamo questi termini: incomunicabilità e comunicabilità.

Incomunicabilità: "Senza di Me fate niente", "Dove Io sono voi non potete venire", "Io sono di laggiù e voi siete di quaggiù": niente da fare.

Comunicabilità: Tutta l'opera di Dio che tende a portarci dove Lui è.

Evidentemente Dio qui ci rivela un'impotenza da parte nostra.

L'uomo è un essere che sente questa tristezza di fondo.

L'uomo stesso confessa e testimonia che la vita non sta nel mangiare, nel viaggiare, nel conoscere la cultura o gli uomini, la vita sta nel conoscere Dio.

La vita eterna, vera sta nel conoscere Dio come vero Dio.

Qui sta la vita.

Perché se l'uomo non attinge a questa sapienza, a questa eternità, a questa conoscenza, l'uomo porta un buco di vuoto dentro di sé che ricchezza, viaggi, mondo e cultura non possono riempire.

Quando l'uomo porta il vuoto dentro, questo determina tutto della sua vita.

Tutto determina.

A questa tristezza in cui l'uomo muore, non supplisce nessuna ricchezza che l'uomo possa accumulare attorno a sé.

Ed è un fallimento lo spendere tutta la propria vita soltanto per accumulare delle ricchezze, solo per guadagnare, lavorare, solo per farsi una posizione.

È un fallimento perché è una contraddizione con la vita stessa.

La vita, secondo la Parola di Dio è capire, è conoscere ed è ciò che gli uomini maggiormente trascurano.

Ma è possibile comunicare questa vita? Passare questo infinito di Dio in cui tutto è luce alla povertà della creatura che porta sempre dentro di sé questa pena e questa tristezza?

È possibile dare la pace all'uomo?

C'è un episodio in cui, Gesù mandando i suoi discepoli dice: "In qualunque casa entriate, dite: Pace a questa casa e se c'è un figlio degno di pace, la vostra pace passerà a lui, ma se non c'è un figlio degno di pace, la pace ritornerà a voi".

Qui ci fa un cenno su quella che è la comunicazione.

Voi offrite la pace, ma non è detto che offrendo la pace questa sia comunicata.

Qui c'è il Pastore: "Il Pastore offre la sua vita".

Il Pastore è Dio quindi Dio offre la sua vita.

Non è detto che la vita di Dio passi alle pecore, passi agli uomini.

Gesù dice: "Se c'è un figlio degno di pace".

È qui che noi dobbiamo approfondire, per capire quali sono le condizioni perché questa comunicazione passi.

Dio vuole che tutti si salvino, Dio vuole comunicare la sua sapienza, la sua luce, la sua pace a tutti gli uomini, perché vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la verità.

Non dice che giungano a mangiare o viaggiare!

Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la verità.

"Se c'è un figlio degno di pace"

Cos'è questo essere degni della pace affinché questa pace possa essere comunicata?

Direi: se c'è un figlio degno della luce, degno della sapienza di Dio.

Cos'è questa dignità che dà la possibilità del passaggio della comunicazione?

L'uomo è fatto sostanzialmente di due grandi realtà e l'abbiamo visto molte volte.

Una realtà che è data a lui senza di lui.

Ed una realtà che non è data a lui senza di lui.

La prima realtà, cioè ciò che è dato a lui senza di lui sono i talenti, è la creazione, è la vita stessa, è la fede, è il Pensiero stesso di Dio, è Dio stesso che si dona a noi indipendentemente da noi.

È tutto ciò che noi portiamo con noi, in noi, attorno a noi indipendentemente da noi.

Questa è la realtà che è data agli uomini, affinché gli uomini possano esistere, possano credere, possano amare.

Questa è la creazione di Dio, è l'opera di Dio.

Però c'è l'altra realtà che non è data all'uomo senza l'uomo.

La prima realtà che è data, l'uomo la sente, la patisce e la subisce.

Anche Dio l'uomo lo subisce.

Anche nell'inferno Dio si subisce ma non si conosce.

Tutto ciò che è dato a noi senza di noi, noi non lo possiamo smentire, ne subiamo la presenza, però non lo conosciamo.

Invece la realtà che non è data a noi senza di noi è tutto il mondo della conoscenza.

Ed il mondo della conoscenza che è poi il vero mondo, la vera vita, questo non si attinge senza di noi.

Noi dobbiamo chiederci qual'è la condizione per entrare in questo mondo che non si attinge senza di noi, che ci fa degni di ricevere la comunicazione della sapienza di Dio.

Dio non è geloso dei suoi doni, Dio non trattiene per Sé i suoi doni.

Dio ci ha creati per donarci i suoi doni.

Se c'è una pena e una tristezza in Dio è proprio questa: ci ha creati per donarci i suoi doni e nessuno di noi è interessato a ricevere i doni per i quali Lui ci ha creati.

Perché nessuno sale a ricevere questi doni che non possono essere dati a noi senza di noi.

Qual'è la condizione perché la comunicazione sia possibile?

Sono andato anche qui alla ricerca della matematica al servizio di Dio.

Tutto serve e anche le formule matematiche servono.

C'è un ramo della matematica che riguarda il campo delle possibilità, delle probabilità.

E ci rivela quali sono le condizioni perché una cosa sia possibile, impossibile o sia certa.

L'uomo è un essere che sperimenta cose possibili, cose impossibili e voglia Dio, anche la certezza.

È una piccola formula matematica.

Di per sé vale poco......

Abbiamo due realtà a confronto che sono quelle cui ho accennato prima.

Una cosa, perché sia possibile, deve essere fondata su una realtà.

In matematica questa realtà possibile è significata al denominatore con una lettera qualsiasi, diciamo la lettera N.

E poi c'è il raffronto di questa realtà delle cose possibili con la realtà favorevole, con quello che uno desidera.

E quello che uno desidera è segnato al numeratore con un altra lettera, diciamo la M.

Facendo un esempio semplice che si fa anche in matematica, diciamo che se uno ha dieci palline bianche e mette queste dieci palline in un sacchetto e poi ne estrae una, è certissimo che la pallina che esce è bianca.

Ha messo dieci palline bianche, estraendone una, è certissimo che la pallina estratta sarà bianca, qui c'è la certezza.

Ha estratto una pallina bianca.

Notate che qui c'è certezza, non esce certamente una pallina nera.

Però se lui mettesse nove palline bianche e una pallina nera e poi volesse estrarre una pallina bianca, non sarebbe più sicuro di estrarre una pallina bianca, già sarebbe nell'incertezza.

Si dice il caso...l'incertezza, perché?

Perché può essere che esca fuori quella nera.

E se lui anziché una pallina nera ne mettesse cinque nere nel sacchetto, l'incertezza aumenterebbe.

E se lui mettesse nove palline nere e una bianca, l'incertezza di estrarne una bianca sarebbe altissima.

Qui passiamo dalla certezza alla probabilità ed  è una probabilità che diminuisce sempre di più, quanto più aumenta il numero di palline nere rispetto alle bianche.

Ci fa capire certe cose.....

La certezza si indica con l'uno, l'unità, siamo sempre lì.

L'uno è la certezza.

Se si arrivasse al punto da introdurre  dieci palline nere e più nessuna bianca, qui si verificherebbe l'impossibilità di estrarre una pallina bianca.

E qui abbiamo il caso dell'impossibilità che si indica con zero.

Per cui gli estremi sono impossibilità e certezza.

Impossibilità zero, certezza uno, la possibilità varia dallo zero all'uno.

Abbiamo chiesto in prestito questo servizio alla matematica.

Perché abbiamo detto che l'uomo si trova con una realtà che non può smentire: la realtà è Dio Creatore.

Non è certamente l'uomo che fa le cose.

Questa realtà sono le dieci palline bianche.

Però abbiamo detto che l'uomo può estrarre...

Si parla in matematica di casi favorevoli, si fanno i confronti fra i  casi possibili e di casi favorevoli.

I casi possibili sono quelli che sono determinati dalla realtà.

C'è una realtà: Dio.

E poi c'è il pensiero, il desiderio, l'intenzione dell'uomo che vuole estrarre qualcosa.

E siccome questo pensiero dell'uomo è una passione d'Assoluto, l'uomo corre il rischio che pur avendo tutte palline bianche, possa avere il desiderio di tirar fuori una pallina nera.

Le palline sono tutte bianche ma lui può avere il desiderio di tirar fuori una pallina nera.

Non dico cose stravaganti, perché questa è la realtà di cui vivono tutti gli uomini.

La realtà con cui l'uomo si trova, sono tutte palline bianche, il desiderio, il pensiero, l'intenzione dell'uomo (nella stragrande maggioranza dei casi) è invece quello di estrarre una pallina nera.

E l'uomo fa esperienza della impossibilità.

Noi diciamo che è assurdo, certo è assurdo.

La maggior parte della vita degli uomini è un'assurdità.

Perché se la vita sta nel capire, nel conoscere la verità, sta nel poter partecipare a questa sapienza che è con noi, per poter restare con questo essere che è Dio che è con noi, la più grande assurdità che noi facciamo è che avendo come realtà a disposizione tutte palline bianche, noi pretendiamo di tirare fuori una pallina nera.

E continuamente ci lamentiamo perché escono sempre palline bianche e non escono palline nere.

L'uomo fa esperienza di questo: c'è incomunicabilità.

Non si comunica.

Non c'è un figlio degno di pace.

Fintanto che l'uomo desidera, pensa, porta con sé come scopo della sua vita, come fine della sua vita altro da Dio, non abbiamo un figlio degno di pace, non abbiamo un figlio degno della luce di Dio.

Dio offre a tutti la sua luce e la testimonianza è che tutti sono tristi.

Dio la offre a tutti e la testimonianza è che tutti esperimentano l'impossibilità.

In che cosa consiste questa dignità che ci fa capaci di ricevere la comunicazione della vita di Dio e la vita è la conoscenza, è la sapienza, la vita è capire.

Cos'è che ci fa degni di capire?

La realtà ci è data, sono tutte palline bianche, non si scappa di lì.

L'errore sta nel desiderio dell'uomo, l'errore sta nel pensiero dell'uomo.

L'errore sta in ciò che l'uomo come intenzione vuole tirare fuori da quel sacchetto.

Quello che fa degno l'uomo è che il pensiero dell'uomo coincida con la realtà.

Bisogna che il pensiero dell'uomo, il desiderio dell'uomo desideri tirare fuori una pallina bianca e siccome sono tutte bianche lì abbiamo la certezza: la pallina sarà bianca.

Ma bisogna che l'uomo desideri la pallina bianca, se l'uomo desidera la pallina nera, l'uomo esperimenta l'impossibilità.

Quindi quello che fa degno  l'uomo, è quello che l'uomo porta dentro di sé come pensiero, come interesse, come intenzione.

È questo che gli fa esperimentare l'impossibilità, la possibilità o anche la certezza.

Ecco il figlio degno, degno di ricevere la comunicazione di Dio.

Infatti nella parabola dei talenti, il Signore quando ritorna, non premia mica i talenti dati.

Premia l'interesse che ognuno ha saputo trarre da quei talenti.

L'interesse, il pensiero, l'intenzione, non palline nere, non cioè ciò che non è secondo la realtà, ma quello che è secondo la realtà.

Ci siamo chiesti all'inizio qual'è la condizione perché questa comunicazione qui che è comunicazione di verità avvenga.

Primo è assolutamente necessario che Dio ci dia queste palline bianche e Lui ce le dà.

La realtà Lui ce la mette davanti: Lui abita con noi.

Noi non possiamo smentirlo, nessuno può ignorare che Dio è il Creatore.

Queste sono le palline bianche.

Ma perché la comunicazione avvenga non basta che Dio ci dia questo.

È necessario che collimi il pensiero, l'interesse nostro con questa realtà.

Il nostro interesse deve derivare dalla realtà.

Cioè io debbo desiderare di estrarre una pallina bianca: la realtà è questa, tutte sono palline bianche.

Io debbo desiderare una pallina bianca, se desidero una pallina nera io esperimento l'impossibilità.

L'interesse, il pensiero e l'intenzione sono poi il fine.

Se ognuno di noi personalmente vive per conoscere Dio (pallina bianca) succede che il fine per cui vive, diventa il motivo della sua vita.

Ed è il movente della sua vita.

Ma il movente della vita di ognuno di noi (indipendentemente da noi sia chiaro) è il Creatore, è Dio.

È Dio che ci fa essere, è Dio che ci fa vivere.

Se ognuno di noi ha per fine (interesse, intenzione, pensiero) conoscere Dio......

Vivendo per-, vive per-.

C'è una differenza enorme tra vivendo per-, si vive per-.

Vivendo per un fine, si vive di quel fine e quel fine diventa il movente della nostra vita.

Cioè diventa il principio della nostra vita.

La madre che vive per il bambino a un certo momento trova il significato della sua vita nel bambino stesso.

L'uomo che costruisce un azienda, a un certo momento trova nell'azienda il principio, quindi il movente della sua stessa vita (la pallina nera).

L'uomo che vive per conoscere Dio, trova in Dio il movente, il principio della propria vita.

Ma Dio è il principio della vita dell'uomo.

Qui abbiamo la comunicazione della verità.

Qui scopriamo la comunicazione della verità: la verità si comunica.

Abbiamo detto che conoscendo la verità, c'è la comunicazione dell'essere.

Il Figlio di Dio (il Pastore, il Maestro interiore) guardando il Padre (la vita del Figlio è il Padre) conoscendo il Padre, vede quello che il Padre fa (il Padre genera il suo pensiero, quindi genera suo Figlio) e riceve l'essere dal Padre.

L'essere si comunica attraverso la conoscenza.

L'essere non si comunica attraverso altri modi.

In Assoluto, l'essere si comunica attraverso la conoscenza.

Per cui tra il Figlio e il Padre l'essere è unico e l'essere è del Padre.

E il Figlio vive dell'essere del Padre.

Questa comunicazione è la vera comunicazione.

La vera comunicazione si riceve attraverso la conoscenza della verità.

La conoscenza della verità si ottiene solo in quanto uno ha come suo fine la verità stessa ed è solo avendola come fine che scopre che quella è il suo movente, quindi il suo principio.

Conoscendola come principio, qui abbiamo il Principio che coincide con il nostro principio.

Qui abbiamo la comunicazione della verità, qui abbiamo il Pastore che avendo offerto la sua vita alle pecore, comunica la sua vita alle pecore.


A.: L'uomo soffre perché convive con Uno che ha in Sé il principio di tutte le cose, della verità, della sapienza che naturalmente anche l'uomo vorrebbe avere.

Per partecipare della vita di questo Uno bisogna esserne degni.

Hai definito la dignità come ciò che dà la possibilità del passaggio, della comunicazione.

Perché Lui dice:"Se non è degno della verità, la verità torna a voi", la verità non passa.

A.: La dignità consiste nella coincidenza del pensiero dell'uomo con la realtà.

Non ho capito se per realtà dobbiamo intendere il principio in Assoluto, quello che trascende ed è fuori...

Quella è la realtà.

A.: Oppure quella realtà che può essere la realtà delle palline bianche...

La realtà delle palline bianche è l'Assoluto.

A.: La realtà delle palline bianche è l'Assoluto?

È l'Assoluto.

Cioè è il Dio che nessuno può ignorare, questa è la realtà che ti è data.

Tu non puoi ignorare Dio Creatore di tutte le cose.

Questa è la realtà da cui tu devi derivare il tuo desiderio.

Il tuo desiderio per attingere la certezza deve essere una conseguenza della realtà, non deve essere espressione della tua fantasia.

Se tu vai a cercare mele su un larice ti metti nella situazione di impossibilità.

Non troverai mele, ma evidentemente il tuo desiderio non è nato dalla realtà.

A.: Ma la coincidenza del pensiero con la realtà, è un passaggio estremamente difficile. Intanto la realtà non è conosciuta in sé...

Non è conosciuta perché la conoscenza è il risultato di una comunicazione.

Invece la realtà che ti è data, non la conosci mica ma non la puoi ignorare.

Ora proprio perché non la puoi ignorare sei responsabile.

A.: E che tipo di comunicazione si stabilisce con questa realtà?

Tu devi averla come fine....

Le "palline bianche" sono la realtà del Dio Creatore che non puoi ignorare.

La realtà è ciò che tu non puoi ignorare.

A.: Non lo capisco perché le palline bianche le capisco come creature, non le vedo come Realtà...

L'uomo si trova con due mondi: il mondo che è dato a lui senza di lui e il mondo che non è dato a lui senza di lui.

Il mondo che non è dato a lui senza di lui è la conoscenza.

Cioè è la visione di tutte le cose da Dio.

Il mondo che è dato a lui senza di lui è tutto ciò che lui non può smentire, quindi anche Dio ma è dato a lui senza di lui, per cui noi ci troviamo creature qui viventi con questo Pensiero di Dio Creatore in noi, non ce lo siamo mica dato noi, come ci troviamo con tutta la creazione (opera di Dio), noi non la possiamo smentire, noi non possiamo smentire Dio Creatore.

Per smentirlo dovrei dire che io sono il creatore, non sono io il creatore, è un altro.

Questa è la realtà che mi è data.

Io debbo avere come fine quello che è il principio, soltanto se l'ho come fine adesso qui c'è la partecipazione.

Ecco quello che mi fa degno.

Io posso avere come fine altro.

Io posso avere come fine non la realtà e posso desiderare le palline nere.

A.: Ma la comunicazione con la realtà non avviene subito...

Avviene dopo.

Qui siamo nel rispetto della giustizia.

È per giustizia che io devo desiderare le palline bianche se tutte le palline sono bianche.

Sono scemo a desiderare una pallina nera quando tutte le palline sono bianche e mi rodo l'animo perché tutte le volte che voglio estrarre una pallina nera mi esce sempre bianca.

Ma si capisce che esce sempre bianca, esce sempre tutta opera di Dio, si capisce perché tutto è opera di Dio.

È inutile che tu pretendi che le cose siano opera di un altro.

Nota che se il mio desiderio è conforme alla realtà, c'è la certezza.

Sei nostri desideri fossero veramente secondo Dio, noi avremmo la certezza.

Noi viviamo nell'incertezza o ci buttiamo con la testa contro i muri, unicamente perché il nostro desiderio non collima con la realtà, con quella realtà che ci è data.

Con quella realtà che esiste in noi indipendentemente da noi.

È quella che determina tutto.

Le palline bianche esistono indipendentemente da me, è il mio desiderio che non esiste indipendentemente da me.

Il mio comportamento verso queste palline mi dà la certezza o l'impossibilità.

Cioè, l'impossibilità o la certezza è il risultato (sintesi) di due fattori: ciò che mi è dato senza di me, più il mio desiderio, il mio fine.

Fintanto che il mio fine non collima con la realtà, io mi rompo la testa.

Non posso farne a meno perché la realtà è quella.

Se io ho come fine Dio, io scopro che Dio diventa anche il mio principio, ma Dio è il Principio di tutto.

C'è una differenza enorme tra l'essere il mio principio personale e il mio Principio come realtà oggettiva.

Dio è il mio principio, qui la verità è comunicata, io ho scoperto la verità.

A.: Questa verità però ha una presa debole sul pensiero dell'uomo.

Guarda che tu non scopri mica la verità per opera tua, per opera del tuo pensiero.

Il tuo pensiero è necessario....

A.: La Realtà come Principio non posso scoprirla con il pensiero...

Certo ma il tuo pensiero è assolutamente necessario, tu devi averla come fine.

Però tu non la scopri per il tuo pensiero, tu scopri la verità per dono di Dio.

È necessario il tuo pensiero, perché senza il tuo pensiero non sei degno e la comunicazione non passa.

Se tu desideri altro da Dio, la comunicazione non passa.

Tu non la puoi smentire ma Dio resta sempre Dio e tu sei nella bagna: tu non conosci.

Il mondo delle cose invisibili non è dato a te senza di te, però è per grazia di Dio.

È solo per grazia di Dio che tu, avendo Dio come fine, scopri che Dio è il tuo principio.

A.: Ma tutti i segni intermedi non rendono facile questa comunicazione con la realtà.

Bisogna tenere presente che tutti questi segni sono segni.

Io non posso staccare i segni da Colui che fa i segni.

I segni non li faccio io, è poco ma sicuro.

Noi la vita la subiamo, noi il tempo non vorremmo che passasse, passa.

Ora, evidentemente questo è un segno perché è una cosa che io subisco, che noi tutti subiamo.

E se la subiamo non siamo noi a volerla, è un altro che ce la impone.

Vedi che c'è una realtà che s'impone su di noi?

In quanto s'impone, s'impone a me, indipendentemente da me.

Tutto quello che s'impone a me indipendentemente da me, io non lo posso smentire.

..........Il vedere le cose dal principio, richiede da te il superamento non solo del pensiero del tuo io ma di tutti gli effetti, di tutta la creazione, di tutti i segni che arrivano a te, perché devi vedere tutto dal principio.

Ecco perché Dio è nascosto.

Per darti la possibilità di vedere le cose dal Principio, perché soltanto vedendole dal Principio tu conosci.

Fintanto che tu subisci, esperimenti le cose ma non vedi il Principio delle cose, tu non le conosci queste cose qui.

Tu subisci ma non conosci.

A.: Ma oltre il superamento devo ancora incontrare il Pensiero, il Figlio di questa realtà, di questo Principio che mi porta a vedere le cose dal Principio.

Il Figlio è Colui che parla a te il Creatore.

Questo è il Figlio, parla a te il Creatore e tu non lo puoi smentire.

A.: Ma non è ancora conoscenza.

Non è conoscenza, tu lo ricevi e tutto quello che tu ricevi, non è conoscenza.

Conoscere vuol dire possedere, avere il principio di una cosa.

Conoscere una cosa nella sua causa, guardarla dalla sua causa.

E siccome noi non siamo la causa, si richiede che noi superiamo tutto il nostro mondo e lo stesso pensiero del nostro io, per guardare le cose dal punto di vista della Causa.

Altrimenti io non parteciperò mai alla conoscenza.

Come posso guardare le cose dal punto di vista della causa?

Solo con il pensiero e il Pensiero di Dio che è il Figlio.

Ma io per avere questo Pensiero di Dio, devo avere Dio come fine, fintanto che io non ho Dio come fine è assurdo, io non conoscerò mai le cose.

Perché le cose per conoscerle debbo guardarle dal punto di vista di Dio ma non posso guardare dal punto di vista di Dio se non supero tutto ciò che non è Dio.

E come lo supero?

Con il Pensiero di Dio e il Pensiero di Dio ti è dato: il Maestro interiore.

La componente per arrivare alla certezza, alla comunicazione è non solo la realtà ma è anche il pensiero, cioè il fine che tu hai.

Fintanto che il tuo fine non è Dio, tu ti precludi l'entrata nella seconda realtà, quella realtà in cui non si entra senza di noi e non si entra per opera nostra, sia chiaro, si entra per opera del Pensiero di Dio.

Non si entra senza di noi perché per aderire al Pensiero di Dio io devo superare tutti i miei pensieri, però la grazia è di Dio.

Lì c'è la comunicazione, lì c'è la sintonia, perché Dio si comunica solo al suo Pensiero.

Il Pensiero di Dio è in sintonia con il Padre ma i nostri pensieri non sono in sintonia con il Padre e fintanto che non sono in sintonia con il Padre, stai certo che non c'è nessuna comunicazione, noi possiamo piangere tutte le nostre lacrime ma non c'è nessuna comunicazione.

Tu muori disperato ma non c'è comunicazione.

Perché non puoi cogliere la verità e la vita sta nella conoscenza della verità.

A.: Si arriva per certezza o per possibilità a considerare le cose dalla realtà?

No è certezza.

Tu sei certo che avendo tutte palline bianche e desiderando estrarne una bianca il tuo desiderio è certo di essere soddisfatto.

Se io mi metto in testa di avere una rosa e tutti mi mandano i tulipani, io mi offendo.

La fregatura è nel mio pensiero, nel mio desiderio, noi restiamo fregati dal desiderio.

Roviniamo la nostra vita nel desiderio, in ciò che abbiamo cioè come fine.

B.: Io posso con la mente sapere che devo volere la pallina bianca e non la pallina nera, però dato che la comunicazione del pensiero è grazia di Dio, io posso trovarmi in una situazione difficile da capire, capire per me vuol dire estrarre la pallina bianca....

Le palline bianche rappresentano la realtà che è data a me senza di me, quindi in quanto è data a me senza di me, io so che le palline sono bianche e so che sono scemo a desiderare le nere.

Sapevi che le palline erano bianche e perché allora desideravi le nere? Scemo.

Sentimenti o situazioni in cui uno si trova contano nulla, conta quello che uno sa.

Tu sapevi.

Dio non mi dirà:"Tu sentivi o non sentivi, anche questo era opera mia, ma tu sapevi".

Il giudizio sta lì.

B.: Ma Dio spesso ci mette davanti a delle prove amare, come si fa a capire?

Tu sai che le palline sono bianche, devi desiderare le palline bianche e sei nella certezza.

B.: Ma è spontaneo che io voglia allontanare da me una prova o una malattia...

Il problema non è allontanare una malattia, il problema è avere come fine (desiderio vuol dire fine) Dio.

Se tu hai come fine Dio, Dio diventa il tuo principio, il tuo movente.

E tu entri nella realtà, perché nella realtà Dio è il Movente.

Non è dicendo che Dio mi fa fare questo o mi fa dire l'altro che Dio è il mio movente, non è quello.

È quando io personalmente ho Dio come fine che Dio diventa il mio movente.

Lì io percepisco la comunicazione della verità.

Altrimenti io non percepisco la comunicazione della verità, faccio delle parole ma non percepisco la comunicazione.

E resto fuori.

Solo se ho Dio come fine, cioè oggetto del mio pensiero scopro che Dio è il Soggetto del mio pensiero.

Ma scoprendo questo ho la comunicazione della verità.

Dio è il Soggetto del mio pensiero.

Come il Padre è soggetto di suo Figlio.

C'è stata la comunicazione e come c'è stata?

Perché l'ho avuto come oggetto del mio pensiero.

Avendolo come oggetto, scopro che è soggetto del mio pensiero.

Vedi che c'è comunicazione, tutte le altre sono solo tutte scuse.

C.: Quando prendo una pallina bianca la tengo o la butto via se desidero la nera?

No, io la butto via, perché io desidero la nera e mi offendo.

Io resto dominato da quello che desidero.

Se io voglio le rose, mi offendo se tutti mi inondano di tulipani.

Se io desiderassi tulipani sarei felice, ma io mi sento non pensato se desidero rose e mi mandano tulipani.

Per cui quando io ho un desiderio diverso da Dio, mi sento non pensato da Dio.

Mi sento ignorato da Dio, mi sento tradito da Dio.

Lì mi è impossibile entrare nella verità.

D.: Bisogna ricollegarsi col Principio, proprio nel punto in cui si è rotto l'incantesimo.

Ci ricolleghiamo col Principio in quanto l'abbiamo come fine.

Dio ha fatto le cose meravigliosamente bene, per cui avendo una cosa come fine, quella diventa il mio principio.

Diventa il mio movente e lì scopro la comunicazione della verità.

Lì c'è certezza, Dio non ti lascia nel dubbio.

E.: Con Dio c'è solo o l'impossibilità o la certezza?

C'è anche la possibilità, la probabilità.

Perché noi possiamo volere Dio ma ancora in mezzo a volontà diverse.

Per la certezza è necessario quello che abbiamo visto....

E.: Però quando c'è altro oltre a Dio siamo nell'impossibilità?

Navighi nell'improbabile, nelle nubi.

Fintanto che non arrivi alla nettezza di avere un fine solo.

Non puoi volere contemporaneamente due o tre fini.

E.: C'è la possibilità in quanto Dio sta operando per portarmi ad avere un fine unico.

Certo, Dio non ci lascia mai soli, quindi Dio dialoga sempre con noi, ci fa battere delle testate, ci fa sanguinare e una cosa e l'altra, è tutto Dio che lavora, non ci aspetta Lui all'ultimo, Lui è sempre con noi, nonostante tutti i nostri errori, ecco per cui c'è questo spazio tra lo zero (impossibilità) e uno (certezza) in cui c'è tutta la gamma delle cose probabili.

Ma sono probabili, infatti il Cristo stesso lo vedrai venire fra le nubi, non hai ancora la certezza, la certezza c'è soltanto in quanto in te si decantano talmente i valori da avere un valore unico e quel valore unico lì ti dà la certezza. Là dove il pensiero coincide con l'Essere, lì hai la certezza.

Perché Dio si rivela soltanto al suo Pensiero, lì c'è la certezza perché il pensiero diventa figlio dell'Essere.

F.: Come facciamo a non capire che stiamo buttando via le bianche?

Per capire ci vuole la luce.

Noi siamo come dei pazzi, ossessionati da quello che hanno in testa.

E quando noi abbiamo un desiderio, una passione, un fine nostro, noi siamo dominati da quello, noi diventiamo figli di quello.

Il fine diventa nostro principio e noi diventiamo figli del nostro fine e quando io ho un fine sono come ossessionato da quel fine lì, ho bisogno di risolvere quello.

Quando ho fame è inutile che vengano a raccontarmi di Dio, ho bisogno di mangiare.

Resto figlio di questo mio bisogno.

Ognuno di noi fintanto che non arriva a quella luce che viene solo da Dio, è dominato da avvenimenti che ci ossessionano, perché è la luce che ci libera.

Noi non siamo mica liberi, noi siamo ossessionati.

Noi crediamo di essere liberi ma noi siamo ossessionati dagli avvenimenti, dai fatti, dalle creature, da tutto quanto, siamo dominati dai problemi della nostra giornata e della nostra vita e solo con la conoscenza della verità che si diventa liberi.

"Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi".

Ma "conoscerete" e fintanto che non conosci sei dominato.

Se sei dominato dalla passione delle palline nere, tutte le bianche che estrai le butti via.

E non ti rendi conto che non usciranno mai le palline nere.

Tutta la fregatura e la frustrazione della vita sta lì.

G.: Quindi se il nostro desiderio è veramente desiderio di Dio...

Tu desideri Dio in quanto lo hai come fine.

La conoscenza di Dio come fine.

Soltanto lì scopri che quello è il tuo Principio.

Ma fintanto che tu esperimenti altro, Dio è il tuo Principio  ma Dio non è il tuo principio, non è il tuo movente.

Se tu vivi per altro da Dio, resti dominata da quest'altro e quest'altro diventa il movente della tua vita.

Ma quell'altro non è il Principio, il Principio è Dio e tu non lo puoi mica smentire.

Il tuo principio non coincide con il Principio di Dio e non c'è comunicazione: tu non conosci la verità.

G.: Ma cos'è che forma in noi il desiderio di Dio e non di altro?

Dio, solo Dio.

Dio ha posto in te questo desiderio dell'Assoluto in quanto Lui vive con te.

Tu vuoi che tutto quello che tu ami (fine) sia Assoluto.

Hai la macchina? Vuoi che sia assoluta e allora ti metti a pulirla, verniciarla, curarla, perché vuoi che sia assoluta.

Deve permanere, se ami una persona, vuoi che resti assoluta e fatichi tutta la vita.

Noi tutta la vita la sacrifichiamo per rendere assoluta una cosa che non può essere assoluta.

Perché l'animale quando ha mangiato se ne sta tranquillo?

Noi anche dopo mangiato non siamo mica tranquilli.

Abbiamo la nostra passione d'Assoluto da conseguire e da raggiungere.

Dio ha posto in noi questa passione d'Assoluto, perché ha posto in noi Se Stesso.

Fintanto che noi non conosciamo Lui e non vediamo le cose da Lui, noi resteremo sempre ingannati dalla nostra passione d'Assoluto e ci lamentiamo perché non escono mai palline nere.

H.: È attraverso il fallimento della vita che Dio ci recupera, è proprio battendo le testate che io dico che c'è un muro ed è inutile che io seguiti sbatterci la testa contro.

Se non c'è uno che m'illumina, io per l'eternità batto la testa contro il muro.

H.: Con Cristo arrivo a vedere il rovescio della medaglia.

Dio non ha dato a tutti i talenti di un pensiero sottile come il tuo, però dà a tutti la possibilità di arrivare a recuperare qualcosa.

Il pensiero sottile o meno, profondo o meno (il Vangelo è molto sottile e profondo) è necessario per condurre quanti non hanno questo pensiero sottile, a costatare e quando hai costatato, tu non puoi dire che non è vero.

Il pensiero ti conduce a costatarlo, dopo faticherai tutto quello che dovrai faticare, l'importante è che tu sappia la cosa.

Se tu batti la testa contro il muro non c'è santo che tenga, tu batti la testa contro il muro per l'eternità.

Non basta battere la testa contro il muro per diventare saggi.

Non si diventa saggi sbattendo la testa contro il muro, stai pur tranquillo.

H.: Però è uno strumento utilissimo...

È Dio che te la fa battere, ma  nessun dolore e nessuna rinuncia, nessuna pena e nessuna disgrazia  ti salva, se non hai Colui che t'illumina il significato di quella pena o di quella disgrazia.

M.: Il buon Pastore offre la sua vita alle pecore e le fa passare da pecore a figli di Dio.

Si è visto la volta scorsa che la vita del Pastore è la conoscenza del Padre, la conoscenza del Principio.

La offre quindi non ci è data, ci è offerta....

Offerta non vuol dire che avviene la comunicazione.

M.: Noi dobbiamo essere degni di riceverla.

Appunto perché c'è tutta la realtà che non arriva a noi senza di noi.

M.: Non è che Dio voglia negarsi a noi, ma vuole comunicarsi personalmente.

Questa vita va desiderata e conosciuta personalmente.

Alla certezza si arriva non in massa o in gruppo, perché il passaggio obbligato è avere Dio come fine, fintanto che tu non hai Dio come fine, Dio ti sfugge come principio, quindi ti sfugge la verità.

È un fatto essenzialmente personale.

M.: La possibilità di ricevere questa comunicazione di vita del Pastore, è determinata dalla realtà del Dio che porto in me e la realtà di Dio Creatore ma è determinata anche dal mio desiderio, ci sono quindi due componenti.

Se il mio desiderio collima con la Realtà, lì ho la certezza, perché il Principio diventa il mio fino e quindi il mio principio.

Quando tu metti Dio come fine, come oggetto del tuo pensiero, non hai ancora ricevuto la comunicazione della verità.

M.: È solo avendo Dio come fine, avendolo come oggetto del mio pensiero, a un certo punto quando vuole Lui, Lui mi fa scoprire che è soggetto del mio pensiero.

Lì avviene la comunicazione.

M.:La vita del Pastore è il Padre come principio, quindi me la comunica quando il Padre è anche mio principio, oggettivamente è già in me, ma Lui me la comunica solo qui.

Questo avviene solo quando ho Dio come mio fine.

Lì c'è la comunicazione meravigliosa ma c'è anche la fregatura "stupenda" di tutti gli uomini, gli uomini non si rendono conto che soltanto quando hanno Dio come fine, possono arrivare a scoprire che Dio è il Principio.

È una cosa meravigliosa: Dio ha creato l'uomo per renderlo partecipe della sua verità eterna e lo ha fatto in modo che solo se ha Dio come fine personale può accedere alla conoscenza ma lo ha messo in un terribile rischio: l'uomo avendo come fine altro da Dio viene ad avere come movente, come principio, padre, altro da Dio.

M.: Quando siamo in cammino possiamo avere Dio come fine ma insieme ad altri fini.

Si, perché tu puoi avere nel sacchetto qualche pallina nera e qualche pallina bianca e se tu tiri fuori la nera resti fregata.

M.: Il sacchetto sarebbe la nostra mente e le palline i nostri desideri....

Il sacchetto è la realtà, però nella tua realtà, in ciò che hai presente ci sono anche delle palline nere, c'è Dio Creatore ma ci sono anche gli uomini, delle altre cause diverse da Dio.

Fintanto che Dio non ti fa capire che la realtà sono tutte palline bianche, tu non arrivi mica alla certezza.

M.: Devo riguardarmi la formula...

È semplicissima: M fratto N è uguale a P probabilità.

M.: M sarebbe la realtà?

No, M è il tuo desiderio, il numeratore e N è la realtà che ti è data.

M.: Ma nel campo dello spirito le palline sono bianche e io non posso metterne nessuna nera.

Però come realtà in te, c'è Dio (pallina bianca) ma c'è anche il mangiare (nera), i soldi (nera), il mio prossimo (nera), c'è Dio ma c'è anche altro.

Nella Realtà, non nella tua realtà, nella Realtà le palline sono tutte bianche, Dio è Colui che opera tutto, Dio è l'unica realtà e fintanto che tu hai fini diversi, tu fai la fatica di desiderare palline nere quando sono tutte bianche.

E allora tocchi con mano l'impossibilità che chiamiamo fallimento della vita, ma questo perché la tua intenzione non coincide con la Realtà.

M.: Il mio desiderio deve nascere dalla realtà.

Certo, il desiderio non deve nascere da te e dai tuoi sentimenti ma deve nascere da Dio.

Solo quando nasce da Dio collima.

Se il tuo pensiero nasce da Dio, capisci che il tuo pensiero è il Figlio di Dio?

Le cose collimano e c'è la certezza.



Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore offre la sua vita per le pecore. Gv 10 Vs 11 Riassunti Domenica/Lunedì.


- RIASSUNTI -


Argomenti: L’attrazione del Padre – Cristo Maestro di vita di ogni uomo – L’interrogazione – Il battesimo di Giovanni – Il motivo del nostro vivere – I cattivi maestri – Riconoscere la Verità – Il regno di Dio subisce violenza – La Verità è accessibile personalmente – Restare ingannati dagli uomini – Il vero che portiamo in noi – La luce e le tenebre in noi – Restare con Dio – Il Maestro interiore – Elemosinare la verità – La Vita del Pastore – La vita è assimilazione – Vita vegetale, animale, umana – La Vera Vita – Chiedere i doni maggiori – Cibo materiale e spirituale – Canto notturno di un pastore errante – Partecipare al Sapere – La fame dell’uomo – La privazione di Vita – La vita sta nel capire – Il luogo della Vita – Il cibo specifico – La vita spirituale – La conoscenza di Dio – Il Principio delle cose – La Verità è pace – La comunicazione della Vita – La singolarità della vita – L’incarnazione del Verbo – Essere degni – Desiderare ciò che ci viene offerto – Le due realtà dell’uomo -


 

5-6/ Agosto /1990 Casa di preghiera Fossano.