Ed ecco quale fu la testimonianza di Giovanni
quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme Sacerdoti e Leviti per
domandargli: “Chi sei tu?”. Ed egli proclamò e non negò e confessò: “Non sono
io il Cristo”. Gv 1 Vs 19-20
Titolo: “Chi sei tu?”
Argomenti: La testimonianza della Luce e alla Luce. La proiezione verso il
futuro che verrà. L’interrogazione delle creature che ci fa toccare il nulla
che siamo.
23/Maggio/1976
Siamo giunti ai versetti 19 e 20 del cap. I del Vangelo di S. Giovanni. Qui
ritroviamo Giovanni Battista ed è il terzo incontro con lui.
Ricordiamo, in sintesi,
gli incontri precedenti:
·La prima presentazione di Giovanni Battista l’abbiamo trovata nei
versetti 6 e 7: "Vi fu un uomo mandato da Dio il cui nome era Giovanni.
Egli venne per rendere testimonianza alla Luce. Non era lui la Luce, ma venne
per rendere testimonianza alla Luce".
·Il secondo incontro è avvenuto con la citazione che abbiamo trovato nel
versetto 15: "Giovanni gli rende testimonianza, ed esclama dicendo:
Questi è Colui che io vi ho annunciato così: Colui che viene dopo di me è più
grande di me, perché era prima di me".
·Adesso siamo arrivati all’interrogazione che i Farisei gli
rivolgono: "Chi sei tu?".
Il Vangelo di San
Giovanni è strutturato molto bene, perché mentre ci fa riflettere su Dio, ci
fa riflettere sull'uomo: infatti ci presenta il Verbo di Dio, l'opera di
Dio, la Luce, il Verbo incarnato, ecc., alternativamente e in contrapposizione
a Giovanni Battista, che rappresenta l’umanità, l’uomo giusto, e man mano che
l'animo meditando su Dio si prepara a conoscere l'uomo, ci fa incontrare a
tappe successive Giovanni Battista,
E così, di passaggio in
passaggio, arriviamo a capire che cosa è l’uomo, appunto perché, lo dobbiamo sempre precisare, Giovanni
Battista, significa per noi l'umanità, colui che dà voce al problema vero
dell’uomo.
Allora:
1°) Nel primo incontro
con il Battista, ed è il primo passaggio, noi abbiamo trovato che
Giovanni non è la Luce, ma viene per rendere testimonianza alla Luce (“Non
era lui la Luce, ma venne per rendere testimonianza alla Luce” - Gv 1, 6-7)
e questo ci rivela, ci fa capire, che l'uomo non è la Luce, ma è una
testimonianza della Luce.
Ora, la testimonianza
della Luce bisogna intenderla nei suoi due aspetti, perché c'è:
·la testimonianza della Luce,
·e la testimonianza alla Luce.
Infatti:
·l’uomo è testimonianza della Luce, comunque sia, anche se non vuole.
Ad esempio, morendo rende
testimonianza alla Vita: testimonia cioè che Dio è la Vita e che non è lui la
vita.
L’uomo vorrebbe essere
diverso da com’è… vorrebbe fare questo o quell’altro…, e non può: ecco, i
muri che l'uomo continuamente trova contro la sua volontà e di cui abbiamo
parlato la volta scorsa, testimoniano i suoi limiti, testimoniano ciò che egli
non è, e quindi testimoniano ciò che Dio è.
Queste sono testimonianze
che l’uomo dà anche se non lo sa o non lo vuole.
·E poi abbiamo invece una testimonianza alla
Luce, che è condizionata dall’adesione dell'uomo. Per cui l'uomo, essendo ciò che è (cioè
testimonianza della Luce), deve voler essere ciò che è: essendo
testimonianza della Luce, deve voler essere testimonianza alla Luce, quindi
anche lui deve vivere per rendere testimonianza alla Luce. Ed è poi lì il
momento in cui l’uomo si qualifica e diventa uomo giusto.
Ma come l'uomo rende
testimonianza alla Luce?
·C’è una testimonianza alla Luce in ciò che
giunge a noi senza di noi, e la si rende accettando tutto dalle mani di Dio. Siccome la Luce non è lui, ma è un Altro,
l’uomo deve accettare da Dio tutto ciò che gli accade.
Ad esempio, il problema
della malattia di Dina: è un problema per lei, ma anche per noi. La volontà di
Dio non è solo per lei, ma anche per noi. Perché? Perché magari ne sentiamo la
mancanza, perché magari vorremmo sollevarla dalle sofferenze, ecc.. Per cui ad
un certo momento si presenta il problema: perché non possiamo fare quello che
vorremmo? Oppure: perché non si può
ottenere ciò che desideriamo? Ecco, bisogna accettare dalle mani di Dio quello
che Dio vuole.
Quindi, anche se la
cosa causa sofferenza ed è pena per l’uno e per l'altro, la condizione
prima è accettarla. Uno può chiedere al Signore un aiuto, una grazia, però la
richiesta deve sempre essere condizionata da: "La Tua volontà sia fatta
e non la mia", perché questa è la condizione essenziale per rendere
testimonianza alla Luce.
·C’è però poi la testimonianza alla Luce in ciò
che dipende da noi, cioè la
testimonianza delle scelte che possiamo fare, dei pensieri che possiamo avere,
degli orientamenti, delle parole che
possiamo dire e delle azioni che possiamo fare.
E lì, allora, noi diamo
testimonianza alla luce, se ci lasciamo guidare in tutto dallo Spirito di
Dio.
Questa è la prima lezione
che ci dà Giovanni Battista nel primo nostro incontro con lui: la testimonianza di quello che è l'uomo e di
quello che deve essere: l’uomo non è la Luce, ma deve essere una
testimonianza alla Luce. Ed è il primo passaggio.
2°) Il secondo
incontro con Giovanni Battista è avvenuto quando egli rese testimonianza al
Cristo dicendo: "Colui che viene dopo di me è più grande di me, perché
era prima di me" (Gv 1,15): è la lezione dell'“arca di Noè”, cioè la
proiezione verso il futuro.
Con queste parole Giovanni
Battista testimonia che ogni uomo è un’attesa di-, un’attesa di
Colui che deve venire, e quindi è un essere che è rivolto al futuro, per cui
deve pensare alle cose che saranno, non alle cose di oggi; deve cioè vivere
nell'oggi, ma già con il pensiero del domani, già nel pensiero delle cose
che ancora non si vedono, delle cose invisibili. Perciò l’uomo deve
prepararsi a vivere con Colui che ancora non vede, affinché, quando Lo vedrà,
sia preparato a convivere con questa Presenza. Perché Dio è Colui che viene,
quindi certamente l’uomo domani Lo incontrerà! E la condizione per poter
convivere con Dio è quella di aver l'animo preparato.
Quindi l’uomo deve
pensare a questo incontro prima che l'incontro avvenga; e allora abbiamo in
lui questa proiezione verso il futuro. Dicevamo che è la lezione dell’arca di
Noè: la necessità di preparare il fatto che certamente avverrà per noi domani,
in modo da sapere come si vive nella Città di Dio.
Per questo il Signore
dice: "Cercate prima di tutto il Regno di Dio" (Mt 6, 33):
bisogna cioè imparare a circolare nella Città di Dio, a camminare con Dio, a
vivere con Dio, e quindi a rispettare la sua Verità in tutto, per imparare a
convivere con la sua Verità.
A questo punto Giovanni
Battista ci ha testimoniato:
·che l'uomo non è la Luce, ed è però una
testimonianza della Luce
·e che l'uomo deve vivere per il futuro: vivere
nell'oggi, ma già col pensiero del futuro.
E allora, ci viene da
chiedere: che cosa è l'uomo?
3°) Ecco, quasi quasi
direi che questi versetti precedenti ci hanno preparato a quest’altro
incontro con il Battista, ad approdare cioè all’argomento di stasera:
“Chi sei tu?”.
Dobbiamo chiederci che
cosa significano queste creature che vengono a Giovanni Battista e lo
interrogano dicendo: “Chi sei tu?”.
Ora, se noi teniamo
presente che Giovanni Battista rappresenta tutta l'umanità, è evidente che
queste creature che vengono a lui chiedendo: “Chi sei tu?” significano
che ogni uomo è interrogato da tutte le creature. Direi, tutto il mondo, continuamente,
interroga l'uomo: “Chi sei tu?”.
Ora noi di fronte
all'interrogazione: "Chi sei?", il primo passo che facciamo
è quello di declinare le nostre generalità: "Io mi chiamo così così…,
sono nato là…, abito qua…, ecc.". Invece Giovanni Battista, che
rappresenta l’uomo vero, evidentemente non risponde così; non dà le sue
generalità, non risponde, ad esempio, in questi termini: "Io sono
Giovanni, figlio di Zaccaria, nato ad Ain Karim, della tribù di Abìa,
ecc.". Non si mette a declinare i suoi dati personali! Perché? Perché
queste generalità non dicono che cos'è l'uomo!
Poi, in relazione agli
altri, di fronte all'interrogazione del mondo: "Chi sei tu?",
noi passiamo a definirci secondo il nostro lavoro, secondo la nostra professione, secondo il posto che
occupiamo, oppure secondo le promesse che magari noi stessi facciamo,
per cui diciamo alla creatura che ci interroga: "Io voglio essere la tua
fortuna…, io voglio essere la tua felicità...", ecc., e in questo modo
passiamo a farci centro di essa.
Ma anche in relazione
agli altri, vediamo che il Battista, l’uomo giusto, non risponde così.
Però c’è una lezione
grave in questa interrogazione delle creature: "Chi sei tu?".
E ce la evidenzia la
risposta di Giovanni Battista: "Non sono io il Cristo”.
È da notare che i Farisei
gli avevano chiesto: "Chi sei tu?"; non gli avevano chiesto:
“Sei tu il Cristo?”. Giovanni Battista, uomo giusto che tiene presente l’attesa
delle creature, dice ciò che non è, mentre invece noi nelle nostre risposte
alle creature che ci interrogano diciamo sempre ciò che crediamo di essere.
Ora, se tutte le
definizioni che diamo noi di noi non sono vere, ci dev'essere nel mondo
delle creature una lezione continua per dire a noi, per insegnare a noi,
quello che veramente noi siamo, per ricondurci cioè alla nostra vera
dimensione e quindi liberarci dalle nostre illusioni o presunzioni.
Le creature cioè non ci
interrogano una volta sola,
non vengono a noi dicendoci: "Chi sei?", per sentire da noi la nostra
risposta (“io sono questo…o io ritengo di essere quello…”) e poi andarsene. No!
Le creature, ogni giorno, ripetono a noi : "Chi sei tu? Chi sei tu?
Chi sei tu?".
Cioè, sentono la nostra
risposta, ma il giorno dopo, continuano a dirci: "Chi sei tu?",
e il terzo giorno: "Chi sei tu?", e il quarto giorno: "Chi
sei tu?". Mi sembra un po' di sentire Gesù che chiede a Pietro, dopo
il tradimento: "Mi ami tu?… Mi ami tu?… Mi ami tu?..." (Gv 21,
15-18).
Tutto il mondo, tutte le
creature, tutti i giorni, continuamente, ci dicono: "Chi sei tu?".
E ce lo dicono sia con le loro pretese che con le loro proposte, sollecitandoci
a manifestare ciò che siamo; per cui a forza di dirci: "Chi sei
tu?", ci smontano da tutte le nostre costruzioni, da tutte le nostre
esaltazioni nel definirci, nel dire quello che noi siamo o che crediamo di
essere, e ci riconducono nella nostra vera dimensione, perché poco per
volta ci insegnano quello che veramente noi siamo.
Soprattutto ci
sorprendono, ad esempio, nei nostri compromessi, nei nostri tradimenti, nelle
nostre viltà, ecc., quando prima magari noi avevamo detto: "Io sono
questo, io sono quell'altro....", e allora ci dicono : "Chi sei tu?
Sei quello che avevi detto? Vedi? Tocca con mano...!". Ecco le lezioni
della vita!
A forza di dirci: "Chi
sei tu?", le creature ci riportano fino a quel giorno in cui noi
dobbiamo dire: "Io sono niente…, io sono una povera creatura che ha
bisogno di tutto…, io non sono per te…, per voi…, quello che voi
aspettate".
Infatti questa
interrogazione "Chi sei tu?", che continuamente le creature
rivolgono a noi con le loro proposte costringendoci a scegliere e quindi a
rivelarci, mentre svolge la funzione di ricondurci alla nostra vera dimensione,
ci richiama ad una realtà profonda: l’uomo è un’attesa di-. Infatti se
le creature interrogano è perché aspettano qualcuno.
“Tutte le creature - dice S. Paolo - gemono in attesa della
rivelazione di Dio” (Rm 8, 22), per cui se ci chiedono: "Chi sei
tu?", praticamente, sostanzialmente, chiedono a noi: "Sei tu
quello che noi aspettiamo? …sei tu la nostra salvezza? …sei tu il nostro
bene?".
Noi, in un primo tempo,
diciamo: "Sì!", illudendo le creature e noi stessi. Ma poi, a forza
di chiederci: "Chi sei tu?", "Chi sei tu?", "Chi
sei tu?", esse ci fanno toccare con mano che non siamo ciò che abbiamo
detto di essere, per cui ad un certo momento siamo costretti a dire, anche se
non a parole: "No! Non sono io la vostra salvezza, il vostro bene! Non
sono io quello che voi aspettate ".
Cioè ci riportano alla
confessione del Battista che dice: "Non sono io il Cristo". Infatti dicendo: "Non
sono io il Cristo", dice: "Non sono io Colui che voi
aspettate". Egli è l'uomo giusto che parla secondo giustizia (“Non
era lui la Luce, ma venne per rendere testimonianza alla Luce”) e tiene
presente che l’uomo, essendo tutto un’attesa di Colui che deve venire (“Colui
che viene dopo di me”), è un essere che chiede a tutti: “Sei tu Colui che
noi aspettiamo?”. Per cui nella domanda: "Chi sei tu?", il
Battista legge questa attesa dell’uomo e quindi non lo delude, mentre invece
noi, mettendoci al centro, deludiamo le attese delle creature.
Egli dunque insegna a noi
come dobbiamo rispondere a questa interrogazione delle creature: testimoniando
loro che è Dio la Salvezza, l’Atteso, non noi, orientandole quindi a Colui
che esse aspettano.
Ma se noi non rispondiamo
come lui, sarà la ripetizione di tale interrogazione a riportarci, per opera di
Dio, a confessare ciò che non siamo. Questo è necessario, perché soltanto nella
consapevolezza della nostra povertà possiamo aprirci al bisogno della salvezza
di Cristo.
Pensieri tratti dalla conversazione:
Eligio: Penso però che le creature non potranno mai
farci conoscere quello che noi siamo, perché è solo nel rapporto con Dio,
misurandoci con la Verità, che noi possiamo prendere coscienza della nostra
vera dimensione e di non essere degli assoluti. Le creature invece, il più
delle volte, ci esaltano...
Luigi: Sì, però solo apparentemente ci esaltano
perché magari stanno a quello che noi abbiamo detto di noi. Ma poi, dopo che
noi abbiamo detto ciò che crediamo di essere, esse continuamente ci dicono:
"Se sei questo, allora…", e aspettano che noi siamo realmente quello
che abbiamo detto di essere. Ed è lì che ad un certo momento ci riconducono
alla nostra vera dimensione: proprio perché continuamente ci ripetono
quell'interrogazione: "Chi sei tu?".
Infatti noi tutti i
giorni siamo bombardati, cioè siamo sollecitati a rivelarci: dobbiamo
dimostrare, siamo costretti a dimostrare, ciò che siamo, attraverso le scelte
che facciamo, poiché noi tutti i giorni facciamo delle scelte. E quella
interrogazione: "Chi sei tu?", avviene proprio attraverso le
scelte che ci vengono proposte.
Cioè il mondo ci
propone delle scelte, e nelle scelte che ci propone, ci mette l'interrogazione:
"Chi sei tu?", per cui noi ci riveliamo: facendo le scelte, ci riveliamo!
Ora, è vero che noi non
possiamo conoscerci se non con Dio, però le creature hanno la funzione non
di farci conoscere noi stessi, ma di smontarci dalle nostre montature,
direi, di smontare l'esaltazione e l’esaltazione non è verità.
Le creature ci smontano e
ci riconducono a quella condizione nella quale noi potremo poi conoscere Dio
e quindi poi conoscere anche noi, perché noi ci conosceremo solo in Dio.
Conoscendo Dio, conosceremo anche noi.
Sant’Agostino diceva: “Conoscendo Te, ho conosciuto me”.
Però noi sappiamo che per
arrivare a conoscere il Signore, dobbiamo toccare con mano la nostra povertà,
il nostro niente. Perché fintanto che noi ci crediamo qualcuno, non possiamo
conoscere Dio, non siamo nella condizione per-.
Allora Dio opera
attraverso le creature, e le creature sono opera di Dio, per riportarci nella
nostra vera dimensione.
Tutto quello che avviene
attorno a noi, quindi le creature, le interrogazioni delle creature, è tutto
opera di Dio che ci propone delle scelte, sollecitandoci così a rivelare ciò
che siamo. Anche questi Scribi e Farisei che vengono mandati dai sacerdoti a
interrogare Giovanni Battista, è Dio che li muove, è Dio che li manda. La loro
intenzione è diversa da quella di Dio, però è Dio che li muove, perché, in
quanto questo avviene, è Dio che lo fa.
Quindi tutte le creature
che si muovono attorno a noi, che tutti i giorni ci sollecitano a fare delle
scelte, ad avere certi pensieri, a dire certe parole, a parlare di noi, e
quindi a dimostrare quello che siamo o che abbiamo detto di essere, è Dio
che ce le manda, affinché noi ci specchiamo e scopriamo ciò che veramente
siamo.
Però, come dico, ogni
giorno l'interrogazione è ripetuta, ed è proprio ripetendoci quella
interrogazione che noi siamo smontati. Perché quando io dico: "Io
valgo cento!", e il giorno dopo faccio un'azione da meno due, la creatura,
forse un po' con il sorriso, mi dice: "Tu sei quello che vale
cento?". Ecco quello che mi smonta!
Pinuccia B.: Quindi le creature non solamente ci interrogano: "Chi
sei tu?", ma ci danno già la risposta.
Luigi: No, la risposta ce la diamo noi! Le creature
ci interrogano soltanto e ci fanno toccare con mano se effettivamente siamo quello
che diciamo di essere.
Pinuccia B.: Quindi ci dicono: “Ecco quello che sei!”.
Luigi: Ah, certo, sono lo specchio. Sono lo
specchio!
Pinuccia B.: Per cui sono loro che ci dicono ciò che noi siamo.
Luigi: Ma lo specchio è nella nostra stessa coscienza!
Le creature ci mettono di fronte ad esso. Infatti dopo aver detto: "Io
sono questo...io sono quell’altro…", noi abbiamo ben presente ciò che
abbiamo detto, e l’abbiamo ben presente anche il giorno dopo, quando le
creature, ci dicono: "Sei quello? Guardati!".
"Ecco l'uomo" (Gv 19, 5), dice Pilato presentando alla
folla Gesù flagellato e incoronato di spine. "Guardate, che cos’è l’uomo!
Guardate cosa è capace di fare l'uomo, come riduce il suo Dio!". Nel
modo in cui riduce il suo Dio, l'uomo si rivela. È vero che nella Passione
di Cristo si rivela Dio nella sua concessione, ma si rivela anche l'uomo,
quello che è capace di fare l'uomo.
Quindi, certamente, non è
che la creatura faccia conoscere l'uomo, ma smonta l'uomo da quello che è o
crede di essere, e lo riporta a quella condizione di bisogno, che è necessaria
per poter conoscere Dio. Infatti l'uomo solo quando ha scoperto il suo nulla,
la sua cecità, la sua povertà, il suo niente, capisce di aver bisogno di tutto,
soprattutto di aver bisogno della luce, di aver bisogno di conoscere, di vedere
Dio, ed è lì però che constata la sua impotenza. E questo ci conferma quello
che abbiamo già meditato la volta scorsa: "Nessuno mai ha veduto
Dio...".
Ora noi, per poter
capire, per essere convinti che il giorno in cui vedremo Dio non sarà per
opera nostra, dobbiamo toccare con mano il nostro niente. Allora se nel
nostro niente vedremo Dio, diremo: "Signore, è tutta gloria tua, è tutto
dono tuo, è tutta opera tua".
Ma a quel punto noi
saremo talmente smontati da non poter nemmeno più immaginare che sia opera
nostra, capisci? O che sia una scoperta nostra, no! Ma sarà evidente che è
stato tutto grazia sua! Perché non potremo dimenticare che quando abbiamo
creduto di essere qualcuno, proprio allora abbiamo battuto le nasate!.
Ecco perché allora il
Signore, attraverso tutte le sue opere, attraverso tutte le sue creature, ci
riconduce a quella condizione di povertà e cecità che è essenziale per poter
arrivare a conoscere Lui!
Infatti, fintanto che l'uomo crede di vedere, non può entrare nella Luce;
bisogna quindi che l'uomo sia ricondotto ad essere cieco. Essendo cieco, allora
è aperto alla luce.
Fintanto che l'uomo si
crede ricco, potente, è smentito in continuazione da tutte le opere di Dio, il
quale "...ha rimandato a mani vuote i ricchi, ha fatto scendere dal
loro trono i potenti..." (Lc 1, 53). Ecco, nel suo “Magnificat”
la Madonna contempla l'opera che Dio sta facendo attraverso tutta la creazione,
attraverso tutte le creature e vede che Egli “abbassa i potenti ed innalza
gli umili”.
Eligio: Quella domanda che ci viene posta dalla
creatura "Chi sei?", è una domanda comunque destinata a
restare sempre senza risposta, perché, ad esempio, l'Apocalisse ci parla di
quella pietra (“la pietruzza bianca…”) nella quale è segnato il nostro
vero nome in rapporto alla Verità, nome che solo Dio può conoscere, e che è
incomunicabile agli altri. Quindi è impossibile dare una risposta alle creature
che ci chiedono "chi sei?". Questa è una domanda che ha una funzione
solo di stimolo, di invito all'umiltà per collegarci a Dio, ma alla quale è
impossibile rispondere.
Luigi: No, dobbiamo rispondere, e la risposta
giusta, quella che interessa alle creature, è questa: "Non sono Colui
che è…Non sono Colui che tu attendi". Noi, in un primo tempo, alle
creature che ci chiedono: "Chi sei?", diciamo: "Io
sono…!"; esse però, continuando a chiederci: "Chi sei?",
ci smontano.
Ricordiamoci sempre che
Gesù per ben tre volte chiede a Pietro: "Mi ami tu?". La prima
volta Pietro, sicuro di sé, risponde: "Sì, Signore, io Ti amo!".
La seconda volta, quando il Maestro gli chiede: "Mi ami tu?", risponde ancora: "Sì, Signore, io Ti
amo!". Ma quando poi per la terza volta Gesù gli chiede: "Mi
ami tu?", lì crolla la sua sicurezza, per cui risponde: "Signore,
Tu lo sai che Ti amo!". Ecco, ora dice: “Signore, Tu lo sai…”. È
questa ripetizione qui che ad un certo momento ti fa crollare tutti i
piedistalli!.
Così è lo stesso: la
creatura ci chiede: "Chi sei tu?". E noi, sicuri, rispondiamo:
"Ma io sono questo.., quest'altro…, quell'altro..., io sono un direttore…,
io sono un onorevole…, io sono un deputato…, io sono un ministro…, io sono
qua…, io sono là…, sono tutto questo...". Il giorno dopo di nuovo ci viene
chiesto: "Chi sei tu?". E questa domanda magari ti sorprende
con un mal di pancia o con un mal di denti: "Chi sei tu?".
Ecco, qui non osi più tanto dire: "io sono…!". E poi il terzo giorno
di nuovo…, il quarto giorno ancora…, e poi ad un certo momento sei
completamente a terra.
Però loro continuano
sempre a interrogarti: "Chi sei tu?", "Chi sei tu?".
Cioè questa ripetizione significa che le creature sostanzialmente non ti
chiedono quello che sei, ma ti chiedono quello che non sei, appunto perché
lì c'è l'errore da parte nostra. Infatti noi affermiamo di essere quello che
non siamo, per cui esse ci smontano, per ricondurci, ed è misericordia di
Dio, sempre all'attacco della strada che ci conduce alla conoscenza di Dio, che
ci conduce alla Luce.
E siccome l'attacco di
questa strada è la povertà, la consapevolezza del proprio nulla ("sono
un cieco, sono un niente, sono un mendicante, ecc.", e c’è da notare che
la consapevolezza di essere tutto questo è solo l'inizio del cammino), allora
le creature, continuamente ci smontano per portarci lì, per metterci all'inizio
della strada, perché noi possiamo anche non arrivare a questo inizio. Però le
creature tendono a portarci lì, in modo da poterci mettere nella condizione
ideale per poter vedere Dio, cioè su quell'orizzonte in cui possiamo vedere la
Verità.
Vedendo la Verità, allora
poi possiamo dire chi siamo; conoscendo Dio possiamo dire chi siamo noi, perché
lì abbiamo quel nome che riceviamo da Dio.
Eligio: E che però è un nome incomunicabile...
Luigi: Noi non lo possiamo dire, però lo riceviamo,
cioè ci possiamo conoscere. Ci possiamo conoscere! E allora forse è proprio a
quel punto lì che noi diventiamo veramente muti, perché glorifichiamo solo Dio.
Il vero nome nostro è questo: è Lui!
Eligio: È quello che noi siamo di Lui, quello che noi
portiamo di Lui.
Luigi: È già, per cui parliamo solo di Lui, non
parliamo più di noi. Per cui noi partiamo all'inizio parlando di noi:
"io sono…", ma dobbiamo arrivare a dire: "Dio è, e io non sono".
Vedi? La posizione è
capovolta! Ma chi ce l’ha capovolta? Ecco, è l'opera di Dio attraverso tutte le
creature, semplicemente con quelle semplici interrogazioni ripetute: "Chi
sei?". Non dicono mica altro, non stanno a darci delle dimostrazioni;
non è che ci dicano: "Ah, ma tu dici di essere quello, ma guarda
quell'altro...", no, no! Le dimostrazioni le vediamo noi. Loro ci
interrogano soltanto: "Sei questo…?”, "Chi sei?", "Chi
sei?", "Chi sei?", e poco per volta ci capovolgono la
convinzione di ciò che crediamo di essere, per cui tutto il nostro monumento
cade. Direi che ad ogni interrogazione cade un blocco di questo nostro
monumento.
Eligio: Non ho capito bene quale relazione tu vedi
tra l'interrogazione delle creature a noi su che cosa siamo, e l'interrogazione
di Gesù a Pietro: “Mi ami tu?”
Luigi: Tanto la ripetizione dell’interrogazione
delle creature a noi, quanto la ripetizione dell’interrogazione di Gesù a
Pietro, hanno la stessa funzione: quella di smontare le sicurezze o presunzioni
nostre e di Pietro, cioè di riportarci nella nostra vera dimensione.
Ma c'è anche un'altra
relazione da tenere presente: ad un certo momento, sulle alture del Golan, Gesù
stesso (e Gesù rivela l’opera di Dio) chiede: "Cosa dice la gente che
Io sia?", e poi: "E voi, chi dite che Io sia?" (Mt 8,
27.29).
Anche qui si gira attorno
al "Chi sei?", al "Chi è?". E nel tentativo di rispondere alle domande:
“Chi è Dio ? Chi sei tu, o Dio, per me?”, ci si avvicina, per via di selezione,
alla confessione del Battista: “Tu sei il Cristo!”.
Ma guarda la finezza
dell’interrogare di Gesù! Egli in un primo momento non impegna l'uomo a dire
chi è Lui, non gli chiede: "Chi sono Io?", ma gli fa osservare: "Chi
dice la gente che Io sia?". Come mai? Perché è più facile osservare
quello che dicono gli altri, quello che fanno gli altri, perché lì non siamo ancora
impegnati noi personalmente.
Eligio: L'ha fatto per sentire poi quello che
pensavano loro.
Luigi: Sì, certo. Quindi in un primo tempo Lui ci fa
osservare: "Cosa dice la gente di Me?" , cioè, “Cosa dice
l'universo di Me? Cosa vedi di Me nel mondo? Come leggi ciò che è nel
mondo?". E poi arriva però all'impegno diretto personale: "E tu,
cosa dici di Me? Cosa dici che Io sia?".
Quindi, in un primo tempo
Lui ci fa considerare quello che dicono gli altri, cosa si dice nel mondo, ecc.,
ma poi ci interpella personalmente: “E tu?”.
Per cui noi arriviamo,
perché è un problema di selezione e di scelta, a dire chi è Dio e
conseguentemente chi siamo noi. La
risposta a queste domande concludono nelle dichiarazioni del Battista.
Quindi, vedi tutta
l'opera che Dio fa con noi per condurci lì, a dire: ”Tu sei il Cristo,
l’Atteso, ed io una povera creatura bisognosa della tua Luce”!
Dunque, abbiamo Giovanni
Battista che sintetizza tutta l’opera di Dio, abbiamo cioè la legge e i profeti
che si concludono nell’uomo giusto che segnala il Cristo e che dice: "Non
sono io Colui che tu aspetti".
Direi: lo scopo di
tutto l'Antico Testamento, quindi di tutta l'opera della legge data da Mosè
, di cui avevamo parlato le volte scorse, di tutta l'opera dei profeti, ecc., è
quello di condurre l'uomo a dire ciò che non è e ad individuare l’Atteso: “Tu
sei il Cristo!”. La conclusione di tutto l’Antico Testamento è l’uomo
giusto che dice: “Non sono io l'Atteso! L’Atteso è un Altro”.
Infatti ogni creatura è
in attesa, e questo ce l'aveva già
rivelato prima Giovanni stesso, dicendo: "Colui che viene dopo di
me…". Dicendoci che c’è Uno che viene dopo di noi, ci ha rivelato che
noi tutti siamo in attesa di-. Quindi l'uomo è proiettato verso un'attesa, ogni
creatura è proiettata verso un'attesa, verso un futuro. San Paolo stesso dice: "Tutte
le creature gemono, perché sono in attesa…".
Quindi siamo tutti
proiettati verso Colui che viene. Dio, essendo la Verità, essendo Colui che è, è Colui che viene, perché la
Verità si afferma.
Allora, se Dio è Colui
che viene, noi siamo creature in attesa, proiettate verso Colui che viene, in
attesa del futuro. Noi siamo rivolti verso Colui che deve venire.
Quindi tutte le
creature gemono, soffrono, sono infelici, perché aspettano Colui che viene,
Colui che dovrà venire.
Però, se sono in
attesa, non sanno chi è Colui che deve venire, perché non Lo conoscono,
sono cieche (l’avevamo visto la volta scorsa: "Nessuno mai ha veduto
Dio"). Sono cieche, quindi non sanno individuare l’Atteso. E
allora cosa succede? Che a tutti coloro che incontrano chiedono: "Sei
tu quello che io aspetto?", "Sei tu quello che la mia anima
desidera?".
Nel pensiero del nostro
io, noi il più delle volte, facciamo l’errore di rispondere: "Sì, sono
io", per cui diciamo: "Io sono colui che risponde alla tua
attesa". E dicendo così, noi illudiamo la creatura e illudiamo noi stessi:
ci presentiamo come l'atteso dalla creatura! La creatura che non sa, può anche
dire: "Oh, finalmente ho trovato!"; ma dopo toccherà con mano di
essersi illusa. Quindi, noi abbiamo illuso, e ci siamo illusi di essere quello
che non eravamo.
Giovanni, che è l'uomo
giusto e che parlando dà voce alla giustizia, al vero uomo (per cui ci rivela
quello che deve essere l’uomo), dice: "Non sono io quello che voi
aspettate!", e ci insegna che anche noi dobbiamo rispondere a tutte le
creature: "Non sono io Colui che voi aspettate”, perché noi dobbiamo
rendere testimonianza ad ogni creatura che la sua salvezza è Dio e non noi: noi
non siamo i salvatori di nessuno.
Eligio: Quindi la risposta negativa del Battista
vorrebbe significare che noi in uno stato di non giustizia, tendiamo a farci
noi Cristo.
Luigi: Sì, a sostituirlo e a presentarci alla
creatura, o alle creature, come l'atteso da-, l’atteso da essa, come colui che
risponde alla sua attesa. Ma nessuno di noi può rispondere all’attesa delle
creature, perché ogni creatura è fatta per Dio.
Quindi noi siamo tutti
mezzi che dobbiamo aiutare le creature (ecco il vero amore!) ad andare verso
Dio, ma per aiutarle ad andare verso Dio, dobbiamo confessare: "Non
sono io quello che tu cerchi".
Eligio: Diversamente ci costituiamo come assoluti,
diventando degli enormi ostacoli.
Luigi: Certo, diventiamo degli idoli, idoli che
naturalmente, ad un certo punto, la creatura dovrà pestare. Perché poi è la
vita stessa, anzi è Dio stesso che, attraverso tutte le lezioni della vita, ci
riconduce a farci toccare con mano quello che siamo noi e quindi a far toccare
con mano all'altra creatura, che si era illusa, la sua illusione, in modo da
riportare sempre lei e noi in quella situazione di povertà che è il punto di
attacco della vera strada che porta a Dio.
Eligio: Anche a livello sociale, se tenessimo
presente l’ostacolo che possiamo essere, il danno che possiamo dare, avremmo
un‘altra sensibilità nell’approccio verso le creature...
Luigi: Certo! Bisogna sempre tenere presente che le
creature sono in attesa e interrogano, chiedono, proprio in quanto sono in
attesa,
Direi, tutte le persone
che noi incontriamo per la strada, praticamente noi le consideriamo come il
Messia che deve arrivare, perché noi siamo in attesa di quello, e quindi ad
ogni creatura noi domandiamo: "Sei tu quello che io aspetto?".
Ines: Essendo arrivata tardi, non mi è tanto chiaro
l’argomento.
Luigi: L'argomento era questo: Giovanni Battista, la
cui figura ci viene presentata per la terza volta nel Vangelo di San Giovanni,
qui viene interrogato dai Farisei che erano stati inviati dai Giudei di
Gerusalemme: "Chi sei tu?", e lui risponde: "Non sono
io il Cristo". E abbiamo fatto un commento a questo.
Dobbiamo sempre tenere
presente che Giovanni Battista rappresenta tutta l'umanità e quindi significa
quello che siamo noi. Ma interpreta anche quello che siamo noi.
Lui, interrogato ("Chi
sei tu?"), ci fa capire che noi siamo continuamente interrogati da
tutte le creature che ci dicono: "Chi sei?", "Chi sei?".
Evidentemente le creature
interrogano, perché aspettano qualcuno. È come se noi fossimo alla stazione, aspettando
l’arrivo del treno: noi aspettiamo uno, ma uno che noi non abbiamo mai visto;
allora a tutti quelli che scendono, chiediamo: "Chi sei?", “Chi
sei?”, “Sei tu quello che aspetto?”. Interroghiamo, perché siamo in attesa. E
così è lo stesso: tutti noi siamo lì in attesa di-, per cui a tutti quelli che
incontriamo, chiediamo: "Chi sei?", "Chi sei?",
perché noi aspettiamo.
Ora, Giovanni Battista
con la sua risposta ci fa capire come dobbiamo rispondere se vogliamo essere
nella giustizia: "Non sono io Colui che tu aspetti…Colui che tu aspetti
è un Altro!".
Però dobbiamo aiutarci a
vivere nella giustizia, e uno degli aiuti è quello di non illuderci e di non
illudere. Mentre invece noi, nel pensiero del nostro io, prima di tutto ci
illudiamo ("Ah, io sono questo…! Io sono quello…! Votate me che sono la
salvezza…! Io salvo tutto…!"), mettendoci sempre in primo piano, per poi
dopo, purtroppo, toccare con mano il fallimento.
E sono le creature stesse
che ci ridimensionano, perché esse continuano ad interrogarci: dopo aver
sentito la nostra risposta, il giorno dopo ci interrogano ancora: "Chi
sei?", e il terzo giorno: "Chi sei?", e per tutta la vita ci
chiedono: "Chi sei?".
Ora siccome con i giorni
belli ci sono anche i giorni brutti nella nostra vita (ad esempio, ci svegliamo
un giorno magari con il mal di pancia), allora ad un certo momento, quando ci
troviamo di fronte a quello che siamo, diciamo: "Guarda quello che
sono!". Noi stessi lo diciamo!
Ecco che allora siamo
smontati, siamo riportati alla vera nostra dimensione di povertà, che è la
condizione per poter riconoscere il Messia, conoscere Dio e poi dopo
conoscere noi stessi. Perché se non ci facciamo poveri, non possiamo giungere a
conoscere Dio.
Ecco perché tutta l'opera
dell'Antico Testamento è quella di condurre l'uomo a toccare con mano la sua
povertà.
Gesù dice che Giovanni
Battista è il più grande dei figli di donna, quindi è colui in cui si
sintetizza tutto l'Antico Testamento; è l'ultimo dei profeti nella cui voce si
riassumono tutti gli insegnamenti dell’Antico Testamento. Ora, se noi vogliamo
capire quale sia l'animo di tutto l'Antico Testamento, dobbiamo guardare a
Giovanni Battista, l’uomo giusto, che è consapevole del suo niente. Lo scopo di
tutto l’Antico Testamento è dunque quello di ricondurci alla situazione di
povertà in modo da poter incontrare veramente il Messia, perché se non siamo
poveri, non Lo possiamo riconoscere. Infatti “coloro che non hanno accolto
il battesimo del Battista, non poterono seguire il Cristo, non Lo potevano
intendere” (cf Mt 21,31-32; Lc 7,29-30).
Condizione per poterlo
accogliere e per poterlo intendere è quella di riconoscere la propria povertà,
il bisogno che abbiamo di Lui. Ed ecco allora: "Ah, abbiamo scoperto
quello di cui avevamo bisogno!" (Gv 1, 45), dicono gli Apostoli. Ecco,
“L’abbiamo scoperto!”, dicono. Ma prima hanno accettato la loro
dimensione, la loro povertà, il loro niente e sono stati attratti dal Padre.
È nella consapevolezza di
questo nostro niente che quando arriva Cristo Lo si accoglie: "Ah, era Lui
che io aspettavo!". In caso diverso no! In caso diverso noi Lo vediamo
come un concorrente: “Io sono su un piedistallo, Lui si mette anche su un
piedistallo, quindi è un concorrente”. E allora ecco che avviene la
crocifissione!
Ines: Quindi anche le cose che vanno per traverso
magari hanno una loro funzione?!
Luigi: Certo! Tutto ha la funzione di portarci a
scoprire la nostra vera dimensione, perché soltanto toccando con mano il nostro
niente, noi siamo nella condizione di poter conoscere il Tutto di Dio; e allora,
quando noi riceviamo qualche dono di Dio, qualche grazia, qualche luce di Dio,
l'attribuiamo solo a Lui.
Certamente noi le
riceviamo anche prima le grazie, ma le attribuiamo a noi, alla società,
all'ambiente, invece di attribuirle a Dio. Quando invece tocchiamo con mano
il nostro niente, allora possiamo dire con convinzione. "Ecco, Signore, è
tutto opera tua!".
Per cui non attribuiamo
più le “grazie” a noi, ma nemmeno agli altri, anche perché poi è facile
constatare che quello che sono io è anche quello che è l'altro: siamo tutti
uguali! Quindi la mia povertà è la povertà dell'altro.
E allora lì ci
convinciamo che non riceviamo le “grazie” (aiuti, doni, luce, ecc.) dagli
uomini. Noi le riceviamo da Dio! Perché come nessuno di noi può darsi delle
grazie, così anche non può riceverle dall'altro, perché l'altro è anche un uomo.
Allora a questo punto dobbiamo ammettere che “siamo tutti discepoli,
nessuno è maestro” (cf Mt 23, 8), come dice Gesù. Quindi siamo tutti
scolari e Colui che insegna è Uno solo.
Già nel libro dei
“Profeti“ è scritto: "Saranno tutti ammaestrati da Dio" (Is
54, 13; Ger 31, 33; Gv 6, 45). Quel "saranno" non vuol dire
che non lo siano ancora; quel futuro rivela soltanto che quando noi prenderemo
coscienza della realtà, scopriremo che Colui che insegnava era Uno solo: che
insegnava, che ha sempre insegnato! Soltanto che noi, nella nostra illusione,
credevamo di avere altri maestri, mentre il Maestro è Uno solo.
Allora quando giungeremo
a prendere coscienza della Verità, scopriremo (scopriremo! ecco perché
usa il futuro “saranno”!) ciò che è e che è già sempre stato: “siamo tutti
ammaestrati da Dio”. Ma il futuro è già presente: Uno solo è il Maestro, Colui
che insegna!
Giovanni M.: Quando la creatura ci interroga: "Tu chi
sei?", se non diamo una risposta giustificata in Dio, siamo in errore,
perché poco o tanto mettiamo il nostro io al centro, vero?
Luigi: Certo! Anzi, non solo siamo noi in errore, ma
traiamo anche altri in errore! Perché la creatura che ci interroga, ci
interroga in quanto non ha ancora incontrato, quindi è cieca; però è in attesa,
perché siamo tutti in attesa di Dio. Per cui non dobbiamo ingannarla, ma come
Giovanni Battista dobbiamo rispondere: “Io non sono Colui che tu attendi…”.
Tu capisci che quando uno
ha sete, e quindi è in attesa dell'acqua, sogna una sorgente ad ogni angolo e
ad ogni piccolo accenno, appena vede un po' di verde, dice: "Oh, ma lì,
forse, c'è dell'acqua!". Così è lo stesso: noi siamo in attesa del
Salvatore, in attesa di conoscere Dio, ma siamo ciechi; per cui a
chiunque noi incontriamo diciamo: "Ah, ma forse...!", e questo
avviene perché non conosciamo.
Allora se noi diamo una
testimonianza sbagliata, illudiamo noi stessi, facciamo l'errore noi, e
illudiamo anche l'altro. E
allora poi toccheremo con mano quello che siamo e anche l’altro toccherà con
mano che l’abbiamo illuso. Questo accade a qualunque livello di rapporto, anche
nei rapporti genitori-figli, perché anche qui è sempre lo stesso rapporto:
Colui che insegna è Uno solo, sempre! Quindi noi dobbiamo sempre mantenere
questo rapporto: siamo tutti ammaestrati da Dio; Lui solo è il Maestro, Lui
solo è il Salvatore, il Messia, per cui non dobbiamo mai atteggiarci a maestri,
mai sostituirci al Messia, ma bensì confessare: “Non sono io Colui che tu
attendi”.
Allora anche se io sono
maestro, insegnante, anche se io sono genitore, anche se io sono superiore, io
sono sempre una povera creatura, io sono un allievo e non mi debbo mai
sostituire a Dio. Io debbo interrogare Dio ed aiutare quelle creature che mi
sono affidate a cercare Lui, a cercare il Signore, ad aprirsi al Signore;
aiutarle a mettersi in quella condizione di poter cercare e conoscere Lui e non
me; per cui deve essere loro chiara questa mia intenzione: "Non cercare
me! Non idolatrare me!".
Ora, questo è il primo
servizio da dare ai fratelli. Il vero amore del prossimo sta lì,
nell’affermare: "Anch'io sono una creatura e non Colui che tu
attendi!".
Vediamo nell’Apocalisse
che Giovanni di fronte alla rivelazione ricevuta restò ammirato per quello che
l’Angelo dell’Apocalisse gli aveva mostrato e fece per inginocchiarsi, ma
subito si senti dire dallo stesso Angelo: "No, non adorare me, io sono
una creatura di Dio! Adora Dio!" (Ap 22, 9). Anche l’Angelo è una
creatura e non vuole essere adorato. Quindi se l'Angelo dice: "Io sono una
creatura!", è per dirci: “Adora soltanto il Signore!”.
Quindi, questa è la
testimonianza che ognuno di noi onestamente deve dare. Quindi è vero amore del
prossimo quello di dire: “No, non devi stare a quello che dico io…, non devi
aspettare da me…, non devi guardare me, ma guarda il Signore! Perché il
Maestro, Colui che parla dentro di te, è Dio, quindi ascolta Lui”. E
nell'ascolto di Lui, dopo allora vedrai se la parola che ricevi dalla creatura
è vera o non è vera; però sii sempre in ascolto di Dio.
Eligio: Questo è un argomento molto utile, nuovo per
me, che mi induce a stare molto più attento nel comportamento verso gli altri.
Luigi: Sì, bisogna tenere presente questo fatto:
tutte le creature sono in attesa, hanno bisogno di incontrare Dio, e,
naturalmente, essendo cieche, a chiunque incontrano, quindi anche a noi,
a tutti, domandano: "Sei tu colui che io aspetto?".
Ecco l'onestà, la
giustizia del Battista che dice: "Non sono io!". Vedi l’uomo giusto? Qui si capisce come ad un
certo momento il Battista dica: "È necessario che Lui cresca e che io
diminuisca!" (Gv 3, 30).
Vedi che qui abbiamo
proprio l'uomo che è puro nella giustizia, ed è lì la grandezza del Battista!
"Non c'è mai stato un uomo grande come Giovanni Battista" (Lc 7,
28). È di una nettezza stupenda: "È necessario che Lui cresca e
che io diminuisca!”. “Non sono io Colui che voi attendete!".
Mentre invece è tanto facile per l’uomo mettersi al centro. Tu pensa al giorno
d'oggi, tutti quanti noi ci presentiamo come i salvatori, quando si dice, ad
esempio: "Votate me!". Facciamo noi la propaganda di noi stessi! Tu
pensa, raffrontati a Giovanni Battista, a che punto siamo! Giovanni Battista
dice: "No! Non sono io Colui che tu aspetti!".
Giovanni M.: Se una creatura mi dice: “Tu sei il mio
bene…”, oppure se mi interroga chiedendomi: “Chi sei tu?”, io so dentro di me
che il suo vero bene è Dio, che non sono io che lei aspetta, perché so che la
creatura cerca Dio, ma non ho il coraggio di manifestarlo. E capisco ora che
questo è male, è davvero un male.
Luigi: Certo.
Eligio: La vera risposta però si può dare a parole
oppure con lo stesso atteggiamento..., mettendoci da parte.
Luigi: Sì, bisogna aiutare l'altra creatura a
rivolgersi verso Colui che essa attende, perché la funzione di Giovanni
Battista, dell’uomo giusto, è quella di segnalare il Messia, e per segnalarlo
lui si mette da parte. E quando la creatura nonostante che lui si metta da
parte lo esalta, perché la creatura può anche sbagliare e dire: "No, no,
sei tu il mio bene!" (ci sono infatti dei suoi discepoli che non si
vogliono staccare da lui), lui risponde: "No, non sono io il tuo bene! Io
mi metto da parte perché guardo alla tua salvezza; altrimenti domani tu saresti
delusa”.
Eligio: Tante volte, se non stiamo attenti,
accettiamo il ruolo di Dio, nei confronti di creature che ci chiedono un aiuto,
ed è un errore.
Luigi: Certamente. Non si dice mica esplicitamente:
"Io sono Dio!", ma lo si dice nel modo con cui uno si comporta!
Giovanni M.: Comunque penso che bisogna dirlo chiaro che
noi non siamo ciò che esse aspettano e non bisogna lasciar credere che siamo
noi a fare o ad aiutare.
Eligio: E soprattutto dobbiamo orientare la creatura
verso Colui che veramente la può aiutare.
Giovanni M.: Se so che c’è un Essere Superiore che dirige
tutto, devo stare attento a come parlo.
Luigi: Vedi, se noi abbiamo presente Dio, è lo
Spirito stesso di Dio che ci conduce, ci corregge e ci fa toccare con mano:
"Dì, guarda! Cosa stai dicendo?”. Se noi diciamo una parola non secondo lo
Spirito, lo Spirito subito ci rimprovera: "Cosa stai dicendo? Guarda che
domani dovrai rimangiarti tutto!". Se noi invece non abbiamo presente
lo Spirito di Dio, ci fa piacere essere al centro, proviamo piacere ad
essere esaltati, per cui ci lasciamo guidare dal piacere.
Teniamo presente che già
Eva, nel Paradiso Terrestre, quando ha accettato la tentazione, ha visto che il
frutto proibito era "bello e buono a mangiarsi" (Gen 3, 6).
Ecco, l'ha visto buono e bello, cioè piacevole, ma dopo che aveva già messo il
pensiero del suo io al centro dei suoi pensieri. Così, lo stesso succede a noi,
e allora ci lasciamo guidare da “questo mi fa piacere….quell’altro no….”.
Questo vuol dire che abbiamo messo al centro il pensiero dell'io, per cui non
ci lasciamo più guidare dalla giustizia, ma da quello che ci fa piacere, e qui
l'errore è grave!
Giovanni M.: Comunque l’errore sta proprio nel non
spiegare le cose come sono alla persona che aspetta qualcosa da noi.
Luigi: E già! E siamo lì, nella testimonianza del
Battista: Giovanni Battista è l'uomo che insegna a noi ad essere uomini,
cioè ad essere ciò che veramente siamo, per poter incontrare Cristo, per poter
individuare il Cristo. Egli è colui che è venuto a preparare l'uomo
all'incontro col Cristo. Cosa vuol dire questo? Che dobbiamo imparare ad
essere come lui, a rispondere come lui risponde, a operare come lui opera,
perché quello è l'“uomo”.
Giovanni M.: Succede però che tutti i giorni, anche sul
lavoro, si trovano delle persone che ci interrogano e che magari ci esaltano.
Luigi: Certo, tutti i giorni noi siamo sollecitati;
certamente le creature non ci chiedono esplicitamente: "Chi sei?",
ma indirettamente sì.
Giovanni M.: Dentro di me so che sono niente e che c’è un
Essere Superiore, ma questo penso proprio che devo dirlo alle creature,
specialmente quando mi dicono magari che sono bravo o buono. Finora non ci
avevo mai pensato che devo dire loro quello che il Battista ha risposto: "Non
sono io Colui che voi cercate...",
Ines: Io sarei già contenta almeno di pensarlo.
Certo, anche le parole e gli atteggiamenti aiutano, ma prima bisogna essere
convinti dentro. Ma se non lo penso, è perché non sono ancora convinta...
Luigi: Non sei convinta di che cosa?
Ines: Più che non convinta, non lo tengo presente,
perché effettivamente sono convinta che Dio è il massimo Bene che la creatura
cerca e che noi siamo niente.
Eligio: Però alle creature, per giustizia, va detto:
“No, non dirmi bravo o buono, poiché Uno solo è buono…”.
Luigi: Infatti Gesù dice: "Fate le opere
vostre in modo che le creature, vedendole, lodino il Padre..."; cioè
non dicano: "Guarda quell’uomo come è bravo!". Bisogna che chi ci
veda possa dire: "Quanto è buono Dio!".
Gesù stesso, quando gli
si presenta il giovane ricco che gli dice: "Maestro buono!",
lo riprende: "Perché mi dici buono? Uno solo è buono, Dio!",
(Mt 19, 16-17) e lo dice Lui che era Dio! Ma siccome si presentava come
uomo, di fronte al giovane che Lo considerava uomo e che confondeva quindi
Dio, che è il Buono, con l’uomo perché gli diceva “Maestro buono”,
Lui non accetta e lo orienta al Padre. È da notare che in altro luogo Gesù
dice: "Imparate da Me che sono mite ed umile di cuore" (Mt 11,
29): quindi, più buono di così! Eppure Lui dice: "Perché mi dici buono?
Uno solo è buono, Dio".
Buono vuol dire
desiderabile: ciò a cui, o meglio,
Colui al quale devo rivolgere la mia fame, il mio desiderio. Quella è la bontà:
ciò che è desiderabile! Quindi dicendogli: “Uno solo è buono, Dio",
è come se gli avesse detto: "Devi desiderare Dio”.
Infatti Gesù dice: "Nessuno
può venire a Me se non è attratto dal Padre" (Gv 6, 44); noi siamo
attratti da ciò che è buono e solo Dio è "buono". Quindi se siamo attratti
da Dio, allora andiamo anche alle creature, ci rivolgiamo anche alle creature,
ma mai considerandole “buone”, cioè “desiderabili”, poiché per me “il buono” è
Dio. Ed è così poi che tutte le creature aiutano e collaborano. Però la gloria
è sempre di Dio, per cui si rende sempre gloria a Dio. Ecco, allora lì si è a
posto.