HOME


Perché la legge è stata data da Mosè, la grazia e la Verità sono state diffuse da Gesù Cristo. Gv 1 Vs 17


Titolo: Legge, Grazia, Verità.


Argomenti: Il concetto di legge, grazia e verità. La grazia ci dà la volontà, la legge no. Purezza è totale disponibilità. La legge coincide con la giustizia. La presenza del Cristo ci dà la grazia di attuare la legge.


9/Maggio/1976


Dall'esposizione di Luigi Bracco:

 

La volta scorsa ci siamo soffermati sul versetto 16: “Dalla sua pienezza noi tutto abbiamo ricevuto e grazia su grazia…”. Adesso passiamo al versetto 17 che dice: “…perché la legge è stata data da Mosè, la grazia e la Verità sono state diffuse da Gesù Cristo”.

Ecco, i concetti principali di questo versetto su cui dobbiamo soffermarci sono: la legge, la grazia e la Verità.

Intanto qui, nella seconda parte del versetto: “...sono state diffuse da Gesù Cristo”, bisogna subito precisare il termine “da” e il concetto di tempo. Siccome Gesù Cristo è il Verbo di Dio presente che parla ad ogni uomo, questo “da”, dovrebbe essere inteso come “in”, e il tempo passato (“...sono state diffuse”) come un presente (“sono diffuse ”). Quindi il versetto andrebbe letto così: “...la grazia e la Verità sono diffuse in Gesù Cristo”.

Cioè, anche se Gesù Cristo è venuto, è vissuto in un certo tempo, non è che con questo noi abbiamo la grazia e la Verità. La grazia e la Verità sono sempre “in” Lui, per cui solo nella misura in cui noi ci fermiamo “con” Lui, “in” Lui troveremo la grazia e la Verità.

Quindi “la grazia e la Verità sono diffuse in Lui”. Per cui se noi, anche vivendo dopo di Lui, non ci fermiamo con Lui, non vediamo la grazia e la Verità, perché la grazia e la Verità non sono “da” Lui automaticamente, ma sono “da” Lui per quanto noi siamo “in” Lui, in quanto ci fermiamo "con" Lui. Cioè non “sono state diffuse da Lui” nel senso che ormai ce le ha portate e le troviamo in qualunque angolo! No, sono sempre e solo “in” Lui!

Quindi solo nella misura in cui ci uniamo al Cristo, noi troviamo la grazia e la Verità.

Però adesso, per approfondire tutto il versetto e per evitare di divagare nella conversazione, penso che sia opportuno precisare subito i termini “legge - grazia - Verità”, in modo da poter conversare con dei termini che siano chiari, vista la loro ambiguità.

Per semplificare, tradurrei i termini “ legge - grazia -Verità”, con queste espressioni:

·Legge  =  devo mangiare (oppure, inteso come ordine: bisogna mangiare, devi mangiare!)

·Grazia  =    ho desiderio di mangiare.

·Verità   =    incontro con il Pane.

·Cioè la legge esprime un comando dal di fuori di noi ("devi mangiare!”), però non ci dà la volontà, il desiderio, la grazia di mangiare. Non basta dire ad uno: "Devi mangiare!”, perché lui mangi. Ecco il limite della legge!

La legge è un ordine che ci coglie dall'esterno, che noi riconosciamo giusto, ma non ci comunica la volontà di farlo.

·La grazia invece è desiderio di mangiare: è la fame. Questo desiderio, ci rende poi disponibili all’ascolto di Dio. E allora qui ci colleghiamo con la “pienezza di grazia" di Maria di cui abbiamo parlato la volta scorsa. Maria è la creatura "piena di grazia": tutta ascolto, tutta desiderio di-. Quindi "pienezza di grazia" è la piena disponibilità all’ascolto di Dio, cioè è “distacco” dal mondo e "tutta apertura" al Pane celeste, al Verbo di Dio che parla.

Qui abbiamo anche un concetto di "purezza" e di "non purezza". Il concetto di “puro” e il concetto di "impuro" nel campo dei segni li colleghiamo sempre ad aspetti naturali; invece nel campo dello spirito il concetto di "impuro" è "non disponibilità", mentre il concetto di "purezza", di "pienezza di grazia", coincide con la disponibilità all’ascolto. 

Quindi là dove non c'è disponibilità all’ascolto, non c’è purezza. Se non abbiamo, ad esempio, tempo interiore per Dio, se non abbiamo spazio interiore per l'ascolto, siamo impuri; infatti, se la pienezza di grazia (l’abbiamo visto la volta scorsa) coincide con la piena disponibilità all'ascolto (e la creatura che è tutta aperta all'ascolto è la Vergine), e quindi con la purezza dell'anima, impuro è colui che non è disponibile all’ascolto di Dio.

·Infine la Verità è l'incontro con il "Pane di Vita".

Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: Hai detto che la legge ci dà il comando dall'esterno, ma non ci dà la volontà e hai precisato che la volontà è dono della grazia. Ma allora chi non ha la volontà, non ce l’ha perché non ha la grazia? Se così fosse, non capisco quindi la responsabilità che ha.

Luigi: Ti ricordi che la volta scorsa abbiamo parlato di "grazia su grazia", e abbiamo detto che tutto è grazia, tutto è dono di Dio? Però i doni di Dio, quando giungono a noi, devono sempre essere visti in Dio e non nel pensiero dell'io, perché se noi li rivestiamo del pensiero dell'io, ce ne appropriamo, restiamo soddisfatti di quel dono e non cerchiamo altro.

Se invece li vediamo nel Pensiero di Dio, quei doni che riceviamo, aumentano in noi la fame, ci muovono la volontà, muovono il desiderio, perché ci fanno cercare, ci fanno cogliere il significato del dono.

Allora, se penso a me stesso, ricevendo un dono, mi approprio del dono e non penso al significato di esso, non me ne preoccupo; cioè mi interesso del piacere, della gioia che quel dono mi dà: quel dono soddisfa la mia ambizione e non cerco altro! Dico: "Guarda come mi sta bene questo dono!".

Se invece penso a Dio, comincio a interrogare, e qui si capisce come anche le disgrazie diventino un dono, perché nel Pensiero di Dio, tutto quello che arriva, in quanto mi arriva da Dio, è dono di Dio e mi impone un interrogativo: “Perché Dio mi ha fatto questo o mi ha mandato questo? Qual è il significato di questo che mi sta arrivando?”.

Allora, nella preoccupazione di cercare il significato, ecco che si forma in noi la fame, il desiderio di capire lo scopo, il senso dell'opera di Dio.

Però, per passare a cogliere questo senso delle cose, ci vuole il consenso da parte nostra.

Per cui le cose arrivano da Dio con un significato, hanno un senso, però chiedono a noi di essere sempre viste con il Pensiero di Dio, per cui non ci dobbiamo mai staccare da Dio, perché come noi ci stacchiamo da Dio, ne facciamo una disgrazia : = non – più - grazia.

Quindi tutto è grazia, se però noi lo riceviamo da Dio.

Allora questo ci dà la volontà, ci dà il desiderio, ci dà la fame.

Eligio: La grazia quindi sollecita la volontà, la legge no. Però nell’ubbidienza alla legge ci sarà pur una volontà, no?! Altrimenti a che cosa serve la legge?

Luigi: La funzione della legge è il cavallo di battaglia di s. Paolo, sia nella Lettera ai Romani che nella Lettera ai Galati, dove egli si chiede: “Ma la legge a cosa è servita?”.

La legge è servita per farci toccare con mano la nostra morte, la morte in cui ci troviamo quando non siamo inseriti nella grazia. Per cui s. Paolo dice: “Io ero morto e non lo sapevo! È venuta la legge e mi ha ordinato: tu devi vivere per questo! Allora io ho scoperto che ero morto!”.

Allora, perché la legge? La legge ci è stata data per farci toccare con mano la giustizia, perché la legge coincide con la giustizia (quando si parla di legge, si parla di quello che è giusto). Noi infatti riconosciamo che è giusto ciò che la legge ci dice: “Devi amare Dio con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutto te stesso” (Dt 6, 5). Gesù dice che questo comando è il centro di tutta la legge di Dio, e noi diciamo: "È vero, è giusto!".  Ma proprio perché ci è stata data per farci toccare con mano la giustizia, la legge ci fa toccare con mano la nostra morte.

Infatti non basta che io dica: "È vero, è giusto!" per poterlo attuare, e questo mi fa toccare con mano l'immensa lontananza in cui mi trovo. Ecco, mi fa toccare con mano la mia morte! E questo mi porta ad invocare, perché mi porta nella povertà, nel bisogno e quindi nell’attesa di un aiuto; cioè mi porta a dire: “Di chi ho bisogno? Ecco, ho bisogno del Cristo!”.

Quindi la legge è stata il nostro pedagogo, dice S. Paolo, che ci ha condotto al Cristo”.

Quando quel giovane ricco va ad incontrare Gesù e gli chiede: "Cosa debbo fare per arrivare alla vita eterna, cioè per conoscere Dio come vero Dio?", Gesù gli risponde: "Osserva i comandamenti!"; al che egli può affermare: "Io li ho osservati fin dalla mia giovinezza!" (Mt 19, 16-21): ecco, ha osservato la legge!  Ed è appunto perché l’aveva osservata fin dalla giovinezza che è andato a cercare il Cristo!

Cos'è che l'ha sospinto ad andare a cercare il Cristo? Proprio l'osservanza dei comandamenti! Proprio perché si era preoccupato di osservarli (quindi non li aveva presi a calci), aveva scoperto di non riuscire ad arrivare alla vita eterna. E questo allora l'ha condotto ad interrogare.

Quindi la legge, facendoci toccare con mano che noi non compiamo e non possiamo compiere quello che essa ci dice, ci conduce al Cristo. Ci fa toccare con mano la nostra povertà, la nostra miseria, la nostra morte e ci mette quindi nella disponibilità di accogliere il Cristo, e sarà proprio la presenza del Cristo che ci darà la volontà, la grazia di attuarla.

Ora dico, come mai la legge è inefficace? Come mai non ci dà questa volontà?

Perché noi siamo dominati dalle presenze e la legge non è una presenza! Noi siamo schiavi del mondo, di tutto un mondo che abbiamo presente nel pensiero del nostro io. Per cui dico: "Sì, sarebbe bello se tutti vivessero così, allora sì! Ma purtroppo ci troviamo in una società di delinquenza e allora… anch'io devo essere delinquente, altrimenti non vivo, altrimenti resto schiacciato!".

Allora la legge mi dice: "Tu devi fare questo!". Però l'attualità in cui io mi trovo, è molto diversa, ed io devo vivere in questa attualità! Ho dei rapporti con questa attualità, per cui con i delinquenti io mi devo comportare non come dice la legge, altrimenti resto schiacciato.

Quindi, siccome noi siamo dominati dalle presenze, dalla realtà di oggi, dal disordine, dalla lontananza dallo Spirito di Dio, ecco che nella “marmellata” in cui ci troviamo, la legge è inefficace.

Noi abbiamo bisogno di trovare un'altra Presenza nel nostro mondo: la presenza del Cristo, perché è quella che ci dà poi la grazia di realizzare la legge.  E questa Presenza noi la troviamo se, ubbidendo alla legge, riconoscendo che è giusta (facendo quindi la giustizia), mettiamo Dio prima di tutto, pur constatando il fallimento.

La legge infatti ci fa constatare il nostro fallimento, però vuole soltanto essere riconosciuta come "giusta". Ora “la perfetta giustizia - dice il Libro della Sapienza - sta nel conoscere Dio” (Sap 15, 3).

Se riconosco che è giusto cercare di conoscere Dio, mettere la conoscenza di Dio prima di tutto, perché noi siamo stati creati per questo, perché questo è il nostro destino, è vero che non attuo la legge (anzi, fallisco perché constato la mia incapacità, la mia povertà, il mio disordine), però ho fatto il primo passo, perché con l'animo aderisco e dico: "È giusto questo!".

E questo è ciò che conta, perché potrei invece dire: "No, questo non è vero, non è giusto!", ma allora non giungerei a scoprire la mia povertà e quindi a trovare il Cristo. Se invece dico: “Questo è giusto!”, è vero che mi trovo in una situazione di impotenza, di incapacità per realizzarlo, però si forma in me il bisogno del Cristo.

"Come mai - grida S. Paolo - io vedo il bene e faccio il male?” (Rm 7,19). “Vedo il bene…”, ecco, come mai lo vedo? Il fatto di vedere, vuol dire che ho aderito! Lo vedo, e come mai faccio il male? Perché sono schiavo!

Allora ho bisogno di incontrare Colui che mi dà quel supplemento di anima, cioè quella Presenza tra le presenze che mi portano via, che mi impediscono di vivere per Dio. Nel pensiero del mio io ho bisogno di vedere un Altro, di incontrare un Altro che sia una Presenza, perché noi siamo salvati da una Presenza, da un Essere presente, da una Realtà, non da una regola.

La sola regola (la legge è regola) non ci salva, perché non ci può liberare dal pensiero del nostro io. Io ho bisogno invece di un Altro, di una Persona, di un Essere; ma non di un essere qualsiasi ma dell’Essere, di Colui che è, e Dio è l’Essere.

Ma per giungere a quell'Essere, siccome io sono in prigione con altri esseri, con altre presenze fisiche, ho bisogno di trovare in mezzo a questi altri esseri un essere, una presenza fisica, che però sia Dio, altrimenti non posso agganciarmi a Dio! Resto dominato da queste altre presenze! Per cui è solo da Cristo, in Cristo, che ho la “grazia” di liberarmi dalle altre presenze.

Eligio: Ma anche in questa prima fase del cammino verso Dio, c’è pur una volontà, se c’è l’adesione alla legge, ed è allora la legge stessa che muove la volontà, no?

Luigi: Direi, alla legge aderisco intellettualmente, ma la regola non mi dà la forza, la volontà, perché la volontà è già l'ultimo gradino nelle operazioni della nostra vita:

·prima c'è il pensiero,

·poi c'è la giustizia,

·poi c'è la coscienza.

La volontà poi è quella che attua, che realizza, ma è già un campo di applicazione: un campo di applicazione di cose molto più a monte, per cui, a seconda di quello che io desidero, a seconda di quello che io penso, poi dopo voglio. Quindi a seconda di dove io ho gli interessi, poi dopo voglio.

Ora, naturalmente, la legge mi coglie all'ultimo atto, nel momento in cui io agisco; ed ecco che qui ho il muro; cioè qui esperimento l’incapacità o la ribellione, perché:

- se intellettualmente riconosco giusta la legge e vi aderisco, essendo dominato da altre presenze, esperimento l’inefficacia di essa: non mi dà la forza per attuarla, per cui esperimento la mia incapacità e povertà.

- se intellettualmente non aderisco ad essa, se seguo i miei interessi, se vado dietro al pensiero del mio io, quando dico: "Io voglio fare una cosa!", la legge mi dice: "Non farla!", e qui esperimento la ribellione, anche perché essa, siccome mi coglie dall'esterno, mi viene dall’esterno, è un'offesa al mio io, è un'offesa alla mia volontà, è una privazione di libertà. Ecco perché abbiamo ad un certo momento la reazione dell'uomo che dice: “Facciamo fuori Dio, perché io voglio essere libero!”.

Eligio: La legge però mi dà anche delle norme positive, non solo dei divieti.

Luigi: Certo, ma queste norme positive si sintetizzano in: "Ama il Signore Dio tuo, al di sopra di tutto, prima di tutto!". Però questo ordine mi sorprende quando già sono in una certa direzione, per cui mentre io sto camminando su di una strada, questa legge mi dice: "Non questo, ma quello!". Ma non basta questo comando! Perché quando sono nel pensiero del mio io, anziché vedere in esso l’orientamento positivo, vedo il divieto e quel divieto lo vedo come una stroncatura, lo vedo come un limite, come un muro che mi impedisce di andare avanti.

In termini naturali, già tutta la creazione è una legge, perché nella natura stessa io trovo tanti limiti alla mia esistenza. Per cui vorrei correre, ad esempio, a mille all'ora e invece posso correre soltanto a dieci all'ora: è colpa dei limiti. Ho i limiti del tempo, ho i limiti dello spazio, tutto mi limita. Prova, se riesci, a fermare il tempo! Non possiamo fermare il tempo! Eppure vorremmo fermarlo! Ecco, già tutto l'universo ci limita!

La presenza di Dio in noi crea in noi un'aspirazione all'infinito, però noi, questa aspirazione all'infinito, l'attribuiamo al nostro io! Il nostro io vorrebbe espandersi all’infinito, ma incominciamo a trovare i muri del tempo, dello spazio, ad esperimentare i limiti, ecc.

Tutto questo è legge, per cui noi ci sentiamo limitati, sempre più limitati.

Tanto più che, ecco, ad un certo momento questa legge diventa addirittura parola che dice: "Tu devi volere questo!", e lì, se non riconosco giusta la legge, io mi sento offeso, perché ho un certo interesse e vedo una volontà contraria. Vedo cioè la legge come volontà diversa, come una volontà che s'impone, che mi limita. Ecco allora la reazione dei vignaioli che dicono: "Facciamo fuori l'erede, così la vigna sarà nostra!" (Mc 12, 7). Quale vigna? La nostra vita! Così non avremo più dei limiti, non avremo più dei confini!  

Eligio: La legge però può almeno farmi capire che la mia volontà può essere una volontà di rovina, no?

Luigi: Può fartelo capire! Però, anche se lo capisci, non basta, perché non basta aderire alla legge per poterla attuare! Vedo il bene, lo posso capire, anzi, quando la legge si impone e mi dice: “Mettiti a posto con Dio! Tu devi occuparti di Dio!”, io dico: "Se Dio esiste, è giusto questo! È vero questo!”. Quindi il bene lo vedo, però non basta vederlo per poterlo attuare.

Ma perché? Perché se io mi occupo di Dio, come faccio a mangiare? Come faccio a vestirmi? Come faccio a guadagnare? Come faccio ad avere una casa? Ecco, ho altre realtà presenti! Sono queste altre realtà presenti che mi impongono di venir meno a quel comando! Perché io non sono un uccello su un ramo, per cui dico: "Va bene, io penso solo al Signore!". No, perché ho la famiglia, ho dei doveri. Ed è soltanto se trovo un altro Essere superiore, il Cristo, con cui posso "fare blocco", come faccio blocco con le creature verso le quali sento dei doveri, posso essere liberato e reso disponibile ad occuparmi di Dio.

Eligio: Questa è una soluzione, una possibilità di liberazione, che è valida per noi che abbiamo la conoscenza del Cristo, anche solo storicamente. Ma mettiamoci nella condizione di chi è vissuto precedentemente al Cristo...

Luigi: Non cambia, perché anche chi è vissuto prima di Lui, può maturare in sé il bisogno del Cristo, perché anche lui è di fronte alla legge: anche la natura stessa, anche la stessa creazione, è legge. S. Paolo stesso dice: “Anche colui che non conosce la legge (la legge positiva), ha come legge la natura, la coscienza” (cf Rom 1, 19-20), e se la riconosce giusta, forma in sé il bisogno del Cristo.

Comunque i concetti di: “legge” (bisogna mangiare), “grazia“ (ho desiderio di mangiare), “Verità” (incontro con il Pane), sono chiari? Perché altrimenti noi parliamo di legge, di grazia, di Verità e magari ci confondiamo perché attribuiamo a queste parole altri significati. Invece, posto il significato di queste parole in questi termini, abbiamo ora la possibilità di parlarne, senza più confonderci.

Giovanni M.: S. Paolo dice anche che la lettera della legge uccide e che è lo Spirito che vivifica…

Luigi: Certo. È il tema principale per s. Paolo quello della legge. Cioè egli vuole dimostrare che la legge non ci salva! Cioè la legge non ci assicura la vita, e questo l'abbiamo constatato tante volte... La legge, come la natura, non ci assicurano la vita! Chi ci assicura la vita è la grazia! È il desiderio! Cioè non basta dire ad un uomo: "Devi mangiare!", perché lui mangi; lui ti dirà: "Io non ho fame!". E così è lo stesso: non basta dire ad un uomo: "Devi amare!"; lui ti dirà: "Ma io non posso amare!". Perché? Perché fintanto che non vede, cosa ama?

Noi per poter amare dobbiamo vedere l'oggetto da amare. Per desiderare, dobbiamo vedere l'oggetto da desiderare! Solo quando l'oggetto viene presentato in vetrina, incominciamo poi a desiderarlo; ma prima no!

Allora, la legge mi dice quello che è giusto, ma non mi dà la volontà, non mi dà la capacità di volere, perché non mi dà la conoscenza di ciò che devo volere. Quello che mi dà la capacità di volere è la presentazione, è la conoscenza. La legge invece non mi dà la conoscenza, per cui praticamente mi fa solo toccare con mano la mia impotenza, la mia incapacità, il bisogno di un Altro che mi dia una mano.

Ecco, mi fa nascere e toccare con mano il bisogno. Per cui dico: "Che cosa debbo fare io per arrivare là dove mi dice la legge? E cosa mi dice la legge? Cerca la vita eterna. Ma io l'ho cercata, però non vi sono arrivato, e allora che cosa debbo fare?". Ecco che la legge mi conduce a Qualcuno a cui rivolgere la domanda: “Dimmi cosa posso fare per-, perché io ho cercato, ma...”.

Hai cercato di aderire alla legge, ma la legge non ti ha dato quello che cercavi. Non te lo può dare! Anzi la legge ti può far diventare orgoglioso, se non ne cogli l’anima.

Infatti siccome la legge è regola, noi possiamo travisare l'anima della legge. Per cui, quando la legge mi dice: "Non rubare", io cerco di non rubare, ma non colgo che l'anima del non rubare è: "Cerca il Signore Dio tuo con tutta la tua mente, con tutta la tua anima, con tutto te stesso!": questa è l'anima, e solo osservando l’anima io non rubo veramente!

Ma se io non ne colgo l'anima, se non cerco Dio prima di tutto e non rubo, il mio "non rubare", mi fa diventare soltanto un essere orgoglioso, mi fa appartenere ad una classe separata, per cui dico: "Io non ho rubato, io non sono come gli altri, io sono un puro!". Quindi mi dà la sensazione di essere un giusto, di essere un virtuoso e invece sono un orgoglioso: cioè mi sono messo, addirittura, all'opposto dell'anima della legge! Ecco perché la legge non mi dà la grazia!

E non me la dà anche quando ne colgo l’anima, perché mi fa solo esperimentare l’impotenza; mi fa sospirare il Cristo, ma non mi dà la grazia… Perché chi mi dà la grazia è la Persona, è la fede nell'altra Persona, è l'Altro, un Essere Personale!

Per cui il cristianesimo non sta nelle regole; il cristianesimo sta nella presenza di una Persona: è la presenza dell'Altro che mi libera dal mio io, perché la regola non mi libera dal mio io, anzi, conferma il mio io, perché: "Io ho fatto questo! Signore, Ti ringrazio perché non sono come gli altri: pago le imposte...,ecc.…, per cui sono diverso dagli altri". Ma il Signore mi dice: "Non sei giustificato!" (Lc 18, 9-14).  

Cina: Però a me sembra che la legge sia anche necessaria…

Luigi: La legge è necessaria! È necessaria! Infatti s. Paolo dice: "Ma allora cosa facciamo? Distruggiamo la legge? No, la comprendiamo!" (cf Rm 7, 7-12). Infatti Gesù dice: "Io non sono venuto per abolire la legge, ma per compierla, per portarla a compimento!" (Mt 5, 17). Cosa vuol dire “sono venuto per portarla a compimento”? "Sono venuto a darvi la possibilità di arrivare là dove vi dice la legge".

Ecco perché ci vien detto che “la grazia e la Verità sono diffuse in Gesù Cristo per coloro che rimangono in Lui, con Lui! Per cui se in noi, avendo colto l’anima della legge, si è formato il problema: "Cosa debbo fare per arrivare alla vita eterna?", ecco che Gesù viene a soddisfare, a rispondere a questo bisogno, dandoci la “grazia” per giungere alla “Verità”, e quindi alla “vita eterna”.

Allora, la legge ci presenta la meta, ci fa toccare con mano dove dovremmo arrivare, ma nello stesso tempo, ci fa toccare con mano la nostra incapacità di arrivare là; ma questo è un passaggio obbligato, perché, per arrivare al Cristo abbiamo bisogno di essere poveri, di riconoscerci peccatori, di sperimentare di essere morti, di toccare con mano il nostro niente e il bisogno che abbiamo di Dio.

Nel pensiero del nostro io noi facciamo conto su di noi anziché far conto su Dio, mentre invece (l’abbiamo visto nel tema "grazia su grazia") la vita sta sempre nel far conto su Dio, nel riferire tutto a Dio: questa è la cosa veramente importante!

Allora, ecco la necessità della legge che mi fa toccare con mano la mia impotenza, la mia povertà, il mio niente, quindi il bisogno dell'Altro, l'Altro con la A maiuscola, che è il Cristo, che è Dio! Non il Dio che sappiamo che esiste, Spirito trascendente, ma il Dio-uomo, perché a causa del pensiero del nostro io, ormai quello che su di noi domina, sono gli uomini, sono le presenze materiali, le presenze fisiche (c’è il bisogno del mangiare, c’è il bisogno del vestire, ecc.). Sono tutti questi condizionamenti che ci impediscono di "amare il Signore Dio con tutta la nostra mente, con tutte le nostre forze", per cui non possiamo dedicarci a Dio, perché abbiamo tanti altri impegni.

Come mai ho questi impegni anziché impegnarmi nell’unica cosa necessaria? Ma perché sono dominato da tutte le presenze fisiche: non ho la Presenza di Dio, ho le altre presenze! Per cui, con le altre presenze, io debbo vestirmi così, debbo abitare così, devo viaggiare così, devo guadagnare così: tutte queste cose mi impediscono di avere del tempo per Dio, per occuparmi di Dio.

La legge dunque è necessaria per farmi esperimentare questa mia impotenza e quindi per formare in me il bisogno del Cristo.

Però la legge può essere travisata, in quanto, nel pensiero del mio io, può diventare regola. Cioè io posso non vedere l’anima, non cogliere l’anima della legge e fermarmi soltanto alle regole singole. Ma queste regole singole mi gonfiano d’orgoglio. Quindi la legge, può creare l'uomo ambizioso; non che la legge voglia creare l'uomo ambizioso, l'uomo orgoglioso o la casta. La legge non vuole questo, perché la legge è buona in sé! Però, intesa nel pensiero del nostro io, diventa un modo di essere, diventa una certa applicazione: devo andare qui o andare là, fare questo o fare quell'altro…; io questo lo faccio, invece gli altri non lo fanno…; quindi mi porta a confrontarmi con gli altri, proprio perché diventa regola, ed io credo di essere salvo, mentre invece, mi sono aggravato nella lontananza da Dio!

Pinuccia B.: La funzione di Gesù allora è quella di farci cogliere l'anima della legge?

Luigi: No, l'anima della legge noi la possiamo cogliere (e la dobbiamo cogliere!) prima di Cristo, se in noi c'è la coscienza retta, se in noi c'è l'amore alla giustizia.

Cogliere l’anima della legge presuppone in noi l'amore alla giustizia, il battesimo di giustizia, cioè il ritenere giusto mettere Dio prima di tutto. È questo amore alla giustizia che ci fa incontrare il Cristo!

Allora nella giustizia noi riconosciamo che la legge è giusta, che ciò che dice la legge è giusto. Ma è con il Pensiero di Dio, solo se ho presente il Pensiero di Dio, con Dio, che posso riconoscere quello che è giusto.

Infatti quando la legge mi dice: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente…”, se io penso Dio, lo riconosco giusto, ma se io non penso Dio, dico: “Sono storie!”. E già, perché ci vuole lo Spirito per riconoscere giusto ciò che mi dice la legge!

Pinuccia B.: Posso anche prima di Cristo arrivare a cogliere l'anima di ogni singolo comandamento ?

Luigi: Sì, posso arrivare pure a questo, anche prima di Gesù, però questo non è sufficiente per darmi la possibilità di arrivare al compimento di quello che ritengo sia giusto. La grazia per giungere al compimento me la dà Gesù.

Pinuccia B.: Tu dici che la legge vuole solo essere riconosciuta giusta e che anche se non la attuo, l’importante è che io aderisca. Ma questo non basta per salvarmi!

Luigi: Infatti la legge non mi salva; la legge chiede a me che io riconosca quello che è giusto! È questa la sua funzione: farmi riconoscere quello che è giusto.

È il primo passo, perché riconoscendo quello che è giusto, io tocco con mano la mia ingiustizia, io tocco con mano il mio peccato, io tocco con mano la mia morte, ed ecco che incomincio a piangere, incomincio ad invocare, incomincio a dire: "Chi mi libererà da questo corpo di morte?" (Rm 7, 24).

E come faccio a dire che mi trovo in un corpo di morte, per cui conosco, vedo quello che è bene e poi faccio il male? E come mai faccio il male? Nell'occasione io faccio il male! Come mai io faccio il proposito al mattino e poi cinque minuti dopo sono già caduto? Come mai? Vedo quello che è bene, vedo quello che è giusto, ma, occasionato, cado. Come mai? Mi manca la grazia!

E come mai mi manca la grazia? Operano su di me altre presenze! Vedo un essere antipatico e ho un moto istintivo di ripulsa! Eppure mi ero già proposto di amare tutti i miei fratelli! E come mai io vedo quella persona e ho un moto di ripulsa?

Mi manca la presenza del Cristo! Non vedo il Cristo! Allora io so che dovrei amare, so che dovrei amare i fratelli, che è giusto, secondo Dio, che io ami il fratello, anche l'antipatico, e come mai invece, di fronte all'antipatico ho il moto di ripulsa?

Perché non vedo il Cristo. Ecco, non ho la Presenza.

Quando non abbiamo la Presenza, sono le altre presenze che operano tra di noi che determinano i nostri comportamenti: per cui io vedo, ad esempio, una bignola e mi viene l'acquolina in bocca. Come mai mi viene? Eppure mi ero proposto di non lasciarmi attirare dai desideri di gola! Come mai? Sono le presenze che operano su di noi. Allora, chi ci libererà da queste presenze che operano su di noi, che ci condizionano, che ci fanno essere così? È l’Altro! È la presenza del Cristo!

Quindi soltanto quando vedrò la presenza del Cristo… scusatemi, anche nella bignola, la bignola non mi susciterà più l'acquolina in bocca! Anche il fratello antipatico, se vedo in lui il Cristo, non mi crea più quella ripulsa, anzi! Proprio perché vedo in lui la presenza del Cristo! Quindi è soltanto il vedere la presenza del Cristo "in tutto" che mi dà la grazia di non essere più dominato da tutto quello che mi porta via.

È questa la grazia che troviamo in Lui!

Pinuccia B.: Vorrei chiarire una cosa: l'interno dipende da noi e l'esterno dipende da Dio, cioè è Dio che opera l'esterno a seconda del nostro interno.  Quindi se…

Luigi: Un momento! Anche l’interno dipende da Dio. Sia l'interno che l'esterno, dipende tutto da Dio, tant’è vero che il nostro interno è in un modo o in altro modo a seconda del rapporto che noi abbiamo con Dio. Per cui se io non sono unito a Dio, anche il mio interno diventa una devastazione.

Pinuccia B.: Ma chi mi dà la possibilità, cioè la grazia, di rimanere unita a Dio è solo Cristo.

Luigi: Certo, ma intendiamo bene: chi mi dà la grazia di rimanere unito a Dio è il Cristo, ma quando Cristo mi condurrà là dove Lui mi vuole condurre.

Cioè non è sufficiente che io incontri il Cristo così per la strada per aver già subito la possibilità di rimanere unito a Dio; perché quando si parla di camminare con Cristo, si parla di stare "con" Lui, ma per tanto tempo, per raccogliere tutto quello che Lui dice, per camminare con Lui dove Lui va, fino ad arrivare al Padre; perché è soltanto arrivando alla conclusione del cammino con il Cristo che si riceve la conoscenza della Verità e quindi lo Spirito della Presenza, lo Spirito Santo. Ecco: “...la grazia e la Verità sono diffuse in Gesù Cristo”.

Quanti invece hanno incontrato il Cristo, sono andati dietro di Lui per un certo tratto di strada e poi hanno deviato e si sono ritirati! Quindi non basta dire: “Ho incontrato il Cristo”, sia ben chiaro, perché il Cristo va verso una meta ben precisa; ed è altrettanto chiaro che è necessario che noi camminiamo con Lui.

Cioè, per ricevere “la grazia e la Verità” che sono diffuse “in” Gesù Cristo, bisogna imparare a restare con Lui, a camminare con Lui fin là dove Lui ci vuole condurre, ed è là, nel Padre, che troveremo la salvezza, cioè la conoscenza della Verità e quindi la Presenza del Padre e del Figlio e conseguentemente la stabilità dell’unione con Dio!

Pinuccia B.: Quindi è Dio che opera l’esterno a seconda di come è il nostro interno: se siamo o no uniti a Lui. È in questo senso che l'esterno dipende dall'interno. L'esterno è Dio che lo fa in relazione al mio rapporto con Lui.

Vorrei però capirlo in relazione alla Legge, ai Comandamenti che Dio ci dà. Dio mi dice: “Non rubare, non uccidere...ecc.”, però risulta che se io faccio queste azioni, è Lui che me le fa fare esteriormente. Allora questo vuol dire che la funzione della Legge (che ci dice: “Fa’ questo…fa’ quello…, non fare questo…non fare quello….”) è solo un segnale d'allarme, cioè un segnale che mi rivela che “se non faccio quello” o “…se faccio quello”, io sono lontana da Dio? Cioè Dio mi fa fare fuori determinati errori per darmi un segnale d’allarme, per farmi toccare con mano che il mio cuore è lontano da Lui e che quindi non ho colto l’anima della Legge. È così?

Luigi: Sì, certo, ti fa capire che non ne hai colto l’anima. Il non compiere la Legge è un segnale d’allarme per rivelarti che sei lontana da Dio. La funzione della legge (ne abbiamo parlato finora) è proprio quella di farci toccare con mano la nostra lontananza, per formare in noi il bisogno del Cristo, per farci sospirare il Cristo.

Pinuccia B.: Però è Dio che ce la fa toccare con mano, non la legge!

Luigi: Ma la legge è espressione di Dio, la legge è stata mandata da Dio!

La legge ha la funzione dei paracarri che mi segnalano, mi indicano la strada e me la delimitano. Però quando io guardo i paracarri non è che io cammini sulla strada! È necessario che io guardi l’anima della legge, perché è l’anima che mi fa andare alla meta! È l’anima della legge che mi fa camminare, non i paracarri!

I paracarri mi aiutano a restare sulla strada, però io debbo camminare!  Ma ciò che mi fa camminare è il desiderio della meta. Se io invece guardo solo i paracarri, non è che io cammini e sicuramente non arrivo al termine della strada.

Pinuccia B.: Comunque Dio prima mi dice di non fare questo, ma poi è Lui che me lo fa fare se io non guardo Lui…      

Luigi: Certo, tutto è Dio che te lo fa fare, ma per rivelarti la tua situazione interiore, perché è questa che conta! Quindi è tutto Dio che te lo fa fare, perché la sua volontà, che è l'anima della legge, è: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze...”. Per cui, se tu non ami Dio, diventi un delinquente; se tu non ami Dio prima di tutto, senza Dio, tu muori. La morte è anche Dio che l'ha mandata, ma l'ha mandata per salvarci.

Per cui se Dio ci fa fare le cose cattive, ce le fa fare ancora per salvarci, e quindi è ancora un atto di misericordia, perché ci evidenzia il nostro male interiore per darci la possibilità di ravvederci.

Quante volte abbiamo detto che il Signore, per farci toccare con mano il peccato che portiamo dentro di noi, ci fa uccidere il Cristo, il suo Figlio! Perché ce Lo fa mettere in Croce? È necessario! È necessario per salvarci. Perché? Appunto per rivelare il nostro delitto interiore: “…affinché il segreto dei cuori sia manifestato” (Lc 2, 35), cioè affinché noi tocchiamo con mano il nostro deicidio (ecco perché Gesù più volte ha affermato che era necessaria la sua sofferenza e la sua morte per entrare, in noi, nella sua gloria, cioè per salvarci), perché, fintanto che il peccato è dentro di noi, noi lo portiamo, ma non lo sappiamo!

Infatti s. Paolo dice così: “Io ero morto, ma non sapevo di essere morto! La legge è venuta dopo e mi ha detto: fa’ questo! Allora io ho capito che ero morto, perché ho fatto il rovescio!”. Ma già prima io ero morto, ma non lo sapevo! Ecco, la legge ci è stata data per farci toccare con mano la nostra morte! Ci fa scoprire la nostra miseria, la nostra povertà.

Pinuccia B.: Cioè ci fa scoprire che siamo tanto lontani da Dio.

Luigi: E scoprire la nostra povertà è la condizione per arrivare alla salvezza, per arrivare al Cristo. Perché il Cristo è venuto tanto tardi nella storia dell’umanità e, come dicevamo la volta scorsa, perché viene tanto tardi nella vita di ogni uomo?

Perché noi prima abbiamo bisogno di toccare con mano la nostra miseria, la nostra povertà, la nostra impotenza, la nostra morte! Ecco, sono i vini delle nozze di Cana che vengono gustati prima di arrivare al vero vino! Per cui noi ci ubriachiamo di tutte le nostre capacità, dicendo: “Io faccio questo, m'impegno in questo, posso fare quell'altro ecc.”, e ad un certo momento tocchiamo con mano che non possiamo fare niente.

Ora, soltanto toccando con mano questa nostra incapacità e impossibilità, si forma in noi il bisogno di far conto su Dio, ed è lì l'anima!

Perché noi dobbiamo imparare a far conto su Dio, per diventare figli di Dio! Perché fintanto che noi facciamo conto su altro, fintanto che noi facciamo conto sulle nostre possibilità, sulla nostra intelligenza, sulla nostra volontà, sulle nostre virtù, noi creiamo l'uomo orgoglioso, l'uomo che sale sul piedistallo, che guarda gli altri dall'alto in basso, l'uomo che si scosta dagli altri, ma non creiamo l'uomo che è nella salvezza!

L'uomo che è nella salvezza è l'uomo che fa conto su Dio, che accoglie tutto da Dio, che riferisce tutto a Dio, che spera tutto da Dio: allora lì abbiamo il figlio di Dio!

Ora, Dio opera in tutte le cose, prima di tutto, per smontare questo essere orgoglioso, questo essere che dice "io...". Ecco, prima di tutto opera per smontare. Perché fintanto che non ci smonta, qualunque cosa noi la travisiamo! Anche se incontriamo il Cristo, noi nel pensiero del nostro io, forti di questo errore, chiusi nel pensiero del nostro io, travisiamo tutto! Uccidiamo Dio! Perché?

Perché la nostra preoccupazione è quella di essere liberi, di “avere la vigna per conto nostro", e allora vediamo Dio come il nemico, il nemico della nostra libertà (“Colui che mi ordina cose diverse da quelle che voglio io, Colui che mi impedisce di fare ciò che voglio…”), per cui diciamo: “Ecco, facciamo fuori il nemico!”.

Quindi, vediamo Dio, non come l'Amico, non come Colui che ci dà la salvezza, che ci dà la “grazia”, che ci dà la “Verità”, ecc., ma Lo vediamo come Colui che ci limita, che ci impedisce...

Giovanni M.: Però c’è una grande differenza tra il comando dell’uomo e quello di Dio: Dio anche se comanda, lascia la libertà; invece l’uomo no.

Luigi: Sì, e poi c’è questo: che il comando di Dio è sempre giustificato, mentre invece la volontà dell'uomo non è giustificata: l'uomo è un essere nudo.

Dopo il peccato originale l'uomo ha scoperto di essere nudo, si è sentito vergognato. Cosa vuol dire che si è sentito vergognato? Mica si è vergognato di essere nudo, perché il nudo naturale è Dio che l'ha fatto; mica si è vergognato di questo! Si è vergognato della sua nudità interiore: cioè ha esperimentato che la sua scelta, la sua volontà non era giustificata!

La differenza tra la volontà di Dio e la volontà dell'uomo, è che la volontà di Dio è giustificata: ha la Verità con Sé, in Sé. Infatti Dio giura su Se stesso, per cui la Parola di Dio è giustificata in Se stessa! La parola dell'uomo invece non è giustificata in se stessa.

Noi, quando parliamo, abbiamo sempre bisogno di andare poi a cercare delle ragioni per giustificare quanto abbiamo detto. Tant'è vero che i nostri desideri noi li dobbiamo sempre nascondere dietro delle etichette, dietro delle bandiere, dietro degli ideali, perché non possiamo dire: "Io sono un orgoglioso, quindi datemi questo, fatemi quell'altro!", poiché gli altri si metterebbero a ridere. Quindi bisogna dire: “C'è quell'ideale...” e ci nascondiamo sotto, perché siamo nudi. E ad un certo momento ci mettiamo anche gli istituti, anche le comunità...! Ma è sempre l’io che si può nascondere anche in queste cose…

Pinuccia B.: Anche nella Chiesa, nel nostro rapporto con essa?

Luigi: Sì, anche nella Chiesa, perché essa può essere vista come organizzazione, come istituzione, e può diventare un’etichetta.  Tutto, quando in noi viene meno l'anima, tutto può diventare etichetta o schermo per il nostro io! 

Gesù dice che l'anima di tutti i profeti, di tutta la legge e quindi diciamo anche di tutta la natura, di tutte le opere di Dio, è questa: “Ama il Signore Dio tuo con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutto te stesso”. Questa è l'anima di tutto. Allora, se io mi tolgo l'anima, mi resta soltanto più l'involucro, sono soltanto più corteccia, solo più apparenza, mi manca la sostanza, l’essenziale!

Allora qui abbiamo anche la possibilità, la grazia, di capire l'anima di tutte le opere del Signore: tutte le opere che il Signore fa, quindi la creazione, la natura, gli avvenimenti, tutte hanno, come anima, questa lezione: “Ama il Signore Dio tuo!”. Quindi se io guardo un albero, io devo vedere nell'albero la lezione di Dio che mi dice: “Ama il Signore Dio tuo!”.  Se io guardo le stelle, guardo il cielo, guardo l'acqua, guardo i fiori, guardo l'erba, devo trovare in tutte quelle cose sempre questa lezione: "Ama il Signore Dio tuo!": quella è l'anima! Se guardo gli uomini, debbo trovare negli uomini questa lezione: "Ama il Signore tuo Dio!". Se guardo il terremoto, il terremoto mi deve dire: "Ama il Signore Dio tuo, con tutta la tua mente!". Tutto è lezione di Dio, tutte le creature, tutti gli avvenimenti sono lezioni di Dio, perché sono opere di Dio.

Però se a noi manca quest'anima, travisiamo tutto, perché allora subentra il nostro io. E allora questo io travisa addirittura Dio, perché è Dio appunto che parla con noi in tutto. Quando si sente un essere parlare, bisogna sempre cercare di capire il suo pensiero, il suo spirito; così dobbiamo fare con Dio, poiché il suo Pensiero, il suo Spirito, è l’anima delle cose, altrimenti fraintendiamo tutto, quindi anche la legge stessa.

Giovanni M: Se capiamo l’anima della legge, scopriamo la nostra povertà e impariamo a far conto solo su Dio, non più su noi stessi, né su nient’altro, come ci diceva il Salmo della Messa di stamattina: È meglio confidare in Dio che confidare negli uomini”.

Luigi: Certo. In tutta la Bibbia ci viene richiamato questo. Quante volte ci viene ripetuto quel fatto lì: “Guai a voi che confidate nei carri e nei cavalli dell'Egitto!” (Is 31, 1).

Cina: C’è una lettura molto bella, tratta, mi sembra, dal profeta Geremia, in cui si dice che chi confida nell'uomo è come un deserto, una terra arida, senz’acqua, dove c’è solo salsedine....

Luigi: Cioè dove il terreno non è fertile...

Cina: Invece chi confida in Dio ha le radici in un buon terreno, per cui anche se viene la siccità non muore, perché c’è l’umore della terra che lo fa vivere...

Luigi: Lo dice anche il Salmo 1: “Chi confida nel Signore è come un albero piantato lungo le sponde di un fiume..., ma chi confida nell’uomo è come pula che il vento disperde”.  E già, perché le parole di Dio hanno in se stesse la ragione; invece chi confida nell’uomo non può stare su perché l'uomo non ha in se stesso la ragione di ciò che dice o fa, per cui ha sempre bisogno di appoggiarsi ad altro.

Già questo dimostra che l'uomo non deve agire nel suo egoismo, per se stesso, altrimenti si sente nudo, cioè non giustificato, per cui è sempre lì alla ricerca di una giustificazione, ha sempre il bisogno di essere giustificato da un’altra ragione, da un’etichetta che copra il suo egoismo o ambizione.

Questo avviene perché l’uomo per agire ha sempre bisogno di una ragione, ma siccome il suo io non è una ragione sufficiente, tutto quello che l’uomo fa nel pensiero dell'io, non lo giustifica davanti a Dio. Infatti gli invitati dicono: “Abbimi per giustificato: ho il lavoro, i campi, i buoi, la moglie, non posso venire!”. “No, - dice Dio - non assaggeranno la mia cena!” ” (Lc 14, 15-24). Ecco, non sono giustificati!

Quindi tutto quello che ha per centro l’io, non è giustificato, perché il principio della giustificazione è Dio. È per questo che dobbiamo sempre mettere Dio prima di tutto: "Cerca prima di tutto il Regno di Dio, non preoccuparti del mangiare, del vestire, ecc.” (Mt 6, 33).

Giovanni M.: Ma per partire da Dio bisogna superare l’io, ed è necessaria tanta umiltà. Nel libro “L’imitazione di Cristo” c’è un passo in cui Dio dice: "Io mi sono fatto umile, affinché attraverso la mia umiltà tu possa vincere la tua superbia”.

Luigi: Sì, perché noi da soli, non possiamo vincere la nostra superbia. Sappiamo che è superbia, ma non possiamo vincerla! Cioè non possiamo superare il pensiero del nostro io da soli: abbiamo bisogno dell'Altro. È l’Altro che ci dà la “grazia”! Però per arrivare all'Altro, dobbiamo toccare con mano la nostra povertà. Ecco la necessità della “legge” che ci fa toccare con mano la nostra incapacità e ci fa invocare il Cristo, il quale poi ci porta alla conoscenza della “Verità”, cioè alla vita eterna: eterna perché vera.

Giovanni M.: È vera anche perché fondata sull’amore. Charles De Foucauld ha scritto: “Soltanto ciò che è fondato sull’amore rimane eterno”.       

Luigi: Certo.

Emma D.: Il versetto dice che “la legge è data da Mosè” e che invece “la grazia” e “la Verità” sono date dal Cristo. Allora…

Luigi: O meglio, sono date, diffuse “in” Gesù Cristo. C’è differenza tra il “da” e l’"in”. È una cosa molto diversa.

Emma D.: Si può ancora approfondire questa differenza?

Luigi: Dicevo che quel “da” Gesù Cristo va inteso "in" Gesù Cristo, perché con Gesù Cristo non c'è un rapporto come quello di un passaggio di una cosa da uno all'altro, per cui uno mi dà questo, io lo ricevo e me ne vado. No! Io non posso ricevere da Gesù Cristo qualche cosa se non resto "in" Gesù Cristo: perché i doni suoi sono "con" Lui e "in" Lui, per cui li ricevo nella misura in cui io sono “in Lui"; mentre invece la legge non mi richiede questo!

Infatti Dio dà la legge per mezzo di un altro uomo, Mosè, ma non è necessario restare "in" Mosè, “con” Mosè, per avere la legge: la legge è una regola; la regola la si dà e l'altro la riceve; invece con Cristo non posso ricevere senza restare "con" Lui, “in” Lui perché i doni sono "in" Lui. Anzi, è Lui stesso il Dono!

Quando Dio dice che Lui stesso è l'eredità dei suoi figli, ed è l'eredità dei suoi sacerdoti, dà ordine a tutte le altre tribù di non lasciare nessun lascito alla tribù di Levi perché dice: "Io sono la loro eredità, Io debbo essere la loro eredità!" (Nm 18, 20-24). Cosa vuol dire questo? Vuol dire che Egli stesso è il Dono che Lui fa ad essi!

Quindi i doni di Dio non sono separati da Dio, per cui io non posso ricevere un dono da Dio senza essere "con" Dio, “in” Dio, perché Lui stesso è il Dono! La ricompensa è Lui, la vita eterna è Lui! Allora la salvezza e tutti i doni di Dio, noi li troviamo con Dio e in Dio.

Quindi non c'è un processo di distacco nel senso che Lui mi dà questo, io lo ricevo e me ne vado. No! Per cui noi dobbiamo cercare la salvezza “in” Cristo, restando “in” Cristo, perché è in Lui che troviamo “la grazia e la Verità”!

Cina: Quindi non c’è altro da fare che restare lì, in Cristo...

Luigi: Sì, perché è con Lui e in Lui che arrivi alla Verità! Non si tratta di doni con cui Lui ti arricchisce e poi puoi andartene dicendogli: "Grazie, Signore, che mi hai dato questo e adesso me ne vado per conto mio!". No! Se io non resto con Lui, quel dono di luce ritorna al Cristo ed io resto senza.

Invece tutto ciò che non è Dio, Dio lo fa arrivare a noi attraverso uomini, per cui il dono si stacca da Lui, ma in questo caso il dono non è Lui: tutto questo è solo una premessa per arrivare al vero Dono, e il vero Dono è Lui.

Ora, fintanto che noi non ci convinciamo che il vero Dono al quale dobbiamo arrivare è Dio, noi non abbiamo capito lo scopo della vita, quello che veramente dobbiamo desiderare. 

Quando quel giovane si rivolge a Gesù e gli dice: "Maestro buono", Gesù lo richiama e gli dice: " Perché mi dici buono? Uno solo è buono: Dio!". Quel giovane non poteva sapere che Gesù era Dio. Non poteva saperlo! È per questo che Gesù lo richiama: "Perché mi dici buono?". Buono è ciò che è desiderabile. Quindi "Una cosa sola è desiderabile e una cosa sola cercherò: Dio... abitare nella casa di Dio per tutto il tempo della mia vita!" (Sal 27, 4).

Ecco, dobbiamo convincerci che il vero Dono, il vero Bene, il “buono” da desiderare, da volere, è Dio. Fintanto che noi non siamo convinti di questo, fintanto che crediamo che i doni di Dio consistano nella tranquillità, nell'avere una casa, nell'avere una famiglia, nell’avere delle ricchezze, dei beni, oppure nell'avere certe virtù, ecc. noi non abbiamo ancora capito l'essenza, lo scopo della nostra vita, il vero Bene da desiderare.

Ora, una delle prime cose nella nostra vita è quella di individuare il vero Bene, quello che dobbiamo mettere al di sopra di tutti i nostri beni e da cui deve dipendere tutto. Fintanto che non siamo convinti di questo, siamo portati via da tutto.

Cina: Ci è richiesto proprio un superamento continuo!

Luigi: Sì, ma questo superamento avviene nella convinzione di ciò che è il vero unico Bene, per cui ripetiamo a noi stessi in continuazione: "Una cosa sola è necessaria" (Lc 10, 42). Ma di questo noi dobbiamo essere ben convinti: "quello è il mio Bene!" 

E debbo volerlo con tutte le mie forze, allora tutto il resto poi, poco per volta, va al suo posto.

Se invece io non sono convinto di questo, incomincio a disordinare la mia vita, a vagare verso altri beni ritenendoli necessari: “Sì, quello è necessario, certamente! Ma anche questo è necessario, anche quest'altro lo è...". Ecco che allora incomincio a disperdermi!

Invece bisogna individuare il vero Bene, la vera cosa buona da volere nella nostra vita, e poi dopo naturalmente organizzarci per giungere ad essa, ed allora è poi lì che noi scopriamo tutto ciò di cui abbiamo veramente bisogno per arrivare alla meta.

Allora la vera morale è poi la strada che mi conduce là dove voglio andare e mi evita di vagare altrove.

Noi, molte volte, quando parliamo di morale, facciamo una serie di regole; ma non sta lì il problema: ci manca l'anima! L'anima di tutto è : "Dove vuoi andare?". E poi allora a seconda di dove tu vuoi andare, avrai una certa morale che ti conduce, cioè sceglierai la strada che ti conduce là.

Ma bisogna sempre avere ben chiaro davanti a noi la meta, il fine. Quello che dà colore e valore a tutta la nostra vita è il fine; se manca questo, è inutile parlare, tutto viene travisato da noi.

Se noi non siamo convinti che il nostro vero Bene, il nostro destino, lo scopo della nostra vita, la nostra eredità, lo scopo a cui dobbiamo tendere con tutte le nostre forze è Dio, è la conoscenza di Dio, se noi non siamo convinti di questo, non abbiamo colto l’anima della legge e allora anche tutta la nostra religione rimane da noi completamente sfasata, perché viene considerata solo come un insieme di regole, di norme di vita da attuare, da realizzare, uno steccato da metterci attorno per difenderci e che non ci porta assolutamente né nella conoscenza, né nell'amore, né nella vita.

Se invece ne siamo convinti, possiamo riconoscere e seguire il Cristo e quindi ricevere quel supplemento di anima, di volontà (ecco “la grazia”!) per giungere alla meta: la conoscenza della “Verità”.

Eligio: Ritornando al problema iniziale che avevo posto, cioè all’analisi sui due tipi di volontà, in riferimento alla “legge” e alla “grazia”, direi che il primo tipo di volontà è il consenso nostro, il riconoscere la validità della legge, mentre il secondo è la volontà mossa dalla grazia di Cristo.

Luigi: Vedi, nella legge è il nostro io che vuole (il consenso, il riconoscimento che la legge è giusta, lo diamo, in realtà, con l’intelletto), perché con la legge tu trovi uno che ti dice: "Fa’ questo!”. Quindi sei tu col tuo io che decidi se farai o non farai quello che ti è stato detto. Quindi è il tuo io che vuole.

Invece nell'incontro col Cristo, è l'“Io” di Dio che opera in te, quindi c'è l’amore, ogni cosa è un atto d'amore. La “grazia” è l’Io di Dio che opera in te. 

Eligio: E Dio opera proporzionalmente allo spazio che interiormente io faccio nell’animo, nel pensiero, a questa grazia che mi arriva.

Luigi: Ah, certamente!  Cioè la grazia opera nella misura della tua disponibilità, direi, nel vuoto, nella povertà, nell'umiltà, nel bisogno che hai di Lui, per cui scatta l'amore.

Come hanno fatto, ad un certo momento, gli Apostoli a dire: "Abbiamo trovato il Messia!" ? (Gv 1, 45). Come hanno fatto ad individuarlo?

Perché Lo portavano già dentro come desiderio, come fame!

E come mai Lo portavano come fame, come desiderio? Certo, erano affamati! Ma come mai erano affamati?

Erano poveri, avevano scoperto, toccato con mano la loro povertà.

E quello che li ha portati a toccare con mano la loro povertà è stata la legge, ma la legge in quanto aveva impegnato la loro volontà in un cammino nel quale hanno toccato con mano la miseria, la povertà, il niente, il disordine, l’impotenza.

Quando qualcuno mi dice: "Tu domani mattina devi andare sul Monte Bianco", mi impegna la volontà. Ma la mia volontà si può rifiutare, per cui io posso dire: "No!", rifiutando la proposta; ma posso invece dire: "Sì!", ma allora vengo a toccare con mano la mia miseria, cioè che io non sono in grado di andare sul Monte Bianco. Quindi qui è la volontà mia che è impegnata; allora dall'impegno della mia volontà deriva la conoscenza della mia povertà, la valutazione di me.

Così è lo stesso: l’adesione alla legge impegna la mia volontà, per cui in un primo tempo io credo di essere qualche cosa. Ma la legge mi fa toccare con mano la mia povertà, il mio niente, la mia impotenza, se però ne colgo l’anima, poiché se non ne colgo l'anima, la legge aumenta il mio orgoglio, perché allora colgo soltanto le regole in periferia, per cui dico: "Io non rubo, non uccido, ecc.", e allora mi credo a posto, credo sempre di più di essere qualcuno.

Se invece ne colgo l’anima, l’anima della legge mi fa toccare con mano la mia povertà, la mia incapacità, la mia morte, l'immensa lontananza da quella Vetta. Questa è la funzione della legge!

E questo è rivelazione divina, perché s. Paolo dice che la funzione della legge è stata questa: quella di farci toccare con mano la nostra morte. La legge non salva! La legge è stata data per la prevaricazione, per farci fa toccare con mano la nostra morte.

Eligio: Per cui o la legge ci conduce a vedere qual è il fine, altrimenti è dannosa.

Luigi: Sì, certo, perché se non ne vediamo il fine, ci fermiamo alla lettera, per cui l’osservanza di essa ci esalta.

Eligio: Quindi la legge da sola non salva.

Luigi: La legge da sola, no! Anche se ne cogliamo il fine. Infatti Gesù dice: "Io sono venuto a portare a compimento la legge”.

La legge è il pedagogo a Cristo, è una guida che ci conduce a Lui.

Quando si arriva a Cristo, la legge si ritira e dice: "Adesso lasciati guidare da Lui. Lui ti condurrà al Padre”.

E quando con Cristo arrivi al Padre, anche Lui si ritira e ti dice: “Adesso attingi lì, perché il Padre ti ama” (cf Gv 16, 27).

Quindi, vedi che abbiamo delle “traduzioni” o “tradizioni”? Cioè abbiamo uno che ti consegna all'altro, e questo ancora all’altro, se siamo inseriti, cioè attratti dal Padre.

 Allora:

·la legge ti conduce al Cristo (in quanto però tu aderisci ad essa) e poi si ritira. Infatti s. Paolo dice che una volta giunti al Cristo, la legge ha fatto la sua funzione. È stata il pedagogo al Cristo (Gal 3, 24). Ecco, la legge ha la funzione della scala: la scala ti introduce nell'appartamento; una volta che tu arrivi alla porta dell'appartamento, non guardi più la scala, ma entri nell'appartamento! Così è la funzione della legge: se noi aderiamo, la legge ha la funzione di condurci al Cristo (altrimenti, se non vi aderiamo, non arriviamo al Cristo o vi arriviamo male!).

·Il Cristo poi ci prende e la legge se ne va e Lui ci fa entrare allora in quello che è la conoscenza del Padre, la ricerca del Padre (perché “in” Lui troviamo “la grazia e la Verità”).

·Ma quando siamo maturi per attingere direttamente dal Padre, Lui stesso a sua volta, se ne va e dice: “È necessario che Io me ne vada perché venga in voi lo Spirito che resterà sempre con voi”. Ecco: “Il Padre vi darà uno Spirito che starà sempre con voi” (Gv 14, 16). "Ma è necessario che Io me ne vada!" (Gv 16, 7).

Allora, vedi? La legge se ne va, il Cristo se ne va, perché possiamo attingere personalmente al Padre e diventare figli di Dio.

Eligio: La volontà a questo punto viene mossa esclusivamente da Dio...

Luigi: Sì, da Dio, o meglio è l’Io di Dio che opera in noi: è la “grazia” che ci è data “in” Cristo.  Invece in un primo tempo, cioè nella legge, è ancora sempre la nostra volontà che aderisce e vuole: infatti tocca con mano la propria impotenza. La nostra volontà deve toccare con mano la sua impotenza!

In un primo tempo noi crediamo di poter riuscire e diciamo: "Basta che io voglia!". No, tu puoi volere tutto quello che vuoi, ma certamente non basta, non puoi! Perché c’è il limite! Ci sono i muri! 

Eligio: Quindi, non potendo da soli attuare la legge, maturiamo il bisogno del Cristo.

Luigi: Certo. Volevo leggervi ciò che S. Paolo dice: “Che cosa diremo dunque? È peccato la legge? No, certo! Ma io non ho conosciuto il peccato se non per mezzo della legge. Difatti avrei ignorato la concupiscenza, se la legge non mi avesse detto: "Non desiderare". Ma il peccato, presa occasione da questo precetto, ha suscitato in me ogni sorta di cupidigie, poiché fuori della legge ogni peccato è morto. Sì, io un tempo vivevo fuori della legge. Ma sopraggiunto quel comandamento, il peccato si ridestò ed io morii; la legge quindi, che doveva servire per la vita, è divenuta per me motivo di morte. Il peccato, infatti, prendendo occasione dal comandamento, mi ha sedotto, e per mezzo di esso mi ha dato la morte. Allora, la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento. Ciò che è bene è dunque diventato morte per me? No, davvero! È invece il peccato: esso per rivelarsi come peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato per mezzo del precetto si rivelasse in questa sua malvagità fino all’estremo”. (Rm 7, 7-13).

Pinuccia B.: Certe espressioni di s. Paolo non si capiscono proprio…

Luigi: S. Paolo è molto difficile… Egli parla di questo anche nella lettera ai Galati.

Eligio: In sintesi, allora direi questo: mentre nella legge posso muovere il mio io dicendo: "Faccio questa scelta o quest'altra scelta”, nei confronti di Dio non lo posso mai fare.

Luigi: Non lo puoi fare; nei confronti di Dio è Dio che muove. Incontrando il Cristo diventa Lui che muove! Ed è lì la bellezza! Per cui noi siamo mossi da Lui! Ecco “la grazia!”.

Quando uno è nella grazia, è mosso da-, si sente portato, ha qualche cosa di più grande che lo trascina.

Mentre invece nella legge, sono sempre io che aderisco, sono io che voglio.

Là invece no! Là ormai è il Cristo che vuole in noi e per noi e uno è portato da questo!

Eligio: Quindi nei confronti della legge assumo l'iniziativa, invece nei confronti di Dio devo rendermi disponibile come la Madonna...

Luigi: Certo, è Lui che muove.

Eligio: Per cui tutte le volte che dico “io” nei confronti di Dio sono fuori posto.

Luigi: Ah, senz’altro! Perché c’è un altro Io lì ormai! Con Cristo c'è già un altro Io che opera in noi: il Suo, e questo è “la grazia”, mentre nella legge c'è sempre il nostro io: la differenza sta lì!

Eligio: Cioè con Cristo la nostra volontà è mossa dalla conoscenza della sua Volontà.

Luigi: Certo, mentre invece nella legge, nell’uomo naturale, nell'uomo vecchio, la nostra volontà è mossa dall'io, per cui troviamo la legge che è in conflitto con la nostra volontà: perché il nostro io vorrebbe all'infinito, vorrebbe non avere limiti, e invece troviamo la legge che dice di no, per cui noi ci sentiamo offesi, ci sentiamo limitati, e questo crea la ribellione. Ed è così allora che ci fa toccare con mano la nostra morte. E noi indubbiamente non possiamo giustificarci se ci ribelliamo. La legge è giustificata, anche se mi offende, ma io non mi giustifico con il mio orgoglio.

Invece con Cristo c'è una volontà diversa che entra in me, perché è una presenza personale, quindi diversa dal mio io. Con Cristo incontro un essere, una Persona. Con la legge io non incontro un essere: con la legge io incontro una regola, che può essere bellissima, però questa regola è applicata da me. Quindi ho sempre presente la mia presenza, il mio io. La legge non mi libera dall'io!

Invece quando incontro un’altra Persona, un'altra presenza fisica, che sia però Dio, questa mi libera dall'io, perché ho un'altra Presenza sulla quale appoggiarmi: ho una Persona!

Noi, per dimenticare il nostro io, per superarlo, abbiamo bisogno di un'altra persona. Però questa Persona non dev'essere solo un uomo, perché io l'uomo lo rivesto ancora del mio io. Quindi ho bisogno, sì, di una presenza-uomo, fisica, ma che sia Dio; quindi che abbia una volontà che trascini, che superi la mia e che mi faccia volere una cosa diversa.

Eligio: Quindi nel processo di incontro con Cristo e di cammino con Lui, non c’è più la mia iniziativa. C’è un’altra Volontà che mi attira, per cui si vive in un rapporto d'amore...

Luigi: Sì, infatti qui non abbiamo più l'uomo autonomo: l'iniziativa è di Dio! Allora uno si sente figlio, si sente portato, perché l'iniziativa è sempre di Dio: allora Dio è “Padre”, movente.

Eligio: Per cui ne scaturisce poi tutta una morale conseguente che è diversa…

Luigi: …e che non è più la legge. Anche S. Paolo lo dice: "Ormai colui che è con Cristo, non è più sotto la legge" (cf Gal 3, 25), perché non sta più a guardare il "non fare questo, non fare quello", ma si lascia portare dall'amore del Cristo, si lascia portare dal pensiero, dal Pensiero stesso di Dio, per cui esteriormente può fare delle cose condannabili dagli uomini, ma giustificate in Dio, come Gesù che ad un certo momento trascende il sabato, guarisce di sabato e viene accusato di bestemmiare contro la legge… Egli trascende l'autorità, trascende i diritti del sangue, i doveri familiari…

Pinuccia B.: A questa luce non si capisce più tanto che significato possano avere tutti gli studi sulla morale…

Eligio: E pensare che tutta l’educazione cristiana che ci è stata impartita è stata tutta basata sulla morale, sulla necessità di sentirci a posto…, ecc..

Pinuccia B.: Ma com’è possibile che in 2000 anni di Cristianesimo la Chiesa non abbia ancora capito che la legge non salva?

Luigi: Ma no, pensa un po’! La Chiesa è pieno di Santi! Cosa dici? Se nella storia della Chiesa c'è una schiera immensa di Santi, da dove sono saltati fuori questi Santi? Quindi qualcosa devono averlo capito, no?

Pinuccia B.: Ma a che cosa servono gli studi sulla morale?

Luigi: È come se tu mi chiedessi a cosa serve studiare teologia. Certo, non basta essere un teologo per essere un santo: bisogna approfondire e pregare, perché altrimenti si può essere teologi ed essere molto lontani dallo Spirito.

Pinuccia B.: Ma si può parlare di una morale “cristiana”?

Luigi: Sì, certo! Ed è ancora legge (non lo è più però quando deriva da un rapporto personale di amore con Cristo, poiché uno si lascia guidare da Lui), e in quanto è legge ce ne può sfuggire l’anima, per cui diventa casistica: se non mangio la bistecca il venerdì, credo di essere a posto. Per cui io credo che la religione stia nel non mangiare la carne il venerdì, per cui se non la mangio, penso di essere a posto con Dio: ma non ho capito niente!

Pinuccia B.: Quindi le leggi della Chiesa non servono…

Luigi: Ma no! Hanno anch’esse la funzione di pedagogo. Ma tutte le leggi, tutte le regole devono essere colte nel fine, nell'anima, altrimenti diventano soltanto delle categorie a sé, diventano soltanto delle etichette, per cui, ad esempio, “se io mi vesto in un certo modo, sono a posto con Dio, perché Dio, o meglio, un Istituto, ha detto: se volete essere a posto, dovete vestirvi in questo modo”! Ora invece bisogna cogliere l'anima delle leggi, delle regole, e per coglierne l'anima bisogna partire da Dio! Perché Dio dice questo? Qual è il fine?

Insistiamo sempre sul fine, perché se manca il fine, noi possiamo anche essere scrupolosissimi con tutte le regole, ma noi costruiamo soltanto dei giganti di orgoglio, di ambizione, di casta e siamo immensamente lontani dallo spirito. Lo spirito è: “Cerca il Signore Dio tuo con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forze”.

Questo è lo scopo per cui sono stato creato!

Giovanni M.: È lo spirito delle Beatitudini…E poi anche s. Paolo ce lo fa capire dicendoci che se anche facessimo tante opere buone, ma non abbiamo la carità a nulla serve.

Luigi: Ah, certo!

Pinuccia B.: Quindi è inutile la casistica

Luigi: Ha la funzione dei paracarri, ma sempre in quanto uno ha ben chiaro un fine preciso davanti a sé! Altrimenti le regole soffocano l'anima e costruiscono l'orgoglio, perché se l'uomo non ha presente Dio, non può non avere presente gli altri e quindi non può non confrontarsi con gli altri. Se io sono nel pensiero del mio io, "non posso" assolutamente non confrontarmi con gli altri. Per forza! Perché il pensiero del mio io è sempre un rapportarsi con gli altri, per cui: "io sono così, l'altro non lo è!". Allora incomincio a dire: "Ah, ma io sono diverso…, io sono migliore…, io sono questo…, io sono quello…". Oppure ad un certo momento posso arrivare a dire: "Io sono il peggiore di tutti!", ma è sempre un aspetto delll'io, perché l'io si può esaltare o si può anche deprimere. Cioè l'io nasce dal confronto tra me e l'altro.

Quindi se non ho presente Dio, necessariamente ho presente gli altri uomini, e di lì nasce il confronto o il conflitto tra il mio io e gli altri io. Allora se io so compiere determinate leggi è come se io fossi capace di vincere, ad esempio, tutte le partite a biliardo e dicessi: "Ah, io sono speciale perché vinco tutte le partite a biliardo!". Allora facciamo anche dei giochetti di virtù per cui uno si confronta: "Io sto diritto…, mentre l'altro è sempre coricato…".

Una delle battaglie maggiori che ha condotto il Cristo è stata proprio quella di smontare le categorie del sabato, della legge; lo faceva apposta! Evidentemente perché ad un certo momento queste diventavano degli idoli. Per cui, “se io di sabato non faccio, ad esempio, duecento metri, sono migliore di quell'altro che invece ha fatto più di duecento metri, perché io ho rispettato la legge!”. E invece no!

Quindi tutte le opere di Dio, anche tutta la creazione, se vogliamo capire qualche cosa, dobbiamo sempre vederle nel fine: per quale motivo Dio fa, Dio ha detto, Dio ha operato questo? Qual è lo scopo, l'anima, l'intenzione, il significato? Bisogna cogliere questo!  Ora, bisogna sempre vederle in quel fine lì: tutte le cose il Signore le ha fatte perché l'uomo elevi il suo pensiero a Lui, in tutto!

In tutte le cose il Signore dice: "Alza lo sguardo a Colui che fa tutte le cose, al Creatore!". Infatti tutte le creature ci dicono: "Guarda il Creatore!"; ma non c'è nessuna creatura che ci possa dare quello che ci vuol dare il Creatore. E i doni migliori Dio non può darli se non sono desiderati da noi, se non sono voluti da noi.

Ecco perché prima deve formarsi in noi la consapevolezza di ciò che dobbiamo desiderare! Altrimenti quei doni lì restano in Dio, perché è solo Dio che ce li può dare.

Quindi Dio ci dà tutti gli altri doni, tutte le altre grazie, ma come premessa, come condizione per farci desiderare la vera grazia che è poi Lui stesso. Per cui se noi non vogliamo Lui, non desideriamo Lui (ecco perché dico che ad un certo momento bisogna “fare” Dio, sotto un certo aspetto), se noi personalmente non vogliamo Dio, come il massimo vero nostro bene, Dio non si dà, o per lo meno, si dà, ma noi Lo uccidiamo dentro di noi.

Solo se abbiamo maturato il desiderio di Dio, allora poi troviamo “in” Cristo “la grazia” per giungere alla “Verità”.

Emma D.: Perché Lui è la Via.

Luigi: Certo! In Lui è data a noi “la grazia” di realizzare la legge, l’anima della legge, perché Egli è Persona presente tra noi, Persona Divina, che, offrendosi ad essere pensata e amata da noi, ci offre la grazia di dimenticare noi stessi e quindi di vivere per cercare e conoscere Dio e di giungere a conoscere la Verità. Infatti Egli dice: “Se resterete nelle mie Parole, conoscerete la Verità”.

La sua stessa Presenza tra noi è “grazia”, Vita, Via alla “Verità”.

Pensieri tratti dai manoscritti di Luigi Bracco  sul versetto 17 del capitolo I del Vangelo di S.Giovanni:

“La legge ci è stata data da Mosè, la grazia e la Verità sono diffuse in Gesù Cristo”.

La Legge - la Grazia - la Verità.

Distinzione tra la “legge” e la“grazia”: cf. Gal 3,10-14;  3,19-29

La “legge” è pedagogo al Cristo: è la funzione della legge (cf Rom 7,15-25).

La “grazia” è la Presenza del Cristo: è questa che ci libera dall’io. Per cui s. Paolo scrive: “Non c’è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù” (Rom 8,1).

Distinzione tra la “legge” e la “Verità”:

La legge non può dare la Verità.

Questa è il privilegio di Cristo.

La salvezza non sta nella legge, ma nella Verità.

Infatti:

·“Dio vuole che tutti si salvino e conoscano la Verità”.

·“Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”.

·“La vita eterna è conoscere Dio come vero Dio”.

·“Tutti gli uomini hanno bisogno della Gloria di Dio” , scrive s. Paolo nella lettera ai Romani, cioè hanno bisogno di conoscere Dio.

* * *

Gal 3,10-14; 3,19-29: “Quelli invece che si richiamano alle opere della legge, stanno sotto la maledizione, poiché sta scritto: Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle. E che nessuno possa giustificarsi davanti a Dio per la legge risulta dal fatto che il giusto vivrà in virtù della fede. Ora la legge non si basa sulla fede; al contrario dice che chi praticherà queste cose, vivrà per esse. Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede…

Perché allora la legge? Essa fu aggiunta per le trasgressioni, fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo di angeli attraverso un mediatore. Ora non si dá mediatore per una sola persona e Dio è uno solo. La legge è dunque contro le promesse di Dio? Impossibile! Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge;  la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo.

Prima però che venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede.  Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo.  Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù,  poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo.  Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c`è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.  E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa”.