Perché la legge è stata data da Mosè, la grazia e la Verità sono state
diffuse da Gesù Cristo. Gv 1 Vs 17
Titolo: Legge, Grazia, Verità.
Argomenti: Il concetto di legge, grazia e verità. La grazia ci dà la
volontà, la legge no. Purezza è totale disponibilità. La legge coincide con la giustizia.
La presenza del Cristo ci dà la grazia di attuare la legge.
9/Maggio/1976
Dall'esposizione di Luigi Bracco:
La volta scorsa ci siamo
soffermati sul versetto 16: “Dalla sua pienezza noi tutto abbiamo ricevuto e
grazia su grazia…”. Adesso passiamo al versetto 17 che dice: “…perché la
legge è stata data da Mosè, la grazia e la Verità sono state diffuse da Gesù
Cristo”.
Ecco, i concetti
principali di questo versetto su cui dobbiamo soffermarci sono: la legge, la
grazia e la Verità.
Intanto qui, nella
seconda parte del versetto: “...sono state diffuse da Gesù Cristo”,
bisogna subito precisare il termine “da” e il concetto di tempo. Siccome
Gesù Cristo è il Verbo di Dio presente che parla ad ogni uomo, questo “da”,
dovrebbe essere inteso come “in”, e il tempo passato (“...sono
state diffuse”) come un presente (“sono diffuse ”). Quindi il
versetto andrebbe letto così: “...la grazia e la Verità sono diffuse in Gesù
Cristo”.
Cioè, anche se Gesù
Cristo è venuto, è vissuto in un certo tempo, non è che con questo noi abbiamo
la grazia e la Verità. La grazia e la Verità sono sempre “in” Lui,
per cui solo nella misura in cui noi ci fermiamo “con” Lui, “in” Lui
troveremo la grazia e la Verità.
Quindi “la grazia e la
Verità sono diffuse in Lui”. Per cui se noi, anche vivendo dopo di Lui, non
ci fermiamo con Lui, non vediamo la grazia e la Verità, perché la grazia e la
Verità non sono “da” Lui automaticamente, ma sono “da” Lui per quanto
noi siamo “in” Lui, in quanto ci fermiamo "con" Lui. Cioè
non “sono state diffuse da Lui” nel senso che ormai ce le ha portate e
le troviamo in qualunque angolo! No, sono sempre e solo “in” Lui!
Quindi solo nella misura
in cui ci uniamo al Cristo, noi troviamo la grazia e la Verità.
Però adesso, per
approfondire tutto il versetto e per evitare di divagare nella conversazione,
penso che sia opportuno precisare subito i termini “legge - grazia -
Verità”, in modo da poter conversare con dei termini che siano chiari,
vista la loro ambiguità.
Per semplificare,
tradurrei i termini “ legge - grazia -Verità”, con queste espressioni:
·Legge
= devo mangiare (oppure, inteso
come ordine: bisogna mangiare, devi mangiare!)
·Grazia
= ho desiderio di mangiare.
·Verità
= incontro con il Pane.
·Cioè la legge esprime un comando dal di
fuori di noi ("devi mangiare!”), però non ci dà la volontà, il
desiderio, la grazia di mangiare. Non basta dire ad uno: "Devi mangiare!”,
perché lui mangi. Ecco il limite della legge!
La legge è un ordine che
ci coglie dall'esterno, che noi riconosciamo giusto, ma non ci comunica la
volontà di farlo.
·La grazia invece è desiderio di mangiare: è la
fame. Questo desiderio, ci rende
poi disponibili all’ascolto di Dio. E allora qui ci colleghiamo con la
“pienezza di grazia" di Maria di cui abbiamo parlato la volta scorsa.
Maria è la creatura "piena di grazia": tutta ascolto, tutta desiderio
di-. Quindi "pienezza di grazia" è la piena disponibilità
all’ascolto di Dio, cioè è “distacco” dal mondo e "tutta
apertura" al Pane celeste, al Verbo di Dio che parla.
Qui abbiamo anche un
concetto di "purezza" e di "non purezza". Il concetto di
“puro” e il concetto di "impuro" nel campo dei segni li colleghiamo
sempre ad aspetti naturali; invece nel campo dello spirito il concetto di
"impuro" è "non disponibilità", mentre il concetto di
"purezza", di "pienezza di grazia", coincide con la
disponibilità all’ascolto.
Quindi là dove non c'è
disponibilità all’ascolto, non c’è purezza. Se non abbiamo, ad esempio, tempo
interiore per Dio, se non abbiamo spazio interiore per l'ascolto, siamo
impuri; infatti, se la pienezza di grazia (l’abbiamo visto la volta scorsa)
coincide con la piena disponibilità all'ascolto (e la creatura che è tutta
aperta all'ascolto è la Vergine), e quindi con la purezza dell'anima, impuro è
colui che non è disponibile all’ascolto di Dio.
·Infine la Verità è l'incontro con il
"Pane di Vita".
Pensieri tratti dalla conversazione:
Eligio: Hai detto che la legge ci dà il comando
dall'esterno, ma non ci dà la volontà e hai precisato che la volontà è dono
della grazia. Ma allora chi non ha la volontà, non ce l’ha perché non ha la
grazia? Se così fosse, non capisco quindi la responsabilità che ha.
Luigi: Ti ricordi che la volta scorsa abbiamo
parlato di "grazia su grazia", e abbiamo detto che tutto è grazia,
tutto è dono di Dio? Però i doni di Dio, quando giungono a noi, devono
sempre essere visti in Dio e non nel pensiero dell'io, perché se noi li
rivestiamo del pensiero dell'io, ce ne appropriamo, restiamo soddisfatti di
quel dono e non cerchiamo altro.
Se invece li vediamo nel
Pensiero di Dio, quei doni che riceviamo, aumentano in noi la fame, ci muovono
la volontà, muovono il desiderio, perché ci fanno cercare, ci fanno cogliere il
significato del dono.
Allora, se penso a me
stesso, ricevendo un dono, mi approprio del dono e non penso al significato di
esso, non me ne preoccupo; cioè mi interesso del piacere, della gioia che quel dono
mi dà: quel dono soddisfa la mia ambizione e non cerco altro! Dico:
"Guarda come mi sta bene questo dono!".
Se invece penso a Dio,
comincio a interrogare, e qui si capisce come anche le disgrazie diventino un
dono, perché nel Pensiero di Dio, tutto quello che arriva, in quanto mi arriva
da Dio, è dono di Dio e mi impone un interrogativo: “Perché Dio mi ha fatto
questo o mi ha mandato questo? Qual è il significato di questo che mi sta
arrivando?”.
Allora, nella
preoccupazione di cercare il significato, ecco che si forma in noi la fame, il
desiderio di capire lo scopo, il senso dell'opera di Dio.
Però, per passare a
cogliere questo senso delle cose, ci vuole il consenso da parte nostra.
Per cui le cose arrivano
da Dio con un significato, hanno un senso, però chiedono a noi di essere sempre
viste con il Pensiero di Dio, per cui non ci dobbiamo mai staccare da Dio,
perché come noi ci stacchiamo da Dio, ne facciamo una disgrazia : = non – più -
grazia.
Quindi tutto è grazia,
se però noi lo riceviamo da Dio.
Allora questo ci dà la
volontà, ci dà il desiderio, ci dà la fame.
Eligio: La grazia quindi sollecita la volontà, la
legge no. Però nell’ubbidienza alla legge ci sarà pur una volontà, no?!
Altrimenti a che cosa serve la legge?
Luigi: La funzione della legge è il cavallo di
battaglia di s. Paolo, sia nella Lettera ai Romani che nella Lettera ai Galati,
dove egli si chiede: “Ma la legge a cosa è servita?”.
La legge è servita per
farci toccare con mano la nostra morte, la morte in cui ci troviamo quando non siamo inseriti
nella grazia. Per cui s. Paolo dice: “Io ero morto e non lo sapevo! È venuta
la legge e mi ha ordinato: tu devi vivere per questo! Allora io ho scoperto che
ero morto!”.
Allora, perché la legge?
La legge ci è stata data per farci toccare con mano la giustizia, perché
la legge coincide con la giustizia (quando si parla di legge, si parla di
quello che è giusto). Noi infatti riconosciamo che è giusto ciò che la legge ci
dice: “Devi amare Dio con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutto
te stesso” (Dt 6, 5). Gesù dice che questo comando è il centro di tutta la
legge di Dio, e noi diciamo: "È vero, è giusto!". Ma proprio perché ci è stata data per
farci toccare con mano la giustizia, la legge ci fa toccare con mano la nostra
morte.
Infatti non basta che io
dica: "È vero, è giusto!" per poterlo attuare, e questo mi fa toccare
con mano l'immensa lontananza
in cui mi trovo. Ecco, mi fa toccare con mano la mia morte! E questo mi
porta ad invocare, perché mi porta nella povertà, nel bisogno e quindi nell’attesa
di un aiuto; cioè mi porta a dire: “Di chi ho bisogno? Ecco, ho bisogno del
Cristo!”.
Quindi “la legge è
stata il nostro pedagogo, dice S. Paolo, che ci ha condotto al
Cristo”.
Quando quel giovane
ricco va ad incontrare Gesù e gli chiede: "Cosa debbo fare per
arrivare alla vita eterna, cioè per conoscere Dio come vero Dio?",
Gesù gli risponde: "Osserva i comandamenti!"; al che egli può
affermare: "Io li ho osservati fin dalla mia giovinezza!" (Mt
19, 16-21): ecco, ha osservato la legge!
Ed è appunto perché l’aveva osservata fin dalla giovinezza che è andato
a cercare il Cristo!
Cos'è che l'ha sospinto
ad andare a cercare il Cristo? Proprio l'osservanza dei comandamenti! Proprio perché si era preoccupato di
osservarli (quindi non li aveva presi a calci), aveva scoperto di non
riuscire ad arrivare alla vita eterna. E questo allora l'ha condotto ad
interrogare.
Quindi la legge,
facendoci toccare con mano che noi non compiamo e non possiamo compiere quello
che essa ci dice, ci conduce al Cristo. Ci fa toccare con mano la nostra
povertà, la nostra miseria, la nostra morte e ci mette quindi nella
disponibilità di accogliere il Cristo, e sarà proprio la presenza del Cristo
che ci darà la volontà, la grazia di attuarla.
Ora dico, come mai la
legge è inefficace? Come mai non ci dà questa volontà?
Perché noi siamo
dominati dalle presenze e la legge non è una presenza! Noi siamo schiavi
del mondo, di tutto un mondo che abbiamo presente nel pensiero del nostro io. Per
cui dico: "Sì, sarebbe bello se tutti vivessero così, allora sì! Ma
purtroppo ci troviamo in una società di delinquenza e allora… anch'io devo
essere delinquente, altrimenti non vivo, altrimenti resto schiacciato!".
Allora la legge mi dice:
"Tu devi fare questo!". Però l'attualità in cui io mi trovo, è
molto diversa, ed io devo vivere in questa attualità! Ho dei rapporti con
questa attualità, per cui con i delinquenti io mi devo comportare non come dice
la legge, altrimenti resto schiacciato.
Quindi, siccome noi siamo
dominati dalle presenze, dalla realtà di oggi, dal disordine, dalla lontananza
dallo Spirito di Dio, ecco che nella “marmellata” in cui ci troviamo, la legge
è inefficace.
Noi abbiamo bisogno di
trovare un'altra Presenza nel nostro mondo: la presenza del Cristo, perché è
quella che ci dà poi la grazia di realizzare la legge. E questa
Presenza noi la troviamo se, ubbidendo alla legge, riconoscendo che è giusta
(facendo quindi la giustizia), mettiamo Dio prima di tutto, pur constatando il
fallimento.
La legge infatti ci fa constatare il nostro
fallimento, però vuole soltanto essere riconosciuta come "giusta".
Ora “la perfetta giustizia - dice il Libro della Sapienza - sta nel
conoscere Dio” (Sap 15, 3).
Se riconosco che è giusto
cercare di conoscere Dio, mettere la conoscenza di Dio prima di tutto, perché
noi siamo stati creati per questo, perché questo è il nostro destino, è vero
che non attuo la legge (anzi, fallisco perché constato la mia incapacità, la
mia povertà, il mio disordine), però ho fatto il primo passo, perché con
l'animo aderisco e dico: "È giusto questo!".
E questo è ciò che conta,
perché potrei invece dire: "No, questo non è vero, non è giusto!", ma
allora non giungerei a scoprire la mia povertà e quindi a trovare il Cristo. Se
invece dico: “Questo è giusto!”, è vero che mi trovo in una situazione di
impotenza, di incapacità per realizzarlo, però si forma in me il bisogno del
Cristo.
"Come mai - grida S. Paolo - io vedo il bene e
faccio il male?” (Rm 7,19). “Vedo il bene…”, ecco, come mai lo vedo?
Il fatto di vedere, vuol dire che ho aderito! Lo vedo, e come mai
faccio il male? Perché sono schiavo!
Allora ho bisogno di
incontrare Colui che mi dà quel supplemento di anima, cioè quella Presenza
tra le presenze che mi portano via, che mi impediscono di vivere per Dio. Nel
pensiero del mio io ho bisogno di vedere un Altro, di incontrare un Altro
che sia una Presenza, perché noi siamo salvati da una Presenza, da un
Essere presente, da una Realtà, non da una regola.
La sola regola (la legge
è regola) non ci salva, perché non ci può liberare dal pensiero del nostro io.
Io ho bisogno invece di un Altro, di una Persona, di un Essere; ma non di un
essere qualsiasi ma dell’Essere, di Colui che è, e Dio è l’Essere.
Ma per giungere a quell'Essere,
siccome io sono in prigione con altri esseri, con altre presenze fisiche, ho
bisogno di trovare in mezzo a questi altri esseri un essere, una presenza
fisica, che però sia Dio, altrimenti non posso agganciarmi a Dio! Resto
dominato da queste altre presenze! Per cui è solo da Cristo, in Cristo, che ho
la “grazia” di liberarmi dalle altre presenze.
Eligio: Ma anche in questa prima fase del cammino
verso Dio, c’è pur una volontà, se c’è l’adesione alla legge, ed è allora la
legge stessa che muove la volontà, no?
Luigi: Direi, alla legge aderisco
intellettualmente, ma la regola non mi dà la forza, la volontà, perché la
volontà è già l'ultimo gradino nelle operazioni della nostra vita:
·prima c'è il pensiero,
·poi c'è la giustizia,
·poi c'è la coscienza.
La volontà poi è quella che attua, che realizza, ma è
già un campo di applicazione: un campo di applicazione di cose molto più
a monte, per cui, a seconda di quello che io desidero, a seconda di quello
che io penso, poi dopo voglio. Quindi a seconda di dove io ho gli interessi,
poi dopo voglio.
Ora, naturalmente, la
legge mi coglie all'ultimo atto, nel momento in cui io agisco; ed ecco che
qui ho il muro; cioè qui esperimento l’incapacità o la ribellione,
perché:
- se intellettualmente
riconosco giusta la legge e vi aderisco, essendo dominato da altre presenze,
esperimento l’inefficacia di essa: non mi dà la forza per attuarla, per cui
esperimento la mia incapacità e povertà.
- se intellettualmente
non aderisco ad essa, se seguo i miei interessi, se vado dietro al pensiero del
mio io, quando dico: "Io voglio fare una cosa!", la legge mi dice:
"Non farla!", e qui esperimento la ribellione, anche perché essa,
siccome mi coglie dall'esterno, mi viene dall’esterno, è un'offesa al mio io, è
un'offesa alla mia volontà, è una privazione di libertà. Ecco perché abbiamo ad
un certo momento la reazione dell'uomo che dice: “Facciamo fuori Dio, perché io
voglio essere libero!”.
Eligio: La legge però mi dà anche delle norme
positive, non solo dei divieti.
Luigi: Certo, ma queste norme positive si
sintetizzano in: "Ama il Signore Dio tuo, al di sopra di tutto, prima
di tutto!". Però questo ordine mi sorprende quando già sono in una
certa direzione, per cui mentre io sto camminando su di una strada, questa
legge mi dice: "Non questo, ma quello!". Ma non basta questo comando!
Perché quando sono nel pensiero del mio io, anziché vedere in esso
l’orientamento positivo, vedo il divieto e quel divieto lo vedo come una
stroncatura, lo vedo come un limite, come un muro che mi impedisce di andare
avanti.
In termini naturali, già
tutta la creazione è una legge, perché nella natura stessa io trovo tanti
limiti alla mia esistenza.
Per cui vorrei correre, ad esempio, a mille all'ora e invece posso correre
soltanto a dieci all'ora: è colpa dei limiti. Ho i limiti del tempo, ho i
limiti dello spazio, tutto mi limita. Prova, se riesci, a fermare il tempo! Non
possiamo fermare il tempo! Eppure vorremmo fermarlo! Ecco, già tutto l'universo
ci limita!
La presenza di Dio in noi
crea in noi un'aspirazione all'infinito, però noi, questa aspirazione all'infinito,
l'attribuiamo al nostro io! Il nostro io vorrebbe espandersi all’infinito, ma
incominciamo a trovare i muri del tempo, dello spazio, ad esperimentare i
limiti, ecc.
Tutto questo è legge, per cui noi ci sentiamo limitati, sempre più
limitati.
Tanto più che, ecco, ad
un certo momento questa legge diventa addirittura parola che dice: "Tu
devi volere questo!", e lì, se non riconosco giusta la legge, io mi
sento offeso, perché ho un certo interesse e vedo una volontà contraria.
Vedo cioè la legge come volontà diversa, come una volontà che s'impone, che mi
limita. Ecco allora la reazione dei vignaioli che dicono: "Facciamo
fuori l'erede, così la vigna sarà nostra!" (Mc 12, 7). Quale vigna? La
nostra vita! Così non avremo più dei limiti, non avremo più dei confini!
Eligio: La legge però può almeno farmi capire che la
mia volontà può essere una volontà di rovina, no?
Luigi: Può fartelo capire! Però, anche se lo capisci,
non basta, perché non basta aderire alla legge per poterla attuare! Vedo il
bene, lo posso capire, anzi, quando la legge si impone e mi dice: “Mettiti a
posto con Dio! Tu devi occuparti di Dio!”, io dico: "Se Dio esiste, è
giusto questo! È vero questo!”. Quindi il bene lo vedo, però non basta
vederlo per poterlo attuare.
Ma perché? Perché se io
mi occupo di Dio, come faccio a mangiare? Come faccio a vestirmi? Come faccio a
guadagnare? Come faccio ad avere una casa? Ecco, ho altre realtà presenti! Sono
queste altre realtà presenti che mi impongono di venir meno a quel comando!
Perché io non sono un uccello su un ramo, per cui dico: "Va bene, io penso
solo al Signore!". No, perché ho la famiglia, ho dei doveri. Ed è
soltanto se trovo un altro Essere superiore, il Cristo, con cui posso
"fare blocco", come faccio blocco con le creature verso le quali
sento dei doveri, posso essere liberato e reso disponibile ad occuparmi di
Dio.
Eligio: Questa è una soluzione, una possibilità di
liberazione, che è valida per noi che abbiamo la conoscenza del Cristo, anche
solo storicamente. Ma mettiamoci nella condizione di chi è vissuto
precedentemente al Cristo...
Luigi: Non cambia, perché anche chi è vissuto prima
di Lui, può maturare in sé il bisogno del Cristo, perché anche lui è di
fronte alla legge: anche la natura stessa, anche la stessa creazione, è
legge. S. Paolo stesso dice: “Anche colui che non conosce la legge (la
legge positiva), ha come legge la natura, la coscienza” (cf Rom 1,
19-20), e se la riconosce giusta, forma in sé il bisogno del Cristo.
Comunque i concetti di: “legge”
(bisogna mangiare), “grazia“ (ho desiderio di mangiare), “Verità”
(incontro con il Pane), sono chiari? Perché altrimenti noi parliamo di legge,
di grazia, di Verità e magari ci confondiamo perché attribuiamo a queste parole
altri significati. Invece, posto il significato di queste parole in questi
termini, abbiamo ora la possibilità di parlarne, senza più confonderci.
Giovanni M.: S. Paolo dice anche che la lettera della
legge uccide e che è lo Spirito che vivifica…
Luigi: Certo. È il tema principale per s. Paolo
quello della legge. Cioè egli vuole dimostrare che la legge non ci salva! Cioè
la legge non ci assicura la vita, e questo l'abbiamo constatato tante volte... La
legge, come la natura, non ci assicurano la vita! Chi ci assicura la vita è la
grazia! È il desiderio! Cioè non basta dire ad un uomo: "Devi
mangiare!", perché lui mangi; lui ti dirà: "Io non ho fame!". E
così è lo stesso: non basta dire ad un uomo: "Devi amare!"; lui ti
dirà: "Ma io non posso amare!". Perché? Perché fintanto che non vede,
cosa ama?
Noi per poter amare
dobbiamo vedere l'oggetto da amare. Per desiderare, dobbiamo vedere l'oggetto
da desiderare! Solo quando l'oggetto viene presentato in vetrina, incominciamo
poi a desiderarlo; ma prima no!
Allora, la legge mi
dice quello che è giusto, ma non mi dà la volontà, non mi dà la capacità di
volere, perché non mi dà la conoscenza di ciò che devo volere. Quello
che mi dà la capacità di volere è la presentazione, è la conoscenza. La legge
invece non mi dà la conoscenza, per cui praticamente mi fa solo toccare con
mano la mia impotenza, la mia incapacità, il bisogno di un Altro che mi dia una
mano.
Ecco, mi fa nascere e
toccare con mano il bisogno. Per cui dico: "Che cosa debbo fare io per
arrivare là dove mi dice la legge? E cosa mi dice la legge? Cerca la vita
eterna. Ma io l'ho cercata, però non vi sono arrivato, e allora che
cosa debbo fare?". Ecco che la legge mi conduce a Qualcuno a cui rivolgere
la domanda: “Dimmi cosa posso fare per-, perché io ho cercato, ma...”.
Hai cercato di aderire
alla legge, ma la legge non ti ha dato quello che cercavi. Non te lo può dare!
Anzi la legge ti può far diventare orgoglioso, se non ne cogli l’anima.
Infatti siccome la legge
è regola, noi possiamo travisare l'anima della legge. Per cui, quando la legge
mi dice: "Non rubare", io cerco di non rubare, ma non colgo che
l'anima del non rubare è: "Cerca il Signore Dio tuo con tutta la tua
mente, con tutta la tua anima, con tutto te stesso!": questa è
l'anima, e solo osservando l’anima io non rubo veramente!
Ma se io non ne colgo
l'anima, se non cerco Dio prima di tutto e non rubo, il mio "non
rubare", mi fa diventare soltanto un essere orgoglioso, mi fa appartenere
ad una classe separata, per cui dico: "Io non ho rubato, io non sono come
gli altri, io sono un puro!". Quindi mi dà la sensazione di essere un
giusto, di essere un virtuoso e invece sono un orgoglioso: cioè mi sono
messo, addirittura, all'opposto dell'anima della legge! Ecco perché la legge
non mi dà la grazia!
E non me la dà anche
quando ne colgo l’anima, perché mi fa solo esperimentare l’impotenza; mi fa sospirare il Cristo, ma non mi dà la
grazia… Perché chi mi dà la grazia è la Persona, è la fede nell'altra Persona,
è l'Altro, un Essere Personale!
Per cui il cristianesimo
non sta nelle regole; il cristianesimo sta nella presenza di una Persona: è
la presenza dell'Altro che mi libera dal mio io, perché la regola non mi libera
dal mio io, anzi, conferma il mio io, perché: "Io ho fatto questo!
Signore, Ti ringrazio perché non sono come gli altri: pago le imposte...,ecc.…,
per cui sono diverso dagli altri". Ma il Signore mi dice: "Non
sei giustificato!" (Lc 18, 9-14).
Cina: Però a me sembra che la legge sia anche
necessaria…
Luigi: La legge è necessaria! È necessaria!
Infatti s. Paolo dice: "Ma allora cosa facciamo? Distruggiamo la legge?
No, la comprendiamo!" (cf Rm 7, 7-12). Infatti Gesù dice: "Io
non sono venuto per abolire la legge, ma per compierla, per portarla a
compimento!" (Mt 5, 17). Cosa vuol dire “sono venuto per portarla a
compimento”? "Sono venuto a darvi la possibilità di arrivare là dove vi
dice la legge".
Ecco perché ci vien detto
che “la grazia e la Verità sono diffuse in Gesù Cristo” per coloro che rimangono in Lui, con Lui! Per cui se in noi, avendo colto
l’anima della legge, si è formato il problema: "Cosa debbo fare per
arrivare alla vita eterna?", ecco che Gesù viene a soddisfare, a
rispondere a questo bisogno, dandoci la “grazia” per giungere alla “Verità”,
e quindi alla “vita eterna”.
Allora, la legge ci
presenta la meta, ci fa toccare con mano dove dovremmo arrivare, ma nello
stesso tempo, ci fa toccare con mano la nostra incapacità di arrivare là;
ma questo è un passaggio obbligato, perché, per arrivare al Cristo
abbiamo bisogno di essere poveri, di riconoscerci peccatori, di
sperimentare di essere morti, di toccare con mano il nostro niente e il bisogno
che abbiamo di Dio.
Nel pensiero del nostro
io noi facciamo conto su di noi anziché far conto su Dio, mentre invece
(l’abbiamo visto nel tema "grazia su grazia") la vita sta sempre
nel far conto su Dio, nel riferire tutto a Dio: questa è la cosa veramente
importante!
Allora, ecco la
necessità della legge che mi fa toccare con mano la mia impotenza, la mia
povertà, il mio niente, quindi il bisogno dell'Altro, l'Altro con la A
maiuscola, che è il Cristo, che è Dio! Non il Dio che sappiamo che esiste,
Spirito trascendente, ma il Dio-uomo, perché a causa del pensiero del
nostro io, ormai quello che su di noi domina, sono gli uomini, sono le presenze
materiali, le presenze fisiche (c’è il bisogno del mangiare, c’è il bisogno del
vestire, ecc.). Sono tutti questi condizionamenti che ci impediscono di "amare
il Signore Dio con tutta la nostra mente, con tutte le nostre forze",
per cui non possiamo dedicarci a Dio, perché abbiamo tanti altri impegni.
Come mai ho questi
impegni anziché impegnarmi nell’unica cosa necessaria? Ma perché sono
dominato da tutte le presenze fisiche: non ho la Presenza di Dio, ho le
altre presenze! Per cui, con le altre presenze, io debbo vestirmi così, debbo
abitare così, devo viaggiare così, devo guadagnare così: tutte queste cose mi
impediscono di avere del tempo per Dio, per occuparmi di Dio.
La legge dunque è necessaria
per farmi esperimentare questa mia impotenza e quindi per formare in me il
bisogno del Cristo.
Però la legge può essere
travisata, in quanto, nel pensiero
del mio io, può diventare regola. Cioè io posso non vedere l’anima, non
cogliere l’anima della legge e fermarmi soltanto alle regole singole. Ma queste
regole singole mi gonfiano d’orgoglio. Quindi la legge, può creare l'uomo
ambizioso; non che la legge voglia creare l'uomo ambizioso, l'uomo
orgoglioso o la casta. La legge non vuole questo, perché la legge è buona in
sé! Però, intesa nel pensiero del nostro io, diventa un modo di essere,
diventa una certa applicazione: devo andare qui o andare là, fare questo o fare
quell'altro…; io questo lo faccio, invece gli altri non lo fanno…; quindi mi
porta a confrontarmi con gli altri, proprio perché diventa regola, ed io
credo di essere salvo, mentre invece, mi sono aggravato nella lontananza da
Dio!
Pinuccia B.: La funzione di Gesù allora è quella di farci cogliere
l'anima della legge?
Luigi: No, l'anima della legge noi la possiamo
cogliere (e la dobbiamo cogliere!) prima di Cristo, se in noi c'è la
coscienza retta, se in noi c'è l'amore alla giustizia.
Cogliere l’anima della
legge presuppone in noi l'amore alla giustizia, il battesimo di giustizia, cioè
il ritenere giusto mettere Dio prima di tutto. È questo amore alla giustizia
che ci fa incontrare il Cristo!
Allora nella giustizia
noi riconosciamo che la legge è giusta, che ciò che dice la legge è giusto. Ma
è con il Pensiero di Dio, solo se ho presente il Pensiero di Dio, con Dio, che
posso riconoscere quello che è giusto.
Infatti quando la legge
mi dice: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua
mente…”, se io penso Dio, lo riconosco giusto, ma se io non penso Dio, dico:
“Sono storie!”. E già, perché ci vuole lo Spirito per riconoscere giusto ciò
che mi dice la legge!
Pinuccia B.: Posso anche prima di Cristo arrivare a cogliere l'anima
di ogni singolo comandamento ?
Luigi: Sì, posso arrivare pure a questo, anche prima
di Gesù, però questo non è sufficiente per darmi la possibilità di arrivare al
compimento di quello che ritengo sia giusto. La grazia per giungere al
compimento me la dà Gesù.
Pinuccia B.: Tu dici che la legge vuole solo essere riconosciuta
giusta e che anche se non la attuo, l’importante è che io aderisca. Ma questo
non basta per salvarmi!
Luigi: Infatti la legge non mi salva; la
legge chiede a me che io riconosca quello che è giusto! È questa la sua
funzione: farmi riconoscere quello che è giusto.
È il primo passo, perché riconoscendo quello che è giusto, io
tocco con mano la mia ingiustizia, io tocco con mano il mio peccato, io tocco
con mano la mia morte, ed ecco che incomincio a piangere, incomincio ad
invocare, incomincio a dire: "Chi mi libererà da questo corpo di
morte?" (Rm 7, 24).
E come faccio a dire che
mi trovo in un corpo di morte, per cui conosco, vedo quello che è bene e poi
faccio il male? E come mai faccio il male? Nell'occasione io faccio il
male! Come mai io faccio il proposito al mattino e poi cinque minuti dopo sono
già caduto? Come mai? Vedo quello che è bene, vedo quello che è giusto, ma,
occasionato, cado. Come mai? Mi manca la grazia!
E come mai mi manca la
grazia? Operano su di me altre presenze! Vedo un essere antipatico e ho un moto
istintivo di ripulsa! Eppure mi ero già proposto di amare tutti i miei
fratelli! E come mai io vedo quella persona e ho un moto di ripulsa?
Mi manca la presenza del
Cristo! Non vedo il Cristo! Allora
io so che dovrei amare, so che dovrei amare i fratelli, che è giusto, secondo
Dio, che io ami il fratello, anche l'antipatico, e come mai invece, di fronte
all'antipatico ho il moto di ripulsa?
Perché non vedo il
Cristo. Ecco, non ho la Presenza.
Quando non abbiamo la
Presenza, sono le altre presenze che operano tra di noi che determinano i
nostri comportamenti:
per cui io vedo, ad esempio, una bignola e mi viene l'acquolina in bocca. Come
mai mi viene? Eppure mi ero proposto di non lasciarmi attirare dai desideri di
gola! Come mai? Sono le presenze che operano su di noi. Allora, chi ci
libererà da queste presenze che operano su di noi, che ci condizionano, che
ci fanno essere così? È l’Altro! È la presenza del Cristo!
Quindi soltanto quando
vedrò la presenza del Cristo… scusatemi, anche nella bignola, la bignola non mi
susciterà più l'acquolina in bocca! Anche il fratello antipatico, se vedo in
lui il Cristo, non mi crea più quella ripulsa, anzi! Proprio perché vedo in lui
la presenza del Cristo! Quindi è soltanto il vedere la presenza del Cristo
"in tutto" che mi dà la grazia di non essere più dominato da tutto
quello che mi porta via.
È questa la grazia che
troviamo in Lui!
Pinuccia B.: Vorrei chiarire una cosa: l'interno dipende da noi e
l'esterno dipende da Dio, cioè è Dio che opera l'esterno a seconda del nostro
interno. Quindi se…
Luigi: Un momento! Anche l’interno dipende da Dio. Sia
l'interno che l'esterno, dipende tutto da Dio, tant’è vero che il nostro
interno è in un modo o in altro modo a seconda del rapporto che noi abbiamo con
Dio. Per cui se io non sono unito a Dio, anche il mio interno diventa una
devastazione.
Pinuccia B.: Ma chi mi dà la possibilità, cioè la grazia, di rimanere
unita a Dio è solo Cristo.
Luigi: Certo, ma intendiamo bene: chi mi dà la
grazia di rimanere unito a Dio è il Cristo, ma quando Cristo mi condurrà là
dove Lui mi vuole condurre.
Cioè non è sufficiente
che io incontri il Cristo così per la strada per aver già subito la possibilità
di rimanere unito a Dio; perché quando si parla di camminare con Cristo, si
parla di stare "con" Lui, ma per tanto tempo, per raccogliere tutto
quello che Lui dice, per camminare con Lui dove Lui va, fino ad arrivare al
Padre; perché è soltanto arrivando alla conclusione del cammino con il
Cristo che si riceve la conoscenza della Verità e quindi lo Spirito della
Presenza, lo Spirito Santo. Ecco: “...la grazia e la Verità sono diffuse in
Gesù Cristo”.
Quanti invece hanno
incontrato il Cristo, sono andati dietro di Lui per un certo tratto di strada e
poi hanno deviato e si sono ritirati! Quindi non basta dire: “Ho incontrato il
Cristo”, sia ben chiaro, perché il Cristo va verso una meta ben precisa; ed è
altrettanto chiaro che è necessario che noi camminiamo con Lui.
Cioè, per ricevere “la
grazia e la Verità” che sono diffuse “in” Gesù Cristo, bisogna
imparare a restare con Lui, a camminare con Lui fin là dove Lui ci vuole
condurre, ed è là, nel Padre, che troveremo la salvezza, cioè la conoscenza
della Verità e quindi la Presenza del Padre e del Figlio e conseguentemente la
stabilità dell’unione con Dio!
Pinuccia B.: Quindi è Dio che opera l’esterno a seconda di come è il
nostro interno: se siamo o no uniti a Lui. È in questo senso che l'esterno
dipende dall'interno. L'esterno è Dio che lo fa in relazione al mio rapporto
con Lui.
Vorrei però capirlo in
relazione alla Legge, ai Comandamenti che Dio ci dà. Dio mi dice: “Non
rubare, non uccidere...ecc.”, però risulta che se io faccio queste azioni,
è Lui che me le fa fare esteriormente. Allora questo vuol dire che la funzione
della Legge (che ci dice: “Fa’ questo…fa’ quello…, non fare questo…non fare
quello….”) è solo un segnale d'allarme, cioè un segnale che mi rivela che “se
non faccio quello” o “…se faccio quello”, io sono lontana da Dio? Cioè Dio mi
fa fare fuori determinati errori per darmi un segnale d’allarme, per farmi
toccare con mano che il mio cuore è lontano da Lui e che quindi non ho colto
l’anima della Legge. È così?
Luigi: Sì, certo, ti fa capire che non ne hai colto
l’anima. Il non compiere la Legge è un segnale d’allarme per rivelarti che
sei lontana da Dio. La funzione della legge (ne abbiamo parlato finora) è
proprio quella di farci toccare con mano la nostra lontananza, per formare
in noi il bisogno del Cristo, per farci sospirare il Cristo.
Pinuccia B.: Però è Dio che ce la fa toccare con mano, non la legge!
Luigi: Ma la legge è espressione di Dio, la legge è
stata mandata da Dio!
La legge ha la funzione dei
paracarri che mi segnalano, mi indicano la strada e me la delimitano. Però quando io guardo i paracarri non è che
io cammini sulla strada! È necessario che io guardi l’anima della legge, perché
è l’anima che mi fa andare alla meta! È l’anima della legge che mi fa
camminare, non i paracarri!
I paracarri mi aiutano a
restare sulla strada, però io debbo camminare!
Ma ciò che mi fa camminare è il desiderio della meta. Se io invece guardo solo i paracarri, non è
che io cammini e sicuramente non arrivo al termine della strada.
Pinuccia B.: Comunque Dio prima mi dice di non fare questo, ma poi è
Lui che me lo fa fare se io non guardo Lui…
Luigi: Certo, tutto è Dio che te lo fa fare, ma
per rivelarti la tua situazione interiore, perché è questa che conta!
Quindi è tutto Dio che te lo fa fare, perché la sua volontà, che è l'anima
della legge, è: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la
tua mente, con tutte le tue forze...”. Per cui, se tu non ami
Dio, diventi un delinquente; se tu non ami Dio prima di tutto, senza Dio, tu
muori. La morte è anche Dio che l'ha mandata, ma l'ha mandata per salvarci.
Per cui se Dio ci fa fare
le cose cattive, ce le fa fare ancora per salvarci, e quindi è ancora un atto
di misericordia, perché ci evidenzia il nostro male interiore per
darci la possibilità di ravvederci.
Quante volte abbiamo
detto che il Signore, per farci toccare con mano il peccato che portiamo dentro
di noi, ci fa uccidere il Cristo, il suo Figlio! Perché ce Lo fa mettere in
Croce? È necessario! È necessario per salvarci. Perché? Appunto per rivelare il
nostro delitto interiore: “…affinché il segreto dei cuori sia
manifestato” (Lc 2, 35), cioè affinché noi tocchiamo con mano il
nostro deicidio (ecco perché Gesù più volte ha affermato che era necessaria
la sua sofferenza e la sua morte per entrare, in noi, nella sua gloria, cioè
per salvarci), perché, fintanto che il peccato è dentro di noi, noi lo
portiamo, ma non lo sappiamo!
Infatti s. Paolo dice
così: “Io ero morto, ma non sapevo di essere morto! La legge è venuta dopo e
mi ha detto: fa’ questo! Allora io ho capito che ero morto, perché ho fatto il
rovescio!”. Ma già prima io ero morto, ma non lo sapevo! Ecco, la legge ci
è stata data per farci toccare con mano la nostra morte! Ci fa scoprire la
nostra miseria, la nostra povertà.
Pinuccia B.: Cioè ci fa scoprire che siamo tanto lontani da Dio.
Luigi: E scoprire la nostra povertà è la
condizione per arrivare alla salvezza, per arrivare al Cristo. Perché il
Cristo è venuto tanto tardi nella storia dell’umanità e, come dicevamo la
volta scorsa, perché viene tanto tardi nella vita di ogni uomo?
Perché noi prima abbiamo
bisogno di toccare con mano la nostra miseria, la nostra povertà, la nostra impotenza, la nostra morte!
Ecco, sono i vini delle nozze di Cana che vengono gustati prima di arrivare al
vero vino! Per cui noi ci ubriachiamo di tutte le nostre capacità, dicendo: “Io
faccio questo, m'impegno in questo, posso fare quell'altro ecc.”, e ad un certo
momento tocchiamo con mano che non possiamo fare niente.
Ora, soltanto toccando
con mano questa nostra incapacità e impossibilità, si forma in noi il bisogno
di far conto su Dio, ed è lì l'anima!
Perché noi dobbiamo
imparare a far conto su Dio, per diventare figli di Dio! Perché fintanto che noi facciamo conto su
altro, fintanto che noi facciamo conto sulle nostre possibilità, sulla nostra
intelligenza, sulla nostra volontà, sulle nostre virtù, noi creiamo l'uomo
orgoglioso, l'uomo che sale sul piedistallo, che guarda gli altri dall'alto in
basso, l'uomo che si scosta dagli altri, ma non creiamo l'uomo che è nella
salvezza!
L'uomo che è nella
salvezza è l'uomo che fa conto su Dio, che accoglie tutto da Dio, che riferisce tutto a Dio,
che spera tutto da Dio: allora lì abbiamo il figlio di Dio!
Ora, Dio opera in
tutte le cose, prima di tutto, per smontare questo essere orgoglioso,
questo essere che dice "io...". Ecco, prima di tutto opera per
smontare. Perché fintanto che non ci smonta, qualunque cosa noi la travisiamo!
Anche se incontriamo il Cristo, noi nel pensiero del nostro io, forti di questo
errore, chiusi nel pensiero del nostro io, travisiamo tutto! Uccidiamo
Dio! Perché?
Perché la nostra
preoccupazione è quella di essere liberi, di “avere la vigna per conto nostro",
e allora vediamo Dio come il nemico, il nemico della nostra libertà (“Colui che
mi ordina cose diverse da quelle che voglio io, Colui che mi impedisce di fare
ciò che voglio…”), per cui diciamo: “Ecco, facciamo fuori il nemico!”.
Quindi, vediamo Dio, non
come l'Amico, non come Colui che ci dà la salvezza, che ci dà la “grazia”,
che ci dà la “Verità”, ecc., ma Lo vediamo come Colui che ci limita, che
ci impedisce...
Giovanni M.: Però c’è una grande differenza tra il comando
dell’uomo e quello di Dio: Dio anche se comanda, lascia la libertà; invece
l’uomo no.
Luigi: Sì, e poi c’è questo: che il comando di
Dio è sempre giustificato, mentre invece la volontà dell'uomo non è
giustificata: l'uomo è un essere nudo.
Dopo il peccato originale
l'uomo ha scoperto di essere nudo, si è sentito vergognato. Cosa vuol dire che
si è sentito vergognato? Mica si è vergognato di essere nudo, perché il nudo
naturale è Dio che l'ha fatto; mica si è vergognato di questo! Si è vergognato
della sua nudità interiore: cioè ha esperimentato che la sua scelta, la sua
volontà non era giustificata!
La differenza tra la
volontà di Dio e la volontà dell'uomo, è che la volontà di Dio è giustificata:
ha la Verità con Sé, in Sé. Infatti Dio giura su Se stesso, per cui la
Parola di Dio è giustificata in Se stessa! La parola dell'uomo invece non è
giustificata in se stessa.
Noi, quando parliamo, abbiamo
sempre bisogno di andare poi a cercare delle ragioni per giustificare quanto
abbiamo detto. Tant'è vero che i nostri desideri noi li dobbiamo sempre
nascondere dietro delle etichette, dietro delle bandiere, dietro degli
ideali, perché non possiamo dire: "Io sono un orgoglioso, quindi datemi
questo, fatemi quell'altro!", poiché gli altri si metterebbero a ridere.
Quindi bisogna dire: “C'è quell'ideale...” e ci nascondiamo sotto, perché siamo
nudi. E ad un certo momento ci mettiamo anche gli istituti, anche le
comunità...! Ma è sempre l’io che si può nascondere anche in queste cose…
Pinuccia B.: Anche nella Chiesa, nel nostro rapporto con essa?
Luigi: Sì, anche nella Chiesa, perché essa può
essere vista come organizzazione, come istituzione, e può diventare
un’etichetta. Tutto, quando in noi
viene meno l'anima, tutto può diventare etichetta o schermo per il nostro
io!
Gesù dice che l'anima di tutti
i profeti, di tutta la legge e quindi diciamo anche di tutta la natura, di
tutte le opere di Dio, è questa: “Ama il Signore Dio tuo con tutta la tua
mente, con tutto il tuo cuore, con tutto te stesso”. Questa è
l'anima di tutto. Allora, se io mi tolgo l'anima, mi resta soltanto più
l'involucro, sono soltanto più corteccia, solo più apparenza, mi manca la
sostanza, l’essenziale!
Allora qui abbiamo anche
la possibilità, la grazia, di capire l'anima di tutte le opere del Signore: tutte
le opere che il Signore fa, quindi la creazione, la natura, gli
avvenimenti, tutte hanno, come anima, questa lezione: “Ama il Signore Dio
tuo!”. Quindi se io guardo un albero, io devo vedere nell'albero la
lezione di Dio che mi dice: “Ama il Signore Dio tuo!”. Se io guardo le stelle, guardo il cielo,
guardo l'acqua, guardo i fiori, guardo l'erba, devo trovare in tutte quelle
cose sempre questa lezione: "Ama il Signore Dio tuo!": quella
è l'anima! Se guardo gli uomini, debbo trovare negli uomini questa lezione: "Ama
il Signore tuo Dio!". Se guardo il terremoto, il terremoto mi deve
dire: "Ama il Signore Dio tuo, con tutta la tua mente!". Tutto
è lezione di Dio, tutte le creature, tutti gli avvenimenti sono lezioni di Dio,
perché sono opere di Dio.
Però se a noi manca
quest'anima, travisiamo tutto, perché allora subentra il nostro io. E allora questo io travisa addirittura Dio,
perché è Dio appunto che parla con noi in tutto. Quando si sente un essere
parlare, bisogna sempre cercare di capire il suo pensiero, il suo spirito; così
dobbiamo fare con Dio, poiché il suo Pensiero, il suo Spirito, è l’anima delle
cose, altrimenti fraintendiamo tutto, quindi anche la legge stessa.
Giovanni M: Se capiamo l’anima della legge, scopriamo
la nostra povertà e impariamo a far conto solo su Dio, non più su noi
stessi, né su nient’altro, come ci diceva il Salmo della Messa di stamattina: “È
meglio confidare in Dio che confidare negli uomini”.
Luigi: Certo. In tutta la Bibbia ci viene richiamato
questo. Quante volte ci viene ripetuto quel fatto lì: “Guai a voi che
confidate nei carri e nei cavalli dell'Egitto!” (Is 31, 1).
Cina: C’è una lettura molto bella, tratta, mi
sembra, dal profeta Geremia, in cui si dice che chi confida nell'uomo è come un
deserto, una terra arida, senz’acqua, dove c’è solo salsedine....
Luigi: Cioè dove il terreno non è fertile...
Cina: Invece chi confida in Dio ha le radici in un
buon terreno, per cui anche se viene la siccità non muore, perché c’è l’umore
della terra che lo fa vivere...
Luigi: Lo dice anche il Salmo 1: “Chi confida nel
Signore è come un albero piantato lungo le sponde di un fiume..., ma chi
confida nell’uomo è come pula che il vento disperde”. E già, perché le parole di Dio hanno in se stesse
la ragione; invece chi confida nell’uomo non può stare su perché l'uomo non
ha in se stesso la ragione di ciò che dice o fa, per cui ha sempre bisogno
di appoggiarsi ad altro.
Già questo dimostra che
l'uomo non deve agire nel suo egoismo, per se stesso, altrimenti si sente nudo,
cioè non giustificato, per cui è sempre lì alla ricerca di una giustificazione,
ha sempre il bisogno di essere giustificato da un’altra ragione, da
un’etichetta che copra il suo egoismo o ambizione.
Questo avviene perché l’uomo
per agire ha sempre bisogno di una ragione, ma siccome il suo io non è una
ragione sufficiente, tutto quello che l’uomo fa nel pensiero dell'io, non lo
giustifica davanti a Dio. Infatti gli invitati dicono: “Abbimi per
giustificato: ho il lavoro, i campi, i buoi, la moglie, non posso venire!”.
“No, - dice Dio - non assaggeranno la mia cena!” ” (Lc 14,
15-24). Ecco, non sono giustificati!
Quindi tutto quello che
ha per centro l’io, non è giustificato, perché il principio della
giustificazione è Dio. È per questo che dobbiamo sempre mettere Dio prima di
tutto: "Cerca prima di tutto il Regno di Dio, non preoccuparti del
mangiare, del vestire, ecc.” (Mt 6, 33).
Giovanni M.: Ma per partire da Dio bisogna superare
l’io, ed è necessaria tanta umiltà. Nel libro “L’imitazione di Cristo” c’è
un passo in cui Dio dice: "Io mi sono fatto umile, affinché attraverso
la mia umiltà tu possa vincere la tua superbia”.
Luigi: Sì, perché noi da soli, non possiamo vincere
la nostra superbia. Sappiamo che è superbia, ma non possiamo vincerla! Cioè non
possiamo superare il pensiero del nostro io da soli: abbiamo bisogno
dell'Altro. È l’Altro che ci dà la “grazia”! Però per arrivare
all'Altro, dobbiamo toccare con mano la nostra povertà. Ecco la necessità
della “legge” che ci fa toccare con mano la nostra incapacità e ci fa
invocare il Cristo, il quale poi ci porta alla conoscenza della “Verità”,
cioè alla vita eterna: eterna perché vera.
Giovanni M.: È vera anche perché fondata sull’amore.
Charles De Foucauld ha scritto: “Soltanto ciò che è fondato sull’amore rimane
eterno”.
Luigi: Certo.
Emma D.: Il versetto dice che “la legge è data da
Mosè” e che invece “la grazia” e “la Verità”
sono date dal Cristo. Allora…
Luigi: O meglio, sono date, diffuse “in” Gesù
Cristo. C’è differenza tra il “da” e l’"in”. È una cosa molto
diversa.
Emma D.: Si può ancora approfondire questa differenza?
Luigi: Dicevo che quel “da” Gesù Cristo va inteso
"in" Gesù Cristo, perché con Gesù Cristo non c'è un rapporto come
quello di un passaggio di una cosa da uno all'altro, per cui uno mi dà questo,
io lo ricevo e me ne vado. No! Io non posso ricevere da Gesù Cristo qualche
cosa se non resto "in" Gesù Cristo: perché i doni suoi sono "con"
Lui e "in" Lui, per cui li ricevo nella misura in cui io sono
“in Lui"; mentre invece la legge non mi richiede questo!
Infatti Dio dà la legge
per mezzo di un altro uomo, Mosè, ma non è necessario restare "in"
Mosè, “con” Mosè, per avere la legge: la legge è una regola; la regola la si dà
e l'altro la riceve; invece con Cristo non posso ricevere senza restare
"con" Lui, “in” Lui perché i doni sono "in" Lui.
Anzi, è Lui stesso il Dono!
Quando Dio dice che Lui
stesso è l'eredità dei suoi figli, ed è l'eredità dei suoi sacerdoti, dà ordine
a tutte le altre tribù di non lasciare nessun lascito alla tribù di Levi perché
dice: "Io sono la loro eredità, Io debbo essere la loro
eredità!" (Nm 18, 20-24). Cosa vuol dire questo? Vuol dire che Egli
stesso è il Dono che Lui fa ad essi!
Quindi i doni di Dio
non sono separati da Dio, per cui io non posso ricevere un dono da Dio
senza essere "con" Dio, “in” Dio, perché Lui stesso è
il Dono! La ricompensa è Lui, la vita eterna è Lui! Allora la salvezza e tutti
i doni di Dio, noi li troviamo con Dio e in Dio.
Quindi non c'è un processo
di distacco nel senso che Lui mi dà questo, io lo ricevo e me ne vado. No! Per
cui noi dobbiamo cercare la salvezza “in” Cristo, restando “in”
Cristo, perché è in Lui che troviamo “la grazia e la Verità”!
Cina: Quindi non c’è altro da fare che restare lì,
in Cristo...
Luigi: Sì, perché è con Lui e in Lui che arrivi
alla Verità! Non si tratta di doni con cui Lui ti arricchisce e poi puoi
andartene dicendogli: "Grazie, Signore, che mi hai dato questo e adesso me
ne vado per conto mio!". No! Se io non resto con Lui, quel dono di luce
ritorna al Cristo ed io resto senza.
Invece tutto ciò che non
è Dio, Dio lo fa arrivare a noi attraverso uomini, per cui il dono si stacca da
Lui, ma in questo caso il dono non è Lui: tutto questo è solo una premessa per
arrivare al vero Dono, e il vero Dono è Lui.
Ora, fintanto che noi non
ci convinciamo che il vero Dono al quale dobbiamo arrivare è Dio, noi non
abbiamo capito lo scopo della vita, quello che veramente dobbiamo
desiderare.
Quando quel giovane si
rivolge a Gesù e gli dice: "Maestro buono", Gesù lo richiama e
gli dice: " Perché mi dici buono? Uno solo è buono: Dio!".
Quel giovane non poteva sapere che Gesù era Dio. Non poteva saperlo! È per
questo che Gesù lo richiama: "Perché mi dici buono?". Buono è
ciò che è desiderabile. Quindi "Una cosa sola è desiderabile e una cosa
sola cercherò: Dio... abitare nella casa di Dio per tutto il tempo della mia
vita!" (Sal 27, 4).
Ecco, dobbiamo
convincerci che il vero Dono, il vero Bene, il “buono” da desiderare, da
volere, è Dio. Fintanto che noi non siamo convinti di questo, fintanto che
crediamo che i doni di Dio consistano nella tranquillità, nell'avere una casa,
nell'avere una famiglia, nell’avere delle ricchezze, dei beni, oppure
nell'avere certe virtù, ecc. noi non abbiamo ancora capito l'essenza, lo
scopo della nostra vita, il vero Bene da desiderare.
Ora, una delle prime
cose nella nostra vita è quella di individuare il vero Bene, quello che
dobbiamo mettere al di sopra di tutti i nostri beni e da cui deve dipendere
tutto. Fintanto che non siamo convinti di questo, siamo portati via da tutto.
Cina: Ci è richiesto proprio un superamento
continuo!
Luigi: Sì, ma questo superamento avviene nella
convinzione di ciò che è il vero unico Bene, per cui ripetiamo a noi stessi in
continuazione: "Una cosa sola è necessaria" (Lc 10, 42). Ma di
questo noi dobbiamo essere ben convinti: "quello è il mio Bene!"
E debbo volerlo con tutte
le mie forze, allora tutto il resto poi, poco per volta, va al suo posto.
Se invece io non sono
convinto di questo, incomincio a disordinare la mia vita, a vagare verso altri beni ritenendoli
necessari: “Sì, quello è necessario, certamente! Ma anche questo è necessario,
anche quest'altro lo è...". Ecco che allora incomincio a disperdermi!
Invece bisogna
individuare il vero Bene, la vera cosa buona da volere nella nostra vita, e poi dopo naturalmente organizzarci
per giungere ad essa, ed allora è poi lì che noi scopriamo tutto ciò di cui
abbiamo veramente bisogno per arrivare alla meta.
Allora la vera morale è
poi la strada che mi conduce là dove voglio andare e mi evita di vagare altrove.
Noi, molte volte, quando
parliamo di morale, facciamo una serie di regole; ma non sta lì il problema: ci
manca l'anima! L'anima di tutto è : "Dove vuoi andare?". E poi
allora a seconda di dove tu vuoi andare, avrai una certa morale che ti conduce,
cioè sceglierai la strada che ti conduce là.
Ma bisogna sempre avere
ben chiaro davanti a noi la meta, il fine. Quello che dà colore e valore a
tutta la nostra vita è il fine; se manca questo, è inutile parlare, tutto
viene travisato da noi.
Se noi non siamo convinti
che il nostro vero Bene, il nostro destino, lo scopo della nostra vita, la nostra eredità, lo scopo a cui dobbiamo
tendere con tutte le nostre forze è Dio, è la conoscenza di Dio, se noi
non siamo convinti di questo, non abbiamo colto l’anima della legge e
allora anche tutta la nostra religione rimane da noi completamente sfasata,
perché viene considerata solo come un insieme di regole, di norme di vita da
attuare, da realizzare, uno steccato da metterci attorno per difenderci e che
non ci porta assolutamente né nella conoscenza, né nell'amore, né nella vita.
Se invece ne siamo
convinti, possiamo riconoscere e seguire il Cristo e quindi ricevere quel
supplemento di anima, di volontà (ecco “la grazia”!) per giungere alla
meta: la conoscenza della “Verità”.
Eligio: Ritornando al problema iniziale che avevo
posto, cioè all’analisi sui due tipi di volontà, in riferimento alla “legge”
e alla “grazia”, direi che il primo tipo di volontà è il consenso
nostro, il riconoscere la validità della legge, mentre il secondo è la volontà
mossa dalla grazia di Cristo.
Luigi: Vedi, nella legge è il nostro io
che vuole (il consenso, il riconoscimento che la legge è giusta, lo diamo,
in realtà, con l’intelletto), perché con la legge tu trovi uno che ti dice:
"Fa’ questo!”. Quindi sei tu col tuo io che decidi se farai o non farai
quello che ti è stato detto. Quindi è il tuo io che vuole.
Invece nell'incontro
col Cristo, è l'“Io” di Dio che opera in te, quindi c'è l’amore, ogni cosa è un
atto d'amore. La “grazia” è l’Io di Dio che opera in te.
Eligio: E Dio opera proporzionalmente allo spazio che
interiormente io faccio nell’animo, nel pensiero, a questa grazia che mi arriva.
Luigi: Ah, certamente! Cioè la grazia opera nella misura della
tua disponibilità, direi, nel vuoto, nella povertà, nell'umiltà, nel
bisogno che hai di Lui, per cui scatta l'amore.
Come hanno fatto, ad un
certo momento, gli Apostoli a dire: "Abbiamo trovato il Messia!"
? (Gv 1, 45). Come hanno
fatto ad individuarlo?
Perché Lo portavano già
dentro come desiderio, come fame!
E come mai Lo portavano
come fame, come desiderio? Certo, erano affamati! Ma come mai erano
affamati?
Erano poveri, avevano scoperto, toccato con mano la loro
povertà.
E quello che li ha
portati a toccare con mano la loro povertà è stata la legge, ma la legge in
quanto aveva impegnato la loro volontà in un cammino nel quale hanno
toccato con mano la miseria, la povertà, il niente, il disordine, l’impotenza.
Quando qualcuno mi dice:
"Tu domani mattina devi andare sul Monte Bianco", mi impegna la
volontà. Ma la mia volontà si può rifiutare, per cui io posso dire:
"No!", rifiutando la proposta; ma posso invece dire: "Sì!",
ma allora vengo a toccare con mano la mia miseria, cioè che io non sono in
grado di andare sul Monte Bianco. Quindi qui è la volontà mia che è impegnata;
allora dall'impegno della mia volontà deriva la conoscenza della mia povertà,
la valutazione di me.
Così è lo stesso: l’adesione
alla legge impegna la mia volontà, per cui in un primo tempo io credo di
essere qualche cosa. Ma la legge mi fa toccare con mano la mia povertà, il mio
niente, la mia impotenza, se però ne colgo l’anima, poiché se non ne colgo
l'anima, la legge aumenta il mio orgoglio, perché allora colgo soltanto le
regole in periferia, per cui dico: "Io non rubo, non uccido, ecc.", e
allora mi credo a posto, credo sempre di più di essere qualcuno.
Se invece ne colgo
l’anima, l’anima della legge mi fa toccare con mano la mia povertà, la mia incapacità, la mia morte, l'immensa
lontananza da quella Vetta. Questa è la funzione della legge!
E questo è rivelazione
divina, perché s. Paolo dice che la funzione della legge è stata questa:
quella di farci toccare con mano la nostra morte. La legge non salva! La legge
è stata data per la prevaricazione, per farci fa toccare con mano la nostra
morte.
Eligio: Per cui o la legge ci conduce a vedere qual è
il fine, altrimenti è dannosa.
Luigi: Sì, certo, perché se non ne vediamo il fine,
ci fermiamo alla lettera, per cui l’osservanza di essa ci esalta.
Eligio: Quindi la legge da sola non salva.
Luigi: La legge da sola, no! Anche se ne cogliamo il
fine. Infatti Gesù dice: "Io sono venuto a portare a compimento la
legge”.
La legge è il pedagogo a
Cristo, è una guida che ci conduce a Lui.
Quando si arriva a
Cristo, la legge si ritira e dice: "Adesso lasciati guidare da Lui. Lui ti
condurrà al Padre”.
E quando con Cristo
arrivi al Padre, anche Lui si ritira e ti dice: “Adesso attingi lì, perché
il Padre ti ama” (cf Gv 16, 27).
Quindi, vedi che abbiamo
delle “traduzioni” o “tradizioni”? Cioè abbiamo uno che ti consegna all'altro,
e questo ancora all’altro, se siamo inseriti, cioè attratti dal Padre.
Allora:
·la legge ti conduce al Cristo (in quanto però tu aderisci ad essa) e poi si
ritira. Infatti s. Paolo dice che una volta giunti al Cristo, la legge ha fatto
la sua funzione. È stata il pedagogo al Cristo (Gal 3, 24). Ecco, la legge
ha la funzione della scala: la scala ti introduce nell'appartamento; una
volta che tu arrivi alla porta dell'appartamento, non guardi più la scala, ma
entri nell'appartamento! Così è la funzione della legge: se noi aderiamo, la
legge ha la funzione di condurci al Cristo (altrimenti, se non vi aderiamo, non
arriviamo al Cristo o vi arriviamo male!).
·Il
Cristo poi ci prende e la legge se ne va e Lui ci fa entrare allora in quello che è la conoscenza
del Padre, la ricerca del Padre (perché “in” Lui troviamo “la grazia
e la Verità”).
·Ma quando siamo maturi per attingere
direttamente dal Padre, Lui stesso a sua volta, se ne va e dice: “È necessario che Io me ne vada perché
venga in voi lo Spirito che resterà sempre con voi”. Ecco: “Il Padre
vi darà uno Spirito che starà sempre con voi” (Gv 14, 16). "Ma è
necessario che Io me ne vada!" (Gv 16, 7).
Allora, vedi? La legge se
ne va, il Cristo se ne va, perché possiamo attingere personalmente al Padre e
diventare figli di Dio.
Eligio: La volontà a questo punto viene mossa
esclusivamente da Dio...
Luigi: Sì, da Dio, o meglio è l’Io di Dio che
opera in noi: è la “grazia” che ci è data “in” Cristo. Invece in un primo tempo, cioè nella
legge, è ancora sempre la nostra volontà che aderisce e vuole: infatti
tocca con mano la propria impotenza. La nostra volontà deve toccare con mano
la sua impotenza!
In un primo tempo noi
crediamo di poter riuscire e diciamo: "Basta che io voglia!". No, tu
puoi volere tutto quello che vuoi, ma certamente non basta, non puoi! Perché
c’è il limite! Ci sono i muri!
Eligio: Quindi, non potendo da soli attuare la
legge, maturiamo il bisogno del Cristo.
Luigi: Certo. Volevo leggervi ciò che S. Paolo dice:
“Che cosa diremo dunque? È peccato la legge? No, certo! Ma io non ho
conosciuto il peccato se non per mezzo della legge. Difatti avrei ignorato la
concupiscenza, se la legge non mi avesse detto: "Non desiderare". Ma
il peccato, presa occasione da questo precetto, ha suscitato in me ogni sorta
di cupidigie, poiché fuori della legge ogni peccato è morto. Sì, io un tempo
vivevo fuori della legge. Ma sopraggiunto quel comandamento, il peccato si
ridestò ed io morii; la legge quindi, che doveva servire per la vita, è
divenuta per me motivo di morte. Il peccato, infatti, prendendo occasione dal
comandamento, mi ha sedotto, e per mezzo di esso mi ha dato la morte. Allora,
la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento. Ciò che è bene è
dunque diventato morte per me? No, davvero! È invece il peccato: esso per
rivelarsi come peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene,
perché il peccato per mezzo del precetto si rivelasse in questa sua malvagità
fino all’estremo”. (Rm 7, 7-13).
Pinuccia B.: Certe espressioni di s. Paolo non si capiscono proprio…
Luigi: S. Paolo è molto difficile… Egli parla di
questo anche nella lettera ai Galati.
Eligio: In sintesi, allora direi questo: mentre nella
legge posso muovere il mio io dicendo: "Faccio questa scelta o quest'altra
scelta”, nei confronti di Dio non lo posso mai fare.
Luigi: Non lo puoi fare; nei confronti di Dio è Dio
che muove. Incontrando il Cristo diventa Lui che muove! Ed è lì la
bellezza! Per cui noi siamo mossi da Lui! Ecco “la grazia!”.
Quando uno è nella
grazia, è mosso da-,
si sente portato, ha qualche cosa di più grande che lo trascina.
Mentre invece nella
legge, sono sempre io che aderisco, sono io che voglio.
Là invece no! Là ormai
è il Cristo che vuole in noi e per noi e uno è portato da questo!
Eligio: Quindi nei confronti della legge assumo
l'iniziativa, invece nei confronti di Dio devo rendermi disponibile come la
Madonna...
Luigi: Certo, è Lui che muove.
Eligio: Per cui tutte le volte che dico “io” nei
confronti di Dio sono fuori posto.
Luigi: Ah, senz’altro! Perché c’è un altro Io lì
ormai! Con Cristo c'è già un altro Io che opera in noi: il Suo, e questo è “la
grazia”, mentre nella legge c'è sempre il nostro io: la differenza sta lì!
Eligio: Cioè con Cristo la nostra volontà è mossa
dalla conoscenza della sua Volontà.
Luigi: Certo, mentre invece nella legge, nell’uomo
naturale, nell'uomo vecchio, la nostra volontà è mossa dall'io, per cui troviamo
la legge che è in conflitto con la nostra volontà: perché il nostro io
vorrebbe all'infinito, vorrebbe non avere limiti, e invece troviamo la legge
che dice di no, per cui noi ci sentiamo offesi, ci sentiamo limitati, e questo
crea la ribellione. Ed è così allora che ci fa toccare con mano la nostra
morte. E noi indubbiamente non possiamo giustificarci se ci ribelliamo. La
legge è giustificata, anche se mi offende, ma io non mi giustifico con il mio
orgoglio.
Invece con Cristo c'è una
volontà diversa che entra in me, perché è una presenza personale, quindi
diversa dal mio io. Con Cristo incontro un essere, una Persona. Con la
legge io non incontro un essere: con la legge io incontro una regola, che
può essere bellissima, però questa regola è applicata da me. Quindi ho
sempre presente la mia presenza, il mio io. La legge non mi libera dall'io!
Invece quando incontro
un’altra Persona, un'altra presenza fisica, che sia però Dio, questa mi libera
dall'io, perché ho un'altra Presenza sulla quale appoggiarmi: ho una Persona!
Noi, per dimenticare
il nostro io, per superarlo, abbiamo bisogno di un'altra persona. Però
questa Persona non dev'essere solo un uomo, perché io l'uomo lo rivesto ancora del
mio io. Quindi ho bisogno, sì, di una presenza-uomo, fisica, ma che sia Dio;
quindi che abbia una volontà che trascini, che superi la mia e che mi
faccia volere una cosa diversa.
Eligio: Quindi nel processo di incontro con Cristo e
di cammino con Lui, non c’è più la mia iniziativa. C’è un’altra Volontà che mi
attira, per cui si vive in un rapporto d'amore...
Luigi: Sì, infatti qui non abbiamo più l'uomo
autonomo: l'iniziativa è di Dio! Allora uno si sente figlio, si sente
portato, perché l'iniziativa è sempre di Dio: allora Dio è “Padre”,
movente.
Eligio: Per cui ne scaturisce poi tutta una morale
conseguente che è diversa…
Luigi: …e che non è più la legge. Anche S. Paolo lo
dice: "Ormai colui che è con Cristo, non è più sotto la legge"
(cf Gal 3, 25), perché non sta più a guardare il "non fare questo, non
fare quello", ma si lascia portare dall'amore del Cristo, si lascia
portare dal pensiero, dal Pensiero stesso di Dio, per cui esteriormente può
fare delle cose condannabili dagli uomini, ma giustificate in Dio, come Gesù
che ad un certo momento trascende il sabato, guarisce di sabato e viene
accusato di bestemmiare contro la legge… Egli trascende l'autorità, trascende i
diritti del sangue, i doveri familiari…
Pinuccia B.: A questa luce non si capisce più tanto che significato
possano avere tutti gli studi sulla morale…
Eligio: E pensare che tutta l’educazione cristiana
che ci è stata impartita è stata tutta basata sulla morale, sulla necessità di
sentirci a posto…, ecc..
Pinuccia B.: Ma com’è possibile che in 2000 anni di Cristianesimo la
Chiesa non abbia ancora capito che la legge non salva?
Luigi: Ma no, pensa un po’! La Chiesa è pieno di
Santi! Cosa dici? Se nella storia della Chiesa c'è una schiera immensa di
Santi, da dove sono saltati fuori questi Santi? Quindi qualcosa devono averlo
capito, no?
Pinuccia B.: Ma a che cosa servono gli studi sulla morale?
Luigi: È come se tu mi chiedessi a cosa serve
studiare teologia. Certo, non basta essere un teologo per essere un santo:
bisogna approfondire e pregare, perché altrimenti si può essere teologi ed
essere molto lontani dallo Spirito.
Pinuccia B.: Ma si può parlare di una morale “cristiana”?
Luigi: Sì, certo! Ed è ancora legge (non lo è più
però quando deriva da un rapporto personale di amore con Cristo, poiché uno si
lascia guidare da Lui), e in quanto è legge ce ne può sfuggire l’anima, per cui
diventa casistica: se non mangio la bistecca il venerdì, credo di essere a
posto. Per cui io credo che la religione stia nel non mangiare la carne il
venerdì, per cui se non la mangio, penso di essere a posto con Dio: ma non ho
capito niente!
Pinuccia B.: Quindi le leggi della Chiesa non servono…
Luigi: Ma no! Hanno anch’esse la funzione di
pedagogo. Ma tutte le leggi, tutte le regole devono essere colte nel fine,
nell'anima, altrimenti diventano soltanto delle categorie a sé, diventano
soltanto delle etichette, per cui, ad esempio, “se io mi vesto in un certo
modo, sono a posto con Dio, perché Dio, o meglio, un Istituto, ha detto: se
volete essere a posto, dovete vestirvi in questo modo”! Ora invece bisogna
cogliere l'anima delle leggi, delle regole, e per coglierne l'anima bisogna
partire da Dio! Perché Dio dice questo? Qual è il fine?
Insistiamo sempre sul
fine, perché se manca il fine, noi possiamo anche essere scrupolosissimi con
tutte le regole, ma noi costruiamo soltanto dei giganti di orgoglio, di
ambizione, di casta e siamo immensamente lontani dallo spirito. Lo spirito è: “Cerca
il Signore Dio tuo con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutte le
tue forze”.
Questo è lo scopo per cui
sono stato creato!
Giovanni M.: È lo spirito delle Beatitudini…E poi anche s.
Paolo ce lo fa capire dicendoci che se anche facessimo tante opere buone, ma
non abbiamo la carità a nulla serve.
Luigi: Ah, certo!
Pinuccia B.: Quindi è inutile la casistica…
Luigi: Ha la funzione dei paracarri, ma sempre in
quanto uno ha ben chiaro un fine preciso davanti a sé! Altrimenti le
regole soffocano l'anima e costruiscono l'orgoglio, perché se l'uomo non ha
presente Dio, non può non avere presente gli altri e quindi non può non
confrontarsi con gli altri. Se io sono nel pensiero del mio io, "non
posso" assolutamente non confrontarmi con gli altri. Per forza! Perché il
pensiero del mio io è sempre un rapportarsi con gli altri, per cui: "io
sono così, l'altro non lo è!". Allora incomincio a dire: "Ah, ma io
sono diverso…, io sono migliore…, io sono questo…, io sono quello…".
Oppure ad un certo momento posso arrivare a dire: "Io sono il peggiore di
tutti!", ma è sempre un aspetto delll'io, perché l'io si può esaltare o
si può anche deprimere. Cioè l'io nasce dal confronto tra me e l'altro.
Quindi se non ho
presente Dio, necessariamente ho presente gli altri uomini, e di lì nasce il
confronto o il conflitto tra il mio io e gli altri io. Allora se io so
compiere determinate leggi è come se io fossi capace di vincere, ad esempio,
tutte le partite a biliardo e dicessi: "Ah, io sono speciale perché vinco
tutte le partite a biliardo!". Allora facciamo anche dei giochetti di virtù
per cui uno si confronta: "Io sto diritto…, mentre l'altro è sempre
coricato…".
Una delle battaglie
maggiori che ha condotto il Cristo è stata proprio quella di smontare le
categorie del sabato, della legge; lo faceva apposta! Evidentemente perché ad
un certo momento queste diventavano degli idoli. Per cui, “se io di sabato non
faccio, ad esempio, duecento metri, sono migliore di quell'altro che invece ha
fatto più di duecento metri, perché io ho rispettato la legge!”. E invece no!
Quindi tutte le opere di
Dio, anche tutta la
creazione, se vogliamo capire qualche cosa, dobbiamo sempre vederle nel fine:
per quale motivo Dio fa, Dio ha detto, Dio ha operato questo? Qual è lo scopo,
l'anima, l'intenzione, il significato? Bisogna cogliere questo! Ora, bisogna sempre vederle in quel fine lì:
tutte le cose il Signore le ha fatte perché l'uomo elevi il suo pensiero a Lui,
in tutto!
In tutte le cose il
Signore dice: "Alza lo sguardo a Colui che fa tutte le cose, al
Creatore!". Infatti
tutte le creature ci dicono: "Guarda il Creatore!"; ma non c'è
nessuna creatura che ci possa dare quello che ci vuol dare il Creatore. E i
doni migliori Dio non può darli se non sono desiderati da noi, se non sono
voluti da noi.
Ecco perché prima deve
formarsi in noi la consapevolezza di ciò che dobbiamo desiderare! Altrimenti
quei doni lì restano in Dio, perché è solo Dio che ce li può dare.
Quindi Dio ci dà tutti
gli altri doni, tutte le altre grazie, ma come premessa, come condizione per
farci desiderare la vera grazia che è poi Lui stesso. Per cui se noi non
vogliamo Lui, non desideriamo Lui (ecco perché dico che ad un certo momento
bisogna “fare” Dio, sotto un certo aspetto), se noi personalmente non
vogliamo Dio, come il massimo vero nostro bene, Dio non si dà, o per lo meno,
si dà, ma noi Lo uccidiamo dentro di noi.
Solo se abbiamo maturato
il desiderio di Dio, allora poi troviamo “in” Cristo “la grazia”
per giungere alla “Verità”.
Emma D.: Perché Lui è la Via.
Luigi: Certo! In Lui è data a noi “la grazia”
di realizzare la legge, l’anima della legge, perché Egli è Persona presente tra
noi, Persona Divina, che, offrendosi ad essere pensata e amata da noi, ci offre
la grazia di dimenticare noi stessi e quindi di vivere per cercare e conoscere
Dio e di giungere a conoscere la Verità. Infatti Egli dice: “Se resterete
nelle mie Parole, conoscerete la Verità”.
La sua stessa Presenza
tra noi è “grazia”, Vita, Via alla “Verità”.
Pensieri tratti
dai manoscritti di Luigi Bracco sul versetto
17 del capitolo I del Vangelo di S.Giovanni:
“La legge ci è
stata data da Mosè, la grazia e la Verità sono diffuse in Gesù Cristo”.
La Legge - la
Grazia - la Verità.
Distinzione tra la “legge”
e la“grazia”:
cf. Gal 3,10-14; 3,19-29
La “legge” è pedagogo
al Cristo: è la funzione della legge (cf Rom 7,15-25).
La “grazia” è la
Presenza del Cristo: è questa che ci libera dall’io. Per cui s. Paolo scrive: “Non
c’è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù” (Rom 8,1).
Distinzione tra la “legge”
e la “Verità”:
La legge non può dare la
Verità.
Questa è il privilegio di
Cristo.
La salvezza non sta nella
legge, ma nella Verità.
Infatti:
·“Dio vuole che tutti si salvino e conoscano la
Verità”.
·“Conoscerete la Verità e la Verità vi farà
liberi”.
·“La vita eterna è conoscere Dio come vero
Dio”.
·“Tutti gli uomini hanno bisogno della Gloria
di Dio” , scrive s. Paolo nella
lettera ai Romani, cioè hanno bisogno di conoscere Dio.
* * *
Gal 3,10-14;
3,19-29: “Quelli invece che si richiamano alle opere della legge, stanno
sotto la maledizione, poiché sta scritto: Maledetto chiunque non rimane fedele
a tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle. E che nessuno
possa giustificarsi davanti a Dio per la legge risulta dal fatto che il giusto
vivrà in virtù della fede. Ora la legge non si basa sulla fede; al contrario
dice che chi praticherà queste cose, vivrà per esse. Cristo ci ha riscattati
dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come
sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la
benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello
Spirito mediante la fede…
Perché
allora la legge? Essa fu aggiunta per le trasgressioni, fino alla venuta della
discendenza per la quale era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo
di angeli attraverso un mediatore. Ora non si dá mediatore per una sola persona
e Dio è uno solo. La legge è dunque contro le promesse di Dio? Impossibile! Se
infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la
giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso
ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in
virtù della fede in Gesù Cristo.
Prima
però che venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge,
in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la legge è per noi come
un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la
fede. Ma appena è
giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete figli di Dio
per la fede in Cristo Gesù, poiché
quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è
più schiavo né libero; non c`è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in
Cristo Gesù. E se
appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la
promessa”.