Giovanni gli rende testimonianza
e grida dicendo: «Quegli è Colui del quale dicevo: Colui che viene dopo di me
sta avanti a me (cioè è più grande di me), perché era prima di me»”. Gv 1 Vs 15 Primo tema.
Titolo: Ciò che si scopre dopo aver superato l’io.
Argomenti: La visione
parziale. “Dopo” aver
superato il pensiero dell’io. La pedagogia divina.
14/Marzo/1976
Dall’esposizione di Luigi Bracco:
Con il versetto 14 (“Il Verbo si é fatto carne e abitò tra noi e noi abbiamo
visto la Sua Gloria…”) abbiamo terminato di per sé il Prologo (anche se
attualmente alcuni fanno terminare il Prologo con il v. 18). Nel versetto 15 siamo
già nella parte storica che inizia con la predicazione di Giovanni.
Dico un concetto solo: Giovanni, l’abbiamo già
detto diverse volte, sintetizza la voce di tutta l'umanità, di tutte le
creature e quindi anche di ogni uomo. Lui dice: “Colui che verrà dopo di me
era prima di me, perché è più grande di me”, o meglio: “Colui che
verrà dopo di me è più grande di me perché era prima di me”.
Questo “dopo”, se noi lo
intendiamo nel tempo, é chiarissimo come concetto e significa Colui che viene
dopo Giovanni Battista; ma se noi lo intendiamo su un piano spirituale,
come voce di uomo e quindi come vera voce di ognuno di noi, questo “dopo” ci
rivela che Colui che viene a noi “dopo” di noi, cioè Colui che noi
scopriamo, vediamo e tocchiamo “dopo di noi”, cioè dopo aver superato il
pensiero del nostro io, è più grande di noi, perché era prima di noi.
Quindi “dopo” di me, cioè dopo aver superato
il mio io, scoprirò Colui che era prima di me e che è più grande di me:
scoprirò Colui che ha fatto tutto me! In quanto era prima, mi ha fatto!
Il grande annuncio è questo: posso conoscere il
mio Creatore! Colui che mi ha fatto, io Lo scoprirò il giorno in cui
supererò me stesso. Lo vedrò con i miei occhi!
Quando? Solo
quando avrò superato il pensiero del mio io: allora Lo vedrò!
Quindi quello che io incontrerò “dopo” di me, é
Colui che mi ha preceduto, che mi ha preparato, Colui che mi ha fatto (“Nel
seno di mia madre Tu mi hai tessuto...” - Sal 139, 13), per cui io scoprirò
il mio Creatore.
Giobbe dice: “Io vedrò con i miei occhi il mio
Creatore, Colui che mi ha fatto” (Gb 19, 27). La condizione per vederlo è
questo “dopo di me”, cioè il superamento dell’io.
Pensieri tratti dalla
conversazione:
Eligio: Non c’è da
fare nessun commento. È un concetto chiarissimo e convincente.
Ines: Vorrei che diventasse
una convinzione che durasse.
Nino: È già una convinzione,
però rimanere in quel pensiero dipende certamente da Dio, ma anche da noi.
Infatti è un dono che si può perdere...
Eligio: Certo, il
problema più grosso è quello di restare, avere presente questa Verità.
Nino: È difficile restare in
essa perché siamo dispersi da tante cose.
Angelo B.: È facile dimenticarla, perché abbiamo
tante altre cose che tra mezz’ora ce la cancelleranno.
Nino: Se sapessimo riflettere
su ogni cosa, cercando il Pensiero di Dio, forse non saremmo portati così via
da Dio. Ma proprio perché siamo dispersi, siamo grossolani. E se sono
grossolano, non riesco più a percepire che tutto ciò che avviene (vedi
giornali, notizie, ecc.) accade per me, per cui dovrei capire che sono io
ladro, assassino, ecc., nei confronti di Dio, nel mio rapporto con Lui.
Pinuccia B.: A
che si deve questa difficoltà a restare in un pensiero che ci ha convinti?
Luigi: È a
causa delle nostre dispersioni precedenti. Per cui a noi che siamo dispersi in
mille cose, Dio dice: “Adesso resta in terra d'Egitto, e prova lì cosa vuol
dire non sentire la mia voce!”. Cioè
deve maturare in noi l'amore, il desiderio, e questo ce lo fa maturare lontano,
nell'assenza, nell'esilio, per farci sentire la privazione, cioè quanto si sta
male lontano, nella privazione della parola di Dio!
Prima, nel non sentire la Parola di Dio, noi
godevamo, perché ci sentivamo liberi, potevamo fare quello che volevamo:
“Taccia solo, stia solo lontano!”, dicevamo, perché era scomodo! Poi arriva un
certo momento della nostra vita in cui noi vorremmo sentire la voce di Dio, ma
non la sentiamo.
E allora cominciamo a piangere, e il Signore
ci lascia piangere per farci toccare con mano quanto si sta male a non sentire
la Sua voce e per farci capire il tanto bisogno che abbiamo di Lui!
È la pedagogia divina per formare in noi
quell'immenso bisogno di Dio e nello stesso tempo il superamento di quei beni
che un tempo ci hanno affascinato e per i quali abbiamo desiderato che Lui
tacesse! È opera di Dio per formare in
noi la povertà! Il giorno in cui sentiremo la sua Parola e avremo
acquistato quell'udito così fine da captare il suo parlare, ovviamente la
nostra gioia sarà grande e staremo ben attenti a non smarrirla più! Proprio
perché abbiamo provato come si sta male a non sentire la Sua voce.
Ma quando la capteremo? Quando avremo superato il
pensiero del nostro io. Ecco, “Colui che viene dopo dì me...”: “viene”,
nel senso che scoprirò Lui, udirò la Sua voce, la sua Parola, perché adesso
siamo ancora noi che parliamo… È il pensiero del nostro io che ci impedisce di
ascoltare la Sua voce, ma Egli parla in tutto, poiché tutto è opera Sua, parola
Sua.
Nino: Se tutto è opera Sua,
dovremmo credere che tutto viene da Dio e che tutto è parola Sua. Ma invece con quanta facilità affermiamo il
nostro io e con quanta difficoltà invece accettiamo che tutto viene dal
Signore! E quanta maggiore difficoltà a riportare le cose a Dio per ascoltarlo
e sapere come comportarci. Siamo talmente abituati a parlare, ad agire, a
decidere da soli, che partiamo sempre in quarta, a testa bassa, proprio come i
bufali… Altro che interrogare Dio prima di prendere una decisione!
Luigi: Ci vuole appunto questa
fatica del superamento dell'io per riportare tutto a Lui e imparare a convivere
con Lui, perché è solo dopo aver superato l'io, che scopriremo Colui che é,
che era prima di me, che opera ogni cosa e che “ha fatto tutto me”.
APPENDICE
(dall’introduzione):
Angelo B.: Se tutto è opera di Dio, devo
rispettare tutto. Ma come dobbiamo comportarci di fronte alle cose che ci sono
nocive? Ad esempio, ho letto in questi giorni i rischi che l’uomo corre con la
zanzara anofele. Ora, se so che un insetto è nocivo, lo posso distruggere? Non
è anche lui opera di Dio?
Luigi: Anche l’insetto nocivo è
opera di Dio, così tutto il resto che non ci piace. Ma la lezione è sempre
personale.
Per cui se noi ci avviciniamo a Dio, se cerchiamo il pensiero di Dio, ad un
certo momento magari ci accorgiamo che le anofele spariscono: noi non ne
sappiamo il perché, ma sono sparite! È Dio! È Dio stesso che le ha fatte
sparire!
Se, ad esempio, in questo momento il Signore ti
manda una mosca, te la manda di proposito, per cui anche la mosca in arrivo
dobbiamo sempre vederla come atto personale di Dio, in questo momento,
per farci magari sorgere un pensiero, per suscitarci un problema, ecc…. Ma
sostanzialmente non c'è diversità tra chi mi pesta un piede e la mosca che mi
gira sul naso, oppure l'anofele che può mandarmi una malattia. Cioè tutte le cose dovremmo sempre vederle
così: è Dio che muove, é Dio che manda, è Dio che opera! Quindi non si tratta di
"distruggere" e nemmeno di non distruggere, ma si tratta di intendere
le lezioni e quindi di modificarci, perché la cosa, in quanto avviene, é
per modificare qualcosa di noi.
Se questa modificazione in noi avviene, ci pensa
il Signore a far allontanare o a far morire, ad esempio, le anofele. Perché se
noi crediamo in Dio, in tutto ciò che avviene, quindi anche nei microbi, noi
vediamo che tutto e tutti svolgono un'opera divina, perché è Dio che
agisce!
L'importante é che noi intendiamo ciò che Dio ci
vuol far capire e modifichiamo. Ma innanzi tutto è importante modificare il
modo di accogliere le cose che Dio ci fa arrivare, e ritorniamo così alla
lezione del piede pestato.
Angelo B.: Ma può uno scienziato affermare che
c’è un pericolo e che bisogna cercare un sistema per distruggere un insetto
nocivo o cercare lui stesso di fare qualcosa?
Luigi: Sì, lo può
dire e lo può fare! Ma teniamo sempre presente che tutto quello che lo
scienziato dice o fa é sempre una conoscenza relativa e parziale e anche questa
va vista in Dio!
Se noi invece, anziché vedere le cose in Dio, le
vediamo soltanto da una nostra angolazione parziale, succede questo: che noi
magari abbiamo distrutto tutto quello che ci nuoceva, ma abbiamo dato luogo ad
un gran disordine da un’altra parte che poi dopo ci crea un danno molto
peggiore, proprio perché la nostra è stata una visione parziale. È un’illusione
dire: “Io distruggo questo e libero l’umanità”. Tu distruggi questo e magari
poni l'umanità sotto un pericolo molto più grave senza rendertene conto!
San Paolo dice: “Noi attualmente conosciamo
per parti…”. Allora, se noi conosciamo soltanto per parti, le nostre
conoscenze sono relative, e se sono relative non dobbiamo farne dei
giudizi assoluti, ma dobbiamo prima aspettare di avere la visione totale per
poter poi dopo formulare giusti giudizi.
Allora attualmente, nella visione parziale in cui
ci troviamo, quale deve essere il nostro comportamento? Deve sempre
essere quello di affidarci a Dio. Per cui, anche se sbagliamo, dobbiamo
sempre poter dire: “L’ho fatto in buona fede: ho visto questo secondo Dio, ho
agito secondo Dio, …ma ho sbagliato, perché la mia visione era parziale,
relativa, …non ho capito bene, però ho interrogato il Signore...”.
Se possiamo dire questo, siccome quello che
interessa é l'unione con Dio, il rapporto con Dio, anche se in questo rapporto
noi possiamo sbagliare, perché siamo piccoli e Dio é infinito, l'intenzione è
salva. San Paolo é stato giustificato agli occhi del Signore: infatti, anche se
prima della conversione perseguitava e uccideva i cristiani, lui però aveva la
fede, e Dio ha visto la sua buona fede, per cui ad un certo momento è
intervenuto Lui e San Paolo si convertì.
L'importante è che noi in tutto riconosciamo la
mano di Dio e agiamo interrogando il Signore. Quindi non dobbiamo mai agire
così perché tutti fanno così o perché si é sempre
fatto così o perché la nostra conoscenza è quella o la nostra scienza é
quell’altra, ma dobbiamo sempre rapportare tutto a Dio.
Direi che il punto cruciale é questo
superamento delle nostre conoscenze ed esperienze, per cui noi dobbiamo
considerare tutte le cose come il “piede pestato”:
·se
ci fermiamo alla cosa in sé, noi reagiamo con un certo comportamento, in un
certo modo (e qui allora abbiamo soltanto uno sviluppo naturale del fatto);
·se
invece questo fatto, questa esperienza, questa conoscenza e scienza la portiamo
a Dio, in Dio s'illumina in modo totalmente diverso, per cui noi
reagiamo in tutt’altro modo, perché apporta una modificazione in noi: ci
rende migliori, ci rende più pazienti, ci rende più intimi di Dio, più
disponibili ad ascoltarlo, a conoscerlo, a vivere con Lui.
Ora tutte le opere di Dio hanno sempre questa
finalità: quella di aprire la nostra mente, il nostro cuore a convivere con Lui.
Allora, se la meta é questa, più noi ci
avviciniamo alla convivenza con la Sua Verità (cioè più impariamo a convivere
con Essa, poiché la vita eterna è poi questo saper convivere con la Verità di
Dio), più noi ci avviciniamo a questo fine, e più noi veniamo liberati da tutti
i nemici. Ed è Lui che ce ne libera! Perché Dio non si prende mica gusto a
mandarci i nemici o le cose noiose….
Pensieri tratti dai
manoscritti di Luigi Bracco (sul v. 15):
“Colui che viene dopo di me è avanti a me”, cioè mi precede, “perché era prima di me” (cf “prima che
Abramo fosse Io sono”).
Ogni uomo sta andando verso Colui che l’ha fatto:
ognuno si ritroverà con il suo Principio.
L’ultima rivelazione sarà la cosa più grande.
Cioè la nostra vita è rivelazione della presenza
di Colui che ci crea.
Colui che ci crea e che fa tutte le cose si sta
rivelando (cf : il tempo, il senso del tempo, del divenire…).
Prima e dopo.
Cosa significa “venire dopo” e “essere prima”?
Ogni cosa ha un suo “dopo”. Anche il pensiero di
se stessi.
Tutto passa: tutto lascia il posto ad altro.
Il pensiero del nostro io, nel passare delle
cose, è un posto di blocco nel quale restiamo fermi quasi tutta la vita, fino
al giorno in cui ci convinciamo che dobbiamo mettere un Altro al suo posto.
Cioè il nostro io non passa senza di noi: richiede la nostra stessa
partecipazione.
Noi scopriamo Colui che ci crea solo dopo aver
superato questo posto di blocco.
Colui che è annunziato da Giovanni è il Verbo di
Dio.
Colui che viene dopo ci precede: il fine
sta nel principio.
(Gv 1, 29-34; Gv 8, 58; Is 53)
Colui che è annunciato da Giovanni Battista è lo
stesso che è annunciato dalla nostra anima.
Ciò (Colui) che annuncia Giovanni, e quindi tutti
i Profeti e quindi tutta la creazione e la nostra stessa anima, è Cristo. “Abramo
desiderò vedere il mio giorno”.
Giovanni Battista è la sintesi e la
ricapitolazione dei Profeti.
I Profeti sono la sintesi e la ricapitolazione
della voce di tutte le cose.
E siccome le cose si riflettono nell’anima dell’uomo
che ne prende coscienza e le interpreta, la voce dei Profeti e di Giovanni dice
ciò che ogni anima umana porta in sé.
Ciò che dice Giovanni è ciò che dice ogni uomo.
Vi è uno Spirito in noi che prega per noi:
“intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili…secondo i
disegni di Dio” (Rom 8, 26-27).
Tutta la creazione sospira la rivelazione di Dio
(Rom 8, 19-28)
L’ultimo dei profeti
“Vi fu un uomo mandato da Dio, il suo nome era
Giovanni”. Sullo sfondo dell'Antico Testamento e sulla
scena su cui sta per giungere il Messia, troviamo un uomo che grida un
messaggio: “Voce di chi grida nel deserto: preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!”. E
tutto il paese della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme andavano ad
ascoltarlo.
Lo Spirito Santo l'aveva visitato quando ancora
era nel seno di sua madre Elisabetta e la Luce divina gli aveva trapassato
tutte le sue fibre.
In Lui non vi era che un argomento: Dio. “Vestito
di pelle di cammello stretta ai fianchi da una cintura di cuoio, viveva nel
deserto e si nutriva di locuste e di miele selvatico”. Non era Dio (“non era lui la Luce…”),
era soltanto un uomo: ma di quale statura!
“Tra i nati di donna il più grande”, dirà di lui Gesù. “Gli uomini pensano solo a ballare, a suonare, a
cantare, a battersi in duello, a tentare la fortuna, a farsi una posizione, a
farsi re, senza pensare che cosa significhi essere re ed essere uomo”, scriveva
Pascal. Ecco qui invece un uomo che non cercava di farsi una posizione, né di
farsi re, che non cercava la fortuna, né di piacere al mondo; ecco qui un uomo
che sapeva cosa significhi essere uomo: un testimone della Verità di Dio.
“Vi è in mezzo a voi Uno che voi non conoscete,
al quale io non sono degno di sciogliere i legacci dei calzari”, diceva Giovanni alla gente (Gv 1, 26-27). La vita nel deserto gli aveva
dato occhi per vedere ciò che gli altri non vedevano; vedeva il mistero di Dio
presente nel mondo; vedeva i segni dei tempi che annunciavano l'arrivo
imminente del Cristo.
«Quello che per tutti gli esseri è notte, per
l'uomo che si è dominato è un giorno in cui veglia; e ciò che è veglia per gli
altri esseri, è notte per il veggente solitario», è scritto tra le pagine del
Bhagavad-Gitá. L'uomo che si è dominato è l'uomo dal cuore puro, che non è più
schiavo del pensiero di sé, che non pensa più a sé, né al suo onore, né alla
sua figura, né alla sua gloria; è l’uomo che non è più dominato dall'ambizione:
questo muro di tenebra che chiude gli occhi degli uomini e non lascia loro più
scorgere la Verità di Dio, che pur è una luce abbagliante nella nostra vita.
La Verità di Dio è una Realtà che l'uomo, che si
è dominato sottomettendo il pensiero di sé, riconosce ovunque.
Staccato da se stesso, umile e grande, grande
perché umile, venne con lo Spirito di Elia a preparare le genti all'incontro
con il Messia. Venne come precursore, come araldo che annuncia l'arrivo del
gran Re. La sua missione: “Non guardate me, guardate Lui!”.
Giovanni,
che la gente soprannominò «il Battezzatore», fu un testimone: la sua missione
fu di testimoniare davanti agli uomini la Luce: «Non era lui la Luce, ma
venne per rendere testimonianza alla Luce».
Fu l’ultimo, il più grande dei profeti. Mentre
tutti i profeti dissero: “Il Messia verrà”, egli puntando il dito verso Gesù
disse: “Eccolo!” “Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo!”.
Era uno che non ce l'aveva fatta a vivere nel
mondo, per il mondo. Tutto preso dallo Spirito di Dio se n'era andato dalla sua
famiglia, dal suo paese, dalla società, dalla vita che fanno tutti. Fin dai
primi anni aveva incominciato ad amare il deserto. Ed era rimasto nel deserto
fino a trent'anni, quando lo Spirito di Dio gli aveva annunciato che il tempo
era compiuto e gli aveva ordinato di andare a preparare le genti.
Non era lui il Messia, ma egli venne per
segnalare il Messia. “Ed io ho visto e rendo testimonianza che Costui è il
Figlio di Dio”, dirà alla gente segnalando Gesù.
“Non era lui la Luce, ma egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla Luce, affinché per mezzo di lui tutti
credessero”. Qual era
dunque questa preparazione di cui le genti abbisognavano per incontrare e
riconoscere il Messia? Qual era la
testimonianza di cui gli uomini avevano ed hanno bisogno per credere nella
Luce?
La Luce infatti già brilla nelle tenebre, ma le
tenebre non la riconoscono. Che cosa manca loro per riconoscere la Luce, per
vederla? Non manca loro nulla per
riconoscere la Luce; ma hanno qualcosa di troppo.
La sua nascita era stata annunziata a suo padre
Zaccaria da un Angelo, il quale gli aveva detto: «Non temere, Zaccaria,
perché la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti partorirà
un figliolo al quale porrai nome Giovanni».
Zaccaria ed Elisabetta erano già molto avanzati
in età e non avevano avuto figli perché Elisabetta era sterile. Quando l'Angelo
aveva annunziato a Zaccaria che avrebbe avuto un figlio, gli aveva
profetizzato: “Egli sarà grande davanti al Signore; non berrà né vino né
bevande inebrianti, e fin dal seno di sua madre sarà ripieno di Spirito Santo.
E ricondurrà numerosi figli di Israele al Signore loro Dio, ed egli stesso
camminerà davanti a Dio nello spirito e nell’energia di Elia, per piegare i
cuori dei padri verso i loro figli e i ribelli alla rettitudine dei giusti e
così preparare al Signore un popolo ben disposto”. Zaccaria allora aveva posto in dubbio la
parola dell'Angelo: «Io sono vecchio e mia moglie è avanzata in età: come
sarà possibile una tale cosa?».
Le ragioni del mondo in lui si opponevano alla
fede in ciò che l'Angelo gli annunciava e gli impedivano di credere. E rimase
muto. «Tu sarai muto - gli disse l'Angelo - e non potrai parlare fino
al giorno in cui si compiranno queste cose, perché non hai creduto alle mie
parole, che a loro tempo si compiranno”.
Tutto questo avvenne per insegnare a noi che
bisogna credere più a Dio che al mondo, più a Dio che alla nostra esperienza e
alle nostre stesse ragioni, poiché Dio è al di sopra di tutto e nulla è
impossibile a Lui. Non bisogna cioè pretendere di porre delle condizioni per
credere, di sottomettere Dio alle nostre ragioni o alla nostra mentalità, a
meno di renderci impossibile ogni fede e rendere quindi vana, “muta” la nostra
vita: perché se Dio tace, tutto, in noi e attorno a noi, non dice più niente.
Bisogna invece sottomettere noi, le nostre ragioni e la nostra mentalità a Dio.
Zaccaria rimase muto fino alla nascita di
Giovanni “quando le cose si compirono”. Ma quando Giovanni nacque, come
l'Angelo aveva predetto, e tutti i parenti lo volevano chiamare Zaccaria dal
nome di suo padre, questi, fattasi dare una tavoletta, vi scrisse “Il suo
nome è Giovanni”, dando così ragione all'Angelo; subito allora la sua bocca
si aprì e la sua lingua si sciolse ed egli si mise a parlare benedicendo Dio.
Allora, rivolgendosi al bambino, profetizzò: “E
tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo, perché camminerai davanti
al cospetto del Signore per preparare le sue vie e per dare al suo popolo la
conoscenza della salvezza nella remissione dei peccati”.
Trent’anni dopo quegli eventi, questo «bambino»
era il Profeta che, venuto dal deserto, sulle rive del fiume Giordano gridava
alla gente: «Fate penitenza, perché il Regno dei Cieli è vicino!». E quando la gente lo interrogherà e gli
chiederà: “Chi sei?”, egli dirà: “Non sono io la vostra salvezza, non
sono io il Messia”. “Chi dunque
sei? Che dici di te stesso?”, egli
risponderà: “Io sono una voce che grida nel deserto: raddrizzate la via del
Signore”.
In cima all’Antico Testamento come in cima a
tutte le nostre conoscenze ed esperienze, tutte le nostre profezie, tutte le
lezioni di vita, tutti gli eventi, tutta la storia, diventano una parola, una
voce che dice: “Dio è vicino” e che ci invita a raddrizzare i nostri
pensieri.
L’ora della venuta di Dio nel mondo dell’uomo è
un’ora che viene nella vita di ogni uomo, poiché Dio vuole che tutti si salvino
e giungano a vedere la Verità. Ora nessuno può giungere a vedere la Verità se
non per mezzo di Dio, poiché Dio si conosce solo per mezzo di Dio.
Nell’ora della salvezza c’è sempre una proposta
ed una interrogazione. La proposta viene dallo Spirito. L’interrogazione
dall’uomo. La proposta è: “Dio è vicino”. Nessuno può dire che Dio è
vicino se non è mandato dallo Spirito di Dio. L’interrogazione è: “Che cosa
dobbiamo fare?”
Ogni annuncio che Dio è vicino è una proposta
perché è una chiamata a prendere coscienza di Uno che viene in casa nostra, che
entra nella nostra vita. L’arrivo di una persona ci pone un problema, ci
impegna a fare delle scelte in cui si rivela l’amore, la stima, la mentalità
che abbiamo verso di essa.
«Anche la gente che veniva ad ascoltare il
messaggio di Giovanni sulle rive del fiume Giordano, gli chiedeva: “Che cosa dobbiamo
fare?”. E Giovanni rispondeva: “Chi ha due abiti li divida con chi non ne ha, e
chi ha di che mangiare faccia lo stesso”.
E coloro che erano funzionari e avevano autorità di imporre dei pesi
alla gente, chiedevano: “E noi che dobbiamo fare?”. “Non prendete niente di più
di quello che vi è stato fissato”, diceva. E coloro che erano dipendenti e
prestavano la loro opera dietro ricompensa chiedevano: “E noi che cosa dobbiamo
fare?”. Giovanni rispondeva: “Non molestate nessuno, non fate false denunzie e
accontentatevi della vostra paga”». Per
prepararsi ad incontrare quella Luce che chiederà tutto, è necessario
incominciare a togliersi di dosso ciò che si ha di troppo o ciò che si desidera
avere in più.
Se l’uomo non è capace ad essere fedele in queste
piccole cose, non potrà certamente camminare su quella strada che impegna tutta
la sua fedeltà.
Tutte queste cose, e altre ancora, più dure, più
severe, più drammatiche, diceva Giovanni “il Battezzatore” alle genti, affinché
fossero disponibili per Colui che stava per venire: liberi e disponibili per
camminare con Lui e giungere a conoscere Dio.
(Articolo scritto da Luigi Bracco pubblicato su
“L’Araldo del Sacro Cuore” - Dicembre 1973)
Giovanni
gli rende testimonianza e grida dicendo: «Quegli è Colui
del quale dicevo: Colui che viene dopo di me sta avanti a me (cioè è più grande
di me), perché era prima di me»”. Gv 1
Vs 15 Secondo tema.
Titolo: Magnificat …, è necessario che Lui cresca …”,
nell’attesa di Colui che viene dopo.
Argomenti: L’attesa della luce. Dopo
aver superato l’io, troviamo quel Verbo che era in principio e che è in noi. Magnificare Dio in
noi. Il non capire di Maria. Lo
sguardo a Dio: accogliere riportare capire. La
debolezza di Abramo.
21/Marzo/1976
Dall’esposizione di Luigi Bracco:
Riprendiamo il v. 15: “Colui che viene dopo di
me è avanti a me, perché era prima di me”. Però farei qui una modifica:
anziché “è avanti a me”, ritradurrei: “è più grande di me”. Quindi
leggiamo il versetto così: “Colui che viene dopo di me è più grande di me,
perché era prima di me”.
Il tema di oggi è questo: “È più grande di
me…”, quindi “…è necessario che Lui cresca ed io diminuisca”: “L’anima
mia magnifica il Signore”, nell’attesa di Colui che viene «dopo»”.
La volta scorsa abbiamo affermato questo
pensiero: “Colui che viene dopo di me (cioè Colui che scoprirò “dopo”
aver superato il mio io) è più grande di me, perché era prima di me”.
Il versetto parla di uno che “viene dopo”,
e, inteso nel tempo, è chiaro: “dopo Giovanni Battista”; ma noi abbiamo fatto
presente che tutto quello che é detto, é detto in senso spirituale per ognuno
di noi, ed è questo senso spirituale che noi dobbiamo cercare.
Giovanni interpreta la vera
voce di ogni uomo, perché Giovanni è l’uomo giusto; e quindi anche se noi
parliamo in modo diverso, egli interpreta la vera voce dell’anima di ognuno di
noi, cioè il vero nostro bisogno (il bisogno di luce) e annuncia la Luce.
Non è lui la Luce, la Verità; però interpreta la
vera voce di tutte le creature: il bisogno di Luce!
San Paolo dice che tutte le creature sospirano
la rivelazione di Dio e questo ci aiuta ad approfondire questo versetto e a
scoprire un altro significato particolare e cioè che tutte le creature,
essendo fatte da Dio (da “Colui che era prima di me”), sono in attesa di
Dio (di “Colui che viene dopo…”). Questo è il senso di quel
sospirare “la rivelazione” (sospirare nel senso di attendere).
“Tutto è fatto per mezzo di Lui”, ma il senso di quel “tutto é fatto” sta qui: nel fatto che
tutto è un'attesa di-, un‘attesa di un significato, un’attesa di un fine,
un’attesa di Lui (proprio perché ci ha fatti Lui!).
Mentre nel mondo noi partiamo con il mattino per
finire con la sera (cioè le giornate iniziano al mattino e si concludono alla
sera, con la notte), nella creazione di Dio, tutte le cose sono fatte a
periodi di sera e di mattino, per cui i giorni della creazione iniziano alla
sera e concludono aprendosi sul mattino: “…e fu sera e fu mattino: primo
giorno;…e fu sera e fu mattino: secondo giorno; …e fu sera e fu mattino: terzo
giorno…”, e così via fino al sesto giorno.
Cioè le cose create alla sera (notte), sono in
attesa del “dopo” (mattino: Luce).
C’è cioè un periodo di sera, di notte nella
creazione: Dio fa le cose, ma facendole di sera crea in esse il senso di
attesa: il mattino risponde all'attesa della notte.
Ogni uomo,
che é poi la sintesi della creazione, la conclusione dell’opera di Dio, é
un'attesa di-; per cui anche lui è fatto a un periodo di sera (tenebre,
notte, in attesa di-) e a un periodo di mattino: il mattino è il “dopo”, la
Luce, “Colui che viene dopo…”.
Quindi la sera, l'attesa deve mantenersi
aperta a quello che verrà dopo: il mattino, il giorno, perché quello che
verrà dopo é più grande della notte, è più grande di quello che deve
passare (è il nostro io che deve passare).
Infatti Giovanni Battista dice: “…Colui che
viene dopo di me, sta a avanti a me”, cioè “è più grande di me”.
Giovanni Battista parla ed esprime (e anche lui è parola di Dio) quello che
personalmente ognuno di noi nei riguardi del Divino dovrebbe dire. Ognuno di noi
(e in noi c’è il Verbo Divino), personalmente dovrebbe vivere in questa
convinzione: "Quello che viene dopo di me (cioè quando ho superato
me stesso, dimenticato me stesso, mantenendomi aperto a Colui che deve venire) sta
avanti a me (è più grande di me), perché era prima di me”.
Ecco, dopo aver superato noi
stessi, noi troviamo quel Verbo che era in principio e che portiamo in noi.
Però corriamo il rischio di non mantenerci aperti
all'attesa, ma di diventare noi una pretesa, un’affermazione dell’io (invece è
nell’attesa che l’io si supera).
Cioè, se non ci manteniamo aperti a Colui che
viene dopo e stiamo fermi al pensiero del nostro io, incominciamo noi a
pretendere, ad affermarci ed accumuliamo intorno a noi quanto più mondo è
possibile. Quindi anziché passare noi, anziché far passare l’io, cioè anziché
diminuire noi, cerchiamo di difenderci, di prolungarci, di affermarci, di
renderci assoluti. È quello che S. Paolo dice: “Avendo conosciuto
l'esistenza di Dio, non Lo glorificarono come Dio, ma si vanificarono nei loro
pensieri; allora Dio li abbandonò ai desideri del loro cuore...”(Rm 1, 21).
Quindi quello che dice Giovanni, affermando: “Colui
che viene dopo di me...”, non lo dice a noi semplicemente perché
noi abbiamo a sapere che Colui che verrà dopo di noi è più grande di noi, ma
perché sapendo la sua venuta, noi la glorifichiamo, ci prepariamo, cioè ci
manteniamo nell'attesa, superando noi stessi.
Quindi lo dice non perché noi abbiamo a sapere
che domani arriverà, ma perché noi oggi abbiamo ad attendere e quindi
glorificare Colui che domani arriverà.
Infatti noi (l'abbiamo già visto parecchie volte)
riusciremo a riconoscere Colui che verrà e ad accoglierlo, nella misura in cui
ci saremo trasformati in fame di Lui, in fame del suo Pane, in bisogno, in
desiderio di Lui.
Ma come ci formiamo a
questo bisogno? Attendendo la Sua venuta. E
cosa vuol dire attendere la Sua venuta? Farlo grandeggiare in noi.
Il bisogno di Lui cresce in noi nella misura in
cui magnifichiamo Lui, cioè nella misura in cui
Lo facciamo grandeggiare ora in noi, perché Lui da sempre è più grande di noi e
questo lo scopriremo.
Noi abbiamo una frase successiva di Giovanni
Battista (la troviamo sempre nel Vangelo di San Giovanni al capitolo III) che è
bellissima e molto significativa (perché Giovanni é il grande preparatore e
attraverso tutte le sue diverse frasi ci prepara all'incontro con Gesù, il
Messia) ed è questa: “È necessario che Lui cresca e che io diminuisca” .
Ecco: è necessario glorificare Lui!
La nostra vita dovrebbe essere tutta improntata
su questo: è necessario che Lui cresca in noi, è necessario glorificare Lui in
tutto; Dio dovrebbe essere Colui con il quale parlare
sempre, Colui al quale pensare sempre, perché Lui deve grandeggiare.
Nella misura in cui Lui grandeggia in noi, viene
magnificato da noi, cioè nella misura in cui Lo attendiamo, noi aumentiamo in
noi la fame di Lui, e diventiamo quindi capaci, degni della vita eterna, capaci di accogliere Colui che certamente verrà.
Però la sua venuta può essere critica per noi,
può metterci fuori se in noi non c'è la preparazione, cioè se non ci
preoccupiamo di magnificare Dio in noi, continuando a restare nel pensiero del
nostro io.
Se invece noi viviamo in questo “è necessario
che Lui cresca e che io diminuisca”, cioè se realizziamo questo “farlo
crescere”, questo “magnificarlo” (che é poi la caratteristica della Madonna che
é l'interprete massima dell’incarnazione della Parola di Dio), saremo
preparati, fatti capaci di accogliere la Verità.
La Madonna però non dice nemmeno più: “È
necessario che io diminuisca”, perché Lei é tutta “verbo” di Dio, pensiero
di Dio, incarnazione di Dio. Lei dice: “Magnificat anima mea Dominum”, cioè:
“L’anima mia magnifica il Signore”. Ecco!
Però siccome in noi c'è ancora il problema dell'io,
ecco allora che abbiamo Giovanni Battista che ci soccorre nel mondo delle
tenebre, dicendo: “È necessario che Lui cresca e che io diminuisca” (è
la regola per chi ha il problema del superamento dell’io). Ma la Madonna non
dice questo, perché per Lei non c'è il problema dell’io.
La Madonna dice: “Magnificat: l'anima mia
magnifica il Signore”. Giovanni
invece dice: “È necessario che Lui cresca e che io diminuisca”: il
problema del superamento del pensiero dell’io è “il problema” per chi è ancora
nel mondo delle tenebre e quindi per noi.
Allora anche noi, come Giovanni Battista,
dobbiamo poter dire sempre, ed è la norma centrale di tutto il nostro
comportamento in cui c’è sempre il nostro io: “è necessario che Lui
cresca e che io diminuisca”, e interpretare tutte le cose secondo questa
norma. E allora capiremo che tutte le cose che ci umiliano, sono quelle che più
ci aiutano: sono una grazia! Hanno la funzione di far diminuire il nostro io e
far crescere Lui.
Ecco perché chi ci pesta un piede é una grazia,
chi ci distoglie dai nostri interessi è una grazia, perché fa grandeggiare Lui
e umilia noi, ci aiuta cioè a realizzare l’insegnamento di Giovanni: “è
necessario che Lui cresca ed io diminuisca”.
Pensieri tratti dalla
conversazione:
Eligio: Visto che
Giovanni Battista era il più grande, il più giusto degli uomini, il più aperto
alla grazia di Dio, come poteva ancora diminuire?
Luigi: Un momento! Il più
aperto alla grazia di Dio è la Madonna. Giovanni era “il più grande degli
uomini nati da donna” (Mt 11, 11): nato da donna, cioè l'uomo naturale, che
é l'uomo nella notte, l'uomo nelle tenebre, l'uomo giusto. Lui fa la giustizia
dicendo: “È necessario che Lui cresca e che io diminuisca”.
Pinuccia B.:
La Madonna è più grande perché è già nella luce?
Luigi: La Madonna è più grande
perché appartiene già alla Luce, al Nuovo Testamento. È tutta grazia di Dio.
La Madonna dice: “L’anima mia magnifica il Signore”: per Lei il problema
dell'io non c’è.
Anche Lei certamente lo deve superare, però Lei
lo supera senza fatica: Lei non fa fatica a rinnegare se stessa. Lei vive nella
Parola di Dio; infatti dice: “Non conosco uomo”(Lc 1, 34), cioè non
conosco ragioni o motivazioni umane: non fa assegnamento su nessun mezzo umano.
Invece Giovanni Battista é l'uomo naturale,
l'uomo giusto che vuol mettere Dio prima di tutto, però tribola e ci insegna
che soltanto nella misura in cui facciamo crescere Dio, glorifichiamo e
magnifichiamo Dio, diminuiamo noi.
Ammettiamo, ad esempio, di preoccuparci soltanto
di diminuire noi e di non glorificare Dio: non è possibile! Sarebbe uno sforzo
inutile, e la conclusione sarebbe soltanto una costruzione di orgoglio.
Se noi pensiamo di diminuire l’io attraverso
giochi di umiliazioni o sacrifici o penitenze, la conclusione sarà soltanto una
costruzione di orgoglio, perché l'io diminuisce solo nella misura in cui Lui
grandeggia in noi.
Quindi noi dobbiamo far “grandeggiare”,
magnificare (come la Madonna) la Verità di Dio, la Presenza di Dio, soprattutto
nel nostro pensiero e poi anche nel parlare, operare, ecc..
Ma tutte le volte invece che noi affermiamo
qualcosa che è contrario allo Spirito di Dio, dicendo, ad esempio: “Io faccio
conto sul denaro…, io faccio conto sulle medicine…, io faccio conto sugli
uomini”, dimenticando il: “Non avrai altri dèi di fronte a Me” (Es 20,
6), noi praticamente non glorifichiamo Dio, non Lo facciamo grandeggiare.
Infatti il nostro parlare é sempre una lente
d’ingrandimento; tutte le volte che parliamo,
noi facciamo grandeggiare qualcosa davanti a noi, in noi, e testimoniamo così
davanti agli altri la validità che ha per noi questo qualche cosa.
Per questo, e ne abbiamo già parlato un giorno,
dobbiamo stare molto attenti anche nei riguardi dei figli: non si deve
affermare la propria paternità o autorità su certi valori: denaro, carriera,
ecc., e soprattutto non bisogna litigare o lottare per queste cose, ecc.,
perché altrimenti si afferma la validità di queste cose.
Se litighiamo, se lottiamo, se facciamo valere i
nostri diritti, ad esempio, circa il denaro, testimoniamo davanti ai figli e al
mondo che il denaro é una cosa importante, che noi facciamo conto sul denaro, e
allora qui noi non facciamo grandeggiare Dio, non magnifichiamo Dio, ma l’io.
Noi invece facciamo grandeggiare Dio, se in tutto
testimoniamo che Dio è il nostro grande punto d'appoggio, che Dio é la nostra
vita: “Non chiamerai nessun altro tua vita: né padre, né madre, né moglie,
né figli, né casa, né lavoro, né denaro! Non darai a nessuno il nome di
"tua vita", perché tua vita è Dio!” Ecco, allora così facciamo
grandeggiare Dio, magnifichiamo Dio!
Nella misura in cui noi magnifichiamo il Signore,
cioè ci convinciamo della Sua Verità, della Sua Presenza, della Sua opera, di
Lui che opera tutto per salvare tutti, allora tanto più diminuisce il nostro io
e noi diventiamo tutta opera di Dio e quindi entriamo nel Regno di Dio.
Eligio: Perché
nell'episodio dello smarrimento di Gesù Bambino al Tempio la Madonna, che non
aveva più il problema dell'io, ha provato angoscia e non capì il comportamento
di Gesù?
Luigi: Maria
non capiva perché non aveva ancora ricevuto lo Spirito Santo. Lei “si è fatta”
non nel momento dell'Annunciazione, perché, pur essendo tutta di Dio, la
maternità ha pesato su di lei: cioè Gesù era “suo” Figlio! Lei “si è
fatta" nel momento della Croce, nel momento in cui Lei ha rinunciato a suo
Figlio, nel momento in cui suo Figlio é morto; “si è fatta" alla
Pentecoste, quando lo Spirito Santo é sceso su di Lei. Prima Lei non aveva mica
ancora la mente dello Spirito Santo da intendere tutte le opere di Dio, per cui
esse la sorprendono, pur essendo Essa tutta rivolta a Dio.
Infatti non é che la creatura pur essendo tutta
rivolta a Dio abbia già tutta l'intelligenza di Dio. Anzi, anche a Pentecoste
non è che si comprenda tutto in un momento. Infatti il Signore dice: “Quando
verrà lo Spirito Santo, vi condurrà a vedere tutta la Verità” (Gv 16, 13),
quindi vuol dire che si può ricevere lo Spirito Santo e non vedere tutta la
Verità; è un inizio, e poi, a poco a poco, lo Spirito Santo condurrà a vedere
tutta la Verità.
Quindi anche la Madonna, pur avendo tutto il
pensiero rivolto a Dio, pur essendo staccata dal mondo, non è che capisse tutte
le opere di Dio, proprio perché, come ho detto, non è che per il semplice fatto
di aver tutta la mente rivolta a Dio uno capisca tutto di Dio! Le opere di Dio
ci sorprendono sempre!
L'importante é accogliere e desiderare di capire.
Lei, per esempio, non ha dato due schiaffoni a Gesù Bambino ritrovato nel
Tempio (qualunque altra donna magari avrebbe fatto così con il proprio figlio),
ma ha invece chiesto spiegazione! Anche all'Angelo ha chiesto: “Come può
avvenire?” Ecco, chiede, perché non capisce!
Quindi Lei interroga: qui abbiamo la mente pura!
La mente pura di fronte al mistero, dato che Dio ci supera sempre, è quella che
interroga: “Signore, come mai?”. Perché Dio ci sorprende sempre!
Anche noi di fronte agli imprevisti, dobbiamo
interrogare il Signore: “Come mai?” e accettare. Ad esempio, tu, Nino, giovedì
devi partire per l’Africa; può darsi che ci sia una sorpresa e che tu non possa
partire: potrebbe non arrivare quel documento; ma anche questo sarebbe opera di
Dio e tu ti domanderesti: “Come mai?”.
Invece se uno di fronte ad un imprevisto, o ad un
qualcosa che non capisce, si impuntasse, allora non ci siamo più! Lì sarebbe il
male!
Ma se uno interroga, allora il Signore risponde.
La Madonna ha interrogato Gesù: “Come mai, Gesù, hai fatto questo?”. Ciò
che Gesù ha fatto è una sorpresa per Lei. Le opere di Dio ci sorprendono e in
quanto ci sorprendono provocano l’interrogazione. Però è la creatura pura che
interroga, ma pur essendo pura e pur guardando e interrogando il Signore, non è
che capisca tutto. Perché il problema in noi lo suscita Dio, ma chi lo scioglie
è anche Dio (non siamo noi che lo sciogliamo!), per cui é sempre necessario
questo sguardo rivolto a Dio, perché Lui ce lo sciolga.
Allora è necessario avere sempre
lo sguardo a Dio:
·per
avere l'orecchio aperto, per ascoltare,
·per
interrogare (altrimenti, se non guardiamo a Dio, non interroghiamo, ma
affermiamo);
·per
riportare le cose a Dio e cercare d'intendere;
·e
poi non solo: bisogna guardare a Dio per avere la soluzione da Dio, perché la
soluzione non ci viene se noi la cerchiamo da altri o l'aspettiamo fuori di
noi.
Ecco perché noi dobbiamo sempre riportare a Dio,
sempre riferire a Dio, sempre guardare a Dio. Per cui:
·se
non sappiamo ascoltare, dobbiamo guardare a Dio, perché Dio ci formi
l'orecchio;
·se
noi non siamo capaci a capire, oppure se siamo distratti per cui non
interroghiamo, dobbiamo guardare Dio perché ci educhi ad interrogare, a
desiderare l’intelligenza, la comprensione del fatto, l'intenzione del fatto,
il significato del fatto, perché noi possiamo anche non desiderare di capirne
il significato. Quante cose infatti succedono intorno a noi sulle quali noi non
interroghiamo! Perché? Ma perché abbiamo altro per la testa, per cui quando ci
viene proposto un altro fatto, noi passiamo grossolanamente sopra quel fatto.
Allora se noi ci accorgiamo di essere grossolani nei sentieri di Dio, dobbiamo
guardare a Dio perché susciti in noi l'interrogazione, il desiderio di capire
il significato delle cose;
·ma
anche per avere poi la spiegazione del problema, cioè la soluzione del
problema, noi dobbiamo guardare a Dio, perché la soluzione viene da Lui.
Quindi dobbiamo sempre guardare a Dio! Così fa la
Madonna allo stato puro: guarda sempre a Dio e interroga. L'Angelo annuncia, la
Madonna interroga, e sta però a quello che l’Angelo le dice e la conclusione è:
“Sia fatto di me secondo la tua parola”. Ecco la creatura tutta di Dio,
tutta disponibile! Quella é la bellezza, perché è tutta disponibile: “Si
faccia di me secondo la tua parola”! (Lc 1, 38).
Eligio: Nell’episodio
del Tempio sembra però meno disponibile....
Luigi: No, Lei interroga.
L'interrogazione al Tempio é identica a quella che Maria fece quando l'Angelo
Gabriele le disse: “Tu concepirai...”. Nell’Annunciazione Lei aveva
interrogato: “Come può avvenire ciò?” e anche nel Tempio Lei interroga
Gesù: “Perché ci hai fatto questo?”. Tu capisci che una qualunque mamma
non avrebbe interrogato, non avrebbe chiesto spiegazioni, non avrebbe detto:
"Perché ci hai fatto questo?", non avrebbe cercato la giustificazione
o la ragione. Chi invece ha presente Dio, cerca sempre il “perché”:
“Perché hai fatto questo?”.
Anche se uno sorprendesse suo figlio a rubare
dovrebbe chiedergli: “Perché hai fatto questo?” (perché potrebbe anche darsi
che lui abbia una ragione giusta), come la Madonna che, tenendo presente Dio ed
essendo staccata dall’io, interroga: “Perché hai fatto questo?”.
Inoltre alla risposta di Gesù Lei non obietta
niente! Lei non dice: “Hai dei grilli per la testa!”. Quando Gesù le ha detto: “Non
sapevate che Io mi debbo trovare nelle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49), Lei
avrebbe potuto dire: “Senti, incomincia ad ubbidire a noi, dopo ne parleremo!”;
invece no, Lei non obietta niente!
Così quando alle nozze di Cana dopo aver detto a
Gesù: “Non hanno più vino!”, si sente rispondere: “Questo che cosa
importa a te e a me? Questo non deve importarti, perché quello che veramente
importa è altro”, Lei avrebbe potuto discutere tale risposta (una madre
avrebbe potuto benissimo discuterla). E invece no! Anzi dice: “Fate tutto
quello che Lui vi dirà!" (Gv 2, 3-5). Qui abbiamo la creatura che
guarda solo Dio! È la creatura esemplare. È la creatura, che c'insegna il
“come” si ascolta: perché il Verbo è Colui che parla, la Madonna é la
creatura che insegna a noi “come si ascolta”.
Invece a monte, quando siamo ancora nel travaglio
del superamento del pensiero dell’io, noi abbiamo Giovanni Battista che ci
insegna "come" uscire da questo travaglio, per cui ci dice: “È
necessario che Lui cresca e che tu diminuisca”.
Ecco, Giovanni Battista ci insegna “come”
uscire dal travaglio dell’io, per cui dice: “Se hai due tuniche, danne
via una”. La Madonna invece non ha quel linguaggio lì!
Questo è il linguaggio di Giovanni Battista! È un
linguaggio fatto ad uomini che sono in guerra, che sono nel conflitto tra il
mondo, l'io e Dio; uomini che si pongono il problema di Dio, vorrebbero
superare questo travaglio dell’io, ma non sanno come uscirne. Per cui lui
incomincia a dir loro: “Se hai due tuniche, danne via una; non pretendere
più di quello che ti danno” (Lc 3, 11-13). Lui non dice: “Dai via tutte e
due le tuniche!”, no! Dice: “Incomincia a darne via una!”, cioè inverti
la marcia, perché la marcia dell'io è quella dell’egoismo, quella di
accentrare, quella di riempire i magazzini! L'inversione di marcia é:
“Incomincia a dar via qualcosa..., poi verrà il “gusto” a dare e darai
tutto. Ma incomincia!”.
Ecco, Giovanni Battista ti prende nel travaglio e
ti inizia, perché “è necessario che Lui cresca…”, per cui ti dice: “Comincia
a far crescere Lui...”. Ad un certo momento “Lui” è quel Regno di cui parla
Gesù, che occuperà tutto (…”anche gli uccelli dell’aria verranno a posarsi
su di esso”), che invaderà tutto di noi perché é il Regno di Dio! Per cui
deve rientrare tutto di noi in esso. E allora quando Lui occuperà tutto di
noi, saremo tutto opera sua, vedremo Lui in tutto; qui allora saremo nel
Suo Regno.
Perché noi entriamo nel Suo Regno facendo
grandeggiare Lui! Non vi entriamo così, sfondando una porta! Noi entriamo nel
Suo Regno facendo grandeggiare Lui, magnificando Lui (“l’anima mia magnifica
il Signore…”)! Quanto più noi magnifichiamo Dio, facciamo grandeggiare
Lui, anche se siamo nel male, anche se siamo nel disordine, nel peccato, ma
cerchiamo di allargare la Verità di Dio, la Presenza di Dio, tanto più noi
vediamo questa Verità che si allarga fino ad occupare tutto di noi e fuori di
noi.
Eligio: La Bibbia ci presenta anche un altro uomo giusto: Abramo. La
sua giustizia in che relazione sta con la giustizia predicata da Giovanni
Battista?
Nino: Direi che Abramo è il
primo scalino dell’evoluzione della fede.
Eligio: Non dovrebbe
essere il primo scalino, ma l’ultimo, perché è la più grande figura dell’Antico
Testamento: è il padre della fede, mentre in Giovanni Battista c’è il travaglio
dell’io.
Luigi: Abramo è inferiore a
Giovanni Battista. È molto inferiore! C’è un episodio che ti può far capire il
travaglio e le debolezze di Abramo: quando Abramo va in Egitto vende sua moglie
dicendo che è sua sorella.
Eligio: E già! È
vero! Ma allora quale insegnamento ci viene da queste due figure?
Luigi: Abramo segna l’inizio
della fede e quindi ci insegna la necessità del distacco: “Lascia la tua
terra, lascia tuo padre e va’ nel luogo che Io ti indicherò” (Gen 12, 1), gli
dice Dio (perché se non c’è il distacco, non c’è fede).
Eligio: Abramo crede
a Dio, però non ha il problema di diminuire il suo io (come ce l’ha Giovanni
Battista), ma fa solo grandeggiare Dio.
Luigi: Ha una paura che fa
spavento! Teme il potere, teme l’autorità, teme la violenza, tanto che vende
sua moglie (e non é una cosa da poco!).
Ecco, Abramo è l’inizio, perché è “distacco”: il
principio della fede è il distacco per ubbidire a Dio che gli dice: “Lascia
e va’ nella terra che Io t'indicherò!”. Abramo è un pover uomo, é un
pastore, carico di debolezza e di paura, ma ascolta Dio, è attento alla voce di
Dio; però è quello che é!
Invece tu vedi un Giovanni Battista: ma Giovanni é
un gigante di forza a confronto di Abramo! In Giovanni non c'è la debolezza,
non c'è mai la debolezza! Ad esempio, il suo atteggiamento di fronte ad Erode!
Eppure c'è ancora in lui il problema dell’io; infatti lui stesso parla di un
“dopo” (“dopo di me…”) e dice: “È necessario che Lui cresca ed io
diminuisca”.
Eligio: È vero,
lasciare tutto come Abramo non è ancora sufficiente. Ciò che conta è il
distacco interiore. Vediamo Davide, ad esempio, che pur nella sua ricchezza era
povero interiormente.
Luigi: Ma vedi, anche Davide,
che è tra Abramo e Giovanni, sotto certi aspetti è una figura ambigua. Eppure
era un Profeta. Ma quante interferenze ancora di luce e tenebre, di fede
e di debolezza, di mancanza di fede, di compromessi e ambiguità! Però tu vedi
nella Bibbia che poco per volta, attraverso i Profeti successivi, abbiamo
questo processo di decantazione, di purificazione: processo che si
evidenzia benissimo all'ultimo con la figura di Giovanni Battista e poi, al
massimo, con la Madonna.
Ma direi che Dio per decantare, per selezionare,
per formare, per isolare questo nucleo di purezza che è la Vergine, ha fatto
passare tutta l’umanità attraverso questo grande travaglio, per cui noi abbiamo
queste grandi figure, che pur nelle loro debolezze sono grandi perché sono in
ascolto di Dio, cercano Dio, sono attenti a Dio, accolgono le Sue lezioni e
piangono. Lo vediamo, ad esempio, nello stesso Davide: dopo il suo peccato,
quando il profeta Natan va da lui e gli dice: “Quell'uomo sei tu!” (2
Sam 12, 7), Davide accoglie la lezione di Dio, non fa uccidere il Profeta
(avrebbe potuto farlo perché era il re)!
Però la sua debolezza continuamente viene fuori,
fino all'ultimo. Quindi abbiamo in lui l'uomo che ascolta Dio e abbiamo l'uomo
che pecca, ma abbiamo anche l'uomo che piange: abbiamo questo alternarsi di
atteggiamento.
Eligio: Quindi
l’insegnamento di tutte queste grandi figure dell’Antico Testamento è la
premessa al nostro incontro con Cristo.
Emma D.: Ci segnalano
il cammino. Abramo ci insegna a partire.
Luigi: Abramo segna l'inizio
della fede. Per essere figli di Abramo bisogna avere la sua fede e il suo
distacco. Tutti coloro che vogliono appartenere alla fede, debbono aderire a
questo distacco, a questo partire dal nostro mondo. Fintanto che non c’è questo
distacco, non si entra nella vera fede, anche se diciamo di credere, anche se
si afferma: “Ah, ma io credo in Dio!”
La vera fede è quella di Abramo, quella fede che
ci fa lasciare il nostro mondo. Per questo Abramo è il padre di tutti coloro
che credono!
Emma D.: Quindi per
iniziare il cammino bisogna “partire” dal nostro mondo.
Nino: È la lezione di Abramo.
Però pensavo che è vero che Abramo ha avuto le sue debolezze, ma nel momento in
cui è stato disposto a sacrificare il figlio, ha avuto una forza enorme.
Luigi: Ah, certo!
Nino: Però è anche vero che in
Giovanni Battista invece non si vede mai un cedimento, ma lo si vede tutto teso
a mettere Dio prima e diminuire se stesso!
Eligio: Non pensi che
Giovanni Battista abbia avuto una effusione di Spirito Santo per operare una
radicalità del genere?
Luigi: Indubbiamente
nell’incontro di Elisabetta con Maria ci fu un'azione dello Spirito Santo come
ci riporta il Vangelo di Luca, però in Giovanni Battista il problema dell'io c’è.
È lui stesso che lo afferma, perché parla di un “dopo di me”, cioè usa
un linguaggio che la Madonna non ha. Dice anche: “È necessario che Lui
cresca e che io diminuisca...” ed è un problema che la Madonna non ha. Ed è
qui la differenza tra Giovanni Battista e la Madonna: nella Madonna non c’è il
problema dell’io!
Ora però la grande lezione del Battista per
noi é questa: far grandeggiare Dio in noi per poter superare l’io.
Pinuccia B.:
In concreto, cosa vuol dire magnificare, far grandeggiare Dio in noi?
Luigi: Tenerlo presente
nelle nostre scelte di pensieri, parole e azioni. Se si tiene conto di Lui,
non si può più pensare, parlare, agire come quando non Lo teniamo presente.
Facendolo grandeggiare, la nostra vita interiore ed esteriore viene man mano assorbita
da Lui, perché Lui diventa la nostra vita.
Più noi ci convinciamo e Lo esaltiamo e più il
nostro io diminuisce. Quindi non dobbiamo preoccuparci del nostro io, ma
dobbiamo fermarci a pensare alla Sua Verità, alla sua grandezza, alle sue
opere, come tutto dipende da Lui e non dagli uomini.
Dobbiamo fermarci a pensare a tutto questo fino
a convincerci (ed è Dio stesso che ci convince, quando pensiamo a Lui):
perché questo vuol dire magnificare Dio; non vuol mica dire magnificarlo a
parole. Magnificare Dio non vuol dire recitare salmi dal mattino alla sera. Io
posso anche recitare salmi da mattino a sera, però quando si tratta di fare i
miei interessi li faccio, mi offendo, sono egoista, sono invidioso, ecc. …
Allora magnificare non è quello!
Il magnificare deve essere dentro, è un fatto
interiore, é convinzione profonda! E poi naturalmente la devozione esterna é
una conseguenza dell’essersi formato una convinzione profonda su Dio (la
dedizione infatti viene dopo la convinzione): questo è magnificare Dio.
Appendice:
Alcuni pensieri tratti dalla lettura del
foglietto della Meditazione domenicale di oggi (“Gesù
scaccia i profanatori del Tempio” - Gv 2, 13-21) e dalla conversazione che
ne è seguita, collegata con l’argomento dell’incontro:
·Il
valore della vita è costituito dal nostro impegno di adorazione. Adorare è
accogliere la rivelazione della Presenza di Dio.
·Vero
Tempio di Dio è ogni uomo, perché Dio abita nell’uomo e si rivela nell’uomo.
·L’uomo
riempie la sua mente e il suo cuore dei pensieri del mondo, di affari e di
interessi: trasforma la sua vita in un mercato, in una banca o in un luogo di
traffici.
·Ma
Dio regna e non sopporta nella sua casa i traffici e gli affari e gli idoli e tutto
ciò che è estraneo o contrario al suo Spirito; per cui viene un giorno in cui
Egli scaccia, anche malamente, tutto ciò con cui abbiamo riempito la nostra
vita, anziché averla riempita di Dio… “Non fate della Casa del Padre mio un
luogo di traffico!”.
·“Fatta
una sferza di corde, scacciò tutti dal Tempio”:
è l’amore di Dio per l’uomo che in ultimo esplode e si fa violento contro tutto
ciò che è nemico dell’uomo, contro tutto ciò che soffoca e uccide lo spirito
dell’uomo, impedendogli di guardare in alto. Solo l’amore vero si può
permettere certe violenze. È la contestazione estrema di Cristo alla mentalità
del mondo per liberare l’animo dell’uomo e salvarlo.
-
Pensiero conclusivo: Non dire “mia vita” a niente e a nessuno, perché
tua vita è Dio.
Ines: Per non profanare il
nostro Tempio interiore ci è richiesta una vigilanza continua nel nostro
parlare, pensare e agire.
Angelo B.: E quando
sbagliamo è già una gran cosa accorgercene.
Luigi: Accorgercene è già un
dono. Ma bisogna prevenire, vigilando soprattutto sulle parole: tutte le volte
che parliamo, parliamo secondo Dio? Prima di parlare dovremmo chiederci:
“Questa parola qui che sto dicendo, l’ha detta Gesù? È una parola del Vangelo?”
Quante parole noi diciamo che Gesù non ha mai detto! È vigilando sulle nostre
parole che abbiamo la possibilità di diminuire il nostro io e far
grandeggiare Dio in noi.
Giovanni M.:
Dio ci chiede di avere sempre la mente libera, disposta ad ascoltare Lui; ma
nel mondo attuale in cui ci troviamo è una cosa impossibile. Bisognerebbe
andare anche noi in Africa.
Nino: Non è il partire per
altri paesi, per il terzo mondo, per le missioni, ecc. che risolve il problema
del nostro io, perché il nostro io ce lo portiamo dietro; però è vero che in
certi casi certe scelte possono servire per renderci più disponibili ad
ascoltare Dio.
Luigi: Ciò che conta è far grandeggiare
Dio dentro di noi. Che è poi il massimo comandamento: “Ama Dio con tutto
te stesso”. Ama, cerca la sua Presenza in tutto! In quanto lì si
sintetizzano tutti i Comandamenti.
Pinuccia B.:
Riguardo ai Comandamenti, mi è difficile collegare la convinzione che tutto è
opera di Dio con quanto Dio ci dice in essi: “Non fare questo… Non fare
quello”. Ma se tutto é opera di Dio! Allora se io faccio qualcosa di negativo é
Dio che me lo fa fare?
Luigi: Sì, ma me lo fa fare
come conseguenza del mio distacco da Lui, per farmi toccare con mano cosa
succede quando mi distacco da Lui.
Eligio: Certo, perché
il distacco interiore non é Dio che me lo fa fare, ma é opera del mio io.
Pinuccia B.:
Quindi allora è come se Dio ci dicesse: “Pensa sempre a Me! Perché se non pensi
a Me, poi ruberai, ammazzerai, farai adulterio, ecc.”
Luigi: Infatti l’anima di tutti
i comandamenti é questa: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con
tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutta la tua vita, con tutto te
stesso…” -Dt 6, 5), ed amare
vuol dire pensare! Se tu non metti quello, tutti i comandamenti sono ipocrisia,
servono a niente e sono una falsificazione della Verità! Questa é l’anima dì
tutti i comandamenti!
Angelo B.: Quindi anche
se io osservo i Comandamenti, se non rubo, se non ammazzo, non basta.
Luigi: Se non c’è l’anima, è
tutta soltanto parvenza, é tutta soltanto etichetta, perché in realtà nel
nostro rapporto con Dio noi abbiamo già rubato, abbiamo già ucciso, adulterato,
ecc.! Quando siamo staccati da Dio, noi
siamo delitto!
Nino: Quante volte si sente
dire: “Io non ho fatto niente di male: quindi sono a posto!
Eligio: Penso che la
sola osservanza della Legge, delle norme morali o di regole ascetiche, senza
tener presente Dio, è opera di orgoglio.
Luigi: Non solo, ma
l’osservanza puramente esterna ci può portare addirittura ad affermare che Dio
è nemico dell’uomo! Si può perfino arrivare a dire che “è necessario far fuori
Dio, dimenticare Dio, perché Lui è il grande nemico dell’uomo”! Si arriva a
questo assurdo! Se non si mette al centro Dio, tutto è recitazione; se manca
questo “massimo comandamento”, manca tutto.
Ecco perché Dio arriva a dirci, come abbiamo sentito
stamattina nella Messa, ed è una cosa bellissima: “Non desidererai l'amore
del tuo prossimo, ma non desidererai neanche le cose del tuo prossimo” (Es
20, 17). Ecco, “non desidererai”!, cioè non desidererai i beni che hanno gli
altri (altroché la televisione che ci propone quello che non abbiamo e che
potremmo avere!). Dio ci proibisce di desiderare le cose degli altri (non solo
di portarle via, di rubarle): non le desidererai! Perché? Ma perché il tuo
grande desiderio dev'essere un altro! Uno solo deve essere il nostro
desiderio: Lui! Noi dobbiamo magnificare Lui, far grandeggiare Lui in noi!
Quindi non desiderare altro!
Se uno mette al centro Dio, è proprio mettendolo
al centro che si comporta secondo il comandamento;
ma se non mette al centro Dio, tutto è soltanto recitazione. Infatti quando
chiedono a Gesù (e poi anche Lui a sua volta chiede) qual è l’anima, il centro,
il massimo dei comandamenti, risponde: “Ama Dio con tutto te stesso…”,
cioè mettilo al centro dei tuoi pensieri. Gesù dice che questo è il massimo
comandamento.
Definendolo come “massimo”, praticamente vuol
dire che se manca quello, manca tutto!
Dio dev’essere amato con tutte le nostre forze! Quindi non basta non
rubare, non basta non ammazzare, non basta non desiderare altro, ma ci vuole
l'amore vero, non l’amore di sentimento, ma l’amore vero, quello che
tende alla conoscenza. Ecco, bisogna far grandeggiare Dio in noi.
Ines: Dio vuole che ci
convertiamo a Lui, mettendolo prima di tutto e questo non è amore di
sentimento.
Luigi: Per questo Gesù dice a
chi si crede giusto solo perché non ruba, non uccide, ecc.: "Prostitute
e ladri vi precederanno nel Regno di Dio, perché essi hanno creduto alla
predicazione di Giovanni e hanno fatto penitenza; invece voi non gli avete
creduto” (Mt 21, 31).
Nino: Meno evidente è il
secondo comandamento che Gesù dice che è “come” il primo. Non capisco quel
“come”, perché non li vedo uguali.
Luigi: Ma Gesù non dice “come”
(cioè non dice “uguale”), ma dice: “simile”. "Il secondo
è simile al primo” : simile, non uguale. Si tratta di somiglianza, non
di uguaglianza.
Precisiamo il concetto di
"somiglianza". La Bibbia dicendoci che Dio disse: “Facciamo l'uomo
a nostra immagine e somiglianza” (Gen 1, 26), non ci dice che Dio ha fatto
l'uomo “come” Dio, “uguale” a Dio, ma “simile” a Dio. La somiglianza presuppone sempre
l'originalità. Se si vuol fare qualcosa di simile lo si deve confrontare
sempre con l’originale.
Per cui se manca l’amore per Dio, manca l’amore
per il prossimo.
Nino: Va bene, questi due
comandamenti non sono uguali, ma simili. Però io stento anche a vederli simili,
poiché il primo dice di amare Dio con tutte le forze, mentre il secondo
dice di amare il prossimo come noi stessi; forse il secondo mi
sembrerebbe più simile al primo se mi dicesse: “Ama il tuo prossimo più di te
stesso”.
Luigi: Ma la somiglianza sta
nell’unicità d’amore. Il secondo comandamento è simile al primo in quanto non
c’è che un amore solo: quello verso Dio. Quindi cosa vuol dire “ama il
prossimo come te stesso”? Cosa vuol dire quell’amare te stesso? Il vero
amore verso te stesso é quell'amore lì: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il
tuo cuore”, perché amandolo fai il vero bene verso di te.
Amare il Signore è
il vero tuo amore, il vero amore verso di te: è quello il “te stesso”!
Quindi amare il tuo prossimo come te stesso vuol dire che devi volere per il
tuo prossimo quell'amore che tu devi avere verso te stesso; devi volere per
il tuo prossimo quello che tu devi volere per te: l’amore per Dio, la
disponibilità per Lui.
Quindi devi aiutare il tuo prossimo a liberarsi
dalle ossessioni, da quello che gli impedisce di amare Dio, di mettere Dio al
centro!
Ricordiamoci sempre qual é l'anima, qual è la
sostanza di tutte le cose!
Questo amare Dio con tutte le nostre forze, con
tutta la nostra mente è poi la lezione che stasera abbiamo avuto da Giovanni
Battista: far grandeggiare Dio dentro di noi, perché
in realtà Dio è “avanti a noi, è prima di noi”. E nel giorno della Verità lo
vedremo.
Però siccome non basta che la Verità si
manifesti, ma bisogna essere in grado di portarla, ecco allora che possiamo
capire perché bisogna far grandeggiare in noi la Verità di Dio prima che
Essa si manifesti (e certamente si manifesterà), perché solo così La
potremo portare.
Giovanni gli rende testimonianza e grida dicendo: «Quegli è Colui
del quale dicevo: Colui che viene dopo di me sta avanti a me (cioè è più grande
di me), perché era prima di me»”. Gv 1
Vs 15 Terzo tema.
Titolo: La
lezione dell’Arca di Noè: l’anticipo
Argomenti: Il futuro annunciato nel presente deve diventare
la nostra norma di vita oggi. Il pensiero del domani rende l’uomo saggio.
Preparare la via del Signore.
28/Marzo/1976
Dall’esposizione di Luigi Bracco:
Ci fermiamo ancora sul versetto 15 del cap. I del
Vangelo di s. Giovanni. Le volte scorse avevamo considerato:
1°) prima di tutto che l'annuncio di Giovanni
Battista, che dice: “Colui che verrà dopo di me é più grande di me perché
era prima di me...”, é da applicarsi personalmente ad ognuno di noi e ci rivela
che Colui che viene, che incontriamo dopo aver superato il pensiero del
nostro io, é più grande di noi, perché era prima di noi e ha fatto noi.
Ci rivela quindi che noi stiamo andando verso
Uno che è maggiore di noi e che era prima di noi, che era cioè in principio,
quel Principio che noi abbiamo perso, che abbiamo smarrito, pensando a noi
stessi.
2°) Il secondo pensiero è stato questo: “È
necessario che Egli cresca e che io diminuisca…”, cioè é necessario
che noi magnifichiamo il Signore (“L’anima mia magnifica il Signore”, dice
la Madonna), che facciamo grandeggiare in noi la Verità di Dio, prima che
questa sua Verità si manifesti (poiché Dio viene, certamente verrà).
E soltanto nella misura in cui L'avremo
conosciuta in noi prima, noi La conosceremo quando si manifesterà. Nella misura
in cui ci saremo preparati, nell’attesa della Sua venuta, noi saremo
capaci di accoglierla.
Ma se questa Verità di Dio si manifesterà quando
noi non saremo capaci di accoglierla, noi certamente saremo messi fuori, perché
Dio verrà, anche se non saremo preparati.
Da qui la necessità di prepararci ad
accoglierla.
3°) Adesso vedrei bene soffermarci ancora su quel
“dopo” per approfondirlo ulteriormente.
Giovanni dice: “Colui che verrà dopo di
me...”. Applicando personalmente ad ognuno di noi quel “dopo”,
innanzitutto ci fa capire che in noi c’è un “prima” e c’è un “dopo”. Siamo cioè in un tempo, in un divenire, in
uno sviluppo; perciò noi siamo tenuti a non fermarci all'oggi,
all'attualità di oggi, al presente, ma siamo tenuti a passare al “dopo”,
dal momento che il “dopo”, cioè il futuro, la situazione di domani, ci è già
annunciata.
Quando diciamo: “È necessario che Lui cresca e
che io diminuisca...”, diciamo che “è necessario che Colui che verrà dopo
di me cresca in me, sia grandeggiato in me, prima che Egli venga”.
È necessario! Come Gesù dice: “È necessario
che il Figlio dell'uomo sia mandato a morte per entrare nella sua Gloria...” (Mc
8,31), così Giovanni Battista dice: “È necessario che Lui cresca ed io
diminuisca...”. Cioè Colui che verrà dopo di me, e che é più grande di me
perché era prima di me, é necessario che in me cresca e che io diminuisca prima
ancora che venga, per poter entrare anch’io nella sua Gloria, altrimenti resto
fuori.
Quindi in noi c'è il “prima“ e il “poi”; c'è la
situazione di oggi e la situazione di domani (il “dopo”), che ci è
annunciata.
Siamo nel tempo; ma in questo tempo, il futuro
ci é già annunciato. Infatti noi sappiamo, ad esempio, che un giorno
certamente moriremo; noi sappiamo che tanti valori che curiamo oggi e
nei quali oggi crediamo, domani certamente crolleranno; sappiamo certamente
che tutto passa. Ecco, noi abbiamo presente quello che verrà (la morte
certamente verrà).
Quindi in noi oggi non c'è soltanto l’“oggi”,
l'attualità di oggi, ma c'è anche il “dopo”, già annunciato, anche se in
noi non é ancora realizzato (ad esempio, non siamo ancora morti).
Così anche
ci é annunciata la Verità di Dio, ci é annunciato che Dio verrà (“…Colui
che verrà dopo...”). Questo ci é annunciato; però non siamo ancora in
questa realtà annunciata: l’attualità di oggi è diversa. L'attualità di oggi é
il mondo, sono gli uomini, la realtà materiale, sono gli avvenimenti di oggi,
nei quali vediamo tutt’altro che il Regno di Dio! Anzi, vediamo il regno del
denaro, il trionfo dell’orgoglio, dell’ambizione, ecc.
Questo é il presente nostro che è in relazione al
nostro io. Ma in questo presente ci é già annunciato un fatto che verrà.
Ora però Giovanni Battista, dicendoci “…é
necessario…” (“ è necessario che Lui cresca…”), ci fa capire che il futuro,
quello che sarà, deve diventare il nostro “dover essere”, che cioè quello
che sarà deve diventare la nostra norma di vita oggi.
E questo vuol dire che la nostra norma di vita
oggi non dev'essere l'oggi in cui noi ci troviamo, ma dev'essere quello che
sarà domani: Colui che verrà domani deve diventare il nostro dover essere di
oggi!
E questo cosa vuol dire? Che è necessario che già oggi noi facciamo
grandeggiare in noi Colui che domani constateremo che è più grande di noi, cioè
è necessario che anticipiamo la Realtà che scopriremo, adeguandoci alle sue
esigenze. È la lezione di Noè che si prepara l’Arca prima del diluvio.
Quindi quando diciamo che è necessario
magnificare Lui oggi (“L’anima mia magnifica il Signore”), Lui che sarà
domani, diciamo che é necessario che io oggi Lo faccia diventare il mio dover
essere, che Lo faccia mia norma di vita, Lo faccia grandeggiare in me.
Tanti Santi si sono formati, ad esempio,
meditando sulla morte, il teschio. Perché questo? Perché pensare alla morte é
un ridimensionamento dei valori di oggi. Infatti se ci fermiamo soltanto
all'oggi, noi siamo illusi dai valori di oggi, credendoli stabili, e ci
adeguiamo a questi valori qui: non abbiamo presente la morte! Se l’avessimo
presente, non ragioneremmo così. Tant’è vero che quando partecipiamo ad una
sepoltura, noi diciamo: “Ma a che cosa serve mai la vita? Cosa vale
appassionarsi a tante cose, avere tanti fastidi, tante preoccupazioni, se tanto
poi dobbiamo lasciare tutto?”. Ecco, qui abbiamo un pensiero sul futuro.
Questo ci fa capire che quello che forma l'uomo,
quello che forma la saggezza dell'uomo, non é l'attualità di oggi (anzi, l'attualità di oggi ci appassiona, ci distrae, ci illude, ci
esalta), ma è invece il pensiero del domani, di Colui che verrà domani.
Ecco, per questo dico che il nostro “dover
essere” di oggi deve essere ciò che sarà domani e che é già annunciato in noi:
cioè questo “dopo” che non é ancora realtà per noi, ma che portiamo già
in noi. Lo portiamo già in noi, perché se non lo portassimo in noi, non
avremmo nemmeno il concetto di quello che verrà.
Ad esempio, se noi non portassimo già in noi la
convinzione (quindi, se è convinzione, è segno che è una cosa che ci é
annunciata) che certamente passiamo, che certamente moriamo, noi non
avvertiremmo nemmeno il problema del domani, il problema del futuro: noi
vivremmo tutto in quest'oggi qui, nel quale siamo adesso.
Ma invece il futuro ci é annunciato, ci é
annunciato che il Signore verrà; non solo, ma ci è anche annunciato che Colui
che troveremo domani, che verrà domani, é più grande di noi.
Per questo ci è detto: “È necessario che tu già
oggi faccia grandeggiare in te questo “dopo”, questo“domani”: cioè Colui, il
Pensiero di Colui che tu incontrerai domani, deve diventare la tua norma di
essere oggi. E soltanto se diventerà la tua norma di vita oggi (e quindi se
non avrai come norma di essere il mondo in cui oggi ti trovi), tu vivrai
veramente bene!”
Per questo dico che il futuro, quello che sarà, è
la regola del Regno di Dio nella nostra vita; il domani cioè deve diventare il
nostro dover essere di oggi.
Soltanto se il “domani” diventa il nostro dover
essere di oggi, comunica a noi quella sapienza di vita che ci libera da tante
passioni e schiavitù.
Pensieri tratti dalla
conversazione:
Eligio: Perché parli
di un “domani” quando ciò che conta è vivere l’attualità del presente,
collegandola con Dio? Se ho presente Dio, l’attualità di oggi diventa quel
domani che dovrebbe rivelarmi Dio. Perché allora questa successione di tempi,
dal momento che tutto si svolge nel presente per la creatura che supera se
stessa?
Luigi: Perché il “domani”
verrà anche se la creatura non si è superata! Vedi, il “dopo” che mi
é annunciato (“quello che verrà dopo di me…”), mi rivela non soltanto
che dopo che avrò superato me stesso, incontrerò Uno più grande di me, ma mi
rivela anche, quindi mi annuncia, che quell'Uno che è più grande di me, verrà
anche se io non mi sarò superato!
Cioè il domani verrà sia che io sia preparato,
sia che io non sia preparato: s'imporrà! Ad esempio, la morte s'impone sia
che io mi prepari, sia che io non mi prepari! Certamente verrà!
E così anche la Verità di Dio che io oggi non
vedo, ma che mi é annunciata, domani verrà anche se io non sono preparato ad
accoglierla! E, quando verrà, Dio sarà tutto, in tutti!
Eligio: Perché dici
che domani verrà? Io sono già immerso nella Verità di Dio…
Luigi: Mi è annunciata, ma non
la vedo. Domani verrà e occuperà tutto: si imporrà! Ma non é che se io
non mi preparo, la Verità non venga, sia rinviata “sine die”!
Eligio: Ma quella è
già venuta! Hai detto le volte scorse che noi viviamo, ci muoviamo, operiamo in
un “pensato di Dio”, in una Verità che ci è imposta comunque.
Luigi: Certamente, ma non la
vediamo; però domani si imporrà. Oggi come oggi, nella situazione in cui noi
oggi ci troviamo, in questo sviluppo che si matura in noi, noi stiamo andando
verso una meta in cui Dio sarà Tutto in tutti.
Già oggi è Tutto in tutti, ma noi non Lo vediamo,
perché siamo impreparati. Però “domani” questa Verità si imporrà anche se noi
non saremo preparati!
Il tempo va verso una meta ben precisa che é: “Io sono il Signore Dio tuo, Io sono Colui che governo tutto, Io
sono Colui che é presente in tutto!”.
Noi oggi non Lo vediamo presente in tutto, domani
però Lui sarà quello che é oggi, ma in modo evidentissimo, cioè occuperà tutto!
Noi oggi possiamo muoverci, possiamo fare anche
senza Dio; infatti posso dire: “Domani vado a Torino...”, e domani posso andare
a Torino anche se non ho pensato a Dio! A noi sembra di poterci muovere anche
senza pensare Dio.
Noi oggi vediamo gli uomini, vediamo le potenze
umane, vediamo il potere del denaro, della ricchezza, ecc., ma domani
certamente non sarà così, perché tutte le cose vanno verso un crescendo divino,
verso la Realtà di Dio che s'impone in tutto.
Però questa Realtà di Dio richiede in noi una
certa preparazione: se questa preparazione qui non c’è, non é che noi potremo
continuare nel mondo di oggi: noi non potremo nemmeno continuare nel mondo di
oggi! Cioè domani, certamente, senza Dio io non potrò andare a Torino! Cioè non
potrò andare dove voglio! Ecco, non so se ho reso l’idea…
Cioè stiamo andando verso un governo di Dio,
verso un Regno di Dio: Dio che occupa tutto! Sempre di più! Per cui se io
oggi posso pensare senza di Lui, domani non potrò pensare senza di Lui. Cioè se
oggi non imparo a tenerlo presente, io vado verso un niente, un annullamento,
verso un'espulsione dal Regno di Dio, verso una privazione di tutta quella vita
che oggi ho a disposizione, ma che domani certamente non avrò più.
Per cui se conosceremo questo Dio che domani
occuperà tutto e si manifesterà in tutto (Gesù lo paragona ad un ladro che
viene in casa nostra e che ci spoglia di tutto), cioè se noi saremo preparati,
allora potremo partecipare del suo Regno; anzi, svilupperemo molto di più,
infinitamente di più, quella vita che abbiamo già oggi.
Ma se noi non saremo preparati, Lui occuperà
tutto e noi resteremo fuori, cioè resi impotenti!
Giovanni M.:
Quando uno é unito a Cristo, non é già nel domani? Infatti non pensa più a se
stesso…
Luigi: Certo. Quanto più oggi
noi ci superiamo e ci prepariamo, tanto più noi vediamo questo Regno di Dio che
viene, e quanto più lo vediamo, tanto più ci liberiamo da tutti quegli impegni
che ci legano, e ci legano perché noi oggi abbiamo paura, perché: “se io non mi
preoccupo, ad esempio, di lavorare, domani non mangerò; se non ho un certo
capitale domani non potrò tirare avanti”.Perché ragioniamo così? Ma ragioniamo
così perché abbiamo paura. Ma perché noi oggi abbiamo paura? Perché non
vediamo Dio, non vediamo il Regno di Dio, non tocchiamo Dio! Allora nel
dubbio, nell'incertezza, abbiamo bisogno di appoggi. Per cui crediamo in Dio,
ma facciamo conto sulle assicurazioni umane, sulla mutua, sull'ospedale, sulle
medicine, sul posto di lavoro, sulla carriera, "perché altrimenti come
faccio?".
Ora, tutto questo ragionare è conseguenza di un
difetto da parte nostra, perché non vediamo, non tocchiamo ancora questo Dio
che regna in tutto. Per cui noi diciamo: “Dio regna, ma regna in Cielo; in
terra regna ancora altro! Regnano gli uomini, ed io mi devo accordare con gli
uomini, perché altrimenti gli uomini mi fanno star male!”. Ecco qui io credo
più nel regno degli uomini che nel Regno di Dio!
Se io vedessi molto il Regno di Dio, se vedessi
cioè che è Dio che opera in tutto, che è presente in tutto, che regna in tutto,
che tutto dipende da Lui, per cui se fossi veramente convinto che non si muove
foglia senza che Dio voglia, che non cade un passero senza che Dio lo voglia,
certamente non mi renderei schiavo di nient'altro! Non mi renderei schiavo
degli uomini, o del denaro, o dei mutui o che so altro, perché non ho bisogno
di altre assicurazioni: ho bisogno solo dell'Assicurazione Divina!
Però perché a noi manca questa Assicurazione
Divina? Perché non vediamo, perché non tocchiamo Dio. “Che io possa toccare
anche semplicemente un lembo del Suo vestito e sarò guarita!” (Lc 8,44),
diceva quella donna del Vangelo. Ecco, dobbiamo toccare qualcosa dì Lui!
Se noi non tocchiamo niente di Dio, siamo uomini
nella notte, che non vediamo nessuna luce; allora quando non vediamo nessuna
luce, stiamo brancolando e ci attacchiamo a tutto quello che si presenta:
perché noi abbiamo bisogno di punti d'appoggio! Ma se invece nella notte scatta
un lampo e vediamo: “Ah, devo arrivare là, la strada é questa!”, allora qui la
paura é passata, io non ho più bisogno di cercare altri appoggi, ma cammino in
questa luce.
Ora a noi difetta questa luce.
Giovanni M.:
Siamo ancora troppo attaccati al materiale.
Luigi: E già, ci manca questa
luce sul Regno di Dio. E allora é necessario che oggi come oggi, in questa incertezza
in cui ci troviamo, noi non ci lasciamo dominare dall'attualità, dal presente
in cui ci troviamo, per vivere soltanto in questo e di questo; è necessario
che non ci lasciamo appassionare per le cose, ma che in questo presente noi
pensiamo a quello che sarà domani, a quello che verrà dopo e che ci é
annunciato già adesso.
Ecco perché noi dobbiamo pensare molto a quello
che ci é detto, a questo “dopo” che verrà, che ci è detto che verrà,
perché soltanto pensando a questo “dopo” io incomincio a vivere bene oggi.
Capisci? È pensando a questo “dopo”!
Giovanni M.:
Certo. D’altronde Cristo con le sue parole ci invita a questo.
Luigi: Ci invita a cercare Dio
prima di tutto e quindi, come condizione, a superare l’io, a staccarci da tutto
ciò che passa, e quindi a tener presente il pensiero della morte: “Stolto!
Stanotte morirai! E quanto hai accumulato di chi sarà?” (Lc 12, 20).
Certo, noi dobbiamo pensare a Dio, dobbiamo
pensare alla Vita, ma proprio perché dobbiamo pensare alla vera Vita, ci è di aiuto
pensare alla morte. Quante volte si vedono dei quadri di Santi con il teschio,
quasi a dirci che è meditando molto sulla morte, cioè sul passare delle
cose, sulla transitorietà delle cose, che sono diventati quello che sono
diventati: cioè dei giganti nella sapienza divina, nello Spirito Divino. E
questo appunto meditando su “quello che sarà dopo”.
Mentre invece se noi ci fermiamo soltanto a
quello che é oggi, se pensiamo solo ai problemi di oggi, succede che noi ci appassioniamo
alle cose di oggi, restiamo dominati dagli eventi di oggi, viviamo soltanto
nell'attualità di oggi; e questo allora ci disorienta, ci porta via! È chiaro?
Ecco perché dico che il futuro (quello che sarà
domani, quello che verrà dopo) deve diventare la nostra norma di vita di oggi!
Perché soltanto se diventa la nostra norma di vita di oggi, siamo liberati
dalle pressioni che oggi ci vengono dal mondo, così come, ad esempio, il
pensiero della morte è diventato la norma di vita di tanti Santi, e diventando
la loro norma di vita li ha liberati da tante passioni. Infatti di fronte ad
ogni fatto che si presentava loro, avendo presente il pensiero della morte,
ragionavano in questi termini: "A cosa vale questo?", e, chiedendosi
alla luce della morte che cosa valeva, lo lasciavano cadere!
Noi invece, non avendo presente il passare delle
cose, non ci chiediamo “Cosa vale questo?”, ma di fronte ad ogni cosa,
immediatamente diamo la nostra risposta, anche se non a parole: "Questo
per me é importante, quindi questo lo debbo fare!" Ecco allora che ci
leghiamo!
Invece davanti al pensiero della morte, noi siamo
costretti a ridimensionare le cose. Se noi sapessimo di dover morire
certamente domani, quante cose noi oggi non faremmo “perché intanto domani
muoio”! Quante cose oggi noi lasceremmo perdere “perché intanto domani
muoio”! Ecco!
Ma perché allora sapendo con certezza di morire
domani, noi oggi lasciamo perdere tante cose? Perché di fronte a questa
prospettiva noi sentiamo l’urgenza di scegliere ciò che veramente vale e non
passa!
È questo ciò che forma l'uomo saggio: questa
coscienza della relatività delle cose, cioè il pensiero del domani, il pensiero
del “dopo”, di “Colui che verrà”.
E se noi siamo convinti che andiamo incontro a
Colui che è più grande di noi (“Colui che viene dopo è più grande di me”)
e dal quale tutto dipende e tutto riceviamo (“Dalla sua pienezza noi tutto
abbiamo ricevuto e grazia su grazia...”, e su questa frase ci sarà poi
molto da pensare), ecco che noi già oggi non ci rendiamo più schiavi di nulla e
di nessuno, perché stiamo andando verso Uno che é infinitamente più grande
di noi, degli uomini, delle cose, degli affari, di tutto quanto...
E Questi è già Colui che opera oggi e che ancora
non vediamo, ma che ci é annunciato.
Ecco perché Giovanni dice in preparazione
all'incontro con il Cristo: “Colui che viene dopo di me é più grande di me”.
Ma perché ce lo dice?
Non soltanto per farci sapere che un giorno
verrà, ma perché la meditazione nostra di oggi sia questa, affinché già oggi
noi ci adeguiamo alle esigenze di Colui che è più grande di noi e che
certamente verrà!
Ecco perché abbiamo collegato questo pensiero
di Colui che verrà è più grande di noi”
con l'altro (“è necessario che Lui cresca…”), cioè con la necessità di
magnificare il Signore oggi!
Per cui ciò che è, deve diventare il nostro dover
essere. Ciò che sarà domani deve diventare il nostro dover essere oggi.
Infatti questo annuncio (“Colui che viene dopo
di me è più grande di me”) ci viene dato affinché noi oggi pensiamo e
facciamo grandeggiare in noi Colui che verrà domani (il tempo che passa è Dio
che viene) e che é già in noi, affinché magnifichiamo la sua Verità,
riconosciamo la sua Verità!
Perché quanto più, prima ancora che venga, noi
avremo fatto grandeggiare in noi questa Verità di Dio, ci saremo cioè convinti
di Lui, della sua Presenza in tutto, di Lui che opera in tutto, man mano che
Lui si avvicina, diremo: “Ah, era proprio questo che io mi aspettavo! perché io
sapevo che doveva essere così!”.
Mentre invece, se non abbiamo questa
preparazione in noi, man mano che i suoi avvenimenti, che ci annunciano
Lui, la sua grandezza, la sua Onnipotenza, la sua Presenza in tutto, succedono
nella nostra vita, noi restiamo smarriti, non capiamo più niente, per cui ci chiediamo:
“Perché mi succede questo? Ma perché quest’altro?”. Ecco, non capiamo più
niente perché non vediamo Lui! E perché non vediamo Lui? Perché non
L'abbiamo fatto grandeggiare in noi! Non Lo abbiamo conosciuto in noi prima
che la sua Realtà si manifestasse!
Perché quello che ci dà la chiave per capire le
cose quando avvengono è l’averle già dentro di noi. Infatti se le abbiamo
dentro di noi diciamo: “Ah, era quello che aspettavo! Era Lui che io aspettavo!
lo sapevo che questo doveva avvenire!”.
Ma se invece non siamo preparati, Lui viene come
un ladro, ci spoglia di tutto, porta via tutto, ci porta via la fede, la
speranza, la carità, la preghiera, la
volontà, l'amore: ci porta via tutto! Per cui noi restiamo solo più dei
relitti, restiamo senza niente. Ma restiamo senza niente perché non abbiamo
messo Lui prima di tutto!
Per cui é necessario che noi mettiamo Lui
prima: ecco, prima di quel "dopo", prima che la sua
Realtà si manifesti.
Giovanni M.: Il
pensiero della morte ci fa paura, ma d’altronde vediamo che anche Cristo ha
esperimentato per noi l’angoscia della morte, per farci capire la necessità di
questo superamento di noi stessi...
Luigi: L’essenza della vita
del Cristo sta in questo: "È necessario che il Figlio dell'uomo muoia
per entrare nella sua Gloria…: é necessario!”, e così anche per noi;
perché quello che Lui ha detto, l'ha detto per noi: quindi é necessario!
C’è una situazione di necessità: è necessario che
il nostro io diminuisca e che Lui cresca,
cioè che Lui venga magnificato, fatto grandeggiare. Ma é necessario che questo
avvenga prima che Lui venga, prima che il fatto avvenga, altrimenti non
entriamo nella sua Gloria. Cioè:
- se
noi non moriamo prima di morire e aspettiamo soltanto di essere sorpresi dalla
morte, la morte sarà solo uno spogliamento, sarà solo distruzione;
·ma
se noi siamo morti prima che la morte avvenga, la
morte diventa un passaggio, poiché la morte é un andare verso un più, é un
andare verso Colui che aspettiamo. Quindi la cosa è molto, molto diversa!
Si capisce, è un’esperienza soggettiva, perché dipende dalla preparazione, ma
per la persona singola è la realtà: è una vera liberazione verso un più!
Per cui se io sono preparato, cioè se sono morto
a me stesso e al mondo, prima che la morte mi sorprenda o prima che le cose
muoiano (importante é quel "prima"!), allora quando le cose muoiono,
vedo questo fatto come una liberazione, lo vedo come un incontro con Colui che
é più grande di me, e quindi diventa un passaggio di gioia. Gesù l’ha
detto: “Chi odia la sua vita in questo mondo (quell’odiare vuol dire
essere morti a-) la salva!” (Gv 12,25).
Se io invece non sono preparato, cioè se non sono
morto a me stesso, non sono morto al mondo, e mi lascio sorprendere dalla morte
o dalla fine delle cose, vedo soltanto la privazione, la spogliazione,
l'annullamento di tutto ciò che ho.
Ora, questo annullamento crea un maggior
ripiegamento su noi stessi, crea una profonda tristezza, perché può chiuderci
in una conchiglia che non si apre più (che è poi il pensiero del nostro io),
nel solo rammarico di ciò che abbiamo perduto; per cui non vediamo più avanti a
noi, ma guardiamo solo più
indietro di noi, a quello che avevamo e che non abbiamo più.
Eligio: Quando
avviene questo “dopo” nella nostra vita personale? Non penso che un
“dopo” assoluto possa avvenire quando ancora siamo nella vita fisica, la quale
comporta debolezze o deviazioni. Quindi ci sarà la stabilizzazione totale in
Cristo solo dopo la morte fisica?
Luigi: C'è un crescendo nella
nostra vita! C’è un crescendo verso la realizzazione di questo “dopo”.
O meglio, c'è un crescendo o può esserci un diminuendo.
Se noi non pensiamo a Dio, se non magnifichiamo
Dio in noi, c'è nella nostra vita soltanto un diminuendo: per cui quando siamo
giovani siamo pieni di vita, ricchi di energia, di attività, di intelligenza,
di volontà, e tutto magari ci sorride; poi man mano che passa il tempo, c'è
un diminuendo, uno spogliamento, e già questo é Regno di Dio; noi magari lo
chiamiamo vecchiaia, anni che passano, ma é già Regno di Dio.
Ma come c'è un diminuendo, così c'è anche un
crescendo se in noi sviluppiamo il Regno di Dio. È vero, non arriveremo alla
perfezione, ma c'è un crescendo verso la Pentecoste, che è il momento
essenziale e determinante in cui si apre il velo sullo Spirito di Verità che
regna in tutto. Che regnava già in tutto, sia ben chiaro! Ma non lo vedevamo.
Eligio: Cioè se ne
prende coscienza…
Luigi: Ma questa coscienza, man
mano che si forma, diventa realtà, perché Dio effettivamente è quello! Noi
constatiamo la Realtà! Cioè, dietro la presa di coscienza, avvengono i fatti,
poiché è Dio che opera e conferma la Parola di Dio che é in noi.
Eligio: Quindi quel
“domani” diventa realtà nell’attimo in cui ne ho coscienza.
Luigi: Diventa realtà! Gli
altri non lo vedono, ma per noi personalmente é realtà.
Eligio: È un fatto
interiore, personale.
Luigi: Ma questo fatto
interiore diventa realtà anche esterna! Cioè ad un certo momento i fatti sono
modificati; noi non sappiamo come, ma sono modificati: é lì che si vede il
Regno di Dio! Perché Dio, a seconda della “parola”, e quindi del pensiero,
che portiamo in noi, modifica gli avvenimenti.
Infatti Lui, attraverso gli avvenimenti, tiene
delle lezioni a noi:
·per
cui se noi, ad esempio, siamo orgogliosi, Lui crea attorno a noi dei movimenti
che magari ci angosciano, che ci turbano o che ci agitano, e questo
“diminuendo” è lezione di Dio per ricuperarci;
- se invece,
dentro di noi, c'è la parola di pace, c'è la parola dello Spirito, se quindi in
noi c’è la fede, Dio attorno a noi ci dà delle lezioni che confermano la Verità
che portiamo in noi, per cui c'è in noi un “crescendo”: un crescendo di fede,
un crescendo di liberazione, un crescendo di gioia e di vita dello Spirito. Gli
altri non ne capiscono nulla, non possono capire! Ma colui che lo vive, sì.
Per cui
anche tutto quello che, apparentemente, “prima” diventava negatività, diventava
agitazione, “dopo” invece diventa un aumento della testimonianza dello Spirito,
per cui qui lo spirito si sente confortato: le difficoltà di ieri diventano
motivo di un accrescimento di amore, perché diventano una testimonianza in più.
Lo Spirito riesce a raccogliere delle testimonianze anche da dei fatti che
prima ci turbavano, per cui si vede Dio che regna!
Ecco, è questa la Realtà! La cui visione domani,
quando questo corpo sparirà, diventerà totale.
Ma già ora questa dimensione del Regno di Dio la
si può vedere, perché Dio effettivamente é Colui che opera in tutto! Per cui gli
avvenimenti avvengono effettivamente così, come Lui aveva detto!
Ad esempio, le parole del Vangelo, non sono solo
“parole”: sono realtà vivente, realtà viva nel mondo! Non diciamo: “Dio regna
in Cielo ma non sulla terra!”, perché anche sulla terra tutto é Vangelo, perché
tutto, se noi abbiamo occhi per vedere, capaci di leggere, anche tutto quello
che avviene oggi, è parabola di Dio, è parola di Dio! Quella stessa parola che
diceva Gesù nel suo Vangelo é nell'avvenimento di oggi, é nella cronaca di
oggi, è nel fatto che mi capita attorno. Tutto é lezione sua, perché tutto è
opera sua, parola sua.
Ora, siccome Dio é fedele, quello che Lui disse
allora, duemila anni fa, é ancora quello che Lui dice oggi nella vita di ognuno
di noi: ecco l'importanza del Vangelo!
Perché é così importante il Vangelo? Perché lo
sentiamo attuale, ci interpreta il fatto attuale, ci apre la mente, ci fa
capire qualche cosa sui problemi che portiamo in noi e che non sono risolti,
perché non li vediamo alla luce di Dio. Con il Vangelo vediamo già qualche
barlume, qualche cosa, ma perché ci interpreta l'attualità di oggi, ci
interpreta il fatto di oggi!
Eligio: Quindi quel
"dopo" è un momento, un passaggio. Ma varcata questa soglia, il
“dopo” è tutto un'attualità di Dio...
Luigi: È attualità, si capisce.
Questo “dopo” è un passaggio all’attualità di Dio.
Eligio: Quindi, fatto
questo passaggio, non c’è più un “dopo”, non c’è più un “domani”, perché ogni
attimo è un immergersi nella attualità di Dio.
Luigi: Certo, però siccome Dio
ci supera sempre, non c'è mai un momento in cui posso dire: "Adesso vivo
in questa attualità presente". No!
Non mi devo fermare all’attualità presente! Devo sempre superare l'attualità:
cioè il "dopo" mi deve sempre interessare di più di quello che é
oggi. Sempre di più! Soltanto se in
me il “dopo” pesa di più, resto e cammino nella Luce.
Vedi, lo stesso parlare richiede già sempre un
passaggio al "dopo", se vogliamo capire la parola. Cioè quando la
parola arriva, arriva come rumore; ma per passare dal segno (rumore)
all'intelligenza, noi dobbiamo fare un passaggio al “dopo”, cioè non dobbiamo
fermarci all'attualità. Se ci fermiamo all'attualità “rumore”, noi avvertiamo
solo il rumore e non arriviamo all'intelligenza!
Così è lo stesso: per capire i segni, e tutto é
segno di Dio, noi dobbiamo sempre passare a Dio. Se io mi fermo soltanto al
segno e non passo al “dopo” di Dio,corro il rischio di perdere Dio,
perché siccome il segno di oggi (cioè l’attualità presente) é relativa al mio
io, dipende dal mio io, esso mi può appassionare in relazione al mio io e
quindi deviarmi, distrarmi da Dio.
Quindi questo passaggio al “dopo”, cioè questo
superamento del segno, deve avvenire in ogni parola, anche per la parola
stessa di Dio. Per questo anche la Madonna è passata attraverso la Croce:
pur essendo piena di grazia già nell'Annunciazione, é maturata sulla Croce, nel
sacrificio del Cristo, sul Calvario, ai piedi della Croce, perché Lei ha avuto
il Figlio, che era pura opera di Dio, ma ad un certo momento ha dovuto
distaccarsi dal Figlio che pur aveva avuto da Dio; così come Abramo che ad un
certo momento ha dovuto distaccarsi da Isacco che pur era opera di Dio! Quindi
Essa è maturata sul Calvario, nel momento in cui il suo Figlio moriva, pur
essendo già “piena di grazia” nell’Annunciazione!
Questo per dirci che anche i doni di Dio vanno
superati: non dobbiamo fermarci ad essi. Cioè non dobbiamo dire sul dono che
riceviamo: "Dio me l’ha dato, me lo tengo!” ", no! Il nostro pensiero
deve invece essere questo: “Dio me l'ha dato: io devo superarlo per vedere
secondo Dio che cosa mi significhi questo! Per cui può darsi che vedendolo
secondo Dio, come Lui me l'ha dato, io veda immediatamente che vi debba
rinunciare, perché lo debbo usare secondo lo Spirito di Dio” (è la funzione
della tentazione, della prova, della scelta: un’occasione che Dio mi offre per
affermare il suo Spirito, per “fare” la Verità, per prendere coscienza di ciò
che veramente voglio).
Ma per usarlo secondo lo Spirito di Dio, siccome
Dio ci supererà sempre e quindi sarà sempre un “dopo” di noi, ci sarà sempre
richiesto un superamento del nostro io. Quindi non dobbiamo mai fermarci
all’attualità dei suoi segni, ma passare sempre al “dopo”. Di modo che il
"dopo" ci sarà sempre, eternamente ci sarà, perché eternamente noi
dovremo cogliere il Pensiero di Dio nei suoi segni.
Eligio: È un continuo
processo di approfondimento…
Luigi: Indubbiamente, se c’è
questo continuo superamento, la Verità di Dio diventa sempre più evidente
perché ad ogni “dopo” a cui passiamo, ad ogni superamento del nostro io che noi
facciamo, accorciamo la fatica di vedere il Regno di Dio; per cui ad un
certo momento il vedere il Regno di Dio diventa quasi elementare, ma richiede
sempre il superamento dell'io. Sempre!
Non dobbiamo mai fermarci all'apparenza, anche se
è facile fermarci perché Dio parla nel nostro io, per cui c'è il rapporto
parola, segno di Dio, ed io, ed é un rapporto immediato, che è apparente perché
lo vedo e lo tocco, per cui questo crea un'impressione in me: ad esempio, io
mangio un dolce e dico: "Guarda com’è buono questo dolce!", cioè lo
rapporto al mio io che sente questo. L'impressione è sempre relativa al mio io,
perché è quello che sento io. Quindi non mi debbo fermare a questo, perché
altrimenti domani lo vorrò di nuovo e così anche dopo domani, fino a che vorrò
riempirmi i magazzini di quello, in quanto quello é buono! No!!!
Eligio: Pensando a
questo, esco dal Suo Spirito.
Luigi: E già! Invece in
quanto questo é buono, ringrazio il Signore, ma passo a cercare la Sua
intenzione, per cui non mi posso più legare a questo, anche se la mia
impressione é: “Questo mi ha fatto piacere!".
Non debbo regolarmi secondo l'oggi, non debbo
regolarmi secondo: "Questo mi ha fatto piacere, oppure questo mi ha fatto
dolore!" No! Ma…
Eligio: …debbo
regolarmi secondo Dio, è evidente!
Luigi: Ecco! Per questo dico, e
allora ritorniamo a quello che abbiamo detto in principio, che “norma del
nostro vivere di oggi dev'essere il pensiero di domani”, dev'essere il
pensiero di quello che sarà domani, di quello che viene dopo di me, quello che
incontrerò dopo di me…
Eligio:….che mi ha
preceduto e nel quale io mi muovo.
Luigi; Certamente, ma che non vedo ancora.
Eligio: Praticamente Giovanni Battista in questa sua
espressione “Colui che viene dopo di me, è più grande di me perché era prima di
me”, è il simbolo di tutto lo sforzo umano (è “il più grande tra i nati di
donna”) nel superarsi.
Luigi: È la regola! Lui ci
annuncia la regola di vita per incontrare il Cristo, cioè per incontrare Colui
che verrà “dopo”, dopo aver superato noi stessi, perché se non superiamo
noi stessi e quindi non abbiamo interesse per Dio, anche se Lo incontriamo, in
realtà non Lo incontriamo, perché non riconosciamo in Lui il Verbo fatto carne,
il Pane per la nostra fame! Anzi, l’incontrarlo diventa una condanna per noi,
uno spogliamento, un impoverimento, un annullamento.
Eligio: Penso però
che chi segue la scuola di Giovanni Battista lo faccia con l'intenzione di
incontrare il Cristo, accettando di superarsi…
Luigi: Sì, però lui dice anche
ad alcuni che venivano a farsi battezzare: “Razza di vipere…!” (Mt 3,7);
quindi può anche darsi che uno si faccia suo discepolo e si faccia battezzare
da lui, ma lo faccia per ipocrisia, per farsi vedere; perché tutte le norme di
essere, anche i comandamenti, possono essere praticati solo per la figura:
siamo sempre nel campo dell'ambiguità!Soltanto con lo Spirito di Verità non c'è
ambiguità. Invece nel campo dei modi di essere, dei comportamenti, noi possiamo
sempre rivestirci di altro spirito perché sono fatti ambigui: lo spirito può
essere vario. Infatti Giovanni Battista dopo aver loro detto: “Razza di
vipere!”, aggiunge: “Perché venite a farvi battezzare se non avete lo
spirito?” (Gv 3,7), cioè se non avete quello spirito di penitenza e di
superamento di voi stessi che ne è la condizione?
Eligio: Da quanto hai
detto prima, quando hai accennato che il Signore può venire come un ladro,
direi che si può giungere ad una situazione irreversibile, per cui ad un certo
momento non si può più fare il passaggio al “dopo”. Hai detto questo? È
difficile però capirlo…
Luigi: È Gesù che lo dice: “Verrò
come un ladro…” (Mt 24, 43), e perché lo dice? Per avvisarci, affinché noi non ci lasciamo
sorprendere, quindi affinché noi ci prepariamo. Dicendoci: “Verrò come un
ladro”, ci dice: “State preparati!”.
E aggiunge: “Vegliate!” (“Quello che
dico a voi lo dico a tutti: vegliate!” - Mc 13,37). Ma perché vegliare?
Perché si può evitare questa sottrazione, si può evitare questo furto, si può
evitare che Dio ci spogli di tutto! Anzi, Dio viene per arricchirci, non
per spogliarci! Quindi questo spogliamento si può evitare!
Però se noi dentro di noi non abbiamo preparato,
non abbiamo vegliato, quindi non abbiamo magnificato la sua Verità, non siamo
convinti di Lui, la sua venuta diventa uno spogliamento per noi, perché
certamente Lui verrà: é lì il fatto! Cioè la sua venuta non dipende da noi, il tempo
non dipende da noi.
Eligio: Direi che Lui
è già venuto; siamo noi che dobbiamo risvegliarci a questa presa di coscienza,
no?
Luigi: Sì, Lui é venuto e Lui
viene. Lui é venuto in quanto il “dopo” é già presente in noi, cioè “Colui
che verrà...” è già in me. Infatti se uno mi dicesse una cosa che io non ho
presente in me, non la potrei capire.
Eligio: Quindi Colui
che verrà era in principio.
Luigi: Certo, Colui che
verrà é Colui che era in principio. Quindi Dio è il Principio ed il Fine: “Io
sono il Principio ed Io sono il Fine” (Ap 22, 13). Allora, per rispettare
Lui, noi dobbiamo metterlo come principio e come fine, quindi partire da Lui
e tendere a Lui.
Attualmente noi siamo lì in mezzo tra il
Principio e il Fine, ma questo mondo in cui noi ci troviamo é un mondo che si
evolve, che cambia, per ognuno di noi sta cambiando, giorno per giorno. Tutto
questo cambiare verso che cosa va? Tutto questo rumore di cose che passano,
verso che cosa tende?
Tutto questo passare di cose, tutto questo rumore
tende alla venuta di Dio!
Ma se é già venuto! Sì, ma viene in tutto!
Occupa tutto, e questo suo occupare tutto è uno spogliamento di tutto ciò
che noi abbiamo o che crediamo di avere!
Per cui se io ho un capitale, ad un certo momento
Lui me lo porterà via; se io faccio assegnamento, ad esempio, sulle mie virtù,
ad un certo momento Lui me le porterà via; se io faccio assegnamento sulla mia
fede, sulle opere che ho fatto, Lui ad un certo momento me le porterà via; Dio
mi porterà via tutto, perché Lui viene per testimoniarmi che é stato tutto
opera sua, che é stato tutto grazia sua e che non è niente mio, non è stato
niente per opera mia! (Dio è! Dio regna! Questa è la Verità. Gesù disse a
Pilato: “Per questo sono venuto: per rendere testimonianza alla Verità”- Gv
18,37).
Per cui se io mi sono preparato ed ho capito che tutto quello che ho é tutto grazia sua, é tutto dono
suo, é tutta opera sua, man mano che Lui verrà a riprendersi le cose sue,
dirò: “Ma io, Signore, te le avevo già date ancora prima!”, e sarò
immensamente felice perché mi troverò approvato, giustificato!
Ecco, ci sarà questa realizzazione qui!
Ma non è detto. Per cui io oggi ho delle cose
sulle quali posso fare assegnamento e con cui posso fare degli errori, ma con
cui domani certamente non potrò più fare degli errori, però potrò essere messo
fuori, buttato nell'inferno, ad esempio.
Eligio: Perché? Ecco,
è questa irreversibilità che è difficile capire.
Luigi: Perché non ho niente di
Lui!
Eligio: Ah, ecco,
perché non ho niente di Lui!
Luigi: Lui venendo, occupa
tutto e mi spoglia di tutto! Per cui io credo di avere intelligenza e Dio mi
dirà: "No, l'intelligenza é mia!"; io ritengo di avere una volontà e
Lui mi dirà: "No, la volontà é mia!". Ed io non avrò più intelligenza,
né volontà, né amore, né fede, non avrò più niente! Non avrò nemmeno più la
possibilità di comunicare con l'altro, perché la possibilità di comunicare é
grazia Sua: è Lui che mi dà la possibilità di comunicare, di farmi capire
dall'altro!
Quindi se io non capisco questo prima e non mi
rendo conto che questa possibilità di comunicare è dono Suo, che é grazia Sua e
non l’attribuisco a Lui, Lui verrà e me la porterà via, per cui io farò:
"blà blà blà" e non comunico più con nessuno, resto chiuso nel mio io!
Perché la possibilità di comunicare con l'altro è grazia di Dio!
Giovanni M.:
Non avrei mai pensato che da questo versetto potessero uscire tutte queste
riflessioni sul “domani”, riflessioni veramente belle e profonde…
Pinuccia B.:
…che possono cambiare la vita.
Emma D.: E che ci
preparano per la vera vita.
Angelo B.: Bisogna però
pensarci molto.
Giovanni M.:
Unendoci a Cristo, Lui ci fa vedere questa verità e vedendo questa verità, uno
non può più tirarsi indietro, perché è verità!
Ines: Questo argomento mi fa
pensare ai “guai” di Gesù. Lui dice questi “guai” perché noi
corriamo il rischio di sciupare la vita quando non teniamo presente il fine.
Luigi: Certo! I “guai” Lui li dice non per
minacciarci, ma li dice unicamente per evitare che quei fatti ci succedano.
Anche quando il Signore dice: “Guai a voi ricchi!” (Lc 6, 24), non lo
dice mica per condannare i ricchi, perché Dio ama i poveri e i ricchi: sono
tutti uomini, tutte creature sue, ma dice “guai” per salvarli. È un atto
di misericordia, per cercare di salvarli, per far capire loro che fintanto che
amano la ricchezza non possono entrare nel Regno di Dio!
Ines: Un altro pensiero che mi
ha colpito è questo: che di tutto noi facciamo un idolo…
Luigi: …se restiamo in questo
“prima” e non passiamo al “dopo”. Certo, perché restando nell’attualità del
segno, fermandoci cioè all’apparenza, noi su tutto diciamo: “Guarda questo che
bello! Guarda quello come mi piace!, ecc., ecc.” e ci fermiamo lì.
Eligio: Ma se noi ci
facciamo degli idoli siamo ancora prima del prima, cioè prima di Giovanni
Battista: siamo cioè ancora nella situazione dei pagani e non certamente ancora
nella tappa del Battista, nella quale l’anima ha già abbattuto e abbandonato
gli idoli, per cui si trova già in una fase di giustizia e di penitenza e
preparazione all’incontro con Cristo…Ines: Quindi Abramo, tutti gli uomini giusti dell’Antico Testamento, Maria
stessa, non dovevano mai fermarsi nemmeno ai grandi doni che il Signore dava
loro.
Luigi: Infatti Maria ad un
certo momento ha avuto il problema di superare suo Figlio, non nel senso di
diventare superiore a suo Figlio, è logico, ma di offrire suo Figlio. Ha avuto
quel problema lì! Ad un certo momento Lei ha dovuto offrire suo Figlio, che
é dono di Dio, tutto dono di Dio e niente opera umana; ha dovuto
distaccarsi anche dai doni di Dio! Per cui noi non solo dobbiamo distaccarci
da quello che possono essere i nostri orgogli, i nostri egoismi,ecc., ma anche
dai doni di Dio, perché dobbiamo sempre passare a Dio, perché Dio non si
confonde con i suoi doni. Tutto è dono di Dio, anche la creazione è dono di
Dio; tutto è dono di Dio, ma Dio non si confonde mai con i suoi doni!Allora
noi dobbiamo sempre passare al “dopo”, a Dio. Ad esempio, anche nel caso del
piede pestato: é Dio che lo pesta! Ma noi dobbiamo passare a Dio, per
intenderne il significato, non fermarci
al piede pestato!
Dobbiamo sempre passare a Dio in tutte le cose,
perché Dio supera tutto! Per cui Lui ci manda i doni per risvegliarci, per
richiamarci a Sé; ma noi dobbiamo capire il significato delle opere di Dio!
Perché Dio parla a noi, dona i suoi doni a noi, per risvegliare la nostra
attenzione su di Lui, per farci guardare a Lui, quindi non per farci guardare
ai doni, ma per farci guardare a Lui, perché é Lui la vita, non i doni suoi! I
doni oggi ci sono e domani non ci sono più.
Infatti Lui ci dona, ad esempio, l'esistenza e
poi ce la chiede. Perché ci fa nascere e poi ci fa morire? Il problema è tutto
lì. Infatti l'esistenza é il dono, in cui sono racchiusi tutti i doni che Lui
ci fa e che poi ci chiede.
Ecco, Dio ci mette in mano un dono e poi ci
dice: "Adesso me lo dai?". Ma è proprio in quel passaggio,
"adesso me lo dai?", che succede il meraviglioso in noi: perché
scatta l'amore! Per cui se noi glielo diamo, subito crediamo magari di
perderlo, ma quello che noi diamo a Lui, Lui ce lo ritorna come Spirito, come
Presenza sua, cioè come Amore, Amore di Lui (cf. il chicco di grano donato
e trasformato in chicco d’oro, nella favola di Tagore). Quindi prima avevamo
il dono, adesso abbiamo l'Amore suo! Cioè abbiamo quel “dopo”, siamo
arrivati al "dopo"!
Ines: Quindi la vita è tutta
un’interrogazione a Dio per cercare presso di Lui il significato di tutto.
Luigi: Certo. Cioè è sempre
questo superamento continuo (questo passare al “dopo”), che ad un certo momento diventa gioia!
Ecco, ci sarà un momento in cui il superarsi
diventa una gioia! Una volta che uno ha capito, superarsi diventa una gioia!
Adesso è fatica, in quanto ci sembra di perdere, ma quando invece abbiamo
capito, siamo ben felici di perdere, perché andiamo verso un più!
È come se uno mi dicesse: “Se mi dai un biglietto
da mille, io ti do un biglietto da centomila!”: in un primo tempo io vedo
soltanto il biglietto da mille che perdo; ma se poi effettivamente lui mi dà le
centomila promesse, se continua ancora a chiedermi altri biglietti da mille, ad
un certo momento io con molta gioia gli do tutti i biglietti da mille che vuole
per avere i centomila, perché ormai ho capito che lui mantiene quella promessa
lì! Capito questo, non faccio più fatica a dargli i biglietti da mille, per
avere in cambio i centomila.
In un primo tempo invece noi facciamo tanta
fatica a dare i biglietti da mille!
Ines: Questo mi fa pensare che
i Santi, o comunque le persone che sono vissute solo per Dio, non siano mai
stati tristi e che siano stati tutti felici quando morirono. È così?
Luigi: Ma vedi, quello lo sa
solo il Signore, perché il Signore, che ci conosce dentro di noi, sa le
tristezze o le gioie che deve darci. È sempre una cosa personale, per cui ci
sono dei Santi che in fin di vita hanno detto: "Non credevo che fosse così
facile morire, non credevo che fosse una gioia così grande!"; e ci sono
stati invece dei Santi che, come Santa Teresina del Bambino Gesù, hanno detto:
“Non pensavo, non credevo che fosse così doloroso morire!".
Angelo B.: Quindi è una
cosa diversa per ognuno.
Luigi: È sempre personale,
perché Dio sta parlando personalmente con ognuno di noi e Lui vede ciò che fa
bisogno a noi o agli altri.
Pinuccia B.:
Quindi se ci dà una tristezza è perché vede che è necessaria quella tristezza…
Luigi: …o per noi o per gli
altri.
Emma D.: Quindi può
ancora essere un dono…
Luigi: Gesù nell'agonia ha
sentito tristezza! Lui certamente, personalmente, non aveva proprio bisogno di
subire quello! Questo anche per dirci: “Non giudicate se vedete un uomo triste,
perché non sapete quale funzione, quale intenzione, Dio abbia con quell'uomo
per renderlo così triste!”. Noi dobbiamo sempre soltanto prendere tutte le lezioni
da Dio, cercare di farle nostre e di capirle, perché è Dio che sta parlando, e
mai giudicare l’altro, mai!
“Sono molti quelli che si salvano?”, chiesero a Gesù, ma Egli rispose: “Questo a voi non interessa! Sforzatevi voi di entrare!” (Lc
13,23-24). Questo sforzarci di entrare é proprio questo passare dal segno al
significato dei segni, cioè: “Capite la lezione per voi! Sforzatevi voi di entrare!”. Perché se voi state a pensare se siano molti
o no quelli che si salvano, può darsi che tutti quelli che voi vedete in certe
situazioni ambigue siano tutti Angeli di Dio, Angeli che Dio manda rivestiti
così, per farvi vedere o capire qualcosa, per darvi una sua lezione, e voi
invece state a chiedervi se si salvano! Pensate piuttosto a prendere la
lezione su di voi!
Giovanni M.:
Il prendere le lezioni su di noi ci porta al “dopo”, al “domani”.
Luigi: Ecco, è questo l’“oggi”
che ci porta al “domani”. Però l’importante per noi, per vivere bene l'oggi,
per vivere con la Sapienza divina l'oggi, è essere preoccupati del
“domani”, è avere il pensiero del
domani, non avere il pensiero dell’oggi! Perché altrimenti nel pensiero
dell’oggi, cosa succede? Succede che
faccio di ciò che mi piace un idolo; ad esempio, se io oggi mangio la bignola e
dico: “Mi piace”, nel pensiero di quest’”oggi” mi faccio della bignola un
idolo. Ecco, è per evitare di farci questi idoli che bisogna vivere nel
pensiero del “domani”. Infatti se
invece io penso che la bignola è niente, cioè se penso che il Signore viene, se
penso alla morte che mi può sorprendere oggi o stanotte o domani mattina, ecco
allora che la bignola scompare ai miei occhi, anche se l'ho gustata e mi è
piaciuta. Ecco allora che qui c’è il distacco! Ecco che qui c’è la
sapienza!Vedi che c’è la sapienza? Ed è sapienza divina che ti viene data dal
fatto che tu sei passato al domani. È questo passare al “domani” che ti ha
fatto sapiente!
Giovanni M.: Quindi Cristo oggi ci prepara per il domani…
Luigi: Certo!
Ma questo “domani” dobbiamo tenerlo presente, perché deve informare
l’“oggi”, cioè deve diventare il dover essere nostro di oggi; per cui se
noi oggi viviamo secondo il domani che non si vede, che sarà, ma che oggi non
c’è, noi oggi siamo disprezzati dal mondo, perché il mondo dice: “Guarda questi
stupidi, non approfittano dell'occasione!”. Perché il mondo si regola secondo
l'oggi.
Chi ha il pensiero del “domani” lascia perdere
l'occasione di oggi e il mondo lo giudica male! È la preparazione di Noè:
Noè prepara l'arca e tutti gli ridono dietro dicendo: "Guarda che stupido!
Sta preparando un barcone invece di pensare a godersela...". Ma poi ad un
certo momento arriva il diluvio! Ecco,
per ognuno di noi c'è questa alleanza, e ad ognuno di noi Dio dice:
"Costruisciti l'arca, perché domani ci sarà il diluvio!". Ora però
quando tu costruisci l'arca, il mondo ti disprezza e commenta:"Cosa
sta facendo quello stupido!".
Giovanni M.: Pensando a Cristo oggi, non viene di per sé
il domani?
Luigi: No! Non viene niente di
per sé. Di per sé viene soltanto la morte, di per sé viene lo spogliamento,
viene Dio che viene a rubarci tutto. Di per sé viene questo; per cui se noi
viviamo soltanto secondo il tempo e secondo la natura, secondo i segni, avviene
questo.
Giovanni M.:
No, non dicevo se viviamo soltanto secondo natura, ma se pensiamo a Cristo
oggi.
Luigi: Ma il Cristo oggi è
Cristo domani! Cioè il Cristo oggi è solo in funzione del domani, del
futuro: il Cristo oggi è sempre rivolto al Padre! Per cui se tu ti fermi soltanto
al Cristo oggi, oggi come oggi, e Lo imiti come “oggi”, cioè nella sua
attualità fisica, nella sua presenza fisica come segno, senza passare al
“dopo”, cioè senza passare a capire il Suo pensiero, tu sbagli, perché il
Cristo non si ferma con noi, é sempre rivolto al Padre: "Io vado!",
Egli dice; non si ferma mica! Non si ferma lì con te, perché Cristo é Uno
che cammina, che va al Padre!
Giovanni M.:
In sostanza il Padre sarebbe il “domani”.
Luigi: E già! Cioè Colui che incontreremo domani. Per cui
se tu non guardi là dove Cristo va (il “domani”), se tu ti fermi soltanto a
quello che Lui ti presenta “oggi”, cioè ad un segno della sua vita fisica tra
noi, tu ti fermi soltanto ad un fatto apparente, che ti sfugge però nel momento
stesso in cui te lo presenta. Mentre tu ti fermi, Lui se ne va, come d’altronde
avviene per ogni segno che ci presenta oggi, per ogni cosa che succede
nell’attualità della nostra vita. Infatti mentre tu ti fermi all’attualità
presente, non ti accorgi che praticamente il presente tu non puoi
fermarlo? Non possiamo fermarlo! Ci
sfugge continuamente! Già adesso, in questo momento. Noi diciamo: “Siamo qui”.
Ma no, non siamo qui! Perché mentre noi diciamo: “In questo momento siamo tutti
qui assieme”, immediatamente, come l’abbiamo detto, il nostro pensiero è già
fuori, é già passato!
Noi non possiamo fermare il momento presente! Ci
sfugge. Quindi allora, è soltanto un’illusione nostra quella di fermarci al
presente! Per cui mentre dico a Cristo: “Cristo, Ti ho incontrato e mi fermo
con Te oggi!", Lui se ne è già andato, è andato avanti! Perché Lui ci
dice: "Tu mi trovi nella mia meta. Ecco, tu mi trovi nella mia
meta! Ci incontreremo, ci troveremo là! Io ti precedo, tu però devi avere il
pensiero dove Io vado!”
Dio è Colui che viene: viene nella storia
dell'umanità come nella vita di ogni uomo; viene perché Dio è la Verità, perché
è Colui che è.
Essendo Colui che è, è Colui che viene.
Le cose che passano ce lo annunciano, ce lo
dicono, ce lo testimoniano e ci invitano a vegliare nell'attesa, a preparare
l'incontro, perché Egli certamente verrà e noi Lo potremo accogliere solo nella
misura in cui ci saremo preparati per Lui.
La sua venuta è più certa del sorgere del sole,
più certa del nostro mondo e di tutto ciò che esiste.
Non c'è dubbio di uomo, non argomento, non
ragionamento che possano offuscare tale certezza, poiché la Verità è al disopra
di parola di uomo. Gli uomini sono soltanto dei ripetitori, dei trascrittori
più o meno fedeli della Verità e dell'opera di Dio, e quindi sono comunque essi
stessi degli annunciatori della sua venuta.
Gli uomini non sono degli annullatori della
Verità. Non lo possono. Anche quando la negano, la confermano e, come vivendo
non possono uscire dal tempo, così non possono, comunque pensino o parlino,
uscire dalla Verità, e passando, comunque passino, non possono fare altro che
annunciare la Sua venuta.
Così gli uomini e tutte le creature che passano,
ci invitano a pensare a Dio, a conoscere Dio, anche quando Lo negano o Lo
bestemmiano.
Ogni incontro dipende dalla preparazione. Anche
il nostro incontro con Dio dipende dal modo con cui ci siamo preparati ed
abbiamo vegliato per esso nell'attesa.
Preparare un incontro vuol dire pensare a Colui
che deve venire, conoscere i suoi desideri in modo da fargli trovare ogni cosa
secondo ciò che piace a Lui. Qui sta l'amore.
L'amore si prepara all'incontro per tempo, perché
l'amore anticipa i tempi.
Caratteristica dell'amore è di arrivare sempre in
anticipo all'incontro con colui che ama.
Le cose che passano e il tempo stesso della vita,
invitandoci a prepararci all'incontro con Dio, ci invitano ad alzare gli occhi
al disopra di tutte le nostre questioni e di tutti i problemi del nostro mondo,
per guardare a Colui che viene.
Alzare gli occhi al disopra delle cose della
terra e di noi stessi per guardare a Dio è pregare.
Le cose che passano ci insegnano a pregare. E
pregare è ciò che fa essere più uomo l'uomo e lo libera dalla notte del mondo.
È nella preghiera che l'uomo ritrova la sua vera
identità, la sua vera dimensione, il suo vero nome; è nella preghiera che
l'uomo trova la sua liberazione da tutto ciò che gli soffoca l'anima rendendola
automa, vuota e arida.
Le ideologie moderne hanno parlato di alienazione
della preghiera e non si sono accorte ch'esse stesse sono alienazione dell'uomo
dal suo destino spirituale per sprofondarlo in vicoli ciechi di tenebre, di
inquietudini, di agitazione, di lotte e di delitti.
Non si forma l'uomo, e tanto meno lo si libera,
soffocandogli l'anima e comprimendogli il cervello. Togliendo all'uomo la
possibilità di pregare e la libertà di pensare, non si promuove l'uomo, ma lo
si uccide.
Vero destino dell'uomo è la preghiera, il
pensiero, la ricerca, la conoscenza di Dio. «Una civiltà veramente umana ha il
dovere di garantire a tutti uno spazio per la preghiera ».
***
La preparazione all'incontro con Dio, facendoci
alzare il nostro pensiero a Lui per conoscerlo, ci fa pellegrini dell'Assoluto;
ci fa essere nel mondo senza essere del mondo; ci fa camminare tra le sabbie
mobili del relativo senza lasciarci insabbiare.
Ora per chi è in cammino è della massima
importanza il non aver con sé bagagli che gli appesantiscono l'andare.
Se l'uomo vuol portarsi dietro la preoccupazione
delle cose che passano per paura di perderle, certamente non potrà camminare
molto a lungo sulla via dello spirito.
Nella via dello spirito vince veramente solo
colui che sa perdere. «Chi cerca di salvare la sua vita, la perde», dice
Gesù (Lc 17, 33).
Dio creando l'uomo gli ha assegnato un grande
impegno, un grande lavoro: “Cercherai prima di tutto il Regno di Dio”
(Mt 6, 33), gli ha detto. E poiché si tratta di un lavoro che deve impegnare
tutte le sue forze, gli ha detto: “Non preoccuparti nemmeno del mangiare o
del vestire”.
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L'incontro con il Dio che viene presuppone occhi
capaci di riconoscerlo. È quindi un incontro personale; vale in quanto è
personale e presuppone per questo una preparazione personale, interiore: un
desiderio d’amore.
Dio essendo intelligenza infinita ci tratta
sempre personalmente, mai come massa o gruppo; ci conosce personalmente, ci
istruisce personalmente, ci chiama personalmente. Siamo amati, conosciuti,
guidati da Dio. “Io stesso verrò e mi prenderò cura delle pecore, una per
una” (Ger 23, 3).
Ognuno Lo vedrà nel modo in cui Lo avrà
interiormente cercato, desiderato, sospirato. È la fame che ci fa riconoscere
il pane; è la sete che ci fa scoprire l'acqua. Per riconoscere il Pane del
Cielo bisogna avere fame del Cielo.
Ma fintanto che abbiamo fame di cose della terra,
siamo ciechi alle cose di Dio, quindi ciechi alla presenza di Dio tra noi, al
Cristo, anche se crediamo di credere in Lui, anche se Lo preghiamo ogni giorno.
Ci si prepara all'incontro con Cristo facendo
crescere in noi la fame di Dio, riconoscendo cioè il tutto che Egli è e il
nulla che noi siamo.
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Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio
Cesare, la Parola di Dio scese su Giovanni nel deserto. Questa Parola di Dio
che entra in un momento ben preciso della storia dell'umanità per assumere
visibilmente la direzione degli avvenimenti e muovere gli uomini verso una meta
ben precisa, significa quello che avviene nella vita personale di ogni uomo: la
Parola di Dio entra nella storia del mondo perché vuole entrare nella vita di
ogni uomo.
Così vi è sempre un giorno in cui Dio prende in
mano il volante dell'auto sulla quale stiamo viaggiando e ci conduce Lui dove
Egli vuole e non più dove noi vogliamo. Allora il mondo non è più in mano
nostra, e nemmeno la nostra vita. Gli uomini dicono: «Gli avvenimenti ti
prendono alla gola e ti costringono a fare quei passi che non vorresti». In
realtà non sono gli avvenimenti, ma è Dio.
Quello che avvenne allora per preparare le genti
all'incontro con Cristo, fu segno e rivelazione di quello che deve avvenire
nella vita di ognuno di noi per incontrare personalmente Cristo, per trovare la
salvezza di Dio.
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“Voce di uno che grida nel deserto”. Noi stessi siamo questo deserto, questa notte, questa aridità di vita,
in cui una voce, quella di Giovanni Battista, grida. È la voce dell'anima di
ogni uomo che fa sentire la sua fame.
Fame di essenzialità, di semplicità, di unità; bisogno di essere
liberati dalle banalità, dalle vanità, dalle convenzionalità di cui abbiamo
riempito tutta la nostra vita. È bisogno di trovare un senso valido alla nostra
esistenza, perché l'uomo non è in grado di sopportare una vita priva di
contenuti eterni.
Bisogna allora stare attenti a non riempire la
nostra vita di banalità, poiché ci rendiamo con ciò la vita insopportabile. E
quando la vita ci diventa insopportabile dobbiamo ricorrere alla violenza, alla
droga, al suicidio. Quanto meno facciamo ricorso ai valori eterni, tanto più
ridotte diventano le nostre possibilità di sopravvivenza.
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Abbiamo bisogno di incontrare Dio, abbiamo
bisogno di valori eterni: questo è il grido che sale dalla nostra notte, dal
nostro deserto, dall'aridità vana in cui stiamo spendendo tutta la nostra vita.
Spendiamo un tesoro immenso per riempirci di cose inutili!
Per questo la Parola di Dio ci invita alla
rottura con il mondo fatto di abitudini, di conformismi, di convenzioni, di
vanità, ed a convertirci a ciò che più vale.
Bisogna avere il gusto, la passione per
l'essenziale e non perdere il tempo in altro. È l'anima della nostra
preparazione all'incontro con Dio.
La nostra vita non cambia e non può cambiare se
non si forma in noi questa passione per l'essenziale posto prima di tutto.
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La preparazione all'incontro con Colui che viene
è soprattutto un'avventura interiore proprio perché si tratta di un impegno
personale: si tratta di passare dal pensiero del nostro io come centro dei
nostri pensieri, al pensiero di Dio come centro dei nostri pensieri, come
centro della nostra vita.
«Ogni valle si riempia;
ogni monte si abbassi;
ogni collina si spiani;
le vie tortuose siano fatte diritte
e le difficili siano rese semplici”,
diceva Giovanni Battista (Lc 3, 4-6): è il lavoro
di preparazione chiesto ad ogni uomo, ad ognuno di noi personalmente,
interiormente.
O non ci sono forse da abbassare in noi monti di
superbia e colline di vanità da spianare?
O non ci sono forse vuoti di anima da riempire?
Pensieri contorti da raddrizzare e ragioni
fasulle con cui giustifichiamo ciò che non è giustificabile?
E non ci sono forse in noi scuse perché le cose
di Dio sono difficili, astratte, complicate, che richiedono menti e cuori
diversi dai nostri?
In realtà non ci sono cose difficili, ci sono
soltanto cose che si amano meno. Ciò che si ama meno è sempre troppo difficile,
troppo astratto, troppo impegnativo, e non si ha mai tempo per esso.
L'amore, quello vero, non conosce cose difficili,
ma tutto accoglie e si compiace di ciò che lo impegna molto, perché così ha
maggior modo di rivelarsi e occasione per testimoniarsi.
È molto bello per l'amore avere difficoltà da
superare per piacere a colui che ama.
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Quello che avvenne allora per la preparazione
delle genti all'incontro con Cristo, salvezza di Dio, fu un segno di ciò che
deve avvenire nella vita personale di ognuno di noi per preparare in noi la via
a Dio; fu lezione per ogni uomo, poiché ogni uomo è chiamato all'incontro con
Cristo. Di qui l'attualità di Giovanni Battista e del suo messaggio.
Alla richiesta della gente che diceva: «Che
cosa dobbiamo fare?», Giovanni rispondeva: «Chi ha due tuniche ne dia
una a chi non ne ha, e chi ha di che mangiare, faccia lo stesso». Era il
banco di prova della conversione degli animi, il segno cioè dell'avere messo
Dio al suo posto giusto in noi, poiché se prima pensando al nostro io siamo
diventati un centro di egoismo, di violenza, di possesso per cui quando si ha
una tunica si cerca di averne due e quando se ne hanno due si cerca di averne
quattro, quando si è posto Dio al centro della nostra vita si diventa creature
d'amore che partecipano agli altri tutto ciò che hanno, poiché l'amore si
rafforza quanto più dona di sé.
È l'inversione di marcia chiesta a tutti come
preparazione ad incontrare Dio.
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Anche coloro che avevano potere di esigere delle
prestazioni, chiedevano: «E noi che cosa dobbiamo fare?». Giovanni
rispondeva: «Non pretendete niente di più di quello che vi è stato fissato»:
cioè non lasciatevi guidare dal desiderio di guadagno o di far servire le
persone alle vostre ambizioni.
È il desiderio del denaro, del benessere, delle
comodità, ad indurire i cuori e ad accecare le menti, facendo fallire tutti i
richiami dello Spirito alla vita semplice, all'amore, al raccoglimento, al
superamento di se stessi, poiché quanto più crescono i beni, tanto più crescono
le ambizioni e si perde la pace, la libertà, soprattutto si perde la
disponibilità interiore a cercare Dio.
E se non si cerca Dio, la nostra anima muore
nelle banalità di ogni giorno.
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Anche coloro che erano dipendenti e prestavano la
loro opera dietro ricompensa, chiedevano: «E noi cosa dobbiamo fare?».
Giovanni rispondeva: «Non condannate nessuno, e accontentatevi della vostra
paga!». È detto proprio così: « Accontentatevi della vostra paga»!
Quanto siamo lontani noi oggi da queste lezioni
che lo Spirito di Dio faceva dire a Giovanni, anche se continuiamo a mettere
l’etichetta di cristianesimo su tante nostre pretese e sulle nostre lotte per
cose che passano!
Ma se anche sull'etichetta mettiamo il nome di
Cristo, la sostanza che sta sotto l'etichetta è ben altra, e per scoprirla
basta che ci confrontiamo con questa pagina di Vangelo!
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Giovanni, questo gigante della giustizia e
dell'autenticità, questo “più grande dei profeti”, ci insegna che per
prepararci all'incontro con Dio bisogna fare esattamente il contrario di ciò
che fa il mondo e che il mondo insegna. Dobbiamo vivere non più pensando a noi,
non più parlando di noi; il nostro io non è Dio e non deve essere un idolo né
per noi, né per gli altri.
Abbiamo accumulato ricchezze e ci siamo esaltati
di esse? Dobbiamo dare via quello che abbiamo e ritornare ad amare la vita semplice
ed umile.
Abbiamo accusato? Dobbiamo scusare.
Abbiamo seminato la lotta e l'invidia? Dobbiamo
togliere ogni motivo di discordia e seminare la pace.
Ci siamo divisi in nome degli interessi, delle
scelte di classe, della politica? Dobbiamo riunirci in nome di Dio, prima che
ci riunisca la morte e il nulla.
Tutto questo, sia chiaro, non è ancora la vita,
ma è solo la premessa perché la vita venga in noi.
Non è la vita, ma è la condizione per trovarla.
La vita sta in Colui che viene, in Colui che ci
immergerà nella conoscenza di Dio.
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Allora ogni uomo vedrà Cristo, vedrà la salvezza
di Dio.
Gli occhi che ci danno la possibilità di vedere
la salvezza di Dio sono interiori, e si formano in noi attraverso questa
preparazione con cui si raddrizza e semplifica ogni cosa in noi verso Dio.
Fintanto che non facciamo tale preparazione, noi
continueremo a vedere la nostra salvezza e la nostra vita nel denaro, nel
benessere, nel viaggiare, nelle istituzioni degli uomini, nella politica, nella
società.
Per questo il tema della preparazione, ed è
l'anima del messaggio di Giovanni Battista, è la giustizia verso Dio: mettere
Dio al suo posto dentro di noi, al centro dei nostri pensieri e della nostra
vita.
È il principio della vita spirituale, che è vita
personale; d’altronde non si convive con gli uomini se non si è imparato prima
personalmente a convivere con Dio.
(Dicembre 1979)
(Articolo pubblicato su “L’Araldo del Sacro
Cuore”, scritto da Luigi Bracco)