E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito
riceve dal Padre Gv 1 Vs 14 Settimo
tema.
Titolo: Chiamati a contemplare la sua Gloria.
Argomenti: Essere nel luogo del Padre. Morire a noi stessi. Cristo ci consegna al Padre. Cristo da esterno a interno.
21/Dicembre/1975
Dall’esposizione di Luigi Bracco (appunti):
“… E noi abbiamo
contemplato la sua Gloria…”:
è la testimonianza di Giovanni e di coloro che, giungendo alla loro Pentecoste
personale, hanno visto la Gloria che il Figlio Unigenito di Dio riceve dal
Padre.
Tale testimonianza ci è
data per farci desiderare di giungere anche noi a contemplare la Gloria del Verbo e
per farci capire che anche noi siamo chiamati a questa Meta (“Dio vi
chiama al suo Regno e alla sua Gloria” – 1 Tess 2,12).
Abbiamo visto le volte
scorse come questa Meta, pur essendo altissima, sia accessibile, però solo a
determinate condizioni: c’è un prezzo da pagare! Ma quando si è veramente
convinti dell’importanza della Meta a cui si è chiamati, si è disposti a tutto.
Per convincerci
dell’importanza che ha per noi il
giungere a vedere la Gloria del Verbo, dobbiamo tenere sempre presente come le
conseguenze di questa visione (la stabilità della nostra unione con Dio, la
nostra liberazione totale e la nostra trasformazione da schiavi in figli di
Dio) rispondano alle esigenze più profonde del nostro spirito.
Il raggiungimento di
questa Meta ci è possibile non solo perché ci è ripetutamente promesso
dalla Parola di Dio, non solo perché qualcuno vi è già arrivato, ma
soprattutto perché Cristo stesso si è
fatto strada per i nostri passi, indicandoci, con le sue parole e la sua vita,
le varie tappe del cammino verso la visione della Gloria.
La cosa più meravigliosa
e incentivante è il sapere che siamo stati creati proprio per questo,
cioè per giungere a contemplare in eterno la Gloria di Dio, e che l’intenzione
di Dio, in tutto il suo operare, è solo quella di portarci lì ed è soprattutto
il sapere che è Lui stesso che vuole che ci impegniamo per giungervi.
Per cui se il nostro desiderio coincide con questa intenzione di Dio, grande è
la nostra forza e la nostra speranza!
Il tema de “la Gloria”,
del quale, soffermandoci sull’ultima parte del v. 14 del cap. 1 di s. Giovanni,
abbiamo visto diversi aspetti, è di una profondità e vastità insondabile: già
l’abbiamo potuto intuire se ci siamo soffermati in silenzio e in preghiera
sugli argomenti precedenti. Ma è
necessario ancora riprenderli, sprofondarci in essi, dandovi pensiero, mente, cuore,
attenzione, ecc., affinché non cadano a vuoto, poiché tutti siamo chiamati a
contemplare la Gloria del Verbo (“Benedetto sia Dio, Padre del Signore
nostro Gesù Cristo… in Lui ci ha scelti… predestinandoci ad essere suoi figli
adottivi…. perché noi fossimo a lode della sua Gloria”: Ef 1, 2.5.12), cioè
a vedere ciò che Lui è nel Padre; ma non vi giungeremo se non lo desideriamo.
Il desiderio però va
alimentato e si alimenta appunto
meditando molto gli argomenti che ci parlano di questa Meta che ci attende.
Innanzitutto è molto
importante avere sempre ben chiaro nella nostra mente il concetto di
“gloria”: l’abbiamo definita come “manifestazione di ciò che uno è nel
Padre”.
Abbiamo detto che per poter giungere a vedere la Gloria del Verbo deve
avvenire in noi un passaggio: dal guardare “a” Dio al guardare “da” Dio.
Ecco, Cristo con il suo
parlare ci conduce alla consegna al Padre, ci rende cioè capaci di guardare
solo “a” Dio, di sostare nel Principio. In questa situazione di contemplazione
del Principio, avviene un fatto straordinario: deducendo dal Padre, scopriamo
che l’oggetto del nostro pensiero (il Padre) in realtà è il Soggetto del nostro
pensiero: non siamo noi che pensiamo Dio, ma è Dio stesso il Principio del
nostro pensare. Quindi guardando “a” Dio, Dio ci conduce a guardare “da” Dio,
dal Padre. Il Padre è il “luogo” in cui dobbiamo trovarci per vedere la gloria
del Verbo (il luogo è sempre un punto di vista).
Ma per poter restare
in questo “luogo” bisogna assimilare la Verità del Padre.
Ecco perché Gesù,
consegnandoci al Padre, ci dice: “Restate lì (nel Pensiero del Padre)
e non muovetevi fintanto che non siate rivestiti di forza dall’Alto”
(Lc 24, 49).
Cristo parlando con noi
ha formato in noi la capacità di restare nel Pensiero del Padre, però nella
misura in cui noi abbiamo assimilato tutte le sue parole. Ecco perché è
necessario camminare con Cristo e vivere “in” Lui, perché Lui è la via che ci
conduce a vedere la sua Gloria, “in” Lui è ogni tesoro di luce, di pace, di
liberazione, di salvezza, di gloria.
Per poco che ci
stacchiamo dal suo Pensiero, noi cadiamo schiavi di tutto e arrestiamo il nostro cammino verso la
Gloria.
Infatti tutte le volte
che noi, anziché sottometterci al suo Pensiero, ci sottomettiamo alle cose e non
superiamo il bisogno di esse, queste ci portano via da questo impegno dì
assimilazione della Verità.
Le schiavitù quindi siamo noi che ce le programmiamo dentro, in
quanto ci sottomettiamo a certi bisogni prima di tutto. Con Dio invece, se ci
sottomettiamo a Lui, esperimentiamo, già nel cammino, la vera libertà, una
novità continua e quindi una vita crescente.
Ecco perché, per giungere a vedere la Gloria del Verbo e, prima ancora, per
poter restare in questo 'luogo" da
cui si vede la Gloria (che è lo scopo della vita), la prima condizione che
ci è richiesta è quella di morire a noi
stessi, il che non è lo scopo, ma il mezzo.
Morire a noi stessi vuol
dire cessare di pensare al nostro io e al nostro mondo per impegnarci a pensare
a Dio, e questa è già la giustizia prima, predicata da Giovanni Battista col
battesimo di penitenza.
La sintesi della vita del
Cristo è la sua morte in Croce: tale morte rivela la morte che portiamo in noi;
ed è un invito a morire a questa “morte”, cioè un invito a morire a noi stessi.
Però lo scopo del Cristo
non è né la Morte e neppure ancora la Resurrezione, ma bensì quello di entrare
nella sua Gloria, in noi, e questo avviene nel giorno della “nostra”
Pentecoste.
Il cammino dopo Pasqua
infatti continua ancora e diventa sempre più intimo e personale, e quindi
sempre più impegnativo, perché ci impegna nelle cose invisibili, come ci dice s. Paolo: “Se siete risorti con
Cristo, cercate le cose che non si vedono: cercate le cose di lassù, dove si trova
Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle
della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con
Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, vostra vita, allora anche voi
sarete manifestati con Lui nella Gloria” (Col 3,1-4).
Ma per potermi impegnare
nelle cose invisibili, devo aver già superato il mio io e le cose visibili e si
deve già esser formata in me la convinzione che la salvezza mi viene dalle
cose che non vedo e che mi superano.
Cristo mi fa uscire dalla città del mondo visibile,
mi porta su di una vetta e poi se ne va: se ne va visibilmente,
ma rimane invisibilmente. E mi lascia perciò impegnato in un mondo che mi
supera e non vedo.
È Dio che segna il tempo
di queste tappe. L’importante è che la creatura elevi il pensiero a Lui
(cosa che anche l'analfabeta può fare), perché è Lui che ci fa fare queste
tappe, non siamo noi a proporcele o a programmarcele, né tanto meno a
realizzarle.
L'essenziale è guardare
alla vetta, cioè pensare a Lui, per
non scambiare le tappe col fine, fermandoci ad esse come se fossero la
meta.
Seguendo il Cristo (il suo parlare è un sentiero!), se si è
scrupolosamente attenti a tutte le sue Parole, Lui ci conduce dai discorsi che
fa per tutti (es. il discorso della montagna,
le Beatitudini, le parabole, ecc.) ad argomenti sempre più impegnativi e
che dice solo ai suoi intimi: sono linguaggi diversi che Egli usa a seconda dei
piani in cui uno si viene a trovare seguendo Lui. E arriverà un giorno in cui
ci dirà, dopo averci incentrati in Sé, cioè nel Pensiero di Dio: “È
necessario che Io me ne vada” (Gv 16,7).
È necessario! Infatti,
l’abbiamo già visto le volte scorse, non basta morire a noi stessi; la
seconda condizione che è richiesta per giungere al “luogo” da cui si vede
la Gloria del Verbo è quella di superare tutto il mondo relativo all’io,
compresa la presenza fisica del Cristo, come Lui stesso ha detto: “È
necessario che Io me ne vada, altrimenti non può venire in voi lo Spirito di
Verità”. Non si può giungere a vedere la Gloria che il Figlio ebbe “prima
che il mondo fosse” se non si supera tutto il mondo che è entrato in noi,
compresa la sua incarnazione. Tutto va sottomesso al Pensiero del Padre.
Quando tutto è
sottomesso, Cristo ci consegna al Padre e se ne va, dicendo: “Io vado a
preparare un posto per voi. E quando me ne sarò andato e vi avrò preparato un
posto, ritornerò e vi prenderò con Me, affinché dove Io sono siate anche voi”
(Gv 14, 2-3). Questo suo andarsene da noi è un passo che Lui ad un certo momento
ci imporrà, perché è una tappa indispensabile per poter ricevere lo Spirito
Santo promesso. Egli ci annuncia in anticipo questo momento, per cui, quando
esso giungerà, se noi avremo cercato di capire queste sue parole, avremo la
possibilità di leggere quanto succede, evitando così il rischio, che si corre
quando non si sa, di ripiegarci su noi stessi e su quanto abbiamo
perduto.
È difficile capire queste
parole di Gesù che ci annunciano la necessità della sua partenza, ma anche il
fatto di non capire è già una lezione efficace:
bisogna ricorrere a Lui per avere la luce, per capire le sue Parole. È
importante e indispensabile rimanere uniti a Lui.
Dato che ce lo dice dal
punto di vista di Dio, l’annuncio che Lui se ne va deve essere per noi una
sorgente di gioia. Può succedere invece che noi, nel pensiero dell’io, ci
rattristiamo. Infatti “Voi vi rattristate, perché vi ho detto questo"
(Gv 16,6), dice Gesù agli Apostoli che si rattristarono all’annuncio della sua
partenza.
Tale annuncio deve
riempirci di gioia, perché (come
dice Gesù: “Voi adesso avete tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro
cuore si rallegrerà; e nessuno avrà il potere di rapire la vostra gioia” –
Gv 16,22) è un annuncio che ci conduce ad avere un dono che non verrà mai
meno e che non si perderà più (nonostante le inevitabili debolezze e
condizionamenti in cui ci possiamo trovare fintanto che siamo su questa terra,
in questo corpo mortale).
Il Cristo esterno diventa interiore, personale. In tal modo si può realizzare ciò che Lui aveva chiesto al Padre: “Dove
sono Io, siano anch’essi” (Gv 17,24). Egli aveva anche promesso che
L’avremmo conosciuto: “In quel giorno voi conoscerete che Io sono nel Padre
mio, e voi in Me ed Io in voi. Chi accoglie le mie parole e le osserva, quegli
è che mi ama, e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio, ed Io l’amerò e mi
manifesterò a lui” (Gv 14, 18-21). Gli Apostoli allora gli avevano chiesto:
“Com’è possibile che ti manifesti a noi e non al mondo?” (Gv 14,22),
perché pensavano che Lui si sarebbe manifestato all'esterno.
Invece la sua è una
manifestazione interiore
che richiede una preparazione soprattutto interiore. Infatti Gesù aveva
detto: "A chi mi ama, a chi
osserva le mie Parole, Io mi manifesterò” e aveva soggiunto: “e Noi verremo a lui e faremo
in lui la nostra dimora” (Gv 14,23).
Allora, “in quel
giorno scoprirete chi sono Io"(cf Gv 14,20): ecco la sua gloria! È la
nostra nuova nascita; è l’inizio della vita eterna, di una vita crescente
all’infinito, poiché, come promise Gesù: "Lo Spirito Santo vi ricorderà
tutto e vi farà intendere tutto"(Gv 14,26).
Da questo giorno, che è
il giorno della nostra Pentecoste, tutto il mondo diventa positivo e non più
dispersivo: tutto ci raccoglie e tutto ci aiuta, perché si vede tutto dal
punto di vista del Padre.
Non è il mondo che è
cambiato, ma siamo noi, interiormente, che siamo cambiati.
Infatti con lo Spirito
Santo sarà un guardare tutto con gli occhi di Dio, da- Dio.
Mentre prima, guardando a-, si partiva da se stessi, e si guardava a ciò
che uno aveva (e questo non è vera “gloria”), dopo guardando da-, si
guarda dal punto di vista di Dio e si guarda a ciò che uno è: ecco la
gloria.
Ecco, fintanto che noi
guardiamo “a-”, partiamo ancora da noi stessi: guardiamo alle creature tenendo
in considerazione quello che esse hanno, per quello che ci possono dare, e non
per quello che sono; quindi guardando a-, non vediamo la vera gloria degli
esseri, non possiamo conoscerli per quello che sono.
Invece guardando “da-” si
parte da Dio; per cui guardando dal punto di vista di Dio si vedono gli esseri
per quello che essi sono in Dio. Guardando da Dio vediamo la vera gloria delle
creature, perché la gloria è la manifestazione di ciò si che è in Dio.
Pensieri tratti dagli incontri del Sabato. Sabato 24.01.1976 (appunti)
“… e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria che come Unigenito Figlio riceve dal Padre, pieno di grazia e di Verità”.
Solo giungendo al Padre
conosceremo la sua gloria, perché solo il Padre può rivelare il Figlio. In questa
meta (vedere la sua gloria) la creatura diventa libera. Infatti Giovanni scrive
nella sua prima lettera: "Ciò che abbiamo visto noi ve lo comunichiamo,
affinché anche voi possiate giungere alla comunione con noi e con il Padre e
quindi alla liberazione". La liberazione viene dunque dalla conoscenza
della Verità: “Non vi chiamo più servi, perché vi ho fatto conoscere ciò che
il Padre mi ha dato” (Gv 15,15); “La Verità vi farà liberi”(Gv
8,32).
Chi ci porta a questa
Meta è solo il Cristo, se approfondiamo le sue parole, tenendo presente Dio,
superando il punto di vista dell’io.
In Cristo Dio si rende
sempre accessibile. Lui è presente a noi senza di noi. Ma noi non possiamo essere presenti a Lui
senza di Lui, senza pensare a Lui, superando noi stessi.
Da parte nostra non
dobbiamo fermarci mai al nostro io.
Tutto ci ammonisce a superarlo, ma nessuno ci obbliga. Nessuno ci
obbliga a superarlo, perché è un atto d'amore cosciente, non animale.
Per superarlo, bisogna
accogliere tutto da Dio e riportarlo in Dio, perché Lui ce lo illumini, ce lo
faccia vedere dal Suo punto di vista, superando il nostro punto di vista. E
questo è preghiera.
In qualunque situazione
ci troviamo, si può pregare. “Se non hai l'orecchio, chiedilo. Se non hai la luce, chiedila”.
Da parte nostra ci vuole
quindi l'attenzione a Dio. La fregatura, il vero posto di blocco è l'io che si
ferma sempre a ciò che si vede e si tocca.
Il pensiero dell'io è
cosa buona, datoci da Dio, ma dobbiamo riportarlo a Dio, perché anche il nostro
io è creatura di Dio. Quindi non dobbiamo fermarci ad esso.
Se ci fermiamo all’io,
distaccandolo da Dio, non arriveremo mai alla Meta.
Bisogna mettere l'io al
di sotto di tutto: vedere l'io come figlio di Dio.
Abbiamo un io che nasce
dalla creatura (e qui al centro della circonferenza c'è l'io) e abbiamo un
altro io che nasce da Dio (e qui al centro della circonferenza c'è Dio): è Dio
che dice: "Oggi ti farò nascere Io".
Purtroppo possiamo
abortire mille volte, perché non nasciamo come figli di Dio senza di noi.
Sabato 14.05.1983
“…e noi abbiamo
contemplato la sua gloria, gloria come Figlio Unigenito del Padre, pieno di
Grazia e di Verità”
Paolo: Qual è il significato di “gloria” ?
Luigi: La gloria di un essere, nel regno della
Verità, è ciò che uno è in Dio. Questa è la vera gloria.
Noi sovente parliamo di
gloria, ma è tutto un parlare falso, sbagliato, perché intendiamo per gloria
l’esaltazione di una creatura e questo non è vera gloria, ma vana gloria, per
cui chi gonfia ed esalta la creatura,
commette un errore.
Dobbiamo sempre cercare
il rapporto vero: vera gloria è ciò che uno veramente è.
La gloria non dipende da
ciò che uno ha; infatti anche se uno ha molte ricchezze non è che queste
modifichino il suo essere; anche se uno correndo riesce a raggiungere i
duecento chilometri orari, questo non modifica ciò che egli è. Quindi la vera
gloria non dipende dall’avere la macchina veloce o dall’avere tante ricchezze o
dal conquistare tanto mondo. La vita non viene da queste cose, l'essere non
viene da esse. Allora l’essere da che cosa viene? L’Essere viene dall’Essere,
da Colui che è, quindi nella misura in cui partecipiamo. Allora la vera gloria
è ciò che uno è in Dio, nei rapporti con Dio: questa è la vera Gloria!
Paolo: E qual è il significato di “grazia”?
Luigi: La grazia è quello che viene a noi da Dio, è
dono di Dio. È Dio che si dona a noi. Fare grazia è donarsi; Dio in quanto
abita in noi è tutto grazia.
Dio abita con noi
comunque noi siamo. Noi siamo passione di assoluto, questa passione di
assoluto è effetto della presenza dell’Assoluto in noi e questa presenza
dell’Assoluto in noi è grazia.
Quindi la grazia è il
dono che Dio fa a noi dandoci l’esistenza, dandoci la vita, richiamandoci in
continuazione, facendoci sentire anche la nostalgia, la tristezza della vanità
delle cose.
Quando noi viviamo per le
cose che passano, non siamo soddisfatti, e anche se amiamo una creatura, il
fatto stesso che domani la potremo perdere, che un domani cambierà, già ci
rattrista.
Ecco, tutto questo è
grazia, è effetto della presenza di Dio
in noi: è tutto dono di Dio.
Nino: “Pieno di grazia”, la grazia è il dono
gratuito di Dio all’uomo. La grazia è l’amore del Padre che si manifesta
all’uomo; Cristo la manifesta a noi per farci vedere l’amore del Padre
verso gli uomini. Naturalmente bisogna credere in Lui, perché tutti noi siamo inondati dalla grazia di
Dio, però non sempre la vediamo. Noi la vediamo solo nella misura in cui
crediamo nel Cristo.
Luigi: Cioè noi dobbiamo credere in Dio Creatore, il
principio è sempre quello. Solo credendo in Dio Creatore possiamo individuare
ed accogliere il Cristo. Il Cristo è tutto grazia, perché la grazia è la
presenza di-; quindi quando una persona si rende presente praticamente fa
la grazia della sua presenza.
Abbiamo detto molte volte
che una persona che ci viene a trovare ci fa la grazia della sua presenza.
Ora, la presenza è sempre
una grazia, perché noi riceviamo vita da una presenza; nell’assenza noi siamo
tristi, perché patiamo una diminuzione
di vita.
Invece la presenza è
sempre un dono dell’altro. Noi con tutto il nostro desiderio non possiamo
rendere presente niente. Noi possiamo avere una fame da morire, ma non per
questo possiamo rendere presente il pane. Il nostro bisogno, la nostra fame non
fa il pane. Ora, il pane è opera della creazione di Dio, quindi è grazia.
La presenza di una cosa è
grazia, la presenza di una persona è grazia, la presenza di Dio è grazia: è Dio
che si rende presente.
Infatti noi riceviamo
vita dalla presenza, invece la morte è un’assenza. Una persona che ad un certo
momento muore, diventa assente, non parla più; noi parliamo e lei non risponde
più
Pinuccia: Quel “pieno di grazia” è riferito a
noi, cioè Gesù è pieno di grazia per darla a noi.
Luigi: Sì, ma Lui, essendo Figlio di Dio, ha sempre
la presenza del Padre, quindi Lui è tutto grazia. Se per grazia intendiamo
presenza di-, noi ci accorgiamo di non essere in grazia in quanto
esperimentiamo un’assenza.
Infatti noi ci accorgiamo
che non possiamo rendere presente proprio nessuno. Noi possiamo desiderare la
telefonata, ma se l’altro non chiama, il telefono non squilla. Quindi la
presenza, la venuta di uno nel nostro mondo, è grazia ; venendo a me dona a me
vita. Una persona che in piazza mi conosce e mi saluta, mi comunica qualche
cosa di sé, mi comunica vita.
Se invece passiamo in una
città dove nessuno ci conosce, ci sentiamo a terra, perché abbiamo bisogno di
essere conosciuti. Ora, noi siamo conosciuti da Dio, però nel pensiero dell’io
esperimentiamo l’assenza, ecco la mancanza di grazia.
Il trovare la presenza di
Dio è grazia di Dio, è dono di Dio.
Nino: Potremmo dire che Lui è la manifestazione
della grazia di Dio verso l’uomo?
Luigi: No, Cristo è grazia in quanto è presenza
di Dio con noi.
La grazia è la presenza
di uno. Anche in termini umani, uno che si rende presente ad un altro fa “grazia”. Ecco, la grazia è la presenza di un
altro.
Ora, noi nel pensiero del
nostro io esperimentiamo l’assenza di Dio; il Figlio di Dio che si rende
presente in questo mondo di assenza ci fa grazia, perché si rende presente:
quindi Cristo è il Dio con noi; e questo
è “grazia”, perché è presenza di Dio con noi.
Cristo è presenza di Dio
con noi in quanto è una presenza fisica che parla però come Dio, quindi in
Cristo la Persona è Divina.
Lui non parla come uomo,
ma parla come Dio, quindi qui abbiamo la Persona Divina. Per cui: “Nessun
uomo ha mai parlato come Lui”. Ecco, non dobbiamo confondere la presenza
fisica con la sua Persona. Il suo Io non è il suo corpo, ma il suo Io è la
Persona Divina, è il Figlio di Dio. E siccome quello che parla non è il
corpo, ma è l’io, in questo corpo del Cristo chi parla è il Figlio di Dio, l’Io
Divino.
Quindi abbiamo la
presenza della Persona Divina con noi.
Pinuccia B.: “Noi abbiamo contemplato la sua gloria”: questo “noi” è come una promessa per
noi, vero?
Luigi: Certo, questo “noi” rappresenta gli
apostoli, coloro che sono arrivati a Pentecoste, per cui possono dire: “Noi
abbiamo contemplato la sua Gloria”. ed è una promessa per tutti coloro che
seguono il Cristo, perché “c’è qualche uomo che ha contemplato, ha conosciuto”.
Quindi se qualche uomo ha
conosciuto vuol dire che la cosa è possibile. Perciò tu non dire che
conoscere Dio “è impossibile”, perché Dio in Cristo si rende accessibile a
chiunque, appunto perché si è sottomesso alla posizione umana, ed essendosi
sottomesso alla posizione umana, si è reso accessibile a chiunque.
Non c’è nessuna gamma di aspetti
umano che non possa accedere a questa presenza del Verbo di Dio tra noi,
appunto perché è tra noi.
Pinuccia B.: “Contemplare la gloria” è assistere alla
manifestazione di ciò che Lui è nel Padre.
Luigi: Certo, è vedere ciò che Egli è nel Padre.
Nino: Puoi spiegare l’apparente contraddizione di
quel Figlio Unigenito e di noi generati? Se è unigenito, questo esclude altre
generazioni…
Luigi: Infatti noi siamo figli adottivi; è la
differenza tra il Pensiero di Dio e noi come pensiero di Dio. Il Pensiero di
Dio è Pensiero di Dio, invece tu sei pensiero anche di tante altre cose.
Nino: Però ad un certo momento questo Pensiero di
Dio, se rimaniamo in ascolto di Cristo, occupa tutto il nostro mondo.
Luigi: Quando occuperà tutto di noi, saremo tutto
Pensiero di Dio e allora faremo una cosa sola con Lui.
Pinuccia B.: Ma anche quando, per grazia di Dio, saremo una cosa sola
con Lui, noi non saremo mai Lui; saremo distinti da Lui.
Luigi: Anche quando saremo una cosa sola con Dio,
ci ricorderemo sempre di ciò che siamo stati e che Dio ci ha tratti dal
nulla. Quindi noi riconosceremo sempre che siamo giunti ad essere figli, per adozione, cioè riconosceremo che per
opera sua siamo arrivati a partecipare della generazione del Figlio dal Padre,
e quindi non per natura nostra.
Pinuccia B.: Lui è unico proprio perché è Dio.
Luigi: Certo, Dio è Uno solo: il Figlio di Dio,
Persona Divina, è uno solo. Unigenito
vuol dire che è uno solo.
Sabato 21.05.1983
Marco: “… e
noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che come Figlio Unigenito
ha dal Padre”. La Gloria l’ha dal Padre, quindi Egli è come uno specchio
del Padre; è venuto nel mondo e in Lui si rispecchia la gloria del Padre.
Luigi: Sì, ma qui dice “noi”: “Noi abbiamo
contemplato la sua Gloria”. Chi
parla è l’Evangelista, dopo la
Pentecoste.
Giovanni è stato condotto
da Cristo a contemplare la sua Gloria. Infatti, dice Giovanni nel suo Vangelo,
che la Pentecoste, lo Spirito Santo, non viene se non attraverso la gloria del
Figlio di Dio: “Lo Spirito non era ancora venuto perché Gesù non era ancora
stato glorificato”(Gv 7,39). È attraverso la glorificazione di Gesù,
glorificazione che viene dal Padre, che arriva a noi lo Spirito
Santo, lo Spirito di Verità, quello Spirito della Presenza del Padre e del
Figlio: “noi verremo e faremo dimora in voi” (Gv 14,23).
Ma non è che ora non
abiti in noi, perché lo Spirito di Verità abita già in noi. Non è che le
Persone Divine si spostino, no! Le Persone Divine non si spostano, ma siamo noi
che abbiamo bisogno di essere mutati, e quindi di vedere quello che è già
presente e che noi non vediamo.
Ora, Cristo venendo a
ricuperarci, ci muta fino a quel livello tale da farci vedere il Padre, dal
quale riceveremo la visione della Gloria.
S. Agostino prega così:
“Purifica i nostri occhi fino a quel punto tale da poter vedere Colui che è
presente”. Perché Dio è presente, nessuno di noi lo può smentire, perché la
Verità è superiore a noi, quindi non può essere smentita da noi, però non può
essere veduta. Allora è soltanto attraverso il Cristo che siamo condotti a
vedere Dio, a contemplare la Verità. E nella contemplazione della Verità si è
liberi.
Quando uno contempla la
Verità, la Verità stessa gli dà quella forza tale che non c’è più nessun argomento al mondo che lo possa
smuovere da Essa, perché gli
argomenti del mondo sono infinitamente inferiori agli argomenti della Verità.
Ora noi siamo succubi
degli argomenti del mondo, perché non conosciamo la Verità. Il giorno in
cui noi conosceremo la Verità, saremo liberi da tutti gli argomenti del mondo,
perché avremo in noi una ragione superiore ad essi.
Luisa N.: Hai detto che solo quando si conosce la
Verità si è veramente liberi.
Luigi: È Gesù che lo dice: “…conoscerete la
Verità e la Verità vi farà liberi” (Gv 8,32).
Luisa N.: Ma non è solo conoscenza intellettiva…
Luigi: È soprattutto intellettiva! Proprio S. Tommaso dice che è attraverso
l’intelletto che si arriva a Dio; perché Dio è Spirito e non si arriva a
Lui attraverso i sentimenti, non si arriva a Lui attraverso l’azione, non si
arriva a Lui attraverso i sacrifici, ma si arriva a Lui attraverso la
conoscenza, quindi attraverso la dedizione di pensiero.
Luisa N.: Penso invece che sia una cosa più grande e
che mi prenda completamente…
Luigi: Guarda che il pensiero prende completamente; noi
viviamo molto più nel pensiero che esternamente.
Marco: Magari
Luisa intende questa conoscenza intellettiva come un’astrazione.
Luigi: No, no! Il pensiero non è astrazione, anzi,
noi viviamo molto più nel pensiero che nella realtà esterna che vediamo e
tocchiamo.
Luisa N.: Per conoscenza intellettiva io intendo quella
intuizione per la quale capisco che una determinata cosa è vera, ma esperimento
che non basta, perché dopo due minuti ricado nelle tenebre. Per questo penso
che la conoscenza della Verità deve essere qualcosa di più grande, che mi
prenda completamente, che prenda anche la volontà e che mi trasformi
completamente. Altrimenti non dura. Infatti ci sono momenti in cui la presenza
di Dio in me è chiara, evidente, però non riesco a permanere in essa. Quindi
non basta che io la capisca intellettualmente.
Luigi: Ma vedi, non si rimane in una verità che
crediamo di aver capito, perché in realtà non la conosciamo. La Verità invece,
quando la si conosce, ci rende stabili in essa, perché Essa non muta, è eterna.
Succede però che quello
che noi diciamo di aver capito, il più delle volte lo capiamo per fede, perché
noi non possiamo smentire la Verità. Quando la Verità parla a noi, noi non
possiamo smentirla. Se crediamo, diciamo: “Sì, è vero questo”. Però, tutta
la difficoltà che noi abbiamo è quella di permanere, quella di restare.
Noi non siamo capaci a
restare. Ora, si resta soltanto quando si fa l’esperienza personale, non per
sentito dire (le esperienze di fede sono sempre ancora un sentito dire),
nemmeno per sentito dire da Cristo.
Cristo infatti viene e ci
conduce alla Sorgente, ma una volta condotti alla Sorgente, ci dice: “Hai
visto? Adesso bevi!”, ma ci lascia bere personalmente. Allora fintanto che
noi non beviamo personalmente, non
restiamo.
Certo, noi non
possiamo smentire le parole del Cristo, perché hanno il sigillo della
Verità, ma non facciamo esperienza della verità di esse. Tutto quello
che arriva a noi con il sigillo della Verità non è smentibile da noi, anche
se non è esperimentabile; per essere
esperimentabile dobbiamo essere condotti alla Sorgente: il Padre.
Ora, per poter giungere a
esperimentare la Verità bisogna seguire il Cristo non soltanto per un tratto
di strada, non soltanto perché ci ha fatto capire questo e quell’altro, no!
Bisogna seguire Cristo fino alla Sorgente. E quando si arriva alla
Sorgente, Egli ci dice: “Ecco, questa è la Sorgente, adesso bevi
personalmente”.
Cristo ci conduce ad un rapporto personale tra la
nostra anima e il Padre; ed è da questo rapporto personale che si forma in noi
quella forza, che è la forza dello Spirito Santo, Spirito di Verità, che
libera. Per cui la creatura a questo punto è libera.
Ma è tutto un lavoro
interiore; non avviene né per atto magico, né per intuizioni, né per
sacrifici, né per sentimenti, ecc.
(perché se seguiamo i sentimenti noi in
certi momenti siamo alle stelle e altri
momenti ci ritroviamo sottoterra); no, non avviene in questi termini, ma
nella dedizione della mente alle parole di Cristo.
Silvana: Però tale conoscenza è anche gratuità di Dio;
cioè l’anima deve essere aperta, disponibile, ma poi è Dio che opera.
Luigi: È tutta opera di Dio, infatti viene da Dio:
viene “da” Dio! L’importante è attingere a Dio. Ora, chi ci conduce ad attingere a Dio è il Cristo stesso, che
facendosi Figlio dell’uomo, cioè venendo a parlare il nostro linguaggio, se è
creduto da noi e se è seguito da noi, ci conduce là.
Infatti Lui cosa dice? “Padre,
Io voglio (voglio: è la sua volontà) che dove sono Io siano
anch’essi e vedano” (Gv 17,24). Per cui se noi vogliamo fare la sua
Volontà, dobbiamo capire che è questa la sua Volontà: “Io voglio che dove
sono Io siano anch’essi e vedano…”
Quindi Cristo ci conduce
ad essere là dove Lui è. Infatti gli apostoli alla vigilia della Pentecoste
erano tutti uniti nello stesso luogo. Quale luogo? Non erano in un luogo materiale, ma erano col pensiero in
uno stesso Pensiero.
Non è l’essere in uno
stesso luogo materiale che ci fa uniti, perché noi possiamo essere tutti nello
stesso luogo, ma ognuno avere il pensiero altrove e allora siamo disuniti
quanto mai, e certamente così non si
arriva alla Pentecoste.
Quell’essere tutti uniti
nello stesso luogo è segno della nostra interiorità che deve essere tutta
raccolta in un unico Pensiero.
Ora quest’unico Pensiero,
questo luogo da cui si riceve veramente la luce di Pentecoste è il Padre, è il
Pensiero del Padre: “erano tutti nello stesso luogo” (At 2,1), perché
Gesù prima di partire li aveva affidati al Padre: “custodiscili Tu” (Gv
17,11). E allora, affidati al Padre,
custoditi dal Padre, adesso essi
si trovavano tutti nello stesso “luogo”. Ed è di lì che viene lo
Spirito, dall’Alto.
Infatti Cristo
raccomanda: “Non allontanatevi da Gerusalemme” (Gerusalemme è la nostra
anima, questa interiorità, questo sguardo al Padre; quindi non è un fatto di
sentimento, di azione, ecc.) “…non allontanatevi fintanto che non siate
investiti dallo Spirito dall’Alto”
(Lc 24,49).
Quindi loro aspettavano
tutto dall’Alto.
Infatti come erano tutti insieme? Non fisicamente, ma
con il pensiero erano tutti nello stesso luogo. E questo tutti quanti lo
esperimentiamo: noi siamo molto di più là dove siamo col pensiero che là dove
siamo col nostro corpo! Infatti tutta la sofferenza avviene sempre nel
pensiero. Quando si ama una persona e quella persona cara muore, anche se
fisicamente stiamo benissimo, ci sentiamo la morte dentro; perché? Perché con
il pensiero noi siamo presenti a quella persona che non è più presente con noi.
Magari un altro vicinissimo a noi, che non aveva alcun legame con la persona
che è morta, non sente nessun dolore, mentre invece noi stiamo morendo di
dolore. Perché questo? Perché noi viviamo molto di più in ciò che amiamo,
cioè in ciò in cui noi ci troviamo col pensiero, che non là dove ci
troviamo con il corpo. Allora questo cosa vuol dire?
Vuol dire che noi
siamo fatti dal pensiero.
Stai attento allora a
dove sei con il pensiero, perché è di lì che tu sei fatto, è di lì che tu acquisti la formazione di te.
Ora, Cristo viene per
condurre il nostro pensiero là dove Egli è; Lui è nel seno del Padre, quindi se
noi Lo ascoltiamo,conduce il nostro pensiero a trovarsi là dove Lui è, in modo
da poter attingere personalmente (perché tra la nostra anima e Dio non c’è
interposta nessuna creatura, nessuna istituzione, nessuna struttura, non c’è
niente!), perché soltanto da questo attingere personalmente si forma in noi la
conoscenza, la vera conoscenza, quella conoscenza che è lo Spirito Santo, lo
Spirito di Verità.
Luisa N.: Qui si capisce l’importanza di imparare a
fermare il pensiero in Dio. Ma come?
Luigi: Ascoltando Cristo. Noi arriviamo a Dio non
per sforzo nostro.
Luisa N.: Però qualcosa è richiesto da noi. Per me personalmente
trovo che mi aiuta molto mettermi a sentire la registrazione di uno di questi
incontri e risentire tante volte sempre la stessa cassetta. Mi aiuta a
concentrare l’attenzione, a macinare dentro di me le parole di Cristo e
constato che cambia qualcosa in me.
Luigi: Certo. Comunque bisogna convincerci che si
arriva alla presenza di Dio né parlando noi, né agitandoci, né facendo
sacrifici, né con sentimenti, né con buona volontà. Infatti, l’abbiamo visto
nel versetto precedente: “I figli
di Dio non nascono né da sangue, né da
volontà di uomo…, ma nascono da Dio” (Gv 1,13).
Quindi si arriva a Dio
ascoltando parole di Dio, cioè ascoltando il Cristo. È Lui che conduce; noi dobbiamo imparare a fare
silenzio e a permanere nell’ascolto, perché le sue Parole sono un sentiero per
la nostra anima fino ad arrivare alla contemplazione della Gloria. Però bisogna
permanere nell’ascolto di queste Parole fino a quel punto in cui si arriva alla
conoscenza del Padre.
Non bisogna mai
interrompere il discorso prima, altrimenti non arriviamo mai al centro. Ecco, Lui attraverso il suo parlare ci sta
conducendo verso una meta ben precisa, però bisogna permanere in questo
ascolto. Noi parliamo sempre troppo; da parte nostra ci vuole il silenzio;
dobbiamo essere tutto ascolto.
Colui che parla è il
Verbo. Il Verbo ci conduce,
questo è sicuro. La Parola di Dio ci conduce; l’importante è che noi abbiamo
questa disponibilità interiore ad ascoltare, a seguire, a meditare, a capire
quello che ci propone; però dobbiamo camminare sulle sue Parole e non su altre
parole.
Flavio: “E noi vedemmo la sua gloria” : mi è
difficile cogliere il significato di questa gloria…
Luigi: La gloria di uno è ciò che quell’uno è in
verità e va distinta da ciò che il mondo considera “gloria” e che non è vera
gloria.
Infatti c’è una gloria fasulla, ed è quella del
mondo: io batto le mani a uno, questo si esalta, e secondo il mondo io l’ho
glorificato; ma basta girare la pagina e tutto è cambiato, tutto è crollato. Quindi
queste sono glorie fasulle perché
sono una proiezione del pensiero di noi
stessi.
Ecco allora che abbiamo
la regola del Signore che dice: “Tu non
farti centro, perché tu non sei centro, quindi
il tuo io non deve essere messo al centro, ma non deve farsi centro
nemmeno degli altri. Non devi farti nè centro
di te stesso, nè centro degli altri. Dio è il centro, quindi tutte le
cose tu riferiscile a Dio".
Allora da questo possiamo
capire il concetto di vera gloria: è ciò che uno è in rapporto al vero centro,
per cui vedere la gloria di uno è conoscere ciò che uno è in questo centro,
quindi in sostanza è conoscere ciò che uno è in rapporto a Dio. Dio è la
vera gloria di uno.
Silvana: “Noi abbiamo contemplato la sua gloria…”
, è la testimonianza di chi ha visto qualcosa.
Luigi: È la testimonianza di chi ha conosciuto,
perché chi conosce, chi ha conosciuto
può dire: “È così”. Chi non ha conosciuto non può dirlo, può solo ripeterlo per
sentito dire.
Chi ha conosciuto invece
lo testimonia: “Noi abbiamo contemplato…”. Anzi S. Giovanni nella sua prima lettera dice: “Quello
che noi abbiamo contemplato, quello che noi abbiamo esperimentato, noi lo
comunichiamo, ve lo diciamo, affinché anche voi possiate essere in comunione
con noi” (1 Gv 1,1-4).
Ecco, c’è questa
partecipazione, e la partecipazione avviene sempre attraverso la comunicazione
di Parola. È la parola comunicata all’altro che crea la comunione: però
deve essere creduta, ascoltata e seguita.
Allora è la parola che ci fa entrare in comunione,
non siamo noi: è la parola che arriva a noi, parola che parla a noi di Dio e
che, arrivando a noi, ci mette in comunicazione con Dio e quindi crea comunione
con Dio. Ma come fa la parola a metterci in comunicazione?
La Parola ci mette in
comunicazione in quanto orienta il nostro pensiero su-, dà a noi la possibilità
di pensare a-; ma è sempre un lavoro
di pensiero.
Guarda che l’anima di
tutto sta nel pensiero; non dobbiamo farla consistere in altro, perché
noi con le parole possiamo essere dei santi, con le parole possiamo pregare da
mattina a sera, possiamo dire: “Signore, Signore” (Mt 7,21), però avere
il pensiero chissà dove. Il Signore ci osserva nel pensiero, che è poi quello che gli ebrei chiamano il “cuore”.
Quindi, anche quando si
parla di una persona, noi non ci accontentiamo mai delle parole che ci dice con
le labbra, o della figura, ma andiamo sempre a cercare il suo pensiero; perché quello
che dà valore alle cose è il pensiero. Dov’è il tuo pensiero? Questo è
importante, perché una persona è fatta, caratterizzata da ciò che porta nel suo
pensiero.
Ora, Dio viene ad operare
su di noi proprio questa trasformazione nel pensiero parlando a noi, perché
attraverso le sue parole conduce noi a pensare a Lui.
Noi generalmente pensiamo
alle cose della terra, e allora, naturalmente, sentiamo tutto il peso delle
cose della terra; se invece incominciassimo a pensare alle cose del Cielo,
ci accorgeremmo che incominciamo a mettere le ali, perché noi siamo sempre trascinati dal
pensiero che abbiamo.
Pinuccia B.: “...noi abbiamo contemplato la sua gloria come Unigenito
Figlio del Padre”: questa
contemplazione della gloria avverrà solo
a Pentecoste per noi.
Luigi: Ma qui il “noi” si riferisce a colui che
scrive, all’Evangelista, e rappresenta tutti coloro che hanno seguito il Cristo
fino alla Meta; quindi “noi che abbiamo seguito Cristo, siamo stati condotti
da Lui a contemplare la sua gloria”.
Non è che loro L’abbiano
subito conosciuto fin dall’inizio come Figlio di Dio, no! Il Cristo non si è
presentato a noi con scritto sulla fronte “Io sono il Figlio di Dio”, anzi, Lui
si è presentato a noi dicendo: “Io sono uno qualunque, Figlio dell’uomo”
(“figlio dell’uomo”, in termine ebraico vuol dire “uno qualunque”).
Però, non parlava come uno qualunque. Infatti di Lui diranno: “Abbiamo
trovato Colui di cui…” . Colui chi? “Colui” è appunto
questa Parola singolare: “Nessuno ha mai parlato come Lui!”, “Tu solo
hai parole di vita eterna!”
Seguendo Lui, sono stati condotti a
contemplare la sua gloria, quella gloria che ha nel Padre. Infatti all’ultimo Lui dice: “Padre,
glorificami con quella gloria che il Figlio ebbe presso di Te prima che il
mondo fosse” (Gv 17,5). Questa è la gloria!
Loro hanno contemplato
questa sua Gloria, perché sono stati condotti. Allora perché dicono a noi
questo? Tutto quello che è detto, è detto per ognuno di noi; tutto quello
che avviene, avviene per ognuno di noi. Questo ci è detto affinché anche
noi possiamo partecipare di questa Gloria. Ma come?
Noi parteciperemo di
quella Gloria se ci comporteremo come si sono comportati loro, cioè se
seguiremo il Cristo. Ma seguire il Cristo cosa vuol dire?
“Signore, noi abbiamo
lasciato tutto per seguire Te!” (Mt
19,27). E cosa vuol dire questo lasciare tutto?
Vuole dire far fuori
tante cose; perché se io inizio ad interessarmi di questo, di quello e di
quell’altro, concludo niente. Cioè noi dobbiamo essere figli di un unico
Maestro.
Ora, la caratteristica di
questa unica figliolanza è proprio quella che dice Pietro: “Noi abbiamo
lasciato tutto per seguire Te!”. Questo lasciare tutto vuol dire lasciare
tutto: “Abbiamo lasciato il pensiero del nostro io, abbiamo lasciato la
nostra famiglia, abbiamo lasciato l’interesse per il mondo, unicamente per
seguire Te!”.
Ora, il Cristo viene in
mezzo a noi come Uno tra tanti, così come alle nozze di Cana è uno tra i tanti
invitati (“c’era anche Gesù” - Gv 2,2): nella nostra vita c’è “anche”
Lui, in mezzo a tanti. Ad un certo momento però diventa l’Unico, cioè diventa
Colui dal quale, come alle nozze di Cana,
dipende tutta la situazione.
Quindi Lui viene come
Uno tra tanti, perché noi siamo schiavi di tanti, ma poi ad un certo momento
diventa l’unico Amore, diventa l’unico Essere interessante, perché
tutti gli altri, gira e rigira, ci dicono soltanto delle sciocchezze, ci dicono
niente che ci possa servire veramente. Lui solo diventa interessante.
Ma allora, quando si è
scoperto che è Lui solo, cosa si fa? Si vende tutto quello che si ha per
seguirlo; perché Lui solo ha parole di vita eterna: “Da chi altri andremo?
Tu solo hai parole di Vita Eterna!”.
Quando uno ha scoperto un
Maestro che vale più di tutti gli altri, non segue più gli altri maestri, non
gli interessano più gli altri maestri. Ed è questo scegliere Lui, quindi
questo scartare gli altri, che ci conduce là dove vogliamo arrivare.
Quindi c’è questo processo
di selezione in noi, ed è condizione essenziale per giungere là dove
siamo chiamati, cioè a contemplare la Gloria del Verbo.
Ida: Quando una persona diventa anziana, le viene
tolto praticamente tutto, però continua a non avere pace. Questo deriva dal
fatto che è ancora interiormente legata?
Luigi: Eh, lì subisce! Le cose le vengono portate
via suo malgrado. Invece bisogna
lasciare le cose prima di essere costretti a lasciarle: è questo ciò che
importa!
Cioè l’amore in noi
cresce fintanto che noi abbiamo la possibilità di tradirlo, fintanto che
abbiamo la possibilità di scegliere.
Quando saremo costretti,
cioè quando non potremo più scegliere , lì l’amore sarà stabilizzato.
Ida: Quindi o l’hai fatto crescere prima o niente.
Luigi: Eh già, si capisce, l’amore vale in quanto
c’è questa scelta, questa componente personale: “Io ho lasciato altro per te…”.
Pietro dice: “Io ho lasciato tutto per seguire Te”, ma aveva la
possibilità di scelta, quindi di non lasciare.
Poi certamente arriverà
un giorno in cui saremo costretti a lasciare; ma prima che questo giorno
arrivi, affrettiamoci a lasciare tutto il resto.
Conta l’anticipo. Ecco
perché bisogna imparare a morire prima di essere costretti a morire;
perché se si è costretti, si subisce solo il danno, la privazione. E quando si
subisce la privazione, uno si gira indietro e dice: “Ieri avevo questo, adesso
non ce l’ho più”, per cui c’è tutto questo lacrimare, questo piangere, questa
lagna su noi stessi.
Ecco perché le persone
anziane sono girate tutte indietro per cercare di recuperare almeno con la
memoria, tutto quello che era e che avevano, ma sbagliano, perché bisogna
guardare avanti, a Dio, a Colui che viene.
Bisogna imparare a fare i
passaggi prima di essere costretti. Vale questo, perché lì c’è la partecipazione personale e allora lì c’è la
possibilità di giungere a contemplare la Gloria. In caso diverso no!
Sabato 04.03.1989
“… e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria che un tale Figlio unigenito riceve dal Padre, pieno di grazia e di
Verità”.
Nino: “Noi
vedemmo la sua gloria”: la sua gloria è la manifestazione di quello che Lui
è…
Luigi: …nel Padre. Il Padre è la sua Gloria.
Il Padre è la gloria del Figlio ed è la gloria di tutti noi.
Nino: La sua gloria è essere generato come Figlio
unico dal Padre; Unico, perché noi
quando diventiamo figli di Dio, lo diventiamo
per adozione.
Luigi: Cioè partecipiamo della sua generazione dal
Padre.
Nino: “Egli
è pieno di grazia e di Verità”; ciò che Lo contraddistingue è proprio
questa Verità. La caratteristica della sua parola è la non smentibilità; ogni
uomo davanti alle sue parole è costretto a dire: “È vero”, “Nessuno ha mai
parlato come Lui”, “Le tue Parole sono Spirito e vita” (Gv 6,63).
Delfina: Il Pensiero di Dio si è incarnato per farci conoscere il Padre; la
sua Gloria la vedremo dopo aver percorso le tappe della Passione, Morte,
Resurrezione, Ascensione e Pentecoste. Attraverso le sue Parole conosciamo la
Verità e il fine al quale dobbiamo tendere…
Luigi: …e al quale siamo chiamati: vedere anche noi
la sua Gloria.
Amalia: È possibile anche a noi vedere la sua Gloria
proprio perché altri l’hanno vista: “… noi vedemmo la sua gloria…”.
Cioè è possibile conoscere Dio,
perché Giovanni dicendo: “Noi vedemmo
la sua gloria”, intende una
conoscenza…, come se dicesse: “Conoscemmo Dio”.
Luigi: Certamente. Per vedere la gloria del Figlio
bisogna conoscere il Padre. La gloria del Figlio è il Padre; infatti Gesù dice:
“Io vado a prepararvi un posto affinché dove Io sono siate anche voi… e
possiate vedere la mia gloria” (Gv 14 ,2-3; Gv 17,24).
Quindi la sua gloria,
cioè la gloria del Figlio, è il Padre.
Dio in Cristo, venendo
tra noi, parla ed opera in tutto per condurre noi a conoscere il Padre; perché soltanto col Padre e dal Padre noi
siamo fatti partecipi di quello che il Figlio è, poiché “Soltanto il
Padre conosce il Figlio…” (Lc 10,22).
Quindi soltanto se il
Figlio ci conduce a conoscere il Padre, noi dal Padre possiamo essere fatti
partecipi del Figlio,
dalla conoscenza del Figlio e quindi ricevere lo Spirito Santo.
Comunque, evidentemente:
·se il Signore parla della gloria e dice di
andare a prepararci un posto affinché anche noi la vediamo,
·se qualcuno l’ha già vista,
·non soltanto, ma se Lui dice: “La Vita
Eterna sta nel conoscere Te, Padre, come vero Dio”,
tutto questo conferma che
l’uomo è chiamato a conoscere Dio.
Questa conoscenza di Dio
è vita vera, quindi vita eterna, perché quello che è vero è eterno.
Se noi vediamo le cose
che mutano è perché non sono vere; ciò che è vero è eterno di per sé, non
cambia. Infatti quello che è vero era vero duemila anni fa, è vero adesso e sarà
vero tra cent’anni; ciò che è vero non è relativo, quindi non è soggetto a
mutamento, non è condizionato dal tempo, non è condizionato dallo spazio, e non
è condizionato da quello che dicono gli uomini: è vero. Quindi Vita Eterna = Vita Vera.
Ora, se Gesù dice che: “la Vita Vera sta nel
conoscere il Padre”, evidentemente questa conoscenza è possibile;
altrimenti ci prenderebbe in giro. Ci
parlerebbe cioè di una Vita Vera e di una conoscenza di Dio dalla quale
però noi saremmo tagliati fuori perché impossibile? NO!!! La conoscenza di Dio è
possibile, anzi dire che è impossibile è peccare contro Lo Spirito Santo.
Angelo: Attraverso questo versetto
il Signore mi ha fatto capire che riconoscere in Gesù il Figlio
Unigenito del Padre è il fatto centrale a cui è necessario arrivare per aver la
salvezza.
Luigi: Sì, perché è dalla conoscenza della
generazione del Figlio di Dio da Dio che noi facciamo una cosa sola con Dio
(“In quel giorno saprete che Io sono nel Padre e voi in Me ed Io in voi”
– Gv 14,20).
Silvana: Questo vedere la gloria del “Figlio Unigenito del Padre”, cioè del
Figlio generato dal Padre come Figlio unigenito, vuol dire vedere questo unico
Pensiero del Padre?
Luigi: Sì, ma coloro che L’hanno contemplato e ci dicono
queste cose sono già dopo Pentecoste. Non è che te le avrebbero potute dire
all’inizio, quando incontrarono il Cristo. Qui parlano dopo Pentecoste.
Silvana: Dicono “Unigenito”, in quanto è “unico”.
Luigi: Si capisce.
Rita: Con Dio nulla è nel tempo passato, quindi va ritradotto tutto al
presente: “Il Verbo si fa carne e
viene ad abitare tra noi e noi possiamo contemplare la sua gloria, gloria che
un tale Figlio Unigenito riceve dal
Padre”.
Luigi: Però per noi sono tappe che vanno percorse e
che ci indicano il cammino e la Meta a cui siamo chiamati.
Pinuccia B.: È molto avvincente
questa testimonianza di Giovanni: “…noi abbiamo contemplato la sua gloria…”.
Dicendoci che lui l’ha contemplata, che lui l’ha vista, ci fa capire che anche
per noi è possibile arrivare a quel traguardo.
Luigi: Cristo è venuto appunto per questo: per
portarci nella Vita Vera, a una sovrabbondanza di Vita; e questa
sovrabbondanza di Vita è una sovrabbondanza di conoscenza.
La Verità non si tiene
nascosta; “Dio è Luce e dove c’è Dio non ci sono tenebre” (1 Gv 1,5). In
Lui è “pienezza di grazia e di Verità”.
Pinuccia B.: La grazia è presenza?!
Luigi: La grazia è dono di Presenza perché
noi, con tutti i nostri sogni, non possiamo darci un briciolo di Presenza.
La Presenza è sempre dono
dell’Altro; è l’Altro che mi fa
dono di rendersi presente a me, quindi è grazia, dono gratuito.
Pinuccia B.: E questo “contemplare la gloria” vuol dire capire
l’Unigenicità del Figlio di Dio?
Luigi: No! Contemplare la gloria vuol dire
contemplare il Padre, perché la gloria del Figlio è il Padre.
Pinuccia B.: Si è detto altre volte che la gloria è ciò che uno è nel
Padre.
Luigi: Appunto.
Pinuccia B.: Cristo è tutto Pensiero del Padre, però è anche Pensiero generato
dal Padre; quindi vedendo il Padre scopro…
Luigi: …dal Padre il Figlio. La gloria del Figlio
è il Padre; dal Padre poi dopo conosci il Figlio. Ma la gloria del Figlio è
il Padre. Se tu andassi a dire al Figlio: “La tua gloria sei tu”, Lui ti direbbe:
“non dire sciocchezze, perché la mia gloria è il Padre”. Il Figlio si gloria
del Padre, perché è il Padre che Lo genera. Infatti se io sono generato
da-, la mia gloria è Colui che mi genera, perché sono io che lodo Colui che mi
genera.
Pinuccia B.: Ora, questo annuncio dell’Unigenicità del Figlio di Dio
ci fa capire che qualora arrivassimo per grazia sua a nascere da Dio, noi
avremmo sempre la consapevolezza di esserlo per adozione e mai per natura.
Luigi: Sì, perché tu non potrai mai dimenticare
quello che Dio ha fatto per te; cioè non potrai mai dimenticare che Dio ti
ha creato dal nulla, che tutto l’universo Dio l’ha fatto per te, e che è stato
l’Autore di tutta la tua vita.
Anche nascendo da Dio, tu
non puoi dimenticare tutto quello che Dio ha fatto per te, perché Dio ricupera
tutto; quindi tu porti con te
tutto quello che Dio ha fatto per te, che è poi la tua memoria, cioè ciò che
costituisce il tuo essere. Tu sei costituita da tutto quello che Dio ha
fatto per te per portarti a conoscere Lui.
Ora, tutto quello che Dio
ha fatto per te è completamente diverso da quello che Dio ha fatto per Rita,
per Zina, per Silvana, per Angelo, ecc. Ognuno di noi porta in sé tutto quello
che Dio gli ha fatto, per cui ognuno si differenzia dall’altro per l’opera che
Dio ha fatto per lui.
E qui c’è la
differenziazione anche dal Figlio Unigenito di Dio. Cioè, pur facendo una cosa sola col Figlio Unigenito, c’è una differenziazione.
Pinuccia B.: Puoi dirci ancora qualcosa sull’Unigenicità del Figlio?
Luigi: C’è da parlarne per la vita eterna. Se vuoi
stare qui per la vita eterna… parliamone pure!
Pinuccia B.: Vorrei capire meglio l’importanza che ha per noi questo
annuncio dell’Unigenicità del Verbo.
Luigi: Quando capirai l’Unigenicità del Figlio di
Dio, conoscerai di essere figlia di Dio, perché l’Unigenicità del Figlio di Dio
è il passaggio obbligato per diventare figli di Dio.
Pinuccia B.: Se è il passaggio obbligato per noi, vale allora la pena
fermarci a meditare sull’Unigenicità del Verbo.
Luigi: Fermati! Ti dovrai fermare per l’eternità.
Guarda che hai a disposizione tutta l’eternità. Fermati lì!
La Verità trascende ogni
cosa. Far dipendere la Verità da ciò che
si vede e si tocca, da ciò che si è o dalla propria autorità “perché lo dico
io!”, è una manifestazione isterica di chi non può capire, né è in grado di far
capire.
La Verità non si lascia
condizionare dagli uomini.
Si trova solo
contemplandola per ciò che Essa è, e pertanto si trova solo personalmente, in
quanto si ha per grazia di Dio la possibilità di sostare con Essa, sapendo che
Essa è e che abita in noi.
Essa non si rifiuta a
nessuno poiché chiama tutti.
La Verità è Dio, e Dio si
è fatto oggetto del pensiero di ogni uomo, e pertanto è immanente e
trascendente.
Meraviglioso dono di Dio
che si fa figlio nostro pur restando quello che è!
Per cui in Lui troviamo
la nostra pace e la nostra certezza.
La nostra anima è in pace
e si riposa soltanto nel pensare a Dio, nella certezza della sua Presenza.
Questa certezza e questa
Presenza si possono avere solo da Dio.
Fatta per l'Assoluto e
l'Eterno, la nostra anima si illumina solo di Assoluto e di Eterno, si illumina
solo con la presenza del Padre e del Figlio, quindi solo nel giorno della
Pentecoste, che è il giorno dell'incontro con lo Spirito della presenza in noi
del Padre e del Figlio, Spirito che procede dal Padre e dal Figlio e che
pertanto si ottiene solo conoscendo il Padre e il Figlio. Infatti il Figlio
stesso promette: "In quel giorno conoscerete che il Padre è in Me e Io
sono nel Padre".
È questa la Verità che
ogni uomo porta in sé, ma che riceve solo con la conoscenza di Dio.
La Verità si concede solo
ai suoi figli.
Solo da Dio, dall'Alto,
noi possiamo capire come Lui è con noi, e quindi solo da Dio, dal Padre, possiamo
ricevere lo Spirito della presenza di Dio, e solo capendo come Dio è in noi,
con noi, anche noi possiamo essere con Lui, poiché tutto riceviamo e tutto
dobbiamo ricevere da Dio, anche la presenza di Dio, anche la capacità di restare con Lui e di pensare
a Lui e di penetrare nei suoi misteri.
Lo Spirito Santo penetra
tutte le cose, anche i segreti di Dio: questo è lo Spirito che possiamo
ricevere per mezzo del Figlio dal Padre, ed è questo ciò cui Dio creandoci ci
ha destinati.
Il restare con Dio non è
atto della nostra volontà, né di altro o di altri, poiché noi da soli non
possiamo fare niente e facendo niente ci riduciamo a niente, poiché perdiamo
anche tutto quello che crediamo di avere.
Per questo l'uomo è
inserito nel mistero di Dio; ma è un mistero che lo trascende in tutto e che
pertanto richiede il superamento di tutto, anche del pensiero del proprio io,
di ciò che si è o che si ritiene di essere, poiché la Verità di Dio può essere
colta solo in Dio, solo da Dio.
Per questo bisogna restituire
il mondo a Dio e l'uomo a Dio e il nostro pensare a Dio.
“Dio ha riconciliato il
mondo a Sé in Cristo”
(2 Cor 1, 19), ma resta all'uomo
riconciliare il proprio mondo a Dio attraverso Cristo sottomettendo
tutto alla ricerca e alla conoscenza di Dio. È attraverso l’uomo che tutto
l'universo sussiste e vive alla presenza di Dio e in forza di tale Presenza,
quindi ogni esistente sussiste e vive nell'uomo in quanto l’uomo partecipa
dell'Essere di Dio.
Senza tale
partecipazione, tutto diventa niente e
l'uomo fa esperienza del niente. Infatti il nostro mondo sta morendo nei suoi
rifiuti a conoscere Dio.
Gli uomini stanno
scontando l'eredità dei maestri, idoli di mode e di culture, preferiti
all’ascolto dell'unico Maestro: Cristo.
La luce di Dio in noi, questa
unigenita figlia di Dio, può diventare insopportabile per noi, e per molti già
lo è.
Ma può anche essere
sopportata e può diventare nostra vita e gioia di vita, e per alcuni già lo è.
“Vi sono alcuni tra voi
che vedranno il Regno di Dio prima di morire” (Mc 8,39). Questi sono coloro
che hanno messo la ricerca di Dio prima di tutto e al disopra di tutto, al
disopra di parenti e conoscenti, di autorità e padri, al disopra di impegni e
doveri, poiché qui sta la condizione per entrare nella luce che è vita ed
essere fatti partecipi della gloria di Dio, che è tutto.
Dio non si glorifica
parlando, cantando o salmodiando, ma conoscendolo per quello che Egli è, poiché
la gloria di uno è riconoscere ciò che è. Questa è la sola luce che possa
illuminare l'anima e la mente dell'uomo.
Gli uomini hanno separato
Dio dal pensiero e dalla conoscenza e ne hanno fatto un problema del cuore, di
sentimento, di riti e di regole. Anziché dire: "conosci Dio!", hanno
detto: "conosci te stesso, conosci l’uomo!" o: "conosci il
mondo!".
Conclusione: la
recitazione, i rotocalchi e la televisione al posto della meditazione, del
silenzio, del capire.
Abbiamo messo il
sentimento al posto dell'intelligenza, le tenebre al posto della luce, perché
non abbiamo creduto che "Dio è Luce e in Lui non ci sono tenebre"
(1 Gv 1,5).
Dio ci ha dato il suo
Spirito non per conoscere le cose del mondo, ma per conoscere Lui. Ci ha dato la speranza di giungere a
conoscerlo come Egli è.
Lo Spirito non è dissipazione
nella molteplicità, ma raccoglimento nell'Unità di Dio fino alla consumazione
di tutto in questa Unità.
Questo è lo Spirito che
Dio ci ha dato in Cristo e per farci giungere al quale Cristo è morto, è
risorto ed è asceso per noi al Cielo del Padre suo, perché, come Egli disse: "Se
Io non me ne vado, non può venire a voi lo Spirito di Verità che, se me ne sarò
andato, vi manderò dal Padre e resterà con voi sempre"(Gv 16,7).
Questa è la promessa di
Cristo per tutti e per ognuno, di ogni tempo e di ogni luogo.
E ci rivelò il senso del
distacco da tutte le cose, il senso del mondo e del tempo.
Per questo il tempo passa
e tutto passa. Appartengono al mistero del passare di Cristo.
Tutto passa per lasciare
in noi il posto a Dio, il posto alla gloria di Dio, ed è la gloria del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo, gloria che era, prima che il mondo fosse, che
è e che viene come luce di verità per ogni uomo, in ogni uomo:
gloria del Padre come presenza di Dio
nell'uomo indipendentemente dall'uomo,
gloria del Figlio come presenza di Dio
nell'uomo affidata alle mani dell'uomo e che si conclude con l'esperienza
dell'assenza di Dio,
gloria dello Spirito Santo che è presenza di
Dio da Dio che si realizza nel giorno della Pentecoste.
(XVII - Fine)
(Articoli pubblicati su
“La Fedeltà”, scritti da Luigi Bracco)
dal libro “La Gloria”
Dall’INTRODUZIONE:
La gloria di Dio è la
chiave di lettura e di interpretazione della realtà soggetta allo spazio e al
tempo, e pertanto finita, in cui ci troviamo a vivere. Uno solo è Colui che fa
l’esterno e l’interno, che fa il mondo su cui poggiano i nostri piedi e il
mondo in cui navigano i nostri pensieri. Per cui la gloria di Dio è il Pensiero
eterno, il punto fisso di riferimento sia per la realtà interiore che per la
realtà esteriore. Dio in realtà afferma Se stesso in Cielo, in terra ed in ogni
luogo. Egli regna in tutto e tutto è sua volontà, e la sua volontà, che è
manifestazione di ciò che Egli è, si fa in tutto, lo vogliano o non lo vogliano
gli uomini, intendano o non intendano….
Dal Cap.: “LA GLORIA DI Dio IN NOI”, pag.
35:
La gloria di Dio che si
vela nell’universo, si disvela nel
nostro intimo, nella nostra mente, nella nostra anima, poiché la Verità che si
annuncia in tutto, abita dentro di noi e si trovare dentro di noi se abbiamo la
pazienza di cercarla dove si trova, poiché Dio è il vero mistero del pensiero
della vita, della natura dell’uomo stesso.
Dal cap. “GLORIA DI DIO DA DIO”, pag. 127:
La luce sul mondo in cui
ci troviamo scende solo dal Cielo e quindi passa attraverso il Pensiero di Dio
in cui tutte le cose sono fatte.
Solo conoscendo la
volontà di Dio nel suo Cielo abbiamo la chiave di lettura per intendere il
pensiero che è nelle cose e nei fatti della nostra terra, poiché anche la
nostra terra appartiene al Cielo.
I fatti della nostra
terra vanno contemplati nel Cielo di Dio se vogliamo intenderli, poiché è solo
il Cielo che illumina la nostra terra e la nostra vita.
Dalla “CONCLUSIONE”, pag. 164:
…Solo nel Figlio di Dio diventa trasparente la presenza del
Tu eterno e divino del Padre… Gesù infatti dice: “Nessuno può venire al
Padre se non per mezzo di Me”. La nostra anima si illumina solo di
Infinito, di Eterno, di Assoluto, si illumina solo di Dio, solo da Dio.
Ne deriva che la luce che
illumina la nostra anima è una singolarità nell’universo di tutte le cose, e
questa singolarità è il sigillo del Divino: il sigillo della gloria di Dio,
canto dell’Apocalisse che non può essere cantato se non da coloro che hanno la
conoscenza di Dio; gloria di Dio che viene con la forza del fuoco, con la
violenza di molte acque, con la trasparenza di un Pensiero unico che si impone
nel silenzio di tutta la creazione e di tutte le creature: gloria al Padre
onnipotente, a suo Figlio Gesù Cristo il Signore, allo Spirito Santo che abita
nel nostro cuore, al Dio unico che era, che è e che viene nella luce della
Verità che è vita.