I quali non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da
Dio sono nati Gv 1 Vs 13 Primo tema
Titolo: Nati da Dio.
Argomenti: Ciò che ci fa figli è la volontà di Dio. Nello spirito la generazione è conoscenza. Instabilità dell’uomo e stabilità di Dio. Solo pensando Dio si diventa figli di Dio.
Le
due nascite dell’uomo. La
Madre.
24/Ottobre/1975
Dall’esposizione di Luigi Bracco (appunti):
Il versetto 13 riprende e continua il concetto
del versetto precedente ("A coloro che L'hanno accolta, la Luce diede il
potere di diventare figli di Dio"), dicendoci che i figli di Dio
nascono da Dio. Ci annuncia cioè la
necessità di una nuova nascita da Dio.
Già sul piano della fede, l'abbiamo visto la
volta scorsa, possiamo essere figli di Dio nella misura in cui ci lasciamo
guidare e motivare da Lui; questo però è solo preparazione e condizione per un
salto di qualità che ci aspetta: la partecipazione alla generazione del Figlio
dal Padre, cioè la nostra nuova nascita che ci fa sostanzialmente e stabilmente
figli di Dio.
Per cui in questo versetto ci viene precisato che:
·non si nasce figli di Dio per merito o virtù propria, né per diritto di famiglia o di nascita;
·ciò che ci fa figli non è la nostra volontà e neppure
l'aver noi accolto la Luce; non è la nostra fede in Essa e nemmeno il nostro
sforzo per lasciarci guidare da Essa: tutto questo è condizione necessaria, ma
non sufficiente;
·per nascere da Dio non bastano quindi né la volontà
dell'uomo, né i diritti dell'essere uomo;
·e neppure si nasce tali per conseguenza di essere un
determinato uomo; non basta essere una persona piuttosto che un'altra per
nascere da Dio;
·non basta amare o volere; non basta avere il desiderio e
impegnarsi per diventare figli di Dio: ci è richiesto questo, ma non basta.
·Ciò che ci fa figli è solo la Volontà di Dio, perché per essere figli dobbiamo essere
totalmente dipendenti dalla Volontà di Dio, conoscere Dio e quindi ricevere
tutto da Dio, anche e soprattutto lo stesso diventare figli.
Ecco, "i figli di Dio nascono da
Dio"; non nascono da altro, non per altro mezzo: "né da
sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio", dal
suo Spirito secondo la Sua promessa; promessa che troviamo in parecchi passi
dell'Antico Testamento, ad esempio in Ezechiele: "Vi aspergerò con acqua
pura e sarete purificati; Io vi purificherò da tutte le vostre sozzure...; vi
darò un cuore nuovo, metterò dentro di
voi uno Spirito nuovo... ; porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere
secondo il mio volere..." (Ez 36,25-27); "Farò entrare in voi
il mio Spirito e rivivrete...: saprete che Io sono il Signore. L'ho detto e lo farò" (Ez 37,14).
Anche s. Paolo dice che i figli di Dio non
sono tali secondo i diritti della carne, ma secondo la promessa: " ...
non sono considerati figli di Dio i figli della carne, ma come discendenza sono
considerati solo i figli della promessa...,perché rimanesse fermo il disegno
divino fondato sull'elezione, non in base alle opere, ma alla Volontà di Colui
che chiama..." (Rm 9,8).
"...ma da Dio sono nati": qui è adombrata la nascita verginale di Gesù. Nel
suo Vangelo s. Giovanni non parla esplicitamente della verginità della Madonna,
ma qui ce l'annuncia dicendo che non diventiamo figli di Dio per opera nostra;
il che significa che il Figlio di Dio non Lo generiamo in noi per nostra
virtù e onestà, ma solo per opera di Dio, guardando Dio, ascoltando Dio,
conoscendo Dio.
Ma perché questo si realizzi, per prima cosa
dobbiamo convincerci che Dio è già presente in noi (la passione di assoluto che
noi tutti subiamo è un effetto di questa sua Presenza: vedi dispensa n° 5-A:
"Luce vera è quella che illumina ogni uomo"'). Se non portassimo già
Dio in noi, non avremmo nessuna possibilità di diventare figli suoi. Perciò il poter guardare Dio, il poterlo
pensare, il desiderarlo è già opera sua, perché è Lui per primo che,
abitando in noi e parlandoci di Sé, ci attrae a Sé.
Di nostro è solo la parte negativa, cioè il
rifiuto a diventare figli suoi,
il rifiuto a guardarlo, a pensarlo, a seguirlo, poiché preferiamo mettere il
nostro io in mezzo, tra le creature e Dio.
C'è il rischio di questo rifiuto e di rimanere
così degli aborti. Infatti, se tutti siamo stati creati da Dio, non è detto che
tutti diventiamo figli di Dio, pur essendo tutti chiamati a diventarlo. Lo si
diventa per opera di Dio, ma non senza di noi.
La nascita su questa terra è avvenuta senza di noi, ma la nascita da
Dio, pur essendo opera di Dio, non avviene senza di noi. La prima è un'occasione che Dio ci offre per
realizzare la seconda.
Per realizzarla, bisogna credere in Cristo e
seguirlo, perché è Lui che ce ne dà la possibilità ("il potere"),
perché ci fa capaci di conoscere il Padre, portandoci a dipendere totalmente e
consapevolmente dal Padre e a guardare tutto da Lui.
I figli di Dio nascono da Dio e solo se
nascono da Dio sono figli di Dio.
Figlio è solo colui che nasce da-, il che
significa che solo trovando Dio si nasce da Dio; e siccome Dio Lo si trova solo
conoscendolo, solo conoscendo Dio si diventa figli suoi, generati da Lui.
Nel mondo dello spirito la generazione avviene soltanto
attraverso la conoscenza, perché si riceve la comunicazione dell'Essere del
Padre soltanto attraverso la conoscenza. Il che vuol dire che si nasce figli di Dio dalla
conoscenza e quindi con partecipazione consapevole (perché la conoscenza è
partecipazione), come avviene per il Figlio stesso di Dio, il quale partecipa
consapevolmente alla generazione di Se stesso dal Padre.
Possiamo quindi affermare che nel campo dello
spirito la generazione è conoscenza, perché si nasce da Dio per conoscenza,
cioè consapevolmente; non si nasce automaticamente, inconsapevolmente,
magicamente, come avviene per la nostra nascita naturale.
Figli di Dio sono dunque coloro che conoscono
Dio (quale Cristo ce L'ha
rivelato: Uno in tre Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo) e ne constatano
la Presenza.
Constatare la Presenza è trovare la Verità, è
trovare Dio.
La Verità La si trova solo conoscendola, per
cui la Presenza è conseguenza della conoscenza (al contrario di quanto avviene
nelle nostre esperienze terrene, dove prima troviamo le presenze e poi le
conosciamo).
Nasciamo quindi come figli di Dio solo alla
nostra Pentecoste, giorno di
Luce piena, giorno in cui riceviamo lo Spirito Santo che è la constatazione in
noi della Presenza del Padre e del Figlio (lo Spirito Santo è appunto lo
Spirito di Presenza del Padre e del Figlio) , secondo la promessa di Gesù: "Chi
mi ama il Padre mio lo amerà e verremo in lui e faremo la nostra dimora in
lui" - Gv 14,23 (non sono il Padre e il Figlio che "in quel
giorno" si spostano e vengono in noi, ma siamo noi che giungiamo a
constatare la loro Presenza in noi).
Chi ci porta a questa grande Meta è Cristo, il
Verbo Incarnato che, se Lo
seguiamo, forma in noi la capacità di ricevere dal Padre la rivelazione:
·del Padre stesso,
·della generazione del Figlio dal Padre,
·e quindi del rapporto tra Padre e Figlio che è lo
Spirito Santo, Spirito di Presenza del Padre e del Figlio.
·Qui si realizza la nostra nascita da Dio, la nostra
partecipazione consapevole alla generazione del Figlio dal Padre.
Tutto questo noi, con tutta la nostra sete di
Verità, non ce lo potremmo nemmeno immaginare o sognare. È il Figlio stesso che
ce lo rivela e ce lo fa capire attraverso le sue Parole, nella misura in cui le
approfondiamo, soprattutto quelle degli ultimi capitoli del Vangelo di s.
Giovanni in cui si sofferma a parlarci del Padre, del Figlio, dello Spirito
Santo e dei loro rapporti. Qui si illuminano di luce nuova certe sue parole
dapprima incomprensibili, ad esempio: "Io e il Padre siamo Uno... Io
sono nel Padre e il Padre è in Me...Mi rivedrete dal Padre ... Quando sarà
venuto il Consolatore che Io vi manderò dal Padre, lo Spirito di Verità, Egli
mi renderà testimonianza... Lo Spirito Santo vi porterà a vedere la Verità in
tutto ... Come Tu stesso, o Padre, sei in Me ed Io in Te, così essi pure siano
in noi ... Io in essi e Tu in Me, affinché siano consumati nell'unità ....
ecc., ecc.".
Qui possiamo renderci conto dell'immenso dono
che Dio ci ha fatto con l'Incarnazione del suo Verbo e dell'immensa
ingratitudine e stoltezza degli uomini che, pur professando una certa fede, non
si preoccupano del meraviglioso destino per il quale hanno avuto l'esistenza,
ignorando con impressionante leggerezza la portata sublime delle Parole del Cristo
e la necessità di approfondirle.
Non impegnandosi a conoscere Dio, gli uomini
vendono per un nulla la loro primogenitura, sprecando, senza accorgersene, la
loro vita dietro futili affanni e ambizioni, cadendo in tal modo in preda al
vuoto, all'angoscia e alla perdita crescente del significato delle cose e della
vita. Sfiorati dalla Luce, sono risucchiati dalle loro stesse tenebre. Muoiono prima di morire, perché non sanno che
la vita è nella Luce ("La vita eterna è conoscere Te, Padre e Colui che
hai mandato, Gesù Cristo" - Gv 17,3), per cui cercano la vita altrove:
nelle cose esterne, nel darsi da fare, nel possedere, nel primeggiare, ecc.,
trovando però la morte: rimangono abbozzi falliti di vita, aborti che non
vedranno mai la Luce.
Per giungere alla grande meta per la quale
siamo stati creati, è necessario un profondo e costante silenzio interiore, che
è la condizione per poter accogliere, ascoltare, ricevere Dio, per poter
riconoscere che tutto è opera sua e che tutto dipende da Lui.
Dio parlandoci, ci dà la possibilità, se Lo
ascoltiamo fino alla conclusione del suo discorso, di giungere a capire il suo
Pensiero. Egli parla ed opera per formare, manifestare, generare in noi il suo
Pensiero, suo Figlio. È necessaria però la permanenza nell'ascolto e quindi la
dedizione di pensiero, per riconoscere la dipendenza assoluta di ogni cosa e di
noi stessi da Dio e per vedere ogni cosa da Lui.
Noi siamo molto disturbati in questo ascolto
da tutti i legami che il nostro io ha stabilito con le cose e le creature, da
tanti valori sbagliati e da tutti quei fini relativi che noi, nel pensiero del
nostro io, consideriamo assoluti.
Ecco allora la necessità dell'opera del
Cristo, del Verbo incarnato, il quale se Lo ascoltiamo, viene a raccoglierci da
tutte le nostre dispersioni nell'unica cosa necessaria: conoscere Dio!
Egli
annunciandoci i veri valori, viene a sgomberare la nostra anima da tutti quegli
elementi di disturbo e di affanno che la disorientano e la soffocano,
concentrandoci nell'unico fine per il quale siamo stati creati e insegnandoci
come si diventa figli di Dio e cosa vuol dire essere figlio ( "Il
Figlio non fa nulla se non lo vede fare dal Padre, ma quello che Questi fa, il
Figlio pure lo fa" - Gv 5,19).
Ci
fa capaci cioè di sostare nella "veglia infinita", passaggio
necessario per conoscere Dio e nascere dall'Alto.
Quando facciamo le cose secondo Dio, in
dipendenza da Dio e quindi quando evitiamo di pensare o parlare o agire
autonomamente, per iniziativa nostra, quando riconosciamo che tutto in noi e
fuori di noi è stato ed è opera sua, quando cioè “scopriamo” che Dio parla
personalmente con ognuno di noi in tutto, allora noi ci sentiamo conosciuti, pensati da Dio e
anche da tutte le creature, perché troviamo in tutto la parola di Dio per noi.
Sta qui la sorgente della vera gioia, perché è solo conoscendo il senso, il
significato, il Verbo che è in tutto che ci sentiamo pensati, amati, perdonati,
conosciuti, figli di-.
È
necessario quindi, per giustizia, riconoscere che tutto è fatto da un Altro e
cercare il pensiero di quest’Altro, perché è solo conoscendo il Pensiero di una
Persona che noi possiamo rimanere con quella Persona; quindi è solo rimanendo
in questo "pensato" di Dio che ci sentiamo uniti a Lui.
La condizione richiesta per non uscire dal
"pensato" dell'Altro, oltre a non fare niente di ciò che l'Altro non
vuole, è quindi impegnarsi a cercare
quel Pensiero che dà ordine e senso a tutte le cose.
In caso contrario, se facciamo qualcosa che
gli dispiace, se non cerchiamo il suo Pensiero, la sua Presenza, non ci
sentiamo più amati, anche se Dio continua ad amarci, perché si crea una
frattura e quindi una distanza. Non solo, ma quando facciamo le cose senza
tener conto di Lui, noi ci impoveriamo, perdiamo anche quello che
abbiamo, diventiamo incapaci di volere, di pensare, di capire, di amare;
cadiamo nella dispersione e nell'incapacità di sostare nel Pensiero di Dio,
diventando sempre più instabili, poiché diventiamo figli di molti padri che ci
schiavizzano e ci disperdono.
Questo succede perché noi diventiamo figli di
ciò che mettiamo prima di tutto, in alto, nel nostro pensiero. Diventiamo cioè figli di ciò per cui viviamo.
A noi la scelta!
Pensieri tratti dalla conversazione che è stata
registrata:
Pinuccia B: Se accogliamo la Luce, abbiamo la possibilità di
diventare figli di Dio.
Luigi: Sì, però non è che ricevendo questa possibilità siamo
noi che decidiamo di diventarlo.
Infatti qui precisa che “i figli di
Dio non da sangue, né da volere carnale, né da volere di uomo, ma da Dio sono
nati”. Quindi non si nasce per nostra volontà. La nostra volontà è
chiamata, ma non è la nostra volontà che decide, e questo perché per essere
figli di Dio dobbiamo essere dipendenti da Dio. Quindi è per Dio che vogliamo,
facciamo, pensiamo, ecc.. . “Non da volontà di carne” , quindi non
perché si è nati in questa generazione piuttosto che in un'altra; “non da
sangue”, non per il colore della pelle.
“I Figli di Dio nascono da Dio”. Qui è annunciata la nascita verginale del
Cristo. S. Giovanni non ci parla qui direttamente della Madonna, ma
sostanzialmente qui ci parla della Madonna e del suo concepimento verginale: il
Figlio di Dio nasce da Dio: non per volontà di uomo, non per volontà di carne,
non per volontà di sangue. Ecco, quello che è avvenuto nella Madonna è una
lezione per ognuno di noi, per dire a noi: “Stai attento, non diventi figlio di
Dio, cioè tu non generi il Figlio di Dio in te con la tua volontà, con le tue
virtù o con i tuoi diritti, o perché sei nato bianco piuttosto che nero, o perché
sei nato in un paese piuttosto che in un altro. Non si nasce Figli di Dio per
questo motivo. Si nasce Figli di Dio soltanto per opera di Dio, cioè soltanto
guardando Dio. Quindi senza Dio non si diventa figli di Dio.
Ines: Cosa dobbiamo fare per arrivare a questo?
Luigi: Per prima cosa dobbiamo convincerci che Dio è già
presente in noi. Dio non abita in cieli lontani, Dio non abita in templi fatti
da mani d’uomo, Dio è Spirito e abita nell’uomo. Intendiamoci: non nella carne
dell’uomo, ma nel pensiero dell’uomo, nel desiderio dell’uomo. Cioè Dio abita
nella parte spirituale dell’uomo. Se io
Lo desidero, se Lo penso, è perché L’ho già trovato. Quindi il desiderio di Lui è già Lui. S.
Agostino precisa, mettendo sulla bocca di Dio queste parole: “Tu non mi
cercheresti se non mi avessi già trovato”. Se noi Lo cerchiamo, il nostro
desiderio è già Lui.
Ines: Allora, di volontà nostra c’è solo la parte negativa?
Luigi: Tutto è opera sua; di nostro c’è solo la parte negativa.
Noi possiamo non mettere in alto questa Luce. Noi possiamo non tener conto di
Lui; il nostro io si può mettere in mezzo tra il Creatore e la creazione.
Allora, tutta la parte negativa è solo nostra, il male è solo da noi, il bene è
tutto di Dio. Il bene lo fa Dio; la bellezza sta lì: tutto ciò che di bene
possiamo fare, riconosciamo che è tutta opera sua; è lì che si diventa figli! È
Lui che dà la volontà di fare il bene, di desiderarlo: se la creatura può dirlo
è già in Paradiso, perché si sente pensata. La creatura ha bisogno di essere pensata,
ma la condizione per sentirsi pensati è fare le cose secondo Dio, in dipendenza
da Dio. E allora non solo ci sentiamo conosciuti e pensati da Dio, ma anche
tutte le creature ci conoscono, perché troviamo in tutto la Parola di Dio, il
Verbo, che dialoga con noi.
Ines: Ma come si arriva lì?
Luigi: Riconoscendo che tutto è opera sua: lì ci sentiamo
pensati. In caso diverso ci sentiamo divisi, perché non riconosciamo ciò che è,
e questo Lui non lo può approvare. È come succede nei rapporti umani. Se tu ami
una persona, la condizione per restare nel pensato di quella persona è fare tutto ciò che
piace a quella persona; infatti anche se tu sei lontanissima da quella persona,
ma fai un qualche cosa che sai che
dispiace a quella persona, anche se l’altra persona continua a volerti bene, tu
però ti sei divisa da essa. Cioè, la tua azione fatta non secondo quella
persona, mette una frattura, per cui tu ti senti sola: non sei più contenta,
non ti senti più amata anche se hai la conferma che l’altra persona continua ad amarti. Non ti senti più amata!
Se tu esci dal pensato dell’altro non ti senti più amata. Perché non ti senti
più amata? È la tua azione! Tu hai fatto una cosa che non piace all’altro, per cui sei uscita dal
pensato dell’altro. Allora possiamo dire che la felicità nostra sta nell’essere
amati; da non confondere con l’essere amati sentimentalmente, perché essere
amati vuol dire essere pensati dall’Altro. Ma per essere nel pensato
dell’Altro, bisogna non fare niente di diverso da ciò che l’Altro vuole (“Il
Figlio non fa niente se non lo vede fare dal Padre” - Gv 5,19), altrimenti
ti metti “fuori”, ma il danno ricade su di te.
Ines: Dovrò stare allora in eterno a chiedere misericordia!.
Luigi: Sì, certo, però siccome la felicità, la gioia sta nel
poter riconoscere con tutta l’anima, in coscienza, questo: “Tutto, Signore, è
stato opera tua”, allora lì uno si sente pensato, si sente perdonato, si sente
amato, si sente conosciuto. Lì si diventa figli. Se non riconosciamo che tutto
è opera sua, non siamo conosciuti. “Non vi conosco” (Mt 25,12), dice il Signore a coloro che
scaccia, perché in essi non c’è l’opera sua. Non essere conosciuti è come
passare in una strada ed essere ignorati da tutti: ecco la solitudine, la
tristezza! Se invece passi in una strada e trovi uno che conosci e ti saluta,
ecco la gioia: sei conosciuta! Vedi, siamo fatti per essere conosciuti e per
essere pensati, cioè per essere figli di Dio.
Ines: “Non vi conosco” vuol dire: “Siete voi che vi siete staccati”.
Luigi: Certo, “Voi avete agito in modo
autonomo, senza pensare Me, senza riferire a Me, senza la mia luce!” Allora,
ciò che abbiamo fatto, l’abbiamo fatto senza di Lui. E quando facciamo tutto
senza di Lui è soltanto un impoverimento, è un immiserimento di noi stessi,
fino alla nostra morte, perché “senza di Lui diventa niente tutto ciò che è
fatto” (cf Gv 1,3). Senza di Lui anche tutto ciò che abbiamo avuto, noi lo
annulliamo. Quindi senza di Lui noi impoveriamo, perdiamo anche quello che
abbiamo, ci disperdiamo, per cui diventiamo incapaci di capire, incapaci di
amare, incapaci di volere, incapaci di essere fedeli ed esperimentiamo la
morte: la morte che non è annullamento, ma che è soltanto dispersione,
incostanza, infedeltà, cioè che è tutta questa incapacità di sostare. Il
demonio è definito come colui che non ha la possibilità di trovare pace in
nessun luogo; non ha la possibilità di
restare, perché non è rimasto in Dio, non è rimasto nella Verità.
Quindi noi da soli siamo il massimo di
instabilità, Dio è il massimo della stabilità. Dio è l’Immutabile. Noi siamo
creature che mutano, quindi per natura siamo infedeli, siamo incostanti, siamo
volubili, non siamo capaci a restare; Dio invece è l’Essere immutabile. Però
più noi ci avviciniamo a Dio e più noi diventiamo fedeli, diventiamo
immutabili, diventiamo costanti, perché Lui è quello! Lui è il Fedele, Lui è
l’Immutabile. Invece più noi ci allontaniamo da Lui e più noi cadiamo nella
molteplicità d’amori: molteplicità d’amori che è poi superficialità, che è incostanza, che è
volubilità; cioè non siamo capaci a restare fermi; ma il fatto di non essere
capaci di restare fermi è danno nostro, perché questa incapacità si riflette
anche dentro di noi, al punto da non essere più capaci nemmeno di pensare, di
sostare in un pensiero. Allora subentra il caos dentro di noi, per cui un pensiero annulla l’altro e non abbiamo
nemmeno più la possibilità di intenderlo. Ecco la rovina della persona che non
ha cercato Dio, che non ha messo Dio prima di tutto; mentre invece, mettendo
Dio prima di tutto, più ci avviciniamo a Dio (e l’avvicinamento è progressivo),
e più partecipiamo della sua Luce, della sua fedeltà, della sua stabilità,
ecc..
Ines: L’uomo è grande solo in quanto può avere questa
possibilità di diventare figlio di Dio.
Luigi: Certo, l’uomo ha questa possibilità; Dio gliela dà, ma
solo se guarda a Lui; ecco, se accoglie questa possibilità allora tutto è
grazia di Dio, perché tutto lo riferisce a Dio. La possibilità gliel’ha data
Dio; e così pure la gioia, la pace, la
vita, la luce, la fedeltà, l’immutabilità, la costanza: “Tutto è opera tua,
Signore!”. Effettivamente tutto è opera sua; non è un complimento che gli
facciamo, ma è verità: tutto è opera sua! È tutto grazia di Dio, è tutto opera
di Dio, ed è pura opera di Dio.
Ines: Arrivare a essere figli di Dio così totalmente non è
facile.
Luigi: No, non è facile, appunto
perché diventare figli di Dio presuppone
questo: mettere in alto in noi al disopra di tutto, Dio. Questo deve essere la
nostra preoccupazione. Dio deve essere
quello che ci sta più a cuore; per cui se domani mattina Dio ci dà la grazia di
svegliarci, dovremmo dire: “Signore, mi dai la giornata per pensare Te, per
riferire le cose a Te, per illuminare le cose in Te”; deve essere la prima
cosa; e la giornata vale per questo e solo per questo. Tutto il resto conta
niente. Allora, se noi vediamo in questo modo la nostra giornata vuol dire che
ci sta molto a cuore Dio, vuol dire che L’abbiamo messo al di sopra di tutto,
che per noi Dio è l’amore principale. Se invece noi sprechiamo le giornate a
pensare altro da Dio, vuol dire che il nostro amore è un altro.
Allora, se noi mettiamo in alto Dio, non siamo
figli di Dio, ma questo metterlo in alto ci dà la possibilità di diventare
figli di Dio; perché i figli di Dio nascono da Dio, non nascono da altro. Ora,
se i figli di Dio nascono da Dio, noi dobbiamo guardare solo Dio; perché è di
lì che noi nasciamo.
Non nasciamo figli di Dio dicendo: “Oggi devo
farmi dei programmi, devo fare dei propositi, così divento figlio di Dio”. Sei
un beato illuso, perché così facendo,
fai leva sulla tua buona volontà, sulle tue virtù, sui tuoi impegni per
diventare figlio di Dio. I figli di Dio nascono da Dio. Quindi se io so che per
diventare figlio di Dio l’unica soluzione è quella di nascere da Dio, mi posso
soltanto fermare e guardare Dio, perché soltanto guardando Dio divento figlio
di Dio. Direi: nella misura in cui noi guardiamo Dio diventiamo figli di Dio;
se invece guardiamo la terra diventiamo figli della terra. Quindi nella misura
in cui guardiamo il mondo diventiamo figli del mondo; nella misura in cui
guardiamo il Cielo diventiamo figli del Cielo.
Noi siamo come gli alberi: essi si
costruiscono guardando la Luce; infatti l’albero assimila la luce; la gemma che
costruisce l’albero non fa altro che accogliere la luce e assimilarla: è così
che diventa albero . Così anche noi: noi diventiamo figli di Dio nella misura
in cui guardiamo la Luce di Dio. È la Luce che forma noi, ma se noi restiamo
nella Luce, se noi guardiamo questa Luce.
Quindi abbiamo questi due poli:
·Dio, che è tutto luce, l’Immutabile, il Fedele, il
Vivente
·e noi che siamo soltanto una possibilità di diventare
quello se guardiamo Lui. Infatti noi per natura siamo tenebre, quindi siamo
instabilità, siamo infedeltà; e l’infedele è un essere che passa da un amore
all’altro. Non è come intendono molti, che dicono: “L’infedele è colui che non
crede in Cristo”. No! Noi possiamo credere in Cristo e poi essere
massicciamente degli infedeli; e questo accade quando mutiamo amore.
Ines: Allora, se l’uomo è così, non è fatto .
Luigi: Infatti noi siamo in formazione. Dio dice ogni giorno: “Facciamo
l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. Quindi non siamo ancora fatti. Dio
è l’Essere; la creatura è un essere che
Dio ha chiamato dal nulla. Quindi noi partiamo da due estremi: Dio e la
creatura. La creatura per natura è tenebra, ma questa natura è chiamata a
partecipare della Luce. Quindi noi partiamo da un estremo che quasi rasenta il
nulla, Dio invece è Colui che è, l’Essere. Questo nulla è chiamato da Dio a
partecipare di Lui. Dio chiamandolo, incomincia a dargli l’esistenza senza che
l’uomo lo voglia. E noi cominciamo a palpitare con tutta quella povertà addosso
che noi siamo, infinitamente lontani da
Dio, perché Dio è l’Essere. Noi tutti lo sappiamo che siamo infinitamente
lontani da Dio; allora se siamo infinitamente lontani, se Lui è l’Essere fedele, noi siamo infedeli. Se Lui
è l’Immutabile, noi siamo mutevolezza, se Lui è vita, noi siamo non-vita. Però
abbiamo la possibilità di partecipare della sua Vita. Noi non siamo vivi, Dio è
il Vivente, però abbiamo la possibilità di partecipare a Lui e quindi di
vivere.
Ecco l’errore nostro: noi ci crediamo già
vivi. La vera vita noi non la conosciamo; quella che noi attualmente viviamo
non è la nostra vita: è soltanto un’occasione per essere interrogati; ma non è
vita. La vera Vita è Lui; Dio è il Vivente: “Io sono il Vivente” (Ap
1,18). Noi viviamo nella misura in cui partecipiamo. Noi siamo fatti bene,
perché Dio ci dà la possibilità di partecipare. Noi siamo fatti bene, perché
Dio ci dà la possibilità di ascoltare il
suo Verbo, in cui c’è la Vita, in cui c’è tutto per noi, ma solo se Lo
ascoltiamo. Noi abbiamo la possibilità…; ecco perché siamo fatti bene. Infatti
noi che siamo instabilità, tenebre, ecc., abbiamo però la possibilità di
accogliere la Luce, abbiamo la possibilità di vita, di riconoscerla, abbiamo la
possibilità di mettere in alto il Verbo di Dio in noi, abbiamo la possibilità
di diventare fedeli, abbiamo la possibilità di amare, abbiamo la possibilità di
capire. Quindi, di per sé noi siamo niente, però in questo nulla Dio pone Se
stesso; e porre Se stesso vuol dire dare a noi la possibilità di diventare suoi
figli. Però, siccome i suoi figli nascono da Lui, noi dobbiamo guardare Lui;
perché se noi non guardiamo Lui diventiamo figli di altri, figli di ciò cui
guardiamo.
Gesù dice ai Farisei: “Voi non avete per
Padre Dio, perché se aveste per Padre Dio, voi accogliereste le mie Parole; voi
avete per padre il demonio” (Gv 8,42-44); questo ci dice che noi abbiamo la
possibilità di avere tanti padri, cioè noi possiamo farci figli del mondo,
figli delle nostre ambizioni, figli del denaro, e ognuno di noi diventa figlio
di ciò che mette prima di tutto dentro di sé, nella sua vita. Allora, se
onestamente io dico: “Vivo per quella cosa”, io divento figlio di quella cosa;
se io vivo per il denaro, divento figlio del denaro e subirò le conseguenze di
questa figliolanza.
Quando gli ebrei chiesero a Samuele: “Dacci
un re” (1 Sam 8,6), Samuele quasi si offese; egli era il Sacerdote di Dio,
era lui che governava, allora si lamentò con Dio; e Dio gli disse: “Hanno
chiesto un re? Da’ loro un re, toccheranno con mano cosa vuol dire essere
governati da un uomo anziché da Dio” (cf 1 Sam 8,8-18). Così è per noi. Il
Signore dice ad ogni uomo: “Io sono tuo Padre, Io sono il tuo Dio, Io sono
la tua Luce, Io sono la tua vita, Io sono la tua fedeltà, Io sono il tuo amore;
vuoi avere un altro padre? tocca con mano cosa vuol dire avere un altro padre!”.
È qui, scegliendo altri padri, che noi allora incominciamo a caricarci di
catene; perché abbiamo messo la creatura al posto del Creatore. Se invece
mettiamo Dio al disopra di tutto, allora Lui ci fa figli suoi; infatti abbiamo
detto che non si rinasce, non si diventa figli di Dio se non guardando soltanto
Lui; perché i figli di Dio nascono da Dio.
Ora se tu sai che diventi figlia soltanto
nella misura in cui guardi Lui, nasci da
Lui, ecco allora che devi aspettarti da Lui questa nascita e solo da Lui, in
modo da attribuirla tutto a Lui.
Emma D.: Cercandola e desiderandola.
Luigi: Cercandola e desiderandola. Ma come? Prima di tutto mettendo il Verbo, la Luce
interiore, al disopra di tutto, in modo da non avere altri motivi in te, perché
se ti lasci muovere da altri motivi, è finita! Quelli ti portano via da Dio, e
poi ti carichi di catene, perché ogni
altro motivo è un motivo inferiore che ti crea un conflitto, ad esempio, con il
tuo prossimo, a causa del quale non puoi
più amare, non puoi più vivere.
Ecco, l’uomo ad un certo momento si trova
carico di catene, quindi instabile, bugiardo, ingiusto, perché non può più
comportarsi secondo la giustizia, secondo la verità; deve alterare le cose, e
allora ad un certo momento si trova soffocato, in un ambiente di grettezza;
diventa sempre più debole, sempre più instabile, sempre più infelice e meno
pensato. È lì che si comincia a vivere in un mondo in cui più nessuno ci
conosce.
Pinuccia B.: Però
Dio continua a conoscerci, a pensarci e ad amarci.
Luigi: Certo, però ho detto prima: se uno ama una persona dalla
quale è lontano e fa qualche cosa che non è secondo lo spirito di quella
persona, anche se questa continuerà ad amarlo perché non sa di essere stata
tradita, lui però non si sentirà più amato; questo perché il tradimento crea
una frattura che interrompe la comunicazione. Avendo egli agito in modo
difforme dal pensiero dell’amata, anche se l’altra persona continua a dirgli:
“Ma io ti voglio bene; io continuo ad amarti”, egli non si sente più amato. Chi
tradisce non riceve più, non si sente più conosciuto.
Pinuccia B.: Ma
questo può accadere tra creature, ma non con Dio.
Luigi: È la stessa cosa, perché tutto quello che accade sono
lezioni di Dio. Quindi siamo noi che ci dividiamo: “Sono i vostri peccati, dice
il Signore, che hanno creato la divisione tra voi e Me” (Is 59,2), non è
Dio che si divide da noi. Dio non se ne va lontano quando noi siamo orgogliosi,
quando siamo ambiziosi, quando siamo egoisti e pensiamo a noi stessi; eppure
noi ci sentiamo terribilmente lontani da Lui, non più pensati da Lui. Come mai?
Il Signore dice: “Sono le vostre colpe che
hanno creato la divisione tra voi e Me”, perché tutto quello che facciamo
non motivati da Lui, ci isola, ci chiude in un bozzolo. E se anche Dio ci dice:
“Io ti penso, io ti amo”, noi non ci sentiamo pensati, non ci sentiamo amati:
ci sentiamo soli!
Invece più crediamo in Dio, più conosciamo
Dio, tutto ciò che accade, sappiamo che è Dio che lo fa accadere tenendo
presente noi, per cui noi ci sentiamo conosciuti da Lui e perfino da ogni
creatura, da ogni avvenimento. Lì si è figli! Al contrario, più pensiamo a noi,
più siamo incapaci a capire cosa succede, incapaci di ricevere e di portare la
Luce. Pensare a noi è tristezza e solitudine: non ci sentiamo più pensati né da
Dio, né dalle creature. È l’io che crea la frattura tra ciò che ci circonda e
Dio, e ci fa cadere nell’errore, nella solitudine, nella confusione e nel dubbio: sono io che mi
immagino di essere pensato o lo sono davvero? La confusione viene soltanto dal
pensiero del nostro io.
Invece nella misura in cui il nostro io si
supera diventa capace di accogliere; se in quest’istante fossimo capaci di
annullarci e di arrivare alla convinzione di essere niente e dicessimo con
convinzione assoluta: “Tutto è grazia di Dio”, noi vedremmo Dio, perché Egli è
presente e ci scopriremmo tutto fatti da Lui e pensati in tutto da Lui: si
nascerebbe da Dio quali figli suoi.
Pinuccia B.: Però
anche il dimenticarci per pensare a Lui è grazia di Dio.
Luigi: Tutto è grazia di Dio; tutto quello che è buono è grazia
di Dio; se non pensiamo Dio però la colpa è nostra, perché Dio ci dirà: “Tu
sapevi che Io ci sono”. L’avviso, il cartello, c’è su ogni strada: “Tu
sapevi…”. Noi non potremo dire: “Io non sapevo”, no! Noi sappiamo. Ecco,
siccome tutto il male, tutti i limiti vengono dal pensiero del nostro io, in
quanto noi facciamo del nostro io il centro, siamo responsabili, perché noi
sappiamo che noi non siamo Dio, noi sappiamo che non siamo il centro. “Tu lo sapevi,
e perché allora hai sempre pensato a te e Mi hai trascurato?”.
Pinuccia B.: Ma
io non voglio trascurarlo, però è Dio che ci dà la possibilità di superare il
pensiero di noi stessi; è Lui che ci fa nascere.
Luigi: Certo. “I
figli di Dio nascono da Dio”. Lui vuole che noi ci superiamo: è la
condizione per nascere da Lui.
“Nessuno può venire dietro di Me se non rinnega se stesso” (cf Mt
16,24), cioè bisogna imparare a pensare Dio, a parlare di Dio, operare per Dio,
come normalmente e istintivamente adesso
pensiamo a noi, parliamo di noi e operiamo per noi. Noi questo lo facciamo istintivamente, perché ci siamo
talmente caricati del nostro io, che avere il nostro io al centro è diventata
un’abitudine. Invece è Dio che deve diventare “un’abitudine”; per cui noi
dovremmo fare una fatica enorme a parlare di noi.
Pinuccia B.: Anche
a pensare a noi.
Luigi: Anche a pensare a noi! Ma anzi, pensare a noi non si
concepisce neppure più, perché è una stoltezza il pensare a noi stessi. È un
errore.
Pinuccia B.: Però
succede che se noi ci sentiamo pensati da Dio, cioè se noi siamo convinti che
tutto quello che accade è Dio che lo fa accadere per noi, noi stiamo pensando a
noi, siamo coscienti di noi. E allora?
Luigi: Sì, indubbiamente abbiamo la coscienza di essere, ma
anche il pensiero del nostro io, la coscienza del nostro io, è opera di Dio. Ma
il nostro io è opera di Dio nella misura in cui siamo pensiero di Dio; cioè,
pensando a Dio noi siamo coscienti di pensare a Lui e di essere pensati da Lui;
ma è Lui che ci pensa. Ma Lui ci pensa in quanto noi non pensiamo a noi stessi;
cioè, è come se Lui dicesse a noi: “Tu pensa a Me, e Io penso a tutto per te;
quindi non fare lo stolto: non pensare a te, pensa a Me e ti accorgerai che Io
penso a te in tutto”. Allora tutto va a posto. Però tu non pensi alle cose che
vanno o come vanno e tanto meno a farle andare come vorresti, perché tu pensi a
Dio. Ecco perché le cose le fa andare Dio e le fa fare Dio; è Lui che ha creato
tutto ed è Lui che continua a creare tutto.
Egli ti dice: “Ma non sei capace a guardare
le stelle? Ti rendi conto di che dimensioni è il mio universo? E poi hai paura
che ti manchi qualche cosa? Quindi pensa a Me, ed Io penso a te. Se Io ho
creato tutto l’universo e ho creato te dal niente, sarò ben capace ancora a
mantenerti in vita; di che cosa hai paura? Pensi forse che pensando a te vivi?
Pensando a te muori. Pensa a Me, ed Io ti farò vivere”.
Direi che la nostra gioia sta nel poter
parlare di Lui, poter pensare Lui, raccogliere tutto in Lui, glorificare Lui.
Quando noi gli diciamo: “Signore, noi ti ringraziamo per la tua gloria
immensa”, lo diciamo perché è una grande
gioia poter glorificare Lui, perché è tutta vita. Una persona, quando ama
un’altra, tutta la sua gioia sta nel poter pensare tanto a quell’altra, riferire tutto a quell’altra e vedere la sua
gloria, perché la gloria dell’altro le dà gioia, perché quando veramente si
ama, si vive molto di più nell’altro che in noi stessi; quindi il dover pensare
a noi diventa una tristezza, perché è un distaccare il nostro pensiero
dall’altro. Noi viviamo molto di più nell’altro; difatti, quando una persona
amata muore, perché noi soffriamo? Perché è la vita nostra che viene a mancare,
perché noi viviamo nell’altro. E anche se quest’altro è nella gioia, noi
soffriamo perché non possiamo più restare con lui. La sofferenza sta nel non
poter essere con colui che noi amiamo; ed è un morire veramente, ma siamo noi
che moriamo continuando ad esistere, perché non potendo essere con l’altro la
nostra esistenza diventa una sofferenza, proprio perché noi viviamo nell’altro.
Perché coloro che si amano se sono distanti
soffrono? Perché uno non può vivere con l’altro, dove l’altro è presente; perché
col pensiero vive con l’altro, però non può sapere, non lo può vedere, e allora
c’è il trauma. Ecco, questo avviene perché siamo fatti per vivere nel pensiero
dell’Altro, e la nostra gioia sta nel vivere con l’Altro. Ecco perché è una
stoltezza pensare a noi.
Ines: Per chi ha imparato ad amare, dovrebbe essere così.
Luigi: E già, d’altronde “Dio è Amore” (1Gv 4,8). Ora,
se Lui ci ha insegnato ad amare e ha creato questi rapporti d’amore, è proprio perché Lui è Amore. Tutto è lezione
di Dio; quindi Lui dirà: “Ma tu sapevi amare una creatura; allora perché non
hai imparato ad amare Me?”. Noi non potremo un giorno giustificarci dicendo:
“Signore, tu non mi hai insegnato ad amare”. Quindi le lezioni ci sono, perché
ce le portiamo addosso. Il Signore dice: “Voi stessi dite che Io sono; non
ho bisogno Io di dirlo, siete voi che lo dite:
con tutto quello che avete addosso, con tutti i vostri problemi, con
tutte le vostre ansie, le vostre paure, voi testimoniate che Io ci sono, che Io
sono l’Amore, che Io sono la vita, che Io sono la fedeltà”. Le nostre
imperfezioni, i nostri mali, le nostre paure, i nostri traumi, anche la stessa
nostra morte testimoniano che Dio è Colui che è vita e che non siamo noi la
vita.
Ines: È la testimonianza delle tenebre.
Luigi: Le tenebre confessano, testimoniano la Luce.
Pinuccia B.: Se
le tenebre accolgono questa testimonianza delle tenebre stesse, si aprono alla
Luce.
Luigi: E se mettono in alto la Luce, se guardano ad Essa e si
lasciano guidare da Essa, ricevono la possibilità di diventare figli di Dio. Il
diventarlo è tutta opera di Dio, perché i figli di Dio nascono da Dio, non per
merito proprio, non per le proprie virtù o sforzi di volontà, ma da Dio,
attraverso la conoscenza di Dio.
«L'uomo tanto più vive quanto più pensa a Dio
e fa a Lui un posto nella sua vita». « È la frase che più mi ha toccata», ci
scrive una signorina dal lontano Brasile. E prosegue: «Quindi se voglio vivere
debbo ricordarmi che questo dipende dalla scelta che ogni momento faccio
nell'orientamento del mio pensiero. Tante volte avevo sentito ripetere quella
frase, ma mai come questa volta è risuonala in me così chiara e convincente,
aprendomi prospettive immense di liberazione e di vita vera».
Eccoci posti di fronte al problema principale
dell'uomo: l'uomo ha la vita, ma deve scegliere la vita: «se voglio vivere...».
Veramente ogni uomo per diventare uomo nella pienezza del termine, essere cioè
che conosce la Verità, deve nascere due volte: una volta secondo la carne e una
volta secondo lo spirito. Ma questa seconda nascita, a differenza della prima,
non avviene se l'uomo stesso, personalmente, non s'impegna a volerla. Per
questo Gesù diceva: «Bisogna che voi nasciate di nuovo» (cf Gv 3,3).
Bisogna, se si vuole vivere.
Non basta che l'uomo nasca dalla carne per
essere uomo: nato dalla carne è un essere che soffre un'altra gestazione, non
più in un altro ma in se stesso, per nascere dallo Spirito. Tutti i nostri
problemi sono creati da questa seconda gestazione, che può durare anche tutta
la vita, e può fallire.
Due sono i mondi: c'è il mondo impersonale in
cui le cose e le esistenze avvengono senza di noi, e c'è il mondo personale in
cui le cose non avvengono senza di noi. Per cui due sono le vite: vita secondo
la carne; vita secondo lo Spirito.
Ma se la nostra nascita alla vita secondo la
carne avviene senza la partecipazione della nostra volontà, la nascita alla
vita secondo lo Spirito, essendo vita personale, non può avvenire senza la
nostra volontà. Ma non con la sola nostra volontà o con la volontà degli
uomini. Non si formano, e non si riformano, gli uomini con le parole umane, né
con i mezzi di comunicazione di massa, né con i convegni e i cortei, né con le
tavole più o meno rotonde. Gli uomini veri si formano con Dio, nel silenzio e
nella preghiera.
«L'uomo tanto più vive quanto più pensa a Dio
e fa a Lui un posto nella sua vita».
Ma se la nascita a questa vera vita non
avviene senza la volontà dell'uomo, veramente dinanzi a lui stanno la vita e la
morte: quello che avrà scelto gli sarà dato. Così ogni uomo è soggetto alla
tentazione di non scegliere la vita per subordinarla al pensiero della vita
materiale, al pensiero del mondo, al pensiero di se stesso.
La tentazione bussa alla porta dell'uomo, ma
l'uomo la deve dominare, perché egli deve ubbidire a Dio, il quale dice
all'uomo: «scegli la vita affinché tu viva!» (Dt 30.19). E aggiunge: «Io sono la Vita» (Gv
14,6).
Cristo è stato soggetto alla tentazione per
insegnare all'uomo come si esce da essa scegliendo la vita.
«Egli - ci dice il Vangelo
- fu condotto dallo Spirito nel deserto e, nel deserto, gli si
avvicinò il tentatore» (Lc 4,2).
Ogni uomo viene sospinto dalla vita stessa nel
deserto e nella solitudine di fronte ai suoi problemi. Di fronte ai veri
problemi si è sempre soli. Basta questa constatazione per sconfessare tutte le
nostre mitizzazioni della massa.
Nel deserto e nel digiuno dal mondo preme la
fame del corpo, la fame del sentimento, la fame delle nostre ragioni.
La vita è un digiuno crescente per far
rivelare a noi stessi la fame essenziale che portiamo dentro di noi, ma è anche
tentazione a subordinare la vita vera dell'uomo e le esigenze dello Spirito
alla vita nel mondo. Per questo nella
vita dell'uomo nel mondo vi è sempre un'ora di sgomento, di perdita dei beni o
delle creature più care; vi è sempre un'ora di digiuno e di solitudine. È l'ora
in cui l'uomo viene portato su quella soglia in cui deve imparare che è lui
personalmente responsabile della sua vita e che deve lui, personalmente,
impegnarsi a cercare Dio.
È in quest'ora che si rivela la tentazione, il
dubbio; poiché tutto ciò che è nel mondo può diventare oggetto di desiderio per
l'uomo: desiderio di sottomettere tutto alle proprie ragioni, ai propri
sentimenti, ai propri bisogni materiali. Ma l'uomo non è salvato da ciò che sta
al disotto di lui, o da ciò che egli mette al disotto di sé o delle sue
ragioni, ma da ciò che sta al disopra, da ciò che gli viene da Dio. L'uomo non
si salva guardando la terra, ma guardando il Cielo.
Se avrai imparato a conoscere anche tutto il
mondo ma non avrai imparato a conoscere Dio, la tua vita sarà fallita: l'uomo
spirituale non sarà nato.
«Adorerai il Signore Dio tuo e servirai a Lui
solo»: così Gesù concludeva la
sua prova con gli argomenti del tentatore che nel deserto aveva cercato di
fargli subordinare la vita di figlio di Dio alla vita del mondo (Mt 4,10). È la strada che Dio presenta ad ogni uomo
perché possa trovare la Verità e vivere.
(27.02.1974)
Ogni uomo per diventare vero uomo deve nascere
due volte, e ogni madre diventa tale solo se genera due volte i suoi figli. E
come gli uomini diventano tali solo con la seconda nascita, quella spirituale,
così le madri diventano veramente madri dei loro figli, non con la generazione
naturale, ma con la generazione spirituale di essi.
I figli vanno generati due volte: una prima
volta secondo la carne, e un'altra secondo lo spirito.
I figli che non vengono generati
spiritualmente si perdono come figli, diventeranno figli di altri, e le madri
che non si preoccupano di questa seconda gestazione, perdono i loro figli e si
perdono come madri, poiché è proprio in questa generazione che le madri
diventano madri.
Se la generazione naturale richiede sofferenze
e sacrifici da parte della madre, la generazione spirituale è molto più lunga e
impegnativa: richiede tutta la dedizione di mente e di cuore, richiede tutta
l'anima e tuta la grazia e la luce di Dio, poiché si tratta di scoprire l'opera
che Dio sta svolgendo nell'anima delle creature ch'Egli ha fatto nascere nella
nostra casa, e che sono di Dio anche se sono affidate a noi. Questo richiede la
morte ad ogni nostra vanità, ad ogni nostra ambizione di mondo, ad ogni nostro
amore possessivo, ad ogni imposizione e ad ogni autoritarismo da parte nostra:
richiede la morte a noi stessi.
La generazione dei figli è una storia d'amore
fondata sempre su uno che muore a se stesso. «Nessuno ha maggior amore di
colui che dà la sua vita», dice Gesù (Gv 15,13). E la generazione dei figli di Dio è la storia
dell'amore di Dio verso l'uomo.
Con la sua morte in croce Cristo ha portato a
compimento tale storia d’amore. Egli
infatti è morto sul Golgota dicendo: «Tutto è compiuto» (Gv 19,30).
L’opera
di Dio per formare l'uomo, iniziata nel Paradiso terrestre, è giunta qui al suo
compimento.
L'amore è soprattutto dono di presenza: dono,
non imposizione di presenza.
L'imposizione della presenza soffoca, rende schiavi e provoca il bisogno
di evadere, di respirare altrove; il dono della presenza dà vita, libera e fa
sentire il bisogno di restare. La madre
che si sostituisce al figlio gli impone la sua presenza, non gli fa il dono
della sua presenza. Il dono della presenza è un compito di servizio perché
questo seme di uomo possa svilupparsi in uomo.
Anima della formazione dell'uomo è il dono
della presenza personale di Colui che risponde ad un'attesa. Rispondere
all'attesa: qui sta il dono della presenza. L'amore vero risponde sempre ad
un’attesa.
Sul Golgota Dio ha rivelato “come” Egli
risponde all’attesa degli uomini, ha rivelato «come» Egli è presente con
il suo Verbo tra noi e in noi. Sul Golgota Dio ci ha fatto il dono della sua
Presenza per ogni nostro luogo e per ogni nostro tempo, fosse anche il nostro
tempo più cattivo e più nero, e il nostro luogo più triste e disperato. Qui “tutto
è compiuto” per la nostra formazione all'ascolto di Dio, quella formazione
che richiede la Presenza personale del Maestro degli uomini, poiché gli uomini
si formano alla presenza ed hanno bisogno di presenza: non sono sufficienti le regole,
le leggi, le istruzioni, come non sono sufficienti i comandi, le minacce, le
repressioni, le cacciate. L’uomo è un bisogno di presenza.
Sul Golgota Dio ha risposto a questo bisogno,
ha risposto all'attesa di ogni uomo.
Qui abbiamo il compimento della profezia: «saranno
tutti istruiti da Dio» (Gv 6,45). Una presenza personale, un Maestro per
ogni uomo .
« La Verità - scrive Frossard - non è una
forza immanente, non è la storia, non è qualcosa, ma è Qualcuno. È una fortuna
meravigliosa sapere che Dio è una Persona. Una Persona con la quale si possono
stabilite dei rapporti personali».
Con la sua morte in Croce, Cristo ci rende
accessibile Dio ad ogni livello, poiché lasciandosi uccidere da noi, ci unisce
alla sua morte: ci dà così la possibilità di conoscere Colui che parla a noi e
di diventare figli di Dio. I figli di Dio infatti «non nascono né per diritto di sangue, né
per la legge della carne, né per volontà di uomo; i figli di Dio nascono da Dio”(Gv 1,13).
Ma avere la possibilità non è ancora ottenere,
non è ancora esserlo. Il Maestro non fa il compito dell’allievo, non si
sostituisce al discepolo. Cristo morendo in Croce non si sostituisce all'uomo,
ma dà la possibilità all’uomo, ad ogni uomo, di morire a se stesso e di
rinascere da Dio e di penetrare nel mondo spirituale.
Nella contemplazione del mistero di Cristo
morente si apre la porta che ci introduce nel mondo dello Spirito.
Ma se
la porta è aperta, bisogna ancora oltrepassare la soglia.
Il
«tutto-compiuto » di Dio non è il « tutto-compiuto » in noi.
Il tutto-compiuto in noi sarà alla nostra
Pentecoste, sarà in questa venuta personale dello Spirito di Verità che ci
condurrà a vedere tutta la Verità.
Questo presuppone la morte al nostro io e la nostra rinascita da Dio,
cosa che non può avvenire senza di noi. È questo che manca al tutto compiuto di
Dio sul Golgota.
Ciò che manca alla morte di Cristo è la nostra
risposta, è la morte al nostro io.
Come per nascere al mondo l’uomo ha bisogno di
una madre, così per morire al suo io, questa vera nascita dell'uomo, ha bisogno
di una Madre. Per questo Gesù morendo in Croce dice all’uomo: «Ecco tua Madre!». E gli presenta
Maria.
(I – 08.05.1974)
La madre non deve sostituirsi al figlio; non
deve addormentare la sua coscienza; non deve prostituirlo alle mentalità ed
alle ambizioni del mondo, al benessere, alla ricchezza; non deve fargli dei
cuscini strappandogli le penne dalle ali, come direbbe Strindberg; non deve
soprattutto deviarlo dal fine per cui Dio l'ha voluto.
La vera madre si rivela e si riconosce non nel
voler possedere il figlio, né nel volerlo strumentalizzare, asservire agli
interessi di un nome, di una famiglia, di una carriera, ma nel saper rinunciare
al figlio perché egli viva la sua vita e giunga a conoscere Dio.
La vera madre ha un compito di servizio e si
forma morendo a se stessa ed alle sue ambizioni. È nella morte di Cristo in
Croce che fu formata una Madre, la Sua, per tutti gli uomini: esattamente per
tutti coloro per i quali Cristo morì in Croce.
Maria è Colei che insegnando agli uomini a
morire al loro io nell'opera tutta-compiuta di Dio, genera a Dio i figli di
Dio.
Tutto questo avvenne per aiutare gli uomini,
tutti, a giungere al compimento del loro destino ed alla pienezza della loro
vera vita, poiché Dio vuole che tutti si salvino e giungano a vedere la Verità.
È sempre Dio che opera, sia quando fa morire
suo Figlio in Croce, sia quando ci dà una Madre che resti con noi e ci
accompagni per quel tratto di strada in cui Gesù dice: «non mi vedrete più»
(Gv 16,10) e che va dalla sua morte fino
alla Pentecoste, anche se intervallato dalle sue brevi apparizioni di risorto,
sia quando manda il suo Spirito a Pentecoste su coloro che, uniti alla Madre
sua, sono passati attraverso la Sua morte e si trovano tutti raccolti nel Suo
Pensiero.
È sempre Dio che opera in tutto, perché Colui
che ha incominciato a formare l'uomo è lo stesso che lo porta a compimento.
È Dio che incomincia a fare l'uomo, a dargli
l'esistenza inserendolo nel suo universo; è Dio che lo fa vivere; è Dio che lo
libera da tutte le schiavitù in cui l'uomo cade, è Dio che lo redime e lo riconduce sulla strada della
vera vita; è Dio che lo illumina e lo perdona sempre perché eterna è la sua
misericordia; è Dio che lo lascia smarrito davanti alla sua morte, ed è Dio che
gli presenta Colei che gli sarà Madre, affinché egli sappia ciò che deve fare,
ed è ancora Dio che lo porta a quel dono supremo che è la venuta dello Spirito
di Verità: « che vi insegnerà ogni cosa e vi porterà a vedere la Verità
totale e completa » (Gv 16,13).
E noi stiamo assistendo a quest'opera immensa
e meravigliosa che Dio sta svolgendo nell'arco di pochi anni, quanti sono
quelli della nostra vita, per formare in noi un'anima capace di Verità assoluta
e di Vita eterna, capace di essere partecipe della sua Natura Divina, e forse
non ce ne rendiamo minimamente conto, tutti presi dalle nostre discussioni su
ciò che abbiamo guadagnato e su ciò che abbiamo perso. «0 anime create per
queste grandezze e ad esse chiamate, che fate? In che vi intrattenete?», grida
S. Giovanni della Croce nel suo Cantico Spirituale.
Dio opera ogni cosa per l'uomo. Importante è
che questi guardi Dio, sia attento a Dio, resti in ascolto di Dio, poiché Dio
forma l'uomo parlandogli, lo fa vivere con la sua Parola: « l'uomo vive di
ogni parola che procede dalla bocca di Dio » (Mt 4,4).
Amare Dio è accogliere le sue parole. «Chi
mi ama osserva le mie parole», dice il Signore (Gv 14,23), mentre l'anima
allieva di Dio riconosce: «la tua Parola, o Dio, è lampada ai miei passi».(Sal
119,105)
È attraverso l'ascolto di Dio che l'uomo viene
condotto di dono in dono fino al compimento del suo destino ed alla sua vita
eterna nel dono totale di Dio e della sua Verità assoluta, poiché la piena
comunicazione della Verità comporta la piena donazione di se stessi.
Per questo, nel «tutto-compiuto» dell'opera di
Dio per fare l'uomo, Cristo è venuto a morire tra noi, in noi. Si è dato tutto
nelle nostre mani.
Questa donazione totale di Sé da parte di Dio
è la condizione sostanziale per la formazione dell'uomo, per la sua nascita
nello Spirito.
Cristo morendo ci ha aperto la via dello
Spirito: ci ha aperto la via della Pentecoste: «Se non me ne vado, non può
venire a voi lo Spirito di Verità» (Gv 16,7).
Ma, abbiamo visto, il tutto-compiuto di Dio,
non è ancora il tutto-compiuto di noi.
Gesù è morto perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma
per Colui che è morto in essi e per essi. Egli infatti è morto non per restare
morto e condannarci con la sua morte, ma per darci la vita, e quindi rinascere
con noi, in noi.
Solo generando in noi il Figlio di Dio venuto
a morire in noi, diventeremo figli di Dio.
Ecco perché abbiamo bisogno di una Madre, la Sua Madre.
Ecco un mistero meraviglioso dell'opera di
Dio: la sua Verità viene a morire in noi per darci la possibilità di farla, e
facendola diventare figli suoi. Diventiamo infatti figli di ciò che facciamo.
Un mistero meraviglioso d'amore che ci fa restare in muta contemplazione.
(II – 15.05.1974)
« Solo chi fa la Verità giunge alla Luce », dice il Cristo (Gv 3,21).
La Verità non basta ascoltarla; va fatta.
Altrimenti la perdiamo, poiché diventiamo via via figli di ciò che facciamo.
Noi nasciamo in un mondo che è tutto
non-fatto-da-noi. Vivendo ci sviluppiamo in un mondo sempre più fatto da noi,
fino al giorno in cui restiamo con solo ciò che è fatto da noi. Ognuno abiterà
nella casa che avrà voluto costruirsi.
S. Agostino diceva: «Vi sono due amori che
costruiscono: l'amore di Dio e l'amore di se stessi. L'amore di Dio costruisce
la città di Dio; l'amore di se stessi costruisce la città di Satana».
Ciò che facciamo diventa luogo di nostra
abitazione; ciò che non facciamo viene perduto.
L'amore è una proposta, la Verità è una
proposta, la vita è una proposta, Dio è una proposta. Ciò che non vogliamo, non
l'avremo. Così accade che perdiamo la fede, lo spirito, l'anima, l'amore, la
pace, la vita, Dio. All'ultimo ci sarà dato solo ciò che avremo fatto, ciò che
effettivamente avremo voluto avere.
C'è un «fare» personale che nessuno può
compiere al posto nostro, senza del quale noi non diventiamo uomini, non
giungiamo al nostro destino, non conosciamo Dio, non diventiamo figli di Dio.
Ma l'uomo non può fare se non ciò che gli
viene dato. Ogni possibilità di «fare» nell'uomo è preceduta da un dono, quindi
da un atto di fiducia in lui. La fiducia è la premessa che forma nell'uomo la
capacità di volere e di essere, di diventare uomo. Ma la fiducia è tale solo in
quanto pone un dono nelle mani dell'uomo a costo di lasciarlo rovinare. È il
dono di Dio che fa essere l'uomo e lo fa capace di donarsi e quindi di amare e
di vivere. Per questo, prima di chiederci un atto di fiducia e di amore, Cristo
ha fatto un atto di fiducia verso di noi: si è posto nelle nostre mani.
L'atto di fiducia verso di noi di per sé non
ci salva e non ci libera, ma è la condizione per darci la possibilità di
incominciare veramente ad amare ed a vivere. Amare infatti, che è vivere per un
altro, richiede la piena libertà dell'uomo di disporre del dono di sé. Dio ci porta
in questa libertà dandoci Se stesso, nelle nostre mani.
Così Cristo, che è la rivelazione del mistero
divino tra noi, si è dato nelle nostre mani, e non per scherzo, né sotto
condizione, poiché si è dato fino a lasciarsi mettere da noi a morte e alla morte
di Croce! «Faranno di Me tutto quello che vorranno». Non c'è infatti vera fiducia se non c'è un
dono totale, se non si accetta di perdere ciò che si pone nelle mani
dell'altro.
Colui che dice di voler amare e di voler
servire senza però voler perdere, e soprattutto
senza perdersi, non ha vero amore e non ha capito cosa vuol dire
servire. Per questo Gesù dice: «Chi cerca di salvare la sua vita, la perde;
chi invece la perde, la salva» (Gv 12,25).
Colui
che viene a perdersi in noi, che viene a morire in noi, essendosi dato
realmente, e non teoricamente, non rinasce in noi senza di noi, non risorge
senza la nostra risurrezione. Così, mentre Cristo prima di morire è presente
tra noi indipendentemente da noi, morendo per causa nostra si unisce a noi in modo
tale che nella sua risurrezione non c'è più una presenza indipendente da noi,
ma in Lui c'è qualcosa di noi.
In Cristo risorto c'è qualcosa di noi; per cui
se non c'è niente di noi in Lui, non risorge: resta morto in noi. Per questo si
dice che la risurrezione di Cristo, pur essendo una realtà storica, un fatto
storico, richiede la fede. «Solo chi è illuminato dalla fede può affermare che
Gesù è veramente risorto». Nella conoscenza della Verità c'è una componente
soggettiva che la rende personale, intima, e pur reale.
Ad ognuno viene dato ciò che ha voluto avere:
ad ognuno sarà misurato l'amore nella misura con cui avrà misurato il suo
amore. Cristo cioè rivive in noi e per
noi nella misura in cui Lo facciamo rivivere.
È questo il compito che rimane all'uomo nel
«tutto-compiuto» di Dio con la morte di Cristo: generare il Figlio di Dio in
noi. È il compito di Maria. L'uomo ne ha
la possibilità poiché il Figlio di Dio si è dato per primo tutto nelle sue mani
e, morendo, gli ha presentato “la via” per farlo rivivere. È questo il motivo
per cui ci ha dato sua Madre.
Quando Gesù morente sulla Croce, vedendo sua
Madre e lì vicino il discepolo ch'egli amava, disse alla Madre: «Donna, ecco
il tuo figliolo », e disse al discepolo: «Ecco la Madre tua», da
quel momento Giovanni, il discepolo prediletto, la prese con sé.
Cristo si è dato nelle nostre mani perché solo
il dono di Sé ci dà la possibilità di «farlo» vivere, e ci ha dato sua Madre, e
noi dobbiamo prenderla con noi, perché solo Colei che ha generato il Figlio di
Dio può insegnarci a generare in noi il Figlio di Dio. Il mistero della divina
maternità di Maria comporta quello della sua maternità spirituale di ogni uomo:
Madre di tutti.
Il Cristianesimo è una grandiosa storia
d'amore: di tale storia abbiamo appena qui sfiorato qualche accenno.
(III – 22.05.1974)
Cristo andando al Padre ha preparato in noi il
posto per lo Spirito Stinto, un posto per la nostra nascita spirituale, poiché
i figli di Dio nascono da Dio consapevolmente.
Ma se i figli di Dio nascono da Dio, qual è il
compito della Madre in questa generazione spirituale? Per intendere questo è
necessario tenere presente che la nascita spirituale non avviene senza di noi.
Con la venuta di Cristo tra noi ci è stato
rivelato che la Verità di Dio è annunciata e testimoniata, non solo, ma è
donata, posta nelle mani degli uomini: «ne facciano quello che vogliono». Se La
fanno vivere, li farà vivere, poiché essa è vita. Se non La fanno vivere in
loro, avranno preferito la morte alla vita.
Di qui la prima lezione: bisogna glorificare
Dio in noi. «Riconoscete che il Signore è Dio: Egli ci ha fatto e non già
noi stessi ci siamo fatti» (cf Salmo 100). Se Lo glorificheremo, Egli ci
glorificherà in Se stesso e ci farà vivere; se Lo conosceremo, ci conoscerà; se
Lo ignoreremo, ci ignorerà.
Glorificare Dio è non affermare mai se stessi,
è riconoscere la nostra povertà, il nostro niente; è riconoscere in tutto la
Presenza di Dio e il suo Spirito; è ascoltare Dio, contemplarlo, conoscerlo.
Maria, la Madre di Gesù, è la grande Maestra
in questa glorificazione di Dio in noi: «L'anima mia glorifica il Signore e
il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore », Essa dice (Lc 1,46-47).
Se ciò che è annunziato richiede attenzione e
ascolto; se ciò che è testimoniato richiede adesione e giustizia, ciò che è
dato richiede impegno di vita e dedizione, richiede disponibilità, poiché è
affidato alle nostre mani.
Chi non si rende disponibile con tutta
l'anima, con tutta la mente e con tutto il cuore, non può trattenere ciò che
gli è dato. Maria è Maestra di questa disponibilità. È questa un'altra sua
lezione per insegnarci a generare in noi il Figlio di Dio ed a farlo crescere: «Fate
tutto ciò che Egli vi dirà» (Gv 2,5). Sono queste le uniche parole ch'Essa rivolge agli uomini. Maria non
dice altro, non dialoga, non discute, non si inginocchia davanti al mondo.
Se gli uomini possono fare di Cristo tutto
quello che vogliono, perché Egli si mette nelle loro mani, nulla possono fare
verso Maria, poiché Essa non discute con loro; Essa è l'amore puro di Dio, e
nulla si può fare verso l'amore puro.
Senza Cristo, Maria non ci salva e non ci può
salvare: senza Cristo, Maria è inimitabile.
Chi ci salva è Cristo con la sua morte per causa nostra.
Con la morte di Cristo in noi e per noi, Maria
diventa per noi Colei in cui è realizzato ciò che dobbiamo realizzare: Essa è
la nostra speranza, poiché attualizza per noi, in ogni nostra situazione, come
dobbiamo essere. Essa ci insegna a fare, a incarnare la Parola di Dio: «Si
faccia di me secondo la Tua Parola » (Lc 1,38).
Maria è il modello di creatura perfetta tutta
secondo Dio; è il Disegno puro della creatura
quale l'ha concepita Dio: quindi è l'ideale di ogni nostra perfezione, è
la soluzione di ogni nostra problematica, poiché è la Creatura che non pensa a
se stessa. Si tratta di verificare su di Lei la nostra esistenza, il nostro
farci.
L'uomo ha sempre bisogno di un modello cui
riferirsi ed a cui riferire l'opera che sta facendo nell'ascolto di Dio, per
continuamente verificarsi e correggersi su di esso.
Maria è
la Madre che ci aiuta a realizzarci come figli di Dio facendoci nascere da Dio.
Compito della madre non è di fare lei ciò che dobbiamo fare noi, non è di
sostituirsi al figlio, ma di renderci capaci di essere ciò che dobbiamo essere,
di bere cioè la nostra vita alla sorgente «senza nulla sottrarre agli altri».
Essa è Colei che porta a compimento in ognuno
di noi l'opera di suo Figlio, poiché è Colei che accompagna l'uomo nel fare ciò
che manca alla passione e alla morte di suo Figlio. Ci insegna a morire al
nostro io dopo che Cristo ha detto tutto, dopo che ha dato tutto Se stesso.
Quanto più la creatura muore a se stessa,
tanto più diventa spiritualmente feconda. Per questo Maria, che è la creatura
morta a se stessa per essere tutta a disposizione di Dio, è la creatura più
feconda, è la Madre di tutti i figli di Dio.
Bisogna prendere con noi Colei che ci genera a
Dio, la Madre che fa degli uomini, anche di coloro che hanno tradito,
rinnegato, misconosciuto, ucciso suo
Figlio, i figli di Dio.
Se Cristo morendo in Croce ci affida al Padre,
Maria è Colei che ci accompagna, ci mantiene orientati, ci insegna, ci aiuta a
restare raccolti nel Padre fino al giorno della nostra Pentecoste, il giorno in
cui dal Padre ci manderà lo Spirito
Santo.
Ecco perché non a caso, nell'ordine di tutte
le cose, il mese di Maggio è dedicato a Maria.
Questo tempo che va dalla Pasqua a Pentecoste, dalla Morte cioè di
Cristo alla venuta dello Spirito Santo, è essenzialmente tempo di Maria. Questo
è un tempo ch'è nella vita di ogni uomo.
Quando venne il giorno di Pentecoste, i
discepoli erano tutti riuniti in preghiera nello stesso luogo con Maria, la
Madre di Gesù. Si giunge al giorno del
nostro incontro con lo Spirito di Dio, con Maria, la Madre dei figli di Dio.
Pentecoste rappresenta il giorno supremo nella vita dell'uomo: esso segna
l'incontro con lo Spirito che resterà con noi per sempre e che ci condurrà a
vedere la Verità completa in tutto.
(IV – Fine – 29.05.1974)
(articoli scritti da Luigi Bracco,
pubblicati su “La Fedeltà”)
I quali non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà
di uomo, ma da Dio sono nati Gv 1 Vs 13 Secondo tema
Titolo: I figli di Dio
nascono da Dio
Argomenti: Dedicarsi ai poveri. La morte dell’io.
RAPPORTO INTIMO. IN ATTESA DELLO SPIRITO.
LA VEGLIA INFINITA. GLORIFICARE DIO
NEI NOSTRI CUORI. IL GRANDE DONO DI DIO A OGNI UOMO. NEL SILENZIO
DI TUTTO SI TROVA IL TUTTO.
24/Ottobre/1975
Approfondimento
dell’argomento dell’incontro precedente:
“I quali non da sangue, né da volontà di
carne, né da volontà di uomo, ma da Dio sono nati”.
I figli di Dio nascono da Dio e non da altro (non
dal nostro volere, dai nostri propositi, ecc.). Nella misura in cui guardo Dio,
penso a Dio e mi lascio guidare da Dio, divento figlio di Dio, perché è
guardando Dio, pensando Dio, lasciandomi guidare, motivare da Lui, dalle sue
Parole, o meglio, dallo spirito delle sue Parole, che Egli mi comunica la
conoscenza di Sé e quindi mi rende partecipe della generazione di suo Figlio,
facendomi suo figlio per adozione.pesci
Sabato 07.05.1983
“I quali non da sangue, né da volontà di
carne, né da volontà di uomo, ma da Dio
sono nati”.
Paolo: È lo Spirito che dà la vita, cioè è il Pensiero di Dio
in noi che ci fa vivere, ci fa nascere.
Piero: Qui ci viene detto come si diventa figli di Dio: nel
Pensiero di Dio, se siamo incentrati lì.
Luigi: Quindi si diventa figli non per diritti di sangue, non
per colore di pelle, non per nazione, non per istruzione, né per volontà
nostra; non è con i nostri sforzi che diventiamo figli di Dio, non è con i
nostri pensieri che diventiamo figli di Dio. Non è opera nostra il
diventare figlio di Dio, né per opera di
altri.
Piero: È fondamentale approfondire le Parole di Gesù per
superare la sua presenza fisica e
capirlo come Pensiero di Dio. È Gesù stesso che ci invita a superare
questa presenza fisica, cioè a fare questo passaggio, se vogliamo nascere dal
Padre come figli di Dio.
Luigi: Infatti Gesù dice: “È necessario che Io me ne vada,
altrimenti lo Spirito non può venire in voi” (Gv 16,7). Quindi la sua
presenza fisica ha una funzione importantissima, però ad un certo momento va
superata.
Piero: Se non si supera la presenza fisica si rimane a metà
strada...
Luigi: …si rimane alla fase sentimentale.
Piero: Invece bisogna giungere a capire il suo Pensiero,
perché poi è proprio questo Pensiero che
ci porta a capire tutti i segni
esteriori e il Vangelo stesso; perché Dio parla dentro e fuori di noi. Quindi è
questo ascolto di Dio che ci fa
diventare figli di Dio. D’altronde se non c’è questo salto al Pensiero di Dio,
qualunque preghiera, la Messa stessa, è svuotata.
Luigi; Certamente; anzi, diventa recitazione,
diventa teatro, diventa abitudine.
Pinuccia B.: Appaga
magari la coscienza…
Piero: …ma la svuotiamo del valore vero.
Marco: La prima cosa che ho pensato è la funzione creatrice del
Padre; cioè anche in questo è Lui che opera: è Dio che ci rende figli di Dio.
Bisogna però stare in ascolto di Lui, in silenzio.
Luigi: “Quando vuoi pregare, entra nel silenzio della tua
stanza e chiudi l’uscio, e lì rivolgiti al Padre tuo che ti ascolta” (Mt
6,6).
Marco: Ma se noi stiamo
in silenzio, siamo poi sicuri che Dio ci rende figli suoi?
Pinuccia B.: Non
deve essere un silenzio passivo.
Luigi: No, certamente. Il silenzio che ci fa diventare figli di
Dio è un silenzio che accoglie. Il silenzio è la condizione per poter
ascoltare, per ricevere. Altrimenti non si riceve; infatti se io parlo di me,
non ricevo niente dall’altro.
Pinuccia B.: Però deve essere un silenzio attivo nel senso
che si cerca il Pensiero dell’Altro, ci si apre all’Altro.
Luigi: Però è l’Altro che ci parla. Noi dobbiamo soltanto
preoccuparci di far tacere tutto di noi, guardando l’Altro.
Pinuccia B.: E
se l’Altro non parla, noi non possiamo sapere niente.
Luigi: Assolutamente niente! Però Lui può parlare e noi non
riceverlo perché è Lui che parlando viene nella sua casa. Noi siamo la sua
casa, Lui viene e noi non lo riceviamo. Ma perché non lo riceviamo? Perché
parliamo di noi; e se ci rivolgiamo a Dio, ci rivolgiamo a Dio per farlo
servire a noi, per parlare di noi, e allora non riceviamo niente da Lui e
quindi non lo riceviamo.
Marco: Però molti Santi nonostante avessero
una grande passione per Dio avevano una fede oscura, una fede arida; è perché
Dio non parlava?
Luigi: Noi non possiamo giudicare; dobbiamo soltanto stare alla
scena. Però qui il Vangelo dice che tutta l’opera viene da Dio e che diventare
figli suoi non è opera nostra. Quindi per quanto noi facciamo dei salti
mortali, o per quanto siamo virtuosi, non è attraverso queste cose che noi
diventiamo figli di Dio. Come diceva S. Paolo, “dessi anche il mio corpo
alle fiamme, dessi anche tutto ai poveri…” (1 Cor 13,1-13), con questo non
è che diventiamo figli di Dio, perché i figli di Dio nascono da Dio, sono opera
di Dio. Sapendo questo, ecco che dobbiamo rivolgerci a Dio, se desideriamo
diventare figli suoi.
Pinuccia B.: Tutte
queste cose: il distacco, il dare ai poveri, l’amore agli altri, possono essere
preparazione…
Luigi: Sì, però può anche essere orgoglio.
Piero: Normalmente questo distacco, questo dare ai poveri, ecc.
sono più una conseguenza di ciò che si è
ricevuto da Dio che un inizio. Viene come conseguenza naturale il distacco
dalle cose, dal denaro, ecc., e il sentirci liberi da essi.
Luigi: Scoprendo qualcosa di maggiore, ti distacchi dal
minore. Non sono le nostre regole (anche
se ci mettiamo le regolette più perfette), non è la Legge, non sono i
comandamenti, non c’è niente che ci possa far diventare figli di Dio, perché i
figli di Dio nascono da Dio consapevolmente.
Pinuccia B.: Però
è anche vero che all’uomo totalmente incentrato nel pensiero di se stesso, se
non si apre subito a Dio, può essere utile l’aprirsi al fratello, nell’azione
sociale, ecc.
Luigi: NO!!! Fintanto che l’uomo non si apre a Dio, anche se si
dedica totalmente ai poveri costruisce solo un edificio di orgoglio, di
ambizione, ecc; Dio è il Principio e lo si deve mettere come Principio. Quindi
anche l’amore al prossimo deve avere Dio come Principio. “Anche solo un
bicchiere d’acqua dato nel mio Nome non resterà senza ricompensa”: ma dato
nel suo Nome (Mc 9,41). Il Principio deve sempre essere Dio, in tutto! Metti
Dio prima di tutto, e allora poi ti aiuterà anche a restare con Lui il servizio
al fratello, perché soprattutto all’inizio di un cammino questo servizio e
amore al prossimo può evitare le illusioni e determinare una vera e decisiva
inversione di marcia, dall’egoismo all’amore. Bisogna perciò mettere sempre Dio come Principio, anche
della nostra conversione e purificazione.
Se tu sei nel fango fino alla punta dei
capelli, non ti salvi iniziando a dare tutto ai poveri, ma iniziando a mettere Dio nel tuo pensiero. In
qualunque situazione tu ti trovi, metti Dio; incominciando a mettere Dio, Dio
opera la trasformazione; ma è Dio. Quindi in qualunque situazione tu ti trovi,
anche se sei nel peccato più nero, incomincia a pensare Dio, cioè incomincia a
ragionare con Dio, incomincia a vedere se è giusto questo tuo rapporto con Dio e Dio ti libererà. Non è che
noi dobbiamo prima liberarci,
purificarci e poi dopo metterci a pensare Dio; no! In tal caso faremmo solo dei
grandi salti mortali senza concludere niente.
Piero: È impossibile arrivare a Dio mettendo come principio il
dar via; non è quella l’anima, ma sarà
una conseguenza.
Luigi: Certo! Quindi qualunque situazione in cui ti trovi,
metti subito Dio, apriti a Dio, ragiona con Dio. Maria di Magdala, prostituta,
avesse detto: “Prima di avvicinarmi a Gesù, mi pulisco, mi libero”, non si
sarebbe mai liberata. Invece è andata per prima cosa da Gesù, e poi la sua vita
è cambiata. Come Zaccheo: prima ha voluto vedere Gesù, poi ha dato la metà dei
suoi beni ai poveri (Lc 19,1-10).
Ecco, mettiti subito in rapporto con Dio, con
tutti i tuoi stracci addosso, con tutta la tua povertà, perché è Lui che fa,
non siamo noi che facciamo. E questo non solo per quel che riguarda la meta
(diventare figli di Dio), ma anche l’inizio della conversione. È tutta opera
sua.
Piero: Sapendo che è Lui che fa, è liberante.
Luigi: Certamente; altrimenti inizi a dire: devo fare, devo
impegnarmi, devo esaminarmi, ecc. e a un certo momento il cervello fuma, e non
si risolve niente.
Flavio: Noi siamo in gestazione, non siamo ancora nati, e
possiamo anche non nascere.
Luigi: Possiamo non nascere, possiamo diventare degli aborti.
Flavio: Quindi l’essere figli di Dio è una tappa da raggiungere,
l’inizio di una vera vita, una nascita da Dio. Eppure questa nascita presuppone
la nostra morte.
Luigi: Sì, ma sia chiaro: la morte non è la
morte fisica; la morte è soltanto il superamento del pensiero di noi stessi.
Cioè Dio chiede questo ad ogni uomo: non fermarti al pensiero del tuo io; va’
oltre, supera te stesso. La morte dell’io è questo superamento; cioè, togli il
pensiero del tuo io come punto fisso di
riferimento. E cosa vuol dire togliere l’io come punto fisso di riferimento?
Non avere il proprio io come punto di
riferimento vuol dire non fermarsi alle proprie impressioni, ai propri
sentimenti, ai propri giudizi, alle proprie conoscenze, alle proprie
esperienze. Non dire: “La cosa è così, perché la mia esperienza è questa”; se
per esempio vai a pescare e peschi due pesci, non dire: “Nel fiume ci sono due
pesci perché io ho pescato due pesci”; no! tu hai pescato due pesci, ma nel
fiume ci sono tanti altri pesci. Quindi in base a quello che noi abbiamo
esperimentato, non dobbiamo dire: “La realtà è questa”. Noi siamo portati
sempre a dire: “La Verità è quello che io vedo e che io tocco”, no! noi non
siamo il punto fisso di riferimento. La Verità ci trascende; oltre a quello che
noi vediamo e tocchiamo, c’è anche quello che non vediamo e non tocchiamo.
Se non ci decidiamo di superare l’io come
punto fisso di riferimento, ci sarà assolutamente impossibile diventare figli
di Dio, nascere da Dio, ed è logico, perché abbiamo già un altro padre.
Marco: Ma non mi aiuta il fatto di pensare che devo cercare in
tutto di non pensare al mio io. Cioè il fatto stesso che io faccio delle
domande, è già un pensare al mio io, perché io voglio capire.
Luigi: No! Noi facciamo delle domande perché siamo sollecitati
dall’amore per la Verità. È l’amore alla Verità che ci fa chiedere, che ci fa
interrogare; perché il bambino chiede
“perché”? Perché è attratto dal bisogno di capire. Ma chi è che gli fa
sentire questo bisogno di capire? Non il pensiero del suo io. Arriva però un
certo momento in cui l’uomo non interroga più; osserva l’uomo anziano, l’uomo
vecchio: non domanda più, ma afferma; lui sa già tutto; è lì il guaio! Ecco, lì
siamo nel pensiero dell’io; perché diciamo: “Il mondo è come lo vedo io; un
mondo diverso non c’è”. Qui c’è l’io, perché le nostre affermazioni si basano
su ciò che abbiamo esperimentato; per cui esiste soltanto quello che abbiamo
visto ed esperimentato, parliamo soltanto di quello e tutto il resto non
interessa, come se non esistesse. Quando invece abbiamo l’anima che chiede, che
interroga, è aperta: c’è l’accoglienza, c’è l’apertura, c’è il superamento, c’è
il desiderio di-. Allora vuol dire che
siamo attratti dalla Verità.
Dio è Verità, Dio è Luce, quindi sollecita
noi. Il bambino è tutto aperto: infatti interroga; invece l’uomo vecchio non
interroga più. Ora, come mai il bambino man mano che cresce, ad un certo
momento diventa incapace ad interrogare
e si ripiega su se stesso?
Perché incomincia ad avere i suoi interessi, incomincia
ad avere i suoi amori, e non è più disponibile per interrogare, non avanza più
nella Verità, si ferma. Lì incomincia ad esserci il pensiero dell’io. Qui
capiamo come sia necessario il superamento dell’io per poterci aprire
all’interrogazione, alla nuova vita, alla nascita da Dio.
Flavio: Infatti se il chicco di frumento non muore, non dà il
frutto, cioè la spiga.
Micol: Ogni uomo ha la stessa possibilità di diventare figlio
di Dio in egual misura?
Luigi: Certamente, proprio perché non dipende dall’ereditarietà,
né dalle condizioni ambientali, ecc.; “Dio vuole che tutti si salvino e
giungano a conoscere la Verità” (1 Tm 2,4). Ognuno di noi ha un bagaglio
diverso dall’altro, e questo bagaglio è ciò che si deve pagare, che si deve
superare per entrare nel Regno dello Spirito. Ognuno di noi ha un prezzo da
pagare, però questo prezzo, che è il superamento del nostro io, è la difficoltà
in cui si trova ogni uomo.
La Verità non fa preferenza di persona;
sicuramente non è che chi è nato negro si trovi più in difficoltà di chi è nato
bianco, o chi è nato in una chiesa “cattolica” sia avvantaggiato rispetto a chi
è nato in un'altra chiesa. No! Dio non fa preferenze di persona. “Dio vuole
che tutti si salvino”.
Quindi ci possono essere difficoltà
ambientali, caratteriali, per ereditarietà, però queste, in rapporto a Dio, non
incidono, non creano difficoltà; magari creano difficoltà riguardo alla
società, alle relazione con gli altri, ma nei riguardi di Dio no. Per cui la
creatura, quando è posta in rapporto a Dio, ha la possibilità di diventare
figlia di Dio. Siamo tutti nella stessa identica possibilità di accedere;
l’importante è che ci mettiamo in rapporto con Dio.
Altrimenti ci sarebbero delle discriminazioni;
come per coloro che nascono cerebrolesi; no! Tutto è lezione di Dio, ma è
lezione per noi che siamo spettatori, per dire a noi: “Tu non vantarti, perché
potevi nascere così”. È Dio che ci umilia, è Dio che ci presenta delle lezioni
sempre per ridimensionarci, quindi per salvarci. Magari quelle persone sono
degli angeli, anche se noi non ce ne rendiamo conto e non possiamo saperlo.
Quindi tutte le cose che si presentano a noi, le dobbiamo prendere da Dio:
“Sono lezioni di Dio per me; Signore, che cosa mi vuoi dire attraverso questa
povera creatura che tu mi presenti?”; magari scopriremo che Dio ci ha
presentato quella creatura perché ci stavamo vantando della nostra
intelligenza, della nostra capacità di volere.
Tutto è dono di Dio. Ecco, Dio cerca di
riportarci sempre in questa situazione iniziale di povertà, perché è la
condizione per poter entrare in rapporto giusto con Lui. Dio attraverso tutte
le sue opere ci ridimensiona per poi farci essere suoi figli.
Marco: Povertà è assenza dell’io?!
Luigi: Il povero è colui che ha bisogno di tutto; quindi: “Tu,
creatura, sappi che hai bisogno di tutto da Dio; quindi non vantarti di
niente”. Se tu ti vanti, Dio ti presenta come specchio una creatura che potevi
essere tu; quindi Egli dice ad ogni uomo: “Tu uomo, quale merito hai se stai
diritto sulle tue gambe?”.
Marco: Magari queste creature non sono infelici…
Luigi: Noi non possiamo sapere cosa portano nella loro anima;
cosa ci deve interessare è questo: ciò che Dio ci presenta è lo specchio
nostro. Noi potevamo nascere come loro, quindi non vantiamoci, ma riconosciamo che tutto
l’abbiamo ricevuto da Dio; non vantiamoci di niente.
Non vantarti di essere atleta, perché magari
Dio domani ti può paralizzare. In tutte le cose ricordati di ciò che sei,
ricorda la tua vera dimensione di creatura che tutto ha ricevuto.
L’uomo purtroppo è portato a gonfiarsi: “Io mi
sono fatto da solo; io mi sono arricchito; io ho delle qualità, io qui, io
là…”, e ad un certo momento Dio, necessariamente, lo deve condurre in sala
operatoria per fargli toccare con mano che è povero, che è niente.
Pinuccia B.: Se
invece lo capiamo prima, evitiamo certe operazioni.
Luigi: È logico! Dio non si diverte a farci soffrire.
Piero: Ci ritroveremo salvati proprio da queste creature;
perché queste creature, se capite in Dio, ci permettono di vedere la nostra
vera dimensione.
Luigi: La maggior parte dell’opera che Dio sta facendo con noi
è quella di riportarci nella situazione di povertà, perché noi siamo portati ad
uscire dalla nostra dimensione, a crederci qualcuno. Ora, fintanto che noi ci
crediamo qualcuno non possiamo entrare in rapporto di giustizia verso Dio,
quindi non possiamo aprirci all’ascolto, né tanto meno diventare figli di Dio.
Allora Dio deve operare per riportarci giù; noi ci gonfiamo e ci lasciamo
gonfiare da quelli che ci battono le mani. Cerchiamo le medaglie…!
Pinuccia B.: Praticamente
qui ci viene richiamata la nascita verginale di Gesù in noi; infatti perché
Gesù è nato dalla Vergine? Per farci capire proprio questo: come si diventa
figli di Dio: Lui nasce in noi non per
opera di uomo.
Luigi: Ecco, è importante questo “non per opera di uomo”,
quindi nemmeno per opera di te stesso. Tu non nasci da Dio per opera di te
stesso; ecco perché è necessaria questa povertà essenziale. La creatura nasce
da Dio in quanto impara a dipendere in tutto da Dio. Infatti Dio è il Creatore,
quindi, tu creatura, per essere in rapporto giusto devi imparare a dipendere in
tutto da Dio; solo allora nascerai da Dio.
Pensieri conclusivi:
Piero: Il Padre porta a compimento il fine della creatura
(diventare figli suoi) attraverso il suo
Pensiero, Gesù, Pensiero puro.
Luigi: Vita Eterna è il dialogo col Padre in Gesù, nel suo
Pensiero, nella luce dello Spirito Santo.
Marco: Bisogna fare le cose con amore. Ormai faccio pochissime
cose con amore, faccio quasi tutto perché devo farlo; anche studiare, insegnare
ai bambini e il più delle volte venire qua a pregare. Purtroppo non lo faccio
perché son contento di farlo, ma perché devo farlo.
Amalia: Non bisogna però confondere l’amore con il sentimento.
Luigi: Certo, non bisogna confonderlo; però il dovere per il
dovere è segno che non ci siamo ancora, comunque poco alla volta, con la
pazienza…
Flavio: L’accogliere è l’elemento essenziale che ci dà la
possibilità di diventare figli di Dio. Però mi accorgo che tante cose le faccio
motivato da altro da Dio.
Luigi: Ci vuole pazienza; con la pazienza si impara a convivere
con Dio.
Micol: Trovo difficile capire il messaggio che recano in sé gli
avvenimenti.
Luigi: L’importante è già incominciare a sapere questo: che
cioè tutte le cose contengono un messaggio; non soltanto, ma che contengono un
messaggio personale per ognuno di noi, perché Dio ci parla personalmente. Tutte
le cose sono cariche di messaggi personali per noi; quindi sapendo che Dio
parla a noi, c’è questa sofferenza: ci troviamo con Uno straniero che parla una
lingua che noi non capiamo. Però il sapere che c’è Uno che sta parlando con noi
è già un bel passo avanti. Quello è importante!
Pinuccia B.: Bisogna
studiare la grammatica.
Silvana: È Dio che va posto al centro.
Luigi: Porre Dio al centro vuol dire cercare il Pensiero di Dio
in tutto, quindi non fermarci ai nostri sentimenti, a quello che conosciamo
noi, alle nostre esperienze, ma andare oltre per cercare il suo Pensiero. Dio
ci trascende, e quindi richiede sempre questo superamento.
Amalia: Bisogna morire prima della morte fisica.
Luigi: Certo, morire a noi stessi è essenziale.
Amalia: È necessario per
entrare nella vita eterna.
Luigi: Siamo già nella vita eterna. Un piede l’abbiamo già
nell’Eterno; altrimenti, se non fossimo fuori del tempo, non vedremmo il tempo passare; se vediamo il
tempo vuol dire che siamo fuori del tempo.
Silvana: Non capisco….
Luigi: Se tu fossi tutta immersa nel tempo, subiresti soltanto
il tempo, ma non lo vedresti passare; se vedi il tempo che passa vuol dire che
un punto di te è fuori del tempo.
Silvana: Ma noi lo vediamo passare in rapporto a certe cose, ma
non è che lo vediamo passare.
Luigi: No, noi vediamo che tutte le cose, presto o tardi,
passano e non c’è nessuno che rimane. Come mai? Perché vediamo questo?
Per vedere questo vuol dire che abbiamo un
piede sulla riva, fuori del fiume. Se tu fossi completamente immersa in un fiume,
non ti accorgeresti dello scorrere dell’acqua.
Marco: In effetti non ci accorgiamo che la terra gira. Fossimo
fuori di essa la vedremmo girare.
Luigi: Se noi vediamo il tempo che passa vuol dire che abbiamo
un piede fuori del tempo; questa è già una testimonianza dell’eternità.
Pinuccia B.: Dio
viene nella sua casa; ogni giorno viene a me; e il tempo è proprio questo Dio
che viene; accoglierlo vuol dire imparare a dipendere in tutto da Lui, ed è la
condizione per nascere da Lui.
Luigi: Bisogna accogliere il suo Pensiero; cioè sapendo che
tutto viene a noi da Lui, dobbiamo in tutto cercare di capire e conoscere Lui.
Pinuccia B.: Questa
è la vera dipendenza.
Luigi: Certo.
Flavio: Che rapporto c’è tra la nascita da Dio e l’Eucarestia?
Luigi: L’Eucarestia è il prolungamento della vita del Cristo,
del Cristo tra noi. Dobbiamo chiederci: chi è il Cristo e qual è la sua funzione?
Cristo è il Verbo di Dio incarnato.
Qual è la funzione dell’incarnazione, della
sua Presenza fisica?
Siccome noi siamo schiavi di tutte le presenze
fisiche, noi possiamo essere salvati soltanto attraverso una presenza fisica.
Quindi quella è introduzione, collegamento; così anche l’Eucarestia: essa è
soltanto un collegamento per dirci: “Guarda che Dio è in te”. Infatti, noi Lo
introduciamo in noi, e sapendo che Dio è in noi siamo tenuti a incominciare
questo rapporto con Dio. L’Eucarestia è un segno che ci mette in rapporto.
Silvana: … con una Presenza reale.
Luigi: Sì, in quanto ci introduce ad una Presenza in noi.
Pinuccia B.: È
segno di una Realtà.
Luigi: Certo, però i segni vanno capiti. Altrimenti è possibile diventare degli abitudinari nel
fare la comunione e non partecipare col pensiero, e allora roviniamo tutto,
perché i segni vanno intelletti, vanno capiti.
Così anche col Cristo; se ci si limita ad
avere un rapporto sentimentale col Cristo fisico, e magari a piangere sulla sua
morte senza preoccuparsi di capire, si stabilisce solo un rapporto sentimentale
che non serve a niente, perché non si arriva allo Spirito.
Flavio: Ma è richiesta una preparazione per l’Eucarestia.
Luigi: La preparazione sta nel rendersi conto, nel capire. Come
è richiesta la preparazione, la giustizia essenziale, per l’incontro col
Cristo, così è richiesta la preparazione per ricevere l’Eucarestia. Quindi se
tu non fai questa giustizia dentro di te e non metti Dio al centro, quello
diventa una recitazione. Si può recitare tutto.
Flavio: Anche se è in noi ugualmente.
Luigi: Dio è in noi, però l’importante è entrare in rapporto
personale con Lui. Tutta la funzione dell’incarnazione è per farci entrare in
rapporto personale, cioè per farci scoprire Colui che è già in noi. Abbiamo
detto prima che Dio non si sposta. Dio è già; Dio creandoci abita in noi, ha
messo in noi il suo Spirito, e la testimonianza di questo Spirito in noi ce l’abbiamo dal fatto
che abbiamo la passione per l’Assoluto, il bisogno della Verità. Però, per
entrare in rapporto personale, c’è tutta la fase della preparazione, il
battesimo di giustizia: “Metti Dio al centro”. Se noi, dentro di noi, non
mettiamo Dio al centro, noi possiamo fare la comunione tutti i giorni e
praticamente bestemmiamo Dio.
Pinuccia B.: Cioè,
il Cristo “esterno”, il Cristo che mi parla fuori, è necessario per farmi
prendere consapevolezza che Lui è già dentro di me. Senza il Cristo esterno non
potrei arrivare a questa convinzione.
Luigi: Certo, il Cristo
“esterno” è per portarmi a trovare Colui che porto già con me. Lo portiamo già
in noi, però siccome siamo tutti proiettati solo verso gli altri, verso le presenze
fisiche di cui rimaniamo schiavi, possiamo essere ricondotti all’interno, al
Pensiero di Dio che è in noi, soltanto attraverso una presenza fisica che sia
anche Dio. Se L’accogliamo, riceviamo la possibilità di diventare figli di Dio.
Sabato 14.05.1983 Continuazione del commento sul versetto
13:
Piero: Chi nasce da Dio non nasce né da carne, né dalla volontà
degli uomini, ma dalla Volontà di Dio. Il figlio di Dio è caratterizzato da
questo: nasce da Dio in tutto, ha Dio al centro della sua vita, dei suoi
pensieri.
Luigi: Certo.
Paolo: Non si nasce da Dio per volontà nostra; cioè con tutti i
nostri sforzi non approdiamo a nulla.
Luigi: I figli di Dio “non da sangue, non da volere carnale
e non da volere di uomo, ma da Dio sono nati”;
cioè non si nasce né per ereditarietà, né perché si appartiene ad
una certa famiglia, ad una istituzione, né per il colore di pelle, né perché
uno nasce in una società che si professa cattolica piuttosto che buddista; i
figli di Dio non nascono per condizioni ambientali e nemmeno per virtù loro,
per volontà loro, ma nascono da Dio.
Con tutti i nostri sforzi, con tutta la nostra
volontà e anche con tutto il nostro pensare non nasciamo figli di Dio, non
diventiamo figli di Dio.
Prima dice: “Ha dato a tutti coloro che
credono in Lui la possibilità di diventare figli di Dio”, quindi non è che
ci abbia fatti figli di Dio senza la nostra partecipazione. Anche Cristo,
morendo in Croce, non ci ha salvati, non ci ha fatti figli di Dio automaticamente (in Dio non
avviene niente di automatico), ma ha dato a noi la possibilità di diventare
figli di Dio, cioè la possibilità di nascere da Dio.
Noi nasciamo dal pensiero del nostro io, noi
nasciamo dal nostro mondo: ecco, c’è un io che nasce dalla situazione
ambientale in cui si trova, ma questo è soltanto la “terra” da cui deve però
germogliare un altro io, un io nuovo, e questo io nuovo nasce da Dio.
Quindi c’è una seconda nascita che ci attende,
e sarà una presa di coscienza di chi veramente siamo. Infatti noi non sappiamo
chi siamo, non ci conosciamo; ci conosceremo veramente soltanto quando
nasceremo da Dio e allora conosceremo chi veramente siamo noi. L’io che nasce
da Dio è un io consapevole, è un io che si conosce. Invece il nostro io attuale
non si conosce, perché è un effetto di tante cose.
Quindi noi abbiamo bisogno di nascere da Dio.
Ora, questa nascita da Dio viene a noi attraverso il credere in Cristo; (“a
quelli che L’accolsero ha dato il potere di diventare figli di Dio…”); e credere in Cristo vuol dire ascoltare Lui,
seguire Lui; così facendo poco per volta Lui ci condurrà a scoprire quello che
già è con noi, perché Dio creandoci ha fatto di noi l’abitazione di Sé. Dio
abita in noi, tanto è vero che noi siamo una passione di assoluto e tutto
quello che noi cerchiamo lo cerchiamo con la passione di assoluto, e tutto ciò
che amiamo lo amiamo con la passione di assoluto. Questa passione che portiamo
in noi è un effetto che non sappiamo diagnosticare fintanto che non arriviamo
alla Luce; ecco, questa passione indubbiamente è un effetto di un dato. La
passione di assoluto che caratterizza ognuno di noi è un effetto dell’Assoluto
che abbiamo in noi, è un effetto del Dio con noi, dell’“Emmanuele” (Mt
1,23).
Per cui tutti gli uomini cercano Dio, sono dei
cercatori di Dio, però tutti sbagliano luogo in cui cercarlo. Anziché cercarlo
in ciò che Egli è, Lo cercano là dove non può essere: nella creazione, nelle
creature, nel denaro, in se stessi, nel loro io e indubbiamente non possono
trovarlo. Invece credendo in Cristo, seguendo il Cristo, Cristo ci porta, ci
conduce a scoprire, cioè a trovare, a cercare Dio dove veramente Egli è; e
trovandolo lì, c’è la nascita dell’io consapevole, dell’io che prende coscienza
di quello che egli è. Cioè, sostanzialmente il nostro io è fatto in coppia con
Dio; noi non siamo soli, noi siamo uniti a Dio. Dio ci ha creati uniti a Sé; e
tutta la psicologia umana è determinata dalla presenza di questo Assoluto che
portiamo in noi e da cui non ci possiamo disunire; a costo di andare
all’inferno noi non ci possiamo disunire, perché l’essere uniti a Dio è opera
di Dio, e l’opera di Dio è superiore a noi. Noi non possiamo smentire la
Verità; possiamo non conoscerla, ma non possiamo smentirla. Quindi tutti i
problemi dell’uomo si risolvono trovando il modo per stabilire questa armonia
con Colui che portiamo in noi, cioè stabilendo questo accordo.
Pinuccia B.: Stabilendo
questa armonia si nasce da Lui?
Luigi: Certo.
Pinuccia B.: Ma
è Lui che ci fa nascere?!
Luigi: Certo, perché Dio è la Causa di tutto, ed essendo Causa
di tutto, si entra nel Regno di Dio (entrare nel Regno di Dio vuol dire
prendere consapevolezza della Verità delle cose, e la Verità è che tutto è
opera di Dio, quindi vuol dire entrare in quel Regno in cui Dio crea tutte
cose), proprio in quanto si dipende da Dio. Se ci fosse qualche cosa che
dipendesse da noi, questo impedirebbe a noi di arrivare a Lui; cioè fintanto
che c’è questo qualche cosa che dipende da noi, questo impedisce a noi di
entrare nel Regno di Dio. È per questo che noi siamo impediti e non vediamo il
Regno di Dio: noi vediamo gli effetti, ma non vediamo il Regno di Dio, cioè non
vediamo Dio che regna, cioè che crea tutte le cose.
Pinuccia B.: Non
vediamo il Regno di Dio perché non vediamo la Causa…
Luigi: …o meglio: non vediamo il Regno di Dio perché non
nasciamo dalla Causa.
Pinuccia B.: Quindi
nascere dalla Causa vuol dire prendere consapevolezza che siamo un effetto di
questa Causa, che siamo un pensato.
Luigi: Certo, però questa consapevolezza noi da soli non
possiamo prenderla, perché si entra nel Regno di Dio ascoltando, ricevendo.
Altrimenti sarebbe sempre effetto nostro: “Sono io che penso, sono io che
voglio, sono io che faccio, sono io che prendo coscienza…”. Invece nel Regno di
Dio si entra in quanto si ascolta, quindi: “Sono io che sono stato condotto a
prendere coscienza”. È soltanto ascoltando un Altro che noi entriamo nel mondo
dell’Altro. Ora, quest’Altro è soltanto Dio che parla con noi; quindi è
soltanto ascoltando Dio che parla a noi (ecco il Verbo!) che noi entriamo nel
suo Regno. Quindi è il Verbo che è con noi e parla a noi che dà a noi la
possibilità di entrare nella sua Verità. Quindi non è parlando noi che entriamo
nella Verità di Dio, non è pensando noi che entriamo nella Verità di Dio, ma è
ascoltando Lui. Per cui la vera
preghiera, quella che ci introduce nel Regno di Dio, è essenzialmente ascolto,
e per fare ascolto bisogna far tacere tutto di noi; facendo tacere tutto di
noi, facendo silenzio di tutto abbiamo la nascita nuova.
“Metti a tacere tutti i tuoi problemi, tutte
le tue questioni, tutti i tuoi argomenti, tutta la tua società, tutto il tuo
mondo, e ascolta”. Ecco, mettendo a tacere tutto, ti metti in condizione di
ascolto, di ricezione, e sei nel rapporto giusto, perché Colui che parla in
tutto è Dio. È Dio il Creatore; la creazione di Dio è un parlare di Dio. Quindi
Colui che parla è Dio, noi siamo essenzialmente ascolto.
Allora, se tu sei ascolto, resta ascolto, cioè
fa silenzio di tutto e mantieniti in ascolto; mantenendoti in ascolto ricevi,
però quello che ricevi, proprio perché lo ricevi, è dono dell’Altro, quindi
dipendi dall’Altro, sei in un rapporto di dipendenza. Ecco, così hai un
rapporto giusto; quando invece sei tu che parli, sei tu che pensi, il rapporto
non è giusto, perché sei tu il principio, sei tu che hai l’iniziativa. E se ti
consideri il principio, sei fuori.
Quindi si entra nel Regno di Dio
ascoltando.
Ora, Cristo è il Verbo di Dio, quindi Colui
che parla; allora ascoltando Cristo
quindi credendo in Lui (credere vuol dire ascoltare: chi crede, ascolta; e
ascoltare vuol dire amare, perché chi ascolta ama: l’ascolto è sempre un atto
d’amore perché è un affidarsi all’Altro), siamo nel rapporto giusto, rapporto
di creatura con il Creatore, rapporto di discepolo con il Maestro. Allora da
questo rapporto giusto possiamo aspettarci la conoscenza. Invece fintanto che
in noi c’è un rapporto ingiusto, navighiamo nella confusione, nei dubbi, nelle
incertezze, nelle inquietudini, che sono tutte espressioni di un rapporto
ingiusto. Infatti le ansie, le tristezze, le inquietudini che portiamo in noi
sono una conseguenza di un rapporto ingiusto tra noi e quell’Assoluto che
portiamo in noi.
Ora, fintanto che in noi non si stabilisce
questo rapporto giusto, in noi c’è inquietudine. È come se noi convivessimo in
un alloggio con una persona che vogliamo ignorare, che non sopportiamo:
naturalmente tutto questo crea
inquietudini nella nostra casa, perché ci troviamo con una persona con
cui non siamo in armonia. Ora, noi siamo una casa, e in questa c’è Dio; e
fintanto che non stabiliamo un rapporto giusto di armonia con Dio, portiamo in
noi come effetto (non essendo noi capaci a diagnosticare il male) questa
tristezza, questa inquietudine che è data da questa disarmonia.
Cristo, essendo Figlio di Dio, se noi Lo
ascoltiamo, ci riporta in questa armonia. Poco per volta, ascoltandolo, Lui
annulla tutti i valori sbagliati che portiamo con noi. Infatti Lo vediamo
subito con il discorso della Montagna: “Beati i poveri, beati coloro che
piangono, beati i puri di cuore” (Mt 5,1 ss), che è proprio un
capovolgimento di tutti quei valori che ci disturbano e che creano in noi
questa inquietudine. Ecco, Cristo riportando i valori al loro posto, poco per volta ci riporta in questa pace, in
questa armonia con Dio, da cui poi
scaturisce la Luce, la conoscenza.
Pinuccia B.: Quindi
la nascita.
Luigi: Certo.
Tiziana: In che rapporto è il mio io con il Pensiero di Dio, il
Verbo di Dio, quando sono condotta da Dio a scoprirlo in me?
Luigi: Il Verbo di Dio è unico Pensiero di Dio. Noi non siamo
pensiero di Dio; noi possiamo pensare Dio, ma non siamo pensiero di Dio. Invece
il Pensiero di Dio è Pensiero di Dio. Cioè noi possiamo pensare l’albero,
possiamo pensare la creazione, possiamo pensare le cose, possiamo pensare noi
stessi, quindi non siamo pensiero di Dio; invece il Pensiero di Dio pensa solo
Dio, è Figlio del Padre in tutto; quindi in tutto nasce dal Padre e in tutto
riporta al Padre, in tutto glorifica il Padre. Noi invece siamo un’instabilità;
però possiamo aderire, abbiamo la possibilità di aderire al Pensiero di Dio:
infatti quando pensiamo Dio non siamo noi che pensiamo Dio, perché noi non
siamo pensiero di Dio, ma siamo noi che ci uniamo al Pensiero di Dio che
portiamo in noi. Se il Pensiero di Dio non fosse in noi, non potremmo pensare
Dio (l’animale che non ha il Pensiero di Dio in sé, non può pensare Dio);
evidentemente se possiamo pensare Dio è perché abbiamo in noi il Pensiero di
Dio; però non siamo pensiero di Dio, perché fossimo pensiero di Dio penseremmo
sempre e soltanto Dio, e riporteremmo tutto a Dio. Invece noi abbiamo solo la
possibilità di unirci al Pensiero di Dio. Ecco, il nostro io è questa
possibilità di unirsi al Pensiero di Dio; però non è necessariamente unione al Pensiero
di Dio, perché può disunirsi.
Tiziana: Però quando si verifica questa unione diventa pensiero
di Dio…?
Luigi: …Sì, forma una cosa sola col Pensiero di Dio. Però,
fintanto che non nasce da Dio è un’unione transitoria; per cui possiamo unirci
al Pensiero di Dio e possiamo separarci dal Pensiero di Dio. Anzi, se restiamo
uniti al Pensiero di Dio, il Pensiero di Dio ci conduce a nascere come Lui
nasce dal Padre; e allora si diventa stabili. Si diventa stabili in quanto si
nasce da-, infatti in paradiso non si può più peccare; “affinché dove sono
Io siate anche voi” (Gv 14,3), dice Gesù. Cristo parla affinché facciamo
tutti una cosa sola: “affinché siano una cosa sola come Tu, Padre, sei con
Me ed Io con Te” (Gv 17,21); quindi c’è questa unione, c’è questo destino a
cui è chiamato ogni uomo, che è il formare una cosa sola con Dio.
Ora, Cristo stesso dicendo: “Io sono la
vite e voi i tralci” (Gv 15,5), rivela ciò che effettivamente noi siamo,
e ci fa capire che anche se siamo tralci
non necessariamente siamo uniti alla vite, cioè possiamo disunirci. Infatti
fossimo sempre stabilmente uniti alla Vite noi penseremmo unicamente a Dio come
il Figlio di Dio pensa al Padre, e quindi riferiremmo tutto a Dio e saremmo
figli di Dio. Invece noi facciamo l’errore: riferiamo cioè le cose agli uomini,
riferiamo le cose alla società, riferiamo le cose alla natura, riferiamo le
cose al caso, alla materia, e non riferiamo tutto a Dio. Ecco, questo ci rivela
che noi siamo tralci uniti alla vite, ma possiamo disunirci; quindi noi abbiamo
la possibilità di pensare Dio, ma quando pensiamo Dio, non siamo noi che
pensiamo Dio.
Noi abbiamo la possibilità di unirci al
Pensiero di Dio; direi che il nostro pensiero è la capacità di unirsi al
Pensiero di Dio; ma questo non è automatico, non è una cosa automatica. Il
pensare Dio è elezione, quindi c’è scelta; per cui la vita vera è un processo
d’amore, un processo di scelta.
Adesso tutto il problema sta nell’imparare a
restare nel Pensiero di Dio, perché solo restando si diventa figli. Ma cosa bisogna fare per restare?
Si rimane in quanto si ascolta, perché non si
nasce per opera nostra, ma si nasce perché Dio parla a noi; parlando a noi dà a
noi la possibilità. È come quando una persona parla a te: parlando ti dà la
possibilità di ascoltarla fino ad arrivare al suo pensiero.
Ecco, noi abbiamo la possibilità di ascoltare
Dio, ma abbiamo anche la possibilità di interrompere l’ascolto a metà del
discorso, e di non arrivare a trovare il Pensiero. Quindi ci vuole quella
permanenza fino a quel punto da arrivare a capire il Pensiero dell’Altro.
Dio in tutto ci sta facendo, cioè sta operando
per formare in noi il suo Pensiero, cioè suo Figlio, quindi per generare in noi
il suo Verbo e farci nascere in tal modo come suoi figli. Allora possiamo dire
che tutta la creazione, tutta la nostra vita è Dio che sta parlando con noi per
generare in noi il suo Pensiero. Però è richiesta da parte nostra quella
permanenza nell’ascolto; ma per poter ascoltare è necessario il silenzio di
tutto di noi. Quindi bisogna che noi permaniamo in questo ascolto, e permaniamo
quel tanto fino ad arrivare alla conclusione, cioè fino ad arrivare al Pensiero
dell’Altro. Infatti se noi appena sentiamo una parola di uno, ce ne andiamo via
subito, certamente non arriviamo alla conclusione di quello che l’Altro ci
vuole dire. Per cui il Signore dice: “Fermatevi…!”; se invece noi non
abbiamo tempo, non ci fermiamo, non possiamo arrivare alla conclusione del
discorso.
La conclusione del discorso che Dio fa ad
ognuno di noi è la manifestazione del suo Pensiero in noi.
Tiziana: Solo quando attribuisco un fatto a Dio, quindi cerco in
Dio il significato, ascolto Dio?
Luigi: Certo, per questo dico che l’ascolto non è soltanto
ascolto, ma è cercare di capire, di arrivare a capire, quindi l’ascolto è
dedizione di pensiero. Per cui si ascolta veramente non soltanto quando si
mette a tacere tutto, ma in quanto si dedica il proprio pensiero a quello che
l’Altro ci sta comunicando, per arrivare a capire il Pensiero dell’Altro.
Tiziana: Si entra nel Pensiero di Dio quando riusciamo a rimanere
nell’ascolto fintanto che Dio ci rivela il Suo Pensiero, o già nell’atto di
aderire?
Luigi: Nell’adesione c’è già il suo Pensiero, però tu non lo
sai; perché Dio è già con noi, Dio non si sposta. Non sono Dio o il suo
Pensiero che si spostano. Dio è già in noi, e parlando a noi ci conduce a
prendere coscienza del Pensiero di Dio, oggettivo, che già portiamo in noi. Noi
portiamo Dio in noi; siamo in coppia.
Noi non siamo mai soli; noi siamo fatti di Dio
e del pensiero del nostro io: siamo costituiti da questi due termini. Quindi
Dio è già in noi, solo che noi siamo disturbati da tutti i nostri prodotti, da
tutte le cose che diciamo senza tener conto di Lui, senza riceverle da Dio, cioè
da tutte le parole autonome che diciamo noi. Ecco, tutte queste cose che noi
diciamo di iniziativa nostra, autonomamente, ci disturbano nell’ascolto, anzi
ce lo impediscono. E impedire l’ascolto vuol dire impedire a noi di prendere
consapevolezza di quello che portiamo in noi, di quello che è presente in noi.
Allora, il Verbo di Dio parlando a noi,
entrando in questo mondo di confusione, di rumore che portiamo con noi, poco
per volta ricostruisce questa situazione di silenzio, di ascolto tale da
condurci a prendere consapevolezza di quello che è già presente in noi. Quindi,
quando il Signore dice: “Noi verremo e faremo abitazione…” (Gv 14,23),
non è che le Persone Divine si spostino dal Cielo per venire a noi, ma è un
linguaggio parabolico, è parabola detta per noi; Egli dice “noi verremo”
in quanto siamo condotti a prendere coscienza di quello che già portiamo in
noi. Dio è già in noi. Tutti i nostri mali sono dovuti al fatto che noi
portiamo in noi un Essere che ignoriamo,
e di qui tutte le conseguenze.
Tiziana: Hai detto che l’opera che il Verbo di Dio fa consiste
nell’eliminare tutti gli elementi di disturbo; ma eliminare nel senso che li
toglie o nel senso che poco per volta li introduce nel Pensiero di Dio? Cioè li
elimina o ce li fa vedere in Dio?
Luigi: Il Verbo di Dio ci fa vedere ogni cosa in Dio. Ad
esempio: come giustifichiamo la nostra vita? Dicendo: “Questo mi è necessario,
questo è importante, questo lo debbo fare, questo è un mio dovere; ho la
moglie, ho i figli, ho i buoi, ho i campi, ecc.”.
Il Cristo come
elimina queste nostre giustificazioni?
Dicendo: “No!
lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Lc 9,60), “non
voltarti indietro” (cf Lc 9,62), “vieni dietro di Me” (Lc 9,59).
Ecco, sfronda, toglie, dicendo: “Questo non è necessario”; infatti di fronte a
Marta che gli dice: “Dì a mia sorella che mi dia una mano perché sto
faticando”, Egli risponde: “No, una cosa sola è necessaria, Maria ha
scelto la parte migliore; è lei che lavora più di te, sei tu che devi aiutare
lei” (cf Lc 10,42).
Cristo capovolge tutti i termini: noi diciamo:
“Il denaro è necessario”, Cristo dice: “No! Beati i poveri, perché di questi
sarà il Regno dei Cieli” (Mt 5,1); “Fintanto che tu sei ricco, sei fuori
dimensione, ritorna povero ed entrerai nel Regno di Dio”. Quindi Cristo toglie
tutti gli elementi di disturbo che si sono creati in noi e che sono quei valori
che noi abbiamo fatto nostri o perché lo dice la società o perché in essi ci
credono tutti o perché lo esperimentiamo nella nostra ignoranza (magari tocchiamo
con mano che senza denaro non si fa niente); per cui vivendo per il mondo iniziamo a dire: “Questo
è importante, questo è necessario” e incominciamo a vivere per queste cose,
cioè incominciamo a vivere per le creature. Invece, no!
Le creature sono per farti vivere, ma non
devono essere lo scopo della tua vita. Dio deve essere lo scopo della tua vita.
Tu sei stato creato per Dio, per conoscere Dio, non sei stato creato per le
creature. Le creature sono un mezzo, quindi sono a servizio tuo; tu non devi
farle scopo. Allora il Cristo, venendo tra noi, annulla tutti i nostri valori e
ci riporta la situazione dei valori esatti, dei rapporti giusti.
Noi ci impediamo la conoscenza della Verità
proprio a causa di questi valori di disturbo che portiamo con noi; infatti sono
questi ad impedirci l’ascolto della Verità stessa. E questo perché non abbiamo
mai tempo: “Io ho i buoi, io ho i campi, io ho la moglie, non posso venire”
(Lc 14,18-20). E alla domanda: “Come mai non hai tempo per il tuo Signore?”, si
risponde: “Perché questo è importante”. Ecco l’elemento di disturbo!
E allora il Signore dice: “No! Fintanto che
tu hai questi valori, non puoi assaggiare la mia cena”. (Lc 14,24). Quindi
Cristo parlando ci fa capire che questi sono valori che hanno come centro il
pensiero del nostro io e in quanto hanno
come centro il pensiero del nostro io, sono valori errati, perché i valori
giusti sono quelli che hanno per centro il Pensiero di Dio. Quindi: “Non preoccuparti
del mangiare e del vestire, ma cerca prima di tutto il Regno di Dio”: ecco il rapporto giusto! Non preoccuparti:
Dio mantiene gli uccelli dell’aria, Dio riveste i gigli dei campi… quindi
quanto più avrà cura di te! Cerca allora prima di tutto il Regno di Dio, perché
sei stato creato per questo! Leggiamo nel
Vangelo di Matteo:
“Perciò vi dico: per la vostra vita non
affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo,
di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più
del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né
ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi
forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora
sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come
crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che
neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se
Dio veste così l’erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno,
non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo:
Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste
cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete
bisogno. Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte
queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani,
perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua
pena.” (Mt 6,25-34).
Siamo stati creati per cercare il Regno di
Dio; e se noi cercassimo il Regno di Dio, ci accorgeremmo che tutte le cose
incomincerebbero ad andare al loro posto; e ogni cosa ci servirebbe senza che
ci manchi alcunché. Infatti sempre Gesù, il Verbo fatto carne, dice che ci “sarà
dato in sovrappiù”: è Parola di Dio! Penso che dobbiamo fidarci, perché Dio
è il Creatore dell’universo; quindi dovremmo fidarci più di Lui che di noi.
Quindi non diciamo: “Se non mi do da fare, come faccio a mangiare?”. Il
Creatore dell’universo è un Altro; quindi con tutto il tuo darti da fare cosa
concludi?
È necessario stabilire al più presto questo
rapporto di giustizia: riconoscere che Dio è il Creatore di tutto. È la
condizione basilare per iniziare quel cammino che ci porterà alla nascita da
Dio.
Nino: Diventano figli di Dio quelli che L’accolgono e credono
nel suo nome.
Luigi: È Dio che dà il potere.
Nino: “I quali non da sangue, né da volere di carne, né da
volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”, quindi bisogna essere
consapevoli. Senza la consapevolezza non si arriva a questa nascita.
Luigi: Ma la consapevolezza viene a noi dalla presenza di Dio,
quindi dalla conoscenza di Dio. Cristo infatti parlando porta noi a conoscere
il Padre.
Nino: Finché noi non abbiamo questa consapevolezza non
possiamo diventare figli di Dio.
Luigi: Certo, i figli di Dio sono figli consapevoli. Non si
nasce per atto magico, non si nasce meccanicamente, automaticamente, ma si
nasce per consapevolezza, quindi per conoscenza. I figli di Dio sono figli
consapevoli, quindi conoscono. Fintanto che non siamo figli di Dio, noi non
conosciamo; infatti la caratteristica nostra è essere nel mistero, nel non
conoscere.
Nino: Anche se si è ancora nel campo della fede; anche se
questo è solo creduto, è solo convinzione, perché non si ha la prova
sperimentale…
Luigi: Quando arriverai a essere figlio di Dio avrai però la
prova sperimentale. Adesso credi, ma un giorno vedrai ciò a cui hai creduto. La
Parola di Dio quando arriva a te, arriva già con una certa garanzia, la
garanzia della Verità e ti fa dire: “È vero”. Infatti, quando il Signore dice: “Non
preoccuparti del mangiare e del vestire, ma cerca prima di tutto il Regno di
Dio” , tu devi riconoscere che è vero, che è giusto. Perché se Dio è il
Creatore, Lui può provvedere per tutti, purché tu Lo cerchi.
Cristo ci fa capire che le cose ci vengono a
mancare, cioè diventano nemiche, ostili, proprio in quanto noi non cerchiamo
prima di tutto quello che dobbiamo cercare. Allora, allontanandoci da Dio tutta
la creazione attorno a noi incomincia a diventare nemica e ci fa tribolare.
Infatti in conseguenza del peccato originale tutta la terra è stata maledetta
(Gen 3,17); e questo per dire che incomincia a farci tribolare. Non è che Dio
abbia creato la tribolazione attorno a noi, ma la tribolazione è la proiezione
di un rapporto sbagliato che si è verificato tra noi e Dio. Perché quanto più
noi siamo vicini a Dio, tanto più troviamo la pace. Ma trovare la pace vuol
dire che anche tutto ciò che c’è intorno a noi è in pace, quindi che tutto
serve. Naturalmente, se il rapporto tra noi e Dio è sbagliato, anche tutta la
creazione si ribella a noi, ci diventa nemica; quindi ci fa sperimentare che
non siamo a posto con Lui. E come ce lo fa sperimentare? Attraverso queste
inquietudini; per cui non ci serve più, e allora incominciamo a trovare i
semafori rossi ad ogni angolo di strada. Ecco, nella lontananza da Dio tutte le
cose ci fermano, ci arrestano. E incominciamo a dire: ‘sta strada è fatta male.
No! sei tu che sei fatto male nei riguardi di Dio!
Quindi il problema non è quello di modificare
il mondo, cioè il problema non si risolve scendendo dalla macchina per cambiare
il semaforo; ma il problema è quello di modificare il nostro rapporto con Dio.
Se tu modifichi il tuo rapporto con Dio ti accorgerai che tutti i semafori
diventano verdi, e le cose incominciano a lasciarti passare.
Ecco, il problema vero è capire bene che tutto
il mondo esterno è una proiezione del rapporto interno tra la nostra anima e
Dio; cioè è il “di dentro del
bicchiere”(Mt 23,26) che va lavato, non il di fuori. Il “di fuori” è questo mondo esterno. Noi ci diamo tanto da fare per cercare di
pulire il mondo esterno, e allora diciamo:
“Il mondo è fatto male, cambiamo la società, cambiamo il mondo, cambiamo
gli uomini, cambiamo le strutture”; ma così facendo puliamo solo l’esterno del
bicchiere, senza accorgerci che questo sporco che si vede attorno a noi, fuori,
è una conseguenza del rapporto sbagliato che c’è tra la nostra anima e Dio.
Modifica il tuo rapporto tra la tua anima e
Dio, ti accorgerai che il “di fuori” diventa pulito! Cercando di pulire
l’esterno, si lotta contro Dio;
evidentemente la lotta è persa già in partenza, perché il “fuori” è Dio che sta
parlando a te la situazione sbagliata che porti dentro di te nei suoi riguardi;
Dio ti parla proprio presentandoti un mondo non fatto alla tua misura, proprio
perché tu non sei nel rapporto giusto con Dio. Allora modifica il tuo rapporto
con Dio e ti accorgerai che le cose poco per volta cambieranno; e constaterai
quello che il Signore dice: “Cerca prima di tutto il Regno di Dio, tutto il
resto ti sarà dato in sovrappiù”. Quel “tutto il resto ti sarà dato”
vuol poi dire che ti sarà tolto tutto
quello che ti affanna: ti sarà tolto come affanno.
Questo giusto rapporto con Dio è la prima
condizione per essere condotti a diventare figli di Dio.
Pinuccia B.: A
quelli che accolgono il Verbo, Dio dà la possibilità di diventare figli, cioè
di nascere; cioè il Verbo incarnato ci dà la possibilità di nascere da Dio.
Luigi: Ed è solo una possibilità, perché ancora non siamo nati.
Senza il Verbo invece non si ha la possibilità. Lui ci dà la possibilità, ma
non è Lui che ci fa nascere;
Pinuccia B.: infatti
in questo versetto 13 dice: “da Dio sono nati”, cioè non dal Verbo
incarnato, ma si nasce dal Padre…
Luigi: …per mezzo del Verbo incarnato, perché senza il Verbo
incarnato non si nasce dal Padre.
Pinuccia B.: Cioè,
il Verbo incarnato ci porta a conoscere il Padre. Ma non è il Padre che rivela
Se stesso?
Luigi: Certo, ogni luce viene dal Padre, però sempre per mezzo
del Figlio; infatti tu non puoi arrivare al Padre se non per mezzo del Figlio
(Gv 14,6), cioè per mezzo del Cristo, il Verbo fatto carne.
Pinuccia B.: E
si nasce nel momento che conosciamo il Padre o quando il Padre genera in noi il
suo Figlio?
Luigi: Si nasce da Dio quando il Padre genera in noi suo
Figlio.
Pinuccia B.: È
istantaneo, conoscere il Padre e la generazione del Figlio in noi?
Luigi: No, non è istantaneo.
Pinuccia B.: Allora
ci sono due momenti: la conoscenza del Padre e poi il Padre che genera in noi
il suo Verbo? Pensavo che come si conosce il Padre ci fosse la generazione del
Figlio.
Luigi: Comunque l’importante è che attraverso il Cristo
giungiamo a conoscere il Padre, perché la nascita viene dal Padre. Cristo è il Verbo di Dio incarnato che viene
a parlare a noi nella situazione in cui ci troviamo. Però non va inteso solo come Verbo di Dio che parla in tutto (perché Dio
parla in tutto e parla sempre: tutta la
creazione è nel Verbo di Dio; già nei primi versetti abbiamo visto che “tutto
è stato fatto per mezzo di Lui” (Gv 1,3), il che vuol dire che tutta la
creazione è nel Pensiero di Dio; quindi l’anima di tutte le cose, di tutti i
fatti, di tutta la storia, di tutte le creature, tutto quanto è il Pensiero di
Dio; tutto è fatto nel Pensiero di Dio e per il Pensiero di Dio; quindi tutta
la creazione parla a noi di Dio), ma va
inteso come Verbo incarnato, perché noi siamo disturbati in questo da tutto
quello che abbiamo prodotto nel pensiero dell’io, per cui noi non facciamo
altro che proiettare attorno a noi il pensiero del nostro io, e allora
attribuiamo agli uomini tanti io, come se fossero tanti piccoli dèi, come se
fossero tutti esseri autonomi; e arriviamo a dire: “È l’uomo che fa questo, è
l’uomo che fa quell’altro; è l’animale che fa quello, ecc.”, cioè consideriamo
autonome tutte le creature e pensiamo che agiscono di propria iniziativa, ecc.
Ora, tutta questa dispersione attorno a noi è
una dispersione di “verbi”, ed è una conseguenza del nostro io che non
raccoglie più in Dio: non unifica! per cui il nostro io praticamente è una
moltiplicazione di tante entità attorno a noi. Perciò, a causa di questo, noi
non vediamo più la creazione come segno di un unico Essere che parla con noi, a
noi. In questa situazione non vediamo più il Dio che parla, ma vediamo soltanto
più le creature che operano, gli uomini che fanno, gli uomini che decidono. Infatti
noi aprendo i giornali vediamo che tutta la storia è tutta opera di uomini:
uomini che decidono questo, uomini che fanno quell’altro; e non si vede l’uomo
come segno di Dio, non si vede la mano di Dio. Per il mondo non è Dio che
opera: il mondo non scopre il Divino che c’è nelle cose e nei fatti.
Quindi con l’io al centro in noi viene meno
quel senso di unificazione, di riporto tutto a Dio. Mentre invece la vita con
Dio è sempre questo vedere in tutto la mano di Dio, cioè vedere che tutto è
opera di Dio, e tutto riportare a Dio; quindi la vita con Dio è questo bisogno
di unificare.
Nel
pensiero del nostro io quindi noi disperdiamo, e questo perché non colleghiamo
più con l’Unità, col Creatore. Allora, in conseguenza di questo noi siamo
terribilmente disturbati nell’ascolto, siamo impossibilitati.
Allora il Cristo è il Verbo di Dio che viene
in questo nostro mondo di dispersione a parlare nella situazione di confusione
in cui noi ci troviamo; e Lui interviene in ogni nostro errore dicendo: “No,
guarda che lì tu hai sbagliato, la Verità è questa”. Però dicendoci: “la Verità
è questa”, ce lo dice con un termine tale (perché ce lo dice in rapporto
diretto con Dio), per cui non possiamo smentirlo, e diciamo: “Hai ragione! non
sono capace, non me la sento, però non posso darti torto”. E se crediamo in
Lui, cioè se ascoltiamo, se riconosciamo dicendo: “È vero” , allora ci
impegniamo a seguirlo, e poco per volta Lui ci ricupera annullandoci tutti quei
valori sbagliati, di disturbo che portiamo in noi, fino a condurci a quella
capacità, a quella possibilità di diventare figli di Dio.
Il lavoro del Cristo consiste nel condurci a
quella limpidezza di occhio tale da poter vedere di nuovo Colui che è presente
in noi e che noi non eravamo più capaci di vedere; quindi Cristo ci porta a
prendere consapevolezza della presenza oggettiva del Pensiero di Dio in noi,
indipendente da noi che è poi il passaggio obbligato per giungere a conoscere
il Padre. Lì scopriamo che non siamo noi che pensiamo Dio, ma è Dio che si fa
pensare, mentre invece noi nel pensiero dell’io diciamo: “Sono io che penso
Dio, quindi Dio è una creazione mia”, oppure: “Dio è un’astrazione degli
uomini”. E allora, naturalmente in questo dubbio l’uomo non è più capace di
volere, non ha più la forza in sé e resta in balìa di tutti gli eventi, di
tutte le cose che gli accadono attorno, tutte le impressioni, ecc.; e in questa
condizione è solamente una creatura
schiava.
Ora invece il Cristo parlando, se trova fede e
ascolto, conduce noi poco per volta a
quella limpidezza di sguardo, a quella semplicità fino a prendere
consapevolezza, e a dire: “Sì, effettivamente Dio è presente in me anche senza
di me; quindi non dipende da me”. Ma allora, scoprendo la presenza oggettiva in
noi del Pensiero di Dio, noi abbiamo trovato una grande cosa: abbiamo trovato
un punto oggettivo su cui far leva. Mentre invece prima era tutto macchiato dal
pensiero dell’io, da questo soggettivismo! Ma noi moriamo in questo
soggettivismo, perché può diventare un dubbio eterno; per cui Dio non Lo
possiamo smentire, ma nello stesso tempo ci resta il dubbio: “Forse sono io che
penso Dio; ma non posso nemmeno convincermi che sia così, né annullare questo
pensiero perché tutte le creature non dipendono da me, quindi non sono io che
le faccio; ma se non sono io che le faccio, Dio invece sono io che Lo faccio?”,
e allora portiamo un dubbio eterno. Nel
pensiero dell’io non possiamo superarlo.
Pinuccia B.: Una
prova della presenza oggettiva del Pensiero di Dio in noi che non dipende da
noi è anche l’incapacità di pensare a Dio quando lo vogliamo noi?
Luigi: Certo, l’abbiamo già visto alla domenica nel cap. 7°:
l’impotenza è proprio uno degli elementi che ci portano a scoprire
l’oggettività di questo Pensiero di Dio in noi.
Pinuccia B.: L’impotenza
di conoscerlo, di andare dove Lui è, sì. Ma anche l’impotenza di pensarlo?
Luigi: Non è che in noi ci sia questa impotenza di pensarlo.
Non è che noi non siamo capaci di pensare Dio; cioè noi pensiamo Dio comunque,
anche il demonio pensa Dio, non possiamo non pensare Dio perché Dio si fa
pensare indipendentemente da noi (Dio è l’Essere che nessuno può ignorare).
Però noi esperimentiamo l’impotenza di fermarci a pensare, cioè l’impotenza di
riposare in questo Pensiero, di aver pace, esperimentiamo l’impotenza di
comprendere, di conoscere. La situazione di impotenza testimonia appunto che le
cose non dipendono da noi; questa capacità di restare, e quindi di nascere da-,
non dipende da noi. Infatti qui ci vien detto: “I figli di Dio non da sangue
né da volere carnale, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati” .
Sabato 04.03.1989
Gv 1,13:
“I quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo,
ma da Dio sono nati”.
Nino: Qui afferma la paternità di Dio: siamo sue creature.
Luigi: Qui però parla dei figli di Dio, i quali nascono non da
sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio. Tutti siamo
creature di Dio, ma non tutti diventiamo figli di Dio, anche se tutti siamo
chiamati a diventarlo.
Delfina: Siamo stati generati da Dio, perché siamo sempre stati
nel suo Pensiero, quindi nati dal suo Pensiero.
Luigi: No, qui non parla di tutti. Qui dice come nascono i
figli di Dio: “non da sangue, né da
volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati”. I figli di Dio
sono quelli che credono nel suo nome, perché “a quanti credono nel suo nome,
(Lui) dà il potere di diventare…”, quindi non è detto che lo diventiamo.
Cristo dà il potere, a quanti credono in Lui, di diventare figli di Dio; i
quali non nascono né da volere di carne, né da volere di uomo, né da volere di
sangue, ma nascono da Dio.
Delfina: Ma siamo stati tutti nel Pensiero di Dio, siamo stati
tutti pensati da Lui, vero?
Luigi: Sì, ma noi possiamo diventare dei demoni; qui dice che i
figli di Dio sono coloro che credendo nel Figlio di Dio, cioè credendo in
Cristo, diventano figli di Dio. Cioè si diventa figli di Dio per mezzo di
Cristo, se si crede in Lui. È Lui che ci dà la possibilità di diventare figli
di Dio, perché è Lui che ci porta a
nascere da Dio. Noi nasciamo dalla carne e, nati dalla carne, apparteniamo alla
terra, e in quanto apparteniamo alla terra Gesù ci dice: “Non potete venire
dove Io sono” (cf Gv 7,34): “Voi siete di quaggiù, Io sono di Lassù” (Gv
8,23). Chiuso! E questo lo dice a tutti. Invece a quanti credono in Lui Egli dà
la possibilità di nascere “di lassù” (quindi c’è questo passaggio dal “quaggiù”
al “lassù”), cioè di nascere da Dio.
Delfina: Ci porta alla conoscenza di Dio.
Luigi: Certo, perché si nasce dalla conoscenza di Dio, e quindi
non per volontà di uomo, né per impegno, né per sacrifici, né per rinunce,
perché attraverso queste cose siamo sempre quaggiù. Invece credendo in Cristo,
Lui ci conduce alla conoscenza del Padre, e dal Padre allora c’è questa nascita
dei figli di Dio. Ecco, i figli di Dio nascono da Dio, ma per opera del Cristo;
quindi non è che noi siamo nati già figli di Dio, no! Noi siamo vocati a
diventare figli di Dio. Dio ci chiama a diventare suoi figli per mezzo di suo
Figlio, se però crediamo in Lui. Ma se non crediamo in Lui, noi siamo di “quaggiù”,
e Lui ci dice: “Dove Io sono voi non potete venire” . Evidentemente Egli
non direbbe: “Dove Io sono voi non potete venire” a dei figli di Dio, ma
lo dice a delle creature che sono chiamate da Dio a diventare figli di Dio;
però non è detto che lo diventino.
Delfina: Allora c’è differenza tra creature di Dio e figli di
Dio?!
Luigi: Eccome! Tutti gli uomini sono creature vocate, chiamate
da Dio a diventare suoi figli, “se…”; quindi c’è sempre questo patto di
alleanza: “se…”, cioè se corrispondiamo, lo diventiamo.
Dobbiamo capire che con i nostri sforzi non
possiamo fare niente; se però invece crediamo a Cristo, seguiamo Cristo, Lui ci
conduce a quella conoscenza da cui si nasce figli di Dio. I figli di Dio
nascono da Dio, ma nascono per partecipazione consapevole, non nascono
automaticamente. Ecco perché non si nasce da carne; qui noi nasciamo
automaticamente, non sappiamo come; invece da Dio si nasce con partecipazione
consapevole, perché i figli di Dio nascono consapevolmente da Dio, quindi con
conoscenza; quando uno è consapevole conosce. Quindi è attraverso la conoscenza
che si nasce figli di Dio; non si nasce da Dio automaticamente in virtù di
qualche cosa: “Tocca questo e diventerai figlio di Dio!”. No! Tu tocchi questo
e non nasci figlio di Dio! Non è toccando qualcosa che si entra nella Luce.
Amalia: La condizione per essere generati figli è Maria, la
quale dice: “Non conosco uomo”.
Luigi: Certo; però non basta “non conoscere uomo”, sia
chiaro! Perché uno può anche non conoscere niente del mondo o rinnegare se
stesso, ma non è detto che con questo si nasca da Dio, perché se così fosse, la
nascita da Dio sarebbe affidata alla nostra volontà. No, non è affidata alla
nostra volontà. Certo, è necessario il
superamento del nostro io, perché altrimenti non si può seguire Cristo, però si
nasce per opera di Dio.
Ora, siccome i figli di Dio nascono
consapevolmente, si nasce attraverso la conoscenza; e chi ci condurrà
attraverso la conoscenza? Ecco, soltanto Chi già conosce, perché “Nessuno
può salire in Alto se non Colui che discende dall’Alto”. Ma chi è che
discende dall’Alto?
È il Figlio di Dio che è nel Padre che è in
Alto. Quindi noi nasciamo figli di Dio in quanto c’è Uno che dall’Alto discende
a noi; e se noi crediamo in Lui, Lui ci conduce in Alto a nascere dall’Alto, a
fare quindi “una cosa sola” (Gv17,22) con Lui. Ma il mondo queste cose
non le può capire e non le capisce; e tutti coloro che appartengono al mondo
non possono partecipare a questo. Infatti Gesù dice: “Io non prego per il
mondo, ma prego per quelli che tu hai
dato a Me” (Gv 17,9). Ecco, è attraverso di Lui che si diventa figli di
Dio. Altrimenti non si diventa figli di Dio.
Giovanna: “A quelli che credono nel suo nome…”: però non
basta credere per nascere da Dio, perché ci vuole la nostra partecipazione.
Luigi: Ma credere è partecipare; credere non significa dire:
“Io credo”, sia chiaro! Credere vuol dire impegnarsi a capire ciò che l’Altro
ci propone. Quindi se l’Altro mi dice: “Non preoccuparti del mangiare e del
vestire, ma cerca prima di tutto il Regno di Dio”, se credo, non mi
preoccupo del mangiare e del vestire, non mi preoccupo delle cose di questo
mondo, ma cerco prima di tutto il Regno di Dio. Quindi credere è un impegno,
perché la Parola di Dio è una proposta, e se veramente credo a chi mi fa una
proposta, seguo questa proposta.
Quindi:
credere non significa dire “io credo”; se la nostra fede consiste in
questo, diventa una vernice; quello non è credere, perché manca la sostanza. La
sostanza del credere è questa dedizione della nostra vita a questo Amore. “Ama
il Signore Dio tuo con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutte le
tue forze, con tutto te stesso…” (Mc 12,33). Amare vuol dire cercare di
conoscere, quindi chi crede cerca di conoscere Dio, cerca di capire quello che
Cristo, Parola di Dio, Pensiero di Dio tra noi, ci propone. Allora, se noi ci
impegniamo con tutte le nostre forze dietro di Lui, Lui ci conduce al Padre da
cui si nasce come figli di Dio. In caso diverso si è degli aborti.
Giovanna: Fintanto che non siamo nella conoscenza non siamo ancora
nati figli di Dio.
Luigi: No! Si nasce per conoscenza, per consapevolezza; non si
nasce per volontà nostra, non si nasce per diritto di sangue, non si nasce
perché uno è bianco e l’altro è nero; non si nasce figli di Dio perché si
appartiene ad una istituzione, ma si nasce per conoscenza.
Silvana: Quindi non basta la volontà dell’uomo per diventare
figlio di Dio, ma si nasce da Dio per mezzo di Cristo.
Luigi: La volontà dell’uomo ci vuole, però non è sufficiente,
perché “dove Io sono voi non potete venire” , “Io sono di lassù, voi
siete di quaggiù”. Quindi…!
Rita: L’uomo sulla terra nasce senza che nessuno gli chieda se
vuole o no venire al mondo; la creatura nasce perché Dio vuole che quella
creatura nasca…
Luigi: …senza chiedergli il permesso.
Rita: Invece per diventare figli di Dio…
Luigi: …Dio chiede il nostro permesso.
Rita: Occorre la nostra partecipazione; in sostanza si nasce
due volte: una volta senza la nostra partecipazione e una seconda volta con la
nostra partecipazione.
Luigi: “Se uno non rinasce dall’Alto non può vedere il Regno
di Dio” (Gv 3,3), dice Gesù.
Rita: Naturalmente diventare figlio di Dio è unicamente grazia
di Dio.
Luigi: Tutto è dono di Dio.
Pinuccia B.: Avevi
detto che questa seconda nascita dall’Alto è una nascita continua, non è una
volta per sempre.
Luigi: I figli di Dio nascono in eternità; l’eternità è una
cosa continuata, è un “oggi” (Sal 2,7) fuori del tempo. Quindi se tu
nascessi in un punto saresti nel tempo: in quel punto sei nata.
Pinuccia B.: È
persino improprio dire che si nasce in ogni istante, perché è come calare nel
tempo. (Luigi: Certo) Non è più giusto dire che
è una nascita stabile?
Luigi: È un oggi: un “oggi”
eterno, in cui tutto è presente; si nasce in quella Presenza.
Pinuccia B.: È
partecipazione all’Essere di Dio, a ciò che Dio è.
Luigi: È partecipazione all’Essere di Dio e a tutto quello che
Dio fa, che ha fatto e che farà.
Pinuccia B.: È
una partecipazione attraverso il pensiero.
Luigi: Solo attraverso il pensiero.
Pinuccia B.: Cioè
si capisce quello che Lui fa. Quindi il capire ciò che Lui fa ci rende
partecipi di ciò che Lui fa.
Luigi: Si capisce; la conoscenza è vera partecipazione. Tu
quando non conosci sei tagliata via, resti fuori. Se si parla di un argomento,
se in quell’argomento tu non hai le basi non capisci, per cui sei fuori, cioè
non riesci ad entrare. In qualunque cosa tu voglia inoltrarti, anche nelle
scienze, devi avere delle basi; se ti mancano le basi, ti accorgi che giri a
vuoto: senti le parole, ma non riesci a entrare, per cui dici: “Sono fuori!”.
Ecco, si può essere “fuori” di Dio. Ma non è che ci sia un “dentro” e un
“fuori” come luoghi, ma è un fatto personale, nostro. Per cui se tu sei
“fuori”, Dio parla in tutto, ma tu non capisci e resti “fuori”. Se invece tu capisci, sei “dentro”.
Pinuccia B.: E
nella comprensione sono resa partecipe.
Luigi: Infatti la partecipazione è data dalla conoscenza.
Pinuccia B.: Questa
nascita dal Padre, da Dio, è la partecipazione alla generazione del Figlio dal
Padre, vero?
Luigi: Abbiamo detto che si partecipa conoscendo; quindi soltanto
con la conoscenza della generazione del Figlio dal Padre si partecipa a questa
generazione del Figlio dal Padre e quindi anche alla nostra generazione. È
dalla conoscenza di come il Padre genera il Figlio che noi nasciamo come figli
di Dio.
Pinuccia B.: Quindi
il Cristo ci porta a conoscere il Padre, il Padre ci fa conoscere come genera
il Figlio.
Luigi: Perché il Figlio contemplando il Padre vede quello che
il Padre opera e quindi conosce la sua generazione, cioè conosce Se stesso come
Figlio del Padre, come generato dal Padre; ed è la stessa conoscenza di cui Lui
ci fa partecipi, perché è questa conoscenza che ci fa una cosa sola col Figlio.
Ma fintanto che non arriviamo a questa conoscenza non c’è questa
partecipazione, questa “una cosa sola”, perché nella Verità tu partecipi
nella misura in cui conosci. Tu trovi la Verità conoscendola, e solo
conoscendola; non conosci la Verità per degli atti magici, non La conosci per
sentito dire. La Verità tu La trovi solo conoscendola; il che vuol dire che
solo attraverso la conoscenza c’è la partecipazione. E fintanto che non
conosci, tu puoi sentir parlare della Verità da mattina a sera, ma se tu stessa
non conosci, non partecipi di niente, cioè sono tutte parole che arrivano a te,
ma che non capisci.
Pinuccia B.: È
un sentito dire.
Luigi: Ecco, non puoi smentirlo, perché la Verità è più forte
di te e non puoi smentirla, però non “entri”, non capisci. Ora, i figli di Dio
invece comprendono perché sono in “casa”. Essere in casa vuol dire avere
la possibilità di partecipazione. Ma questa possibilità di partecipazione c’è,
perché si è conosciuto per mezzo del Figlio di Dio la generazione del Figlio
dal Padre.
Rita: E li ci verrà dato un nome nuovo.
Luigi: Certo.
Creati per conoscere Dio ci realizziamo nella
conoscenza intima di Dio. Anche
l'universo ha qui il suo significato, e la vita dell'uomo tutto il suo valore.
La conoscenza di Dio, esperienza intima e
personale, viene in noi dalla intimità di un rapporto personale con Dio. Si attinge alla Sorgente Divina con il nostro
pensiero; si ascolta il Maestro interiore dedicandogli il nostro pensiero.
Da qui, da questa intimità, nasce il nostro
vero essere, la nostra vita vera: «Dal seno di chi crede in Me scaturiranno
fiumi di acqua viva... », dice Gesù (Gv 7,38). Una comunione di pensiero,
la più intima, la sola in cui è possibile una unione permanente. E Dio vuole
condurci qui.
Se qui sta la vita vera, ogni anima, come dice
sant'Agostino, va partorita tante volte quante la si vede allontanarsi dalla
Sorgente. Lo Spirito Santo, questo fiume di acqua viva, viene in noi dalla
glorificazione in noi della Parola di Dio che giunge a noi, che è il Verbo di
Dio tra noi, che è Cristo.
Nel cercare e nel conoscere Dio personalmente,
intimamente, sta la vera glorificazione di Cristo, il compimento della sua
volontà, la pienezza della sua missione, poiché Cristo è venuto per rivelarci
la Presenza di Dio in noi.
Ecco, è necessario osservare, scrutare,
penetrare, assimilare le Parole di Cristo se vogliamo mantenerle in noi, dare
un senso alla nostra esistenza e scoprire la vera vita. Questo richiede la dedizione del nostro
pensiero.
Se i fiumi di acqua viva non scaturiscono dal
nostro intimo, e tutto in noi inaridisce e si svuota, è segno che ci siamo
staccati con il nostro pensiero da questa Sorgente interiore. «Abbi il tuo
pensiero nelle Parole di Dio e medita di continuo i suoi insegnamenti anche se
sono duri e difficili. Dio fortificherà la tua mente e il tuo cuore», così
insegna la Sapienza antica e sempre nuova della Sacra Scrittura (Sir 6,37).
NEL SILENZIO DI TUTTO SI TROVA IL TUTTO
La vita interiore è un cammino tracciato nelle
Parole di Dio, le quali, essendo Parole di Dio, ci parlano di Dio e ci conducono
quindi ad occuparci di Dio. Tale cammino inizia dalla fede in Dio e termina
alla Presenza di Dio.
Dio è il Principio e il Fine; è Colui che
inizia la nostra vita ed è Colui che la conclude. È Lui che parla all'uomo e
parlando lo fa essere, lo forma, lo fa camminare, lo guida ai pascoli eterni in
cui l'anima si sazia e trova pace. Le
sue Parole ci aprono il cammino alla sua Verità ed alla scoperta della sua
Presenza. «Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri,
guidami nella tua Verità e istruiscimi, perché sei Tu il Dio della mia
salvezza»: è questa la preghiera dell'anima attratta dall'amore di Dio (Sal
25,4).
L'anima che crede, sa che tutto le viene e
tutto le deve venire da Dio. Poiché Dio
è il Creatore, Dio è il Protagonista di tutto nella vita degli uomini, dal
principio alla fine, nelle cose grandi e nelle cose piccole e comuni di ogni
giorno. Tutto è opera sua ed Egli è in tutto, tutto in tutto. Ogni cosa, ogni
fatto, essendo opera sua, è segno di Lui a noi.
Tutto ci parla di Dio, ce lo annuncia, e ci invita a conoscerlo.
Poiché tutte le cose ci parlano di Dio, la
nostra vocazione ad occuparci di Dio è scritta in tutto l'universo. La nostra assenza a Dio è ingiustificata sia
davanti a Dio sia davanti a tutto l'universo: quindi non è senza colpa.
La ricerca di Dio, questo inizio della vita
interiore è un atto di giustizia, il primo. «Cos'è la giustizia? - scriveva
Kierkegaard - La giustizia consiste nel cercare prima di tutto il Regno di
Dio. Ecco dunque l'inizio della vita
della fede: cercare prima di tutto il Regno di Dio. Appunto in questa ricerca
che precede ogni altra ricerca sta la giustizia di cui parla il Vangelo».
L'uomo è un essere chiamato ad occuparsi di
Dio. Qui sta la sua vita essenziale,
mancando la quale fallisce il suo destino. «In ciascun giorno, in ciascuna ora,
dobbiamo costruire per l'eternità», diceva Edith Stein. Costruendo per
l'eternità ci inoltriamo in quel luogo in cui abita Dio ed in cui si nasce da
Dio.
Solo in Dio troviamo le cose eterne; cioè
dobbiamo costruire in Dio se vogliamo inoltrarci in ciò che è eterno;
altrimenti precipitiamo nel tempo.
Dio solo è il rivelatore di Se stesso e della
nostra vita vera, la pietra fondamentale, il principio della costruzione che
non crolla. L'uomo deve quindi poterlo pensare, potersi raccogliere in Lui. Per
questo deve chiudere gli occhi a tutto ciò che non è Dio. È nel silenzio di
tutto che si trova il tutto.
Ma il silenzio di tutto è dato solo dalla
possibilità di tanta attenzione a Dio, e questa non ci sarebbe possibile se Dio
per primo non ci avesse fatto dono di abitare con noi. Nessuno Lo potrebbe
pensare, credere, cercare, conoscere amare, se Lui non si rivelasse per primo.
IL GRANDE DONO DI DIO
AD OGNI UOMO
Dio ci dà la possibilità di pensarlo, di
raccoglierci nel suo Pensiero: è il più grande dono che Egli fa ad ogni uomo.
Nessuno potrebbe parlare di Dio, nemmeno per
negarlo, rifiutarlo o bestemmiarlo, se Dio per primo non avesse donato il suo
Pensiero e non avesse parlato con lui di Sé.
Gli uomini parlano di Dio perché Dio per primo
ha parlato loro di Sé quando essi ancora erano muti di Lui nella loro mente.
Gli uomini non fanno altro che ripetere ciò che è stato loro detto da Dio. Essi
sono dei ripetitori delle Parole di Dio; ripetitori più o meno fedeli, più o
meno difettosi, ma sempre dei ripetitori. Non si può essere fedeli senza Dio.
Ciò che in essi c'è di positivo è opera di Dio: ciò che c'è di negativo,
difettoso, è opera loro, del loro io quando non tiene conto di Dio.
Dio è il Creatore; Dio è Colui che parla. Dio parla ad ogni uomo personalmente. Colui che è infinito, è infinito in ogni
punto; Colui che è tutto, è tutto in ogni luogo; quindi non ha difficoltà ad
essere presente ed a parlare ad ogni uomo.
È l'uomo che, non essendo infinito e non
essendo tutto, ha difficoltà ad essere presente a Colui che è presente in
tutto.
È Dio che parlando all'uomo gli apre con le
sue parole il cammino alla sua Presenza; lo fa passare dai limiti della
creatura all'infinito del Creatore. È
per la Parola di Dio che l'uomo scopre l'esistenza di Dio e si apre
all'interesse e alla ricerca di Dio. Ed
è tutto grazia di Dio. È grazia di Dio sapere che Egli esiste; è grazia di Dio
avere interesse per la sua Verità; è grazia di Dio il cercarlo. Quanto più sarà
grazia di Dio il trovarlo!
Le Parole di Dio se sono ascoltate e
assimilate diventano una strada che conduce alla Città di Dio. Esse ci introducono alla nostra vita eterna
tra cose eterne, là dove Dio si rivela.
« Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso
il luogo di cui Dio ha detto: lì sarà il mio Nome» (1 Re 8,29). Il suo Nome, la sua Presenza, è nel suo
Tempio. Non nel Tempio fatto da mano di uomo, ma nel Pensiero stesso di Dio in
noi. Dio parla all'uomo in tutto, ma si rivela solo nel suo Tempio.
Bisogna impegnarci a capire personalmente le
parole di Dio, le cose di Dio. È questa la conversione personale da cui dipende
ciò che avviene nel mondo. “Il mondo è sull’orlo della catastrofe; l'unico modo
per evitarla è la conversione personale», cosi dichiarò la Vergine Maria a quei
giovani ai quali sta apparendo quotidianamente a Medjugorje in Yugoslavia.
Le cose alte e profonde richiedono molta
dedizione e costanza. Le cose infinite richiedono una dedizione infinita, una
veglia infinita. E Dio è infinito. È in questa veglia che si è fatti capaci di
portate l'infinito di Dio e di accogliere il suo Spirito, la sua Verità.
Per questo Gesù ascendendo al Cielo del Padre
suo raccomandava ai suoi discepoli di non allontanarsi da Gerusalemme fino a
che non fossero investiti dello Spirito dall’alto.
Gerusalemme è la Città di Dio, il Tempio di
Dio: rappresenta la nostra anima. È qui che viene lo Spirito dall’alto; è qui
che si giunge alla nostra Pentecoste: venuta in noi dello Spirito che ci rende
capaci di portare tutta la Verità. È questa la grande promessa che sta al
centro di tutta la creazione di Dio, fine della missione di Cristo, meta,
destino e corona della vita di ogni uomo, approdo di ogni nostro pensiero:
conoscere la Presenza di Colui che è presente e che dimora in noi, essere
abitati dalla Verità ogni giorno della nostra vita.
La conoscenza di Dio, questa venuta dello
Spirito Santo in noi, che è Spirito della Presenza del Padre e del Figlio, è
l'eredità che Dio ha destinato ad ogni uomo, compimento del nostro destino e
nostra vita eterna. Ma pochi sono coloro che giungono ad essa, poiché pochi
sono coloro che si interessano di Dio.
La via che Dio ha tracciato per noi in Cristo
è per educarci alla vita interiore, fino a quella veglia infinita su Dio, che è
glorificazione di Dio in noi e che ci tende capaci di ricevere e di portare la conoscenza del Padre
e del Figlio, capaci cioè di vita eterna.
Veglia infinita non nel senso di tempo
prolungato all’infinito, ma nel senso di dedizione totale e semplice all'Unità
di Dio, poiché l’Infinito è Uno. È ciò che è molteplice che è finito; ma ciò
che è infinito è uno. Il finito nasce dal molteplice.
Fintanto che i nostri desideri, i nostri amori
sono molti, sono finiti; allora anche i nostri pensieri sono spezzati,
fratturati, finiti, incompiuti, paralizzati, e noi non siamo capaci di portare
nel nostro finito la Verità di Dio che è infinita e di giungere a quella
conoscenza della Verità che Gesù promette a coloro che restano nelle sue
Parole, in questo raccoglimento nell'unica cosa necessaria.
Bisogna impegnarsi, immergersi nell'infinita
unità di Dio Padre.
L'uomo è un essere aperto all'infinito in
quanto porta in sé la passione dell'assoluto, che è passione per l'unità; ma egli
fa il passaggio dal finito all'Infinito in quanto passa dalla molteplicità
delle cose del mondo all'Unità di Dio, e questo presuppone in lui la
possibilità di raccoglimento nel Pensiero di Dio, poiché non si giunge
all'Infinito dal finito: per quanto infatti sommiamo cose finite non otterremo
mai l'infinito.
Solo l'Infinito è rivelatore di Se stesso. Per
cui facciamo il passaggio dal finito all'Infinito solo per mezzo dell'Infinito.
«Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me», dice il Verbo di
Dio (Gv 14,6).
La rivelazione di Dio alla nostra anima
discende dall'alto del cielo di Dio, discende da Dio stesso.
Dio che si annuncia in tutte le cose finite,
si rivela solo in Se stesso. Solo se Dio si dona a noi rende noi capaci di Sé.
Il mutamento in noi che ci rende capaci di
prendere coscienza e quindi di scoprire in noi la presenza di Colui che è
presente in noi fin dal principio, che è Presenza del Padre e del Figlio, è
dato dal passaggio dalla molteplicità dei nostri pensieri all'Unità del Pensiero
di Dio.
Non si passa dal nulla all'esistente senza
l'intervento dell'Infinito, e non si passa da ciò che si è a ciò che ancora non
si è senza la Presenza dell'Infinito. Così non si passa da ciò che non si
conosce a ciò che si conosce senza la nostra dedizione all'Infinito: altrimenti
si rimane sempre alla stessa distanza per quanto si corra e ci si agiti. È la
dedizione all'infinito che ci rende capaci dell'Infinito.
La nostra vita è realmente divina solo se noi
l'attingiamo personalmente a quella profonda sorgente che in noi è il Principio
di tutto. Tale Principio è annunciato: «In principio era il Verbo e il Verbo
era presso di Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1).
Solo così, solo se interiormente ancorati a
Dio, tutta la nostra vita si impronta e si configura secondo il disegno di Dio,
ad immagine e somiglianza di Dio.
Questa glorificazione di Dio in noi è un
momento di pienezza in cui l'uomo ricupera una identità perduta, ritrova una
vita dispersa e frantumata, ricupera il Principio e il Fine, ritrova le radici
della sua esistenza, scopre il senso, il significato e il valore della vita.
GLORIFICARE DIO NEI NOSTRI CUORI
Glorificare Dio è riconoscere a Dio il posto
che gli spetta in tutto: negli avvenimenti e nei nostri pensieri, nella nostra
vita, nelle nostre scelte, nelle nostre parole.
Glorificare Dio è occuparci di Lui per ciò che
Egli è, è riconoscerlo principio e fine di tutto, presente in tutto, anche nei
nostri pensieri.
Glorificare Dio sta nel vedere la sua mano, il
suo Pensiero per noi in tutti gli avvenimenti, anche nei più sconcertanti.
Questa conoscenza è lo Spirito Santo di Dio in
noi, è la dimora di Dio con gli uomini, è la Città Santa, ed è la dimora degli
uomini con Dio. Nessuno può dimorare con Dio e in Dio senza questo Spirito,
senza questa conoscenza. È questo il
fiume di vita che rende feconda la nostra terra; è questa la Città Santa, la
città di David, la nuova Gerusalemme che discende sulla terra dal cielo della
conoscenza di Dio, poiché solo chi conosce Dio è nella carità e nell'amore.
«Chi ti conosce ti ama; chi poco ti ama è perché poco ti conosce; chi poi non
ti ama è perché non ti conosce» scrive sant'Agostino.
Bisogna riconoscere, glorificare Dio dentro di
noi, nei nostri stessi pensieri, se vogliamo giungere a fare esperienza di Dio,
a conoscerlo personalmente. «E dove credi si offra il sacrificio di giustizia
se non nel tempio della mente e nell'interno del cuore? Dove si fa il sacrificio lì si fa la preghiera»
(sant'Agostino - De Magistro).
La conoscenza di Dio è questo dono supremo per
il quale Dio ci ha creati e con il quale ci rende partecipi della sua Verità e
ci fa entrare nella sua pace. «Se tu conoscessi il dono di Dio!» dice
Gesù alla Samaritana (Gv 4,10).
Preoccupati che la luce di Dio splenda in te, dentro di te; il resto
verrà di conseguenza. Ma se in te c'è la notte, tutto per te sarà nella notte,
poiché è dalla Luce interiore di Dio che tutto il mondo è illuminato. «In te
risplende la gloria del Signore» (Is 60,l1). La gloria di Dio, la Luce di
Dio vengono da Dio solo Dio è rivelatore di se stesso. Se glorifichiamo Dio nei
nostri cuori, Dio glorificherà in se stesso e presto ogni nostro pensiero, ogni
nostro desiderio; allora tanta luce sorgerà in noi e la nostra vita darà i suoi
frutti e giungeremo a vedere il compimento di tutte le promesse di Dio. Per questo Dio dice: «Avvicinatevi a Me ed
Io mi avvicinerò a voi; conoscetemi ed Io vi conoscerò; ritornate a Me ed Io
ritornerò a voi» (cf Gc 4,8-9; Ml 3,7).
Chi Lo conosce sarà conosciuto; chi Lo ama
sarà amato; chi Lo pensa sarà pensato; chi Lo cerca sarà cercato.
Quanti conoscono Dio Lo amano e sono fatti
cittadini della sua Città, del suo Regno, figli di Dio nella casa del loro
Padre. Dio fa grandi cose per coloro che Lo cercano e Lo conoscono. Egli dà
loro il suo Spirito, la sua Luce, la sua Presenza, la sua Vita, li rende
partecipi della sua Verità, della sua Vita: li conferma in tutto, poiché si fa
trovare da loro in tutto, affinché nulla li possa separare da Lui. Essi infatti
Lo riconoscono e ascoltano la sua Voce in tutto.
(pensieri tratti da “Breviario di vita
interiore” di Luigi Bracco)