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I quali non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio sono nati Gv 1 Vs 13 Primo tema


Titolo: Nati da Dio.


Argomenti: Ciò che ci fa figli è la volontà di Dio. Nello spirito la generazione è conoscenza. Instabilità dell’uomo e stabilità di Dio. Solo pensando Dio si diventa figli di Dio.

Le due nascite dell’uomo. La Madre.


24/Ottobre/1975


Dall’esposizione di Luigi Bracco (appunti):

 

Il versetto 13 riprende e continua il concetto del versetto precedente ("A coloro che L'hanno accolta, la Luce diede il potere di diventare figli di Dio"), dicendoci che i figli di Dio nascono da Dio.  Ci annuncia cioè la necessità di una nuova nascita da Dio.

Già sul piano della fede, l'abbiamo visto la volta scorsa, possiamo essere figli di Dio nella misura in cui ci lasciamo guidare e motivare da Lui; questo però è solo preparazione e condizione per un salto di qualità che ci aspetta: la partecipazione alla generazione del Figlio dal Padre, cioè la nostra nuova nascita che ci fa sostanzialmente e stabilmente figli di Dio.

 Per cui in questo versetto ci viene precisato che:

·non si nasce figli di Dio per merito o virtù propria, né per diritto di famiglia o di nascita;

·ciò che ci fa figli non è la nostra volontà e neppure l'aver noi accolto la Luce; non è la nostra fede in Essa e nemmeno il nostro sforzo per lasciarci guidare da Essa: tutto questo è condizione necessaria, ma non sufficiente;

·per nascere da Dio non bastano quindi né la volontà dell'uomo, né i diritti dell'essere uomo;

·e neppure si nasce tali per conseguenza di essere un determinato uomo; non basta essere una persona piuttosto che un'altra per nascere da Dio;

·non basta amare o volere; non basta avere il desiderio e impegnarsi per diventare figli di Dio: ci è richiesto questo, ma non basta.

·Ciò che ci fa figli è solo la Volontà di Dio, perché per essere figli dobbiamo essere totalmente dipendenti dalla Volontà di Dio, conoscere Dio e quindi ricevere tutto da Dio, anche e soprattutto lo stesso diventare figli.

Ecco, "i figli di Dio nascono da Dio"; non nascono da altro, non per altro mezzo: "né da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio", dal suo Spirito secondo la Sua promessa; promessa che troviamo in parecchi passi dell'Antico Testamento, ad esempio in Ezechiele: "Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; Io vi purificherò da tutte le vostre sozzure...; vi darò  un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno Spirito nuovo... ; porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo il mio volere..." (Ez 36,25-27); "Farò entrare in voi il mio Spirito e rivivrete...: saprete che Io sono il Signore.  L'ho detto e lo farò" (Ez 37,14).

Anche s. Paolo dice che i figli di Dio non sono tali secondo i diritti della carne, ma secondo la promessa: " ... non sono considerati figli di Dio i  figli della carne, ma come discendenza sono considerati solo i figli della promessa...,perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sull'elezione, non in base alle opere, ma alla Volontà di Colui che chiama..." (Rm 9,8).

"...ma da Dio sono nati": qui è adombrata la nascita verginale di Gesù.  Nel suo Vangelo s. Giovanni non parla esplicitamente della verginità della Madonna, ma qui ce l'annuncia dicendo che non diventiamo figli di Dio per opera nostra; il che significa che il Figlio di Dio non Lo generiamo in noi per nostra virtù e onestà, ma solo per opera di Dio, guardando Dio, ascoltando Dio, conoscendo Dio.

Ma perché questo si realizzi, per prima cosa dobbiamo convincerci che Dio è già presente in noi (la passione di assoluto che noi tutti subiamo è un effetto di questa sua Presenza: vedi dispensa n° 5-A: "Luce vera è quella che illumina ogni uomo"'). Se non portassimo già Dio in noi, non avremmo nessuna possibilità di diventare figli suoi.  Perciò il poter guardare Dio, il poterlo pensare, il desiderarlo è già opera sua, perché è Lui per primo che, abitando in noi e parlandoci di Sé, ci attrae a Sé.

Di nostro è solo la parte negativa, cioè il rifiuto a diventare figli suoi, il rifiuto a guardarlo, a pensarlo, a seguirlo, poiché preferiamo mettere il nostro io in mezzo, tra le creature e Dio.

C'è il rischio di questo rifiuto e di rimanere così degli aborti. Infatti, se tutti siamo stati creati da Dio, non è detto che tutti diventiamo figli di Dio, pur essendo tutti chiamati a diventarlo. Lo si diventa per opera di Dio, ma non senza di noi.  La nascita su questa terra è avvenuta senza di noi, ma la nascita da Dio, pur essendo opera di Dio, non avviene senza di noi.  La prima è un'occasione che Dio ci offre per realizzare la seconda.

Per realizzarla, bisogna credere in Cristo e seguirlo, perché è Lui che ce ne dà la possibilità ("il potere"), perché ci fa capaci di conoscere il Padre, portandoci a dipendere totalmente e consapevolmente dal Padre e a guardare tutto da Lui.

I figli di Dio nascono da Dio e solo se nascono da Dio sono figli di Dio.

Figlio è solo colui che nasce da-, il che significa che solo trovando Dio si nasce da Dio; e siccome Dio Lo si trova solo conoscendolo, solo conoscendo Dio si diventa figli suoi, generati da Lui.

Nel mondo dello spirito la generazione avviene soltanto attraverso la conoscenza, perché si riceve la comunicazione dell'Essere del Padre soltanto attraverso la conoscenza. Il che vuol dire che si nasce figli di Dio dalla conoscenza e quindi con partecipazione consapevole (perché la conoscenza è partecipazione), come avviene per il Figlio stesso di Dio, il quale partecipa consapevolmente alla generazione di Se stesso dal Padre.

Possiamo quindi affermare che nel campo dello spirito la generazione è conoscenza, perché si nasce da Dio per conoscenza, cioè consapevolmente; non si nasce automaticamente, inconsapevolmente, magicamente, come avviene per la nostra nascita naturale.

Figli di Dio sono dunque coloro che conoscono Dio (quale Cristo ce L'ha rivelato: Uno in tre Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo) e ne constatano la Presenza.

Constatare la Presenza è trovare la Verità, è trovare Dio.

La Verità La si trova solo conoscendola, per cui la Presenza è conseguenza della conoscenza (al contrario di quanto avviene nelle nostre esperienze terrene, dove prima troviamo le presenze e poi le conosciamo).

Nasciamo quindi come figli di Dio solo alla nostra Pentecoste, giorno di Luce piena, giorno in cui riceviamo lo Spirito Santo che è la constatazione in noi della Presenza del Padre e del Figlio (lo Spirito Santo è appunto lo Spirito di Presenza del Padre e del Figlio) , secondo la promessa di Gesù: "Chi mi ama il Padre mio lo amerà e verremo in lui e faremo la nostra dimora in lui" - Gv 14,23 (non sono il Padre e il Figlio che "in quel giorno" si spostano e vengono in noi, ma siamo noi che giungiamo a constatare la loro Presenza in noi).

Chi ci porta a questa grande Meta è Cristo, il Verbo Incarnato che, se Lo seguiamo, forma in noi la capacità di ricevere dal Padre la rivelazione:

·del Padre stesso,

·della generazione del Figlio dal Padre,

·e quindi del rapporto tra Padre e Figlio che è lo Spirito Santo, Spirito di Presenza del Padre e del Figlio.

·Qui si realizza la nostra nascita da Dio, la nostra partecipazione consapevole alla generazione del Figlio dal Padre.

Tutto questo noi, con tutta la nostra sete di Verità, non ce lo potremmo nemmeno immaginare o sognare. È il Figlio stesso che ce lo rivela e ce lo fa capire attraverso le sue Parole, nella misura in cui le approfondiamo, soprattutto quelle degli ultimi capitoli del Vangelo di s. Giovanni in cui si sofferma a parlarci del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo e dei loro rapporti. Qui si illuminano di luce nuova certe sue parole dapprima incomprensibili, ad esempio: "Io e il Padre siamo Uno... Io sono nel Padre e il Padre è in Me...Mi rivedrete dal Padre ... Quando sarà venuto il Consolatore che Io vi manderò dal Padre, lo Spirito di Verità, Egli mi renderà testimonianza... Lo Spirito Santo vi porterà a vedere la Verità in tutto ... Come Tu stesso, o Padre, sei in Me ed Io in Te, così essi pure siano in noi ... Io in essi e Tu in Me, affinché siano consumati nell'unità .... ecc., ecc.".

Qui possiamo renderci conto dell'immenso dono che Dio ci ha fatto con l'Incarnazione del suo Verbo e dell'immensa ingratitudine e stoltezza degli uomini che, pur professando una certa fede, non si preoccupano del meraviglioso destino per il quale hanno avuto l'esistenza, ignorando con impressionante leggerezza la portata sublime delle Parole del Cristo e la necessità di approfondirle.

Non impegnandosi a conoscere Dio, gli uomini vendono per un nulla la loro primogenitura, sprecando, senza accorgersene, la loro vita dietro futili affanni e ambizioni, cadendo in tal modo in preda al vuoto, all'angoscia e alla perdita crescente del significato delle cose e della vita. Sfiorati dalla Luce, sono risucchiati dalle loro stesse tenebre.  Muoiono prima di morire, perché non sanno che la vita è nella Luce ("La vita eterna è conoscere Te, Padre e Colui che hai mandato, Gesù Cristo" - Gv 17,3), per cui cercano la vita altrove: nelle cose esterne, nel darsi da fare, nel possedere, nel primeggiare, ecc., trovando però la morte: rimangono abbozzi falliti di vita, aborti che non vedranno mai la Luce.

 

Per giungere alla grande meta per la quale siamo stati creati, è necessario un profondo e costante silenzio interiore, che è la condizione per poter accogliere, ascoltare, ricevere Dio, per poter riconoscere che tutto è opera sua e che tutto dipende da Lui.

Dio parlandoci, ci dà la possibilità, se Lo ascoltiamo fino alla conclusione del suo discorso, di giungere a capire il suo Pensiero. Egli parla ed opera per formare, manifestare, generare in noi il suo Pensiero, suo Figlio. È necessaria però la permanenza nell'ascolto e quindi la dedizione di pensiero, per riconoscere la dipendenza assoluta di ogni cosa e di noi stessi da Dio e per vedere ogni cosa da Lui.

Noi siamo molto disturbati in questo ascolto da tutti i legami che il nostro io ha stabilito con le cose e le creature, da tanti valori sbagliati e da tutti quei fini relativi che noi, nel pensiero del nostro io, consideriamo assoluti.

Ecco allora la necessità dell'opera del Cristo, del Verbo incarnato, il quale se Lo ascoltiamo, viene a raccoglierci da tutte le nostre dispersioni nell'unica cosa necessaria: conoscere Dio!

 Egli annunciandoci i veri valori, viene a sgomberare la nostra anima da tutti quegli elementi di disturbo e di affanno che la disorientano e la soffocano, concentrandoci nell'unico fine per il quale siamo stati creati e insegnandoci come si diventa figli di Dio e cosa vuol dire essere figlio ( "Il Figlio non fa nulla se non lo vede fare dal Padre, ma quello che Questi fa, il Figlio pure lo fa" - Gv 5,19).

  Ci fa capaci cioè di sostare nella "veglia infinita", passaggio necessario per conoscere Dio e nascere dall'Alto.

Quando facciamo le cose secondo Dio, in dipendenza da Dio e quindi quando evitiamo di pensare o parlare o agire autonomamente, per iniziativa nostra, quando riconosciamo che tutto in noi e fuori di noi è stato ed è opera sua, quando cioè “scopriamo” che Dio parla personalmente con ognuno di noi in tutto, allora  noi ci sentiamo conosciuti, pensati da Dio e anche da tutte le creature, perché troviamo in tutto la parola di Dio per noi. Sta qui la sorgente della vera gioia, perché è solo conoscendo il senso, il significato, il Verbo che è in tutto che ci sentiamo pensati, amati, perdonati, conosciuti, figli di-.

 È necessario quindi, per giustizia, riconoscere che tutto è fatto da un Altro e cercare il pensiero di quest’Altro, perché è solo conoscendo il Pensiero di una Persona che noi possiamo rimanere con quella Persona; quindi è solo rimanendo in questo "pensato" di Dio che ci sentiamo uniti a Lui.

La condizione richiesta per non uscire dal "pensato" dell'Altro, oltre a non fare niente di ciò che l'Altro non vuole, è quindi impegnarsi  a cercare quel Pensiero che dà ordine e senso a tutte le cose.

In caso contrario, se facciamo qualcosa che gli dispiace, se non cerchiamo il suo Pensiero, la sua Presenza, non ci sentiamo più amati, anche se Dio continua ad amarci, perché si crea una frattura e quindi una distanza. Non solo, ma quando facciamo le cose senza tener conto di Lui, noi ci impoveriamo, perdiamo anche quello che abbiamo, diventiamo incapaci di volere, di pensare, di capire, di amare; cadiamo nella dispersione e nell'incapacità di sostare nel Pensiero di Dio, diventando sempre più instabili, poiché diventiamo figli di molti padri che ci schiavizzano e ci disperdono.

Questo succede perché noi diventiamo figli di ciò che mettiamo prima di tutto, in alto, nel nostro pensiero.  Diventiamo cioè figli di ciò per cui viviamo. A noi la scelta!

Pensieri tratti dalla conversazione che è stata registrata:

Pinuccia B: Se accogliamo la Luce, abbiamo la possibilità di diventare figli di Dio.

Luigi: Sì, però non è che ricevendo questa possibilità siamo noi che decidiamo di diventarlo.  Infatti qui precisa che “i figli di Dio non da sangue, né da volere carnale, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati”. Quindi non si nasce per nostra volontà. La nostra volontà è chiamata, ma non è la nostra volontà che decide, e questo perché per essere figli di Dio dobbiamo essere dipendenti da Dio. Quindi è per Dio che vogliamo, facciamo, pensiamo, ecc.. . “Non da volontà di carne” , quindi non perché si è nati in questa generazione piuttosto che in un'altra; “non da sangue”, non per il colore della pelle.  

“I Figli di Dio nascono da Dio”. Qui è annunciata la nascita verginale del Cristo. S. Giovanni non ci parla qui direttamente della Madonna, ma sostanzialmente qui ci parla della Madonna e del suo concepimento verginale: il Figlio di Dio nasce da Dio: non per volontà di uomo, non per volontà di carne, non per volontà di sangue. Ecco, quello che è avvenuto nella Madonna è una lezione per ognuno di noi, per dire a noi: “Stai attento, non diventi figlio di Dio, cioè tu non generi il Figlio di Dio in te con la tua volontà, con le tue virtù o con i tuoi diritti, o perché sei nato bianco piuttosto che nero, o perché sei nato in un paese piuttosto che in un altro. Non si nasce Figli di Dio per questo motivo. Si nasce Figli di Dio soltanto per opera di Dio, cioè soltanto guardando Dio. Quindi senza Dio non si diventa figli di Dio.

Ines: Cosa dobbiamo fare per arrivare a questo?

Luigi: Per prima cosa dobbiamo convincerci che Dio è già presente in noi. Dio non abita in cieli lontani, Dio non abita in templi fatti da mani d’uomo, Dio è Spirito e abita nell’uomo. Intendiamoci: non nella carne dell’uomo, ma nel pensiero dell’uomo, nel desiderio dell’uomo. Cioè Dio abita nella parte spirituale dell’uomo.  Se io Lo desidero, se Lo penso, è perché L’ho già trovato.  Quindi il desiderio di Lui è già Lui. S. Agostino precisa, mettendo sulla bocca di Dio queste parole: “Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”. Se noi Lo cerchiamo, il nostro desiderio è già Lui.

Ines: Allora, di volontà nostra c’è solo la parte negativa?

Luigi: Tutto è opera sua; di nostro c’è solo la parte negativa. Noi possiamo non mettere in alto questa Luce. Noi possiamo non tener conto di Lui; il nostro io si può mettere in mezzo tra il Creatore e la creazione. Allora, tutta la parte negativa è solo nostra, il male è solo da noi, il bene è tutto di Dio. Il bene lo fa Dio; la bellezza sta lì: tutto ciò che di bene possiamo fare, riconosciamo che è tutta opera sua; è lì che si diventa figli! È Lui che dà la volontà di fare il bene, di desiderarlo: se la creatura può dirlo è già in Paradiso, perché si sente pensata. La creatura ha bisogno di essere pensata, ma la condizione per sentirsi pensati è fare le cose secondo Dio, in dipendenza da Dio. E allora non solo ci sentiamo conosciuti e pensati da Dio, ma anche tutte le creature ci conoscono, perché troviamo in tutto la Parola di Dio, il Verbo, che dialoga con noi.

Ines: Ma come si arriva lì?

Luigi: Riconoscendo che tutto è opera sua: lì ci sentiamo pensati. In caso diverso ci sentiamo divisi, perché non riconosciamo ciò che è, e questo Lui non lo può approvare. È come succede nei rapporti umani. Se tu ami una persona, la condizione per restare nel pensato    di quella persona è fare tutto ciò che piace a quella persona; infatti anche se tu sei lontanissima da quella persona, ma  fai un qualche cosa che sai che dispiace a quella persona, anche se l’altra persona continua a volerti bene, tu però ti sei divisa da essa. Cioè, la tua azione fatta non secondo quella persona, mette una frattura, per cui tu ti senti sola: non sei più contenta, non ti senti più amata anche se hai la conferma che l’altra persona  continua ad amarti. Non ti senti più amata! Se tu esci dal pensato dell’altro non ti senti più amata. Perché non ti senti più amata? È la tua azione! Tu hai fatto una cosa  che non piace all’altro, per cui sei uscita dal pensato dell’altro. Allora possiamo dire che la felicità nostra sta nell’essere amati; da non confondere con l’essere amati sentimentalmente, perché essere amati vuol dire essere pensati dall’Altro. Ma per essere nel pensato dell’Altro, bisogna non fare niente di diverso da ciò che l’Altro vuole (“Il Figlio non fa niente se non lo vede fare dal Padre” - Gv 5,19), altrimenti ti metti “fuori”, ma il danno ricade su di te.

Ines: Dovrò stare allora in eterno a chiedere misericordia!.

Luigi: Sì, certo, però siccome la felicità, la gioia sta nel poter riconoscere con tutta l’anima, in coscienza, questo: “Tutto, Signore, è stato opera tua”, allora lì uno si sente pensato, si sente perdonato, si sente amato, si sente conosciuto. Lì si diventa figli. Se non riconosciamo che tutto è opera sua, non siamo conosciuti. “Non vi conosco”  (Mt 25,12), dice il Signore a coloro che scaccia, perché in essi non c’è l’opera sua. Non essere conosciuti è come passare in una strada ed essere ignorati da tutti: ecco la solitudine, la tristezza! Se invece passi in una strada e trovi uno che conosci e ti saluta, ecco la gioia: sei conosciuta! Vedi, siamo fatti per essere conosciuti e per essere pensati, cioè per essere figli di Dio.

Ines: “Non vi conosco”  vuol dire: “Siete voi che vi siete staccati”.

Luigi: Certo, “Voi avete agito in modo autonomo, senza pensare Me, senza riferire a Me, senza la mia luce!” Allora, ciò che abbiamo fatto, l’abbiamo fatto senza di Lui. E quando facciamo tutto senza di Lui è soltanto un impoverimento, è un immiserimento di noi stessi, fino alla nostra morte, perché “senza di Lui diventa niente tutto ciò che è fatto” (cf Gv 1,3). Senza di Lui anche tutto ciò che abbiamo avuto, noi lo annulliamo. Quindi senza di Lui noi impoveriamo, perdiamo anche quello che abbiamo, ci disperdiamo, per cui diventiamo incapaci di capire, incapaci di amare, incapaci di volere, incapaci di essere fedeli ed esperimentiamo la morte: la morte che non è annullamento, ma che è soltanto dispersione, incostanza, infedeltà, cioè che è tutta questa incapacità di sostare. Il demonio è definito come colui che non ha la possibilità di trovare pace in nessun luogo;  non ha la possibilità di restare, perché non è rimasto in Dio, non è rimasto nella Verità.

Quindi noi da soli siamo il massimo di instabilità, Dio è il massimo della stabilità. Dio è l’Immutabile. Noi siamo creature che mutano, quindi per natura siamo infedeli, siamo incostanti, siamo volubili, non siamo capaci a restare; Dio invece è l’Essere immutabile. Però più noi ci avviciniamo a Dio e più noi diventiamo fedeli, diventiamo immutabili, diventiamo costanti, perché Lui è quello! Lui è il Fedele, Lui è l’Immutabile. Invece più noi ci allontaniamo da Lui e più noi cadiamo nella molteplicità d’amori: molteplicità d’amori che è poi  superficialità, che è incostanza, che è volubilità; cioè non siamo capaci a restare fermi; ma il fatto di non essere capaci di restare fermi è danno nostro, perché questa incapacità si riflette anche dentro di noi, al punto da non essere più capaci nemmeno di pensare, di sostare in un pensiero. Allora subentra il caos dentro di noi, per cui  un pensiero annulla l’altro e non abbiamo nemmeno più la possibilità di intenderlo. Ecco la rovina della persona che non ha cercato Dio, che non ha messo Dio prima di tutto; mentre invece, mettendo Dio prima di tutto, più ci avviciniamo a Dio (e l’avvicinamento è progressivo), e più partecipiamo della sua Luce, della sua fedeltà, della sua stabilità, ecc..

Ines: L’uomo è grande solo in quanto può avere questa possibilità di diventare figlio di Dio.

Luigi: Certo, l’uomo ha questa possibilità; Dio gliela dà, ma solo se guarda a Lui; ecco, se accoglie questa possibilità allora tutto è grazia di Dio, perché tutto lo riferisce a Dio. La possibilità gliel’ha data Dio; e così pure la  gioia, la pace, la vita, la luce, la fedeltà, l’immutabilità, la costanza: “Tutto è opera tua, Signore!”. Effettivamente tutto è opera sua; non è un complimento che gli facciamo, ma è verità: tutto è opera sua! È tutto grazia di Dio, è tutto opera di Dio, ed è pura opera di Dio.

Ines: Arrivare a essere figli di Dio così totalmente non è facile.

Luigi: No, non è facile, appunto perché  diventare figli di Dio presuppone questo: mettere in alto in noi al disopra di tutto, Dio. Questo deve essere la nostra preoccupazione.  Dio deve essere quello che ci sta più a cuore; per cui se domani mattina Dio ci dà la grazia di svegliarci, dovremmo dire: “Signore, mi dai la giornata per pensare Te, per riferire le cose a Te, per illuminare le cose in Te”; deve essere la prima cosa; e la giornata vale per questo e solo per questo. Tutto il resto conta niente. Allora, se noi vediamo in questo modo la nostra giornata vuol dire che ci sta molto a cuore Dio, vuol dire che L’abbiamo messo al di sopra di tutto, che per noi Dio è l’amore principale. Se invece noi sprechiamo le giornate a pensare altro da Dio, vuol dire che il nostro amore è un altro.

Allora, se noi mettiamo in alto Dio, non siamo figli di Dio, ma questo metterlo in alto ci dà la possibilità di diventare figli di Dio; perché i figli di Dio nascono da Dio, non nascono da altro. Ora, se i figli di Dio nascono da Dio, noi dobbiamo guardare solo Dio; perché è di lì che noi nasciamo.

Non nasciamo figli di Dio dicendo: “Oggi devo farmi dei programmi, devo fare dei propositi, così divento figlio di Dio”. Sei un beato illuso, perché così facendo,  fai leva sulla tua buona volontà, sulle tue virtù, sui tuoi impegni per diventare figlio di Dio. I figli di Dio nascono da Dio. Quindi se io so che per diventare figlio di Dio l’unica soluzione è quella di nascere da Dio, mi posso soltanto fermare e guardare Dio, perché soltanto guardando Dio divento figlio di Dio. Direi: nella misura in cui noi guardiamo Dio diventiamo figli di Dio; se invece guardiamo la terra diventiamo figli della terra. Quindi nella misura in cui guardiamo il mondo diventiamo figli del mondo; nella misura in cui guardiamo il Cielo diventiamo figli del Cielo.

Noi siamo come gli alberi: essi si costruiscono guardando la Luce; infatti l’albero assimila la luce; la gemma che costruisce l’albero non fa altro che accogliere la luce e assimilarla: è così che diventa albero . Così anche noi: noi diventiamo figli di Dio nella misura in cui guardiamo la Luce di Dio. È la Luce che forma noi, ma se noi restiamo nella Luce, se noi guardiamo questa Luce.

Quindi abbiamo questi due poli:

·Dio, che è tutto luce, l’Immutabile, il Fedele, il Vivente

·e noi che siamo soltanto una possibilità di diventare quello se guardiamo Lui. Infatti noi per natura siamo tenebre, quindi siamo instabilità, siamo infedeltà; e l’infedele è un essere che passa da un amore all’altro. Non è come intendono molti, che dicono: “L’infedele è colui che non crede in Cristo”. No! Noi possiamo credere in Cristo e poi essere massicciamente degli infedeli; e questo accade quando mutiamo amore.

Ines: Allora, se l’uomo è così, non è fatto .

Luigi: Infatti noi siamo in formazione. Dio dice ogni giorno: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. Quindi non siamo ancora fatti. Dio è l’Essere; la creatura  è un essere che Dio ha chiamato dal nulla. Quindi noi partiamo da due estremi: Dio e la creatura. La creatura per natura è tenebra, ma questa natura è chiamata a partecipare della Luce. Quindi noi partiamo da un estremo che quasi rasenta il nulla, Dio invece è Colui che è, l’Essere. Questo nulla è chiamato da Dio a partecipare di Lui. Dio chiamandolo, incomincia a dargli l’esistenza senza che l’uomo lo voglia. E noi cominciamo a palpitare con tutta quella povertà addosso che noi siamo,  infinitamente lontani da Dio, perché Dio è l’Essere. Noi tutti lo sappiamo che siamo infinitamente lontani da Dio; allora se siamo infinitamente lontani, se Lui  è l’Essere fedele, noi siamo infedeli. Se Lui è l’Immutabile, noi siamo mutevolezza, se Lui è vita, noi siamo non-vita. Però abbiamo la possibilità di partecipare della sua Vita. Noi non siamo vivi, Dio è il Vivente, però abbiamo la possibilità di partecipare a Lui e quindi di vivere.

Ecco l’errore nostro: noi ci crediamo già vivi. La vera vita noi non la conosciamo; quella che noi attualmente viviamo non è la nostra vita: è soltanto un’occasione per essere interrogati; ma non è vita. La vera Vita è Lui; Dio è il Vivente: “Io sono il Vivente” (Ap 1,18). Noi viviamo nella misura in cui partecipiamo. Noi siamo fatti bene, perché Dio ci dà la possibilità di partecipare. Noi siamo fatti bene, perché Dio ci dà la possibilità  di ascoltare il suo Verbo, in cui c’è la Vita, in cui c’è tutto per noi, ma solo se Lo ascoltiamo. Noi abbiamo la possibilità…; ecco perché siamo fatti bene. Infatti noi che siamo instabilità, tenebre, ecc., abbiamo però la possibilità di accogliere la Luce, abbiamo la possibilità di vita, di riconoscerla, abbiamo la possibilità di mettere in alto il Verbo di Dio in noi, abbiamo la possibilità di diventare fedeli, abbiamo la possibilità di amare, abbiamo la possibilità di capire. Quindi, di per sé noi siamo niente, però in questo nulla Dio pone Se stesso; e porre Se stesso vuol dire dare a noi la possibilità di diventare suoi figli. Però, siccome i suoi figli nascono da Lui, noi dobbiamo guardare Lui; perché se noi non guardiamo Lui diventiamo figli di altri, figli di ciò cui guardiamo.

Gesù dice ai Farisei: “Voi non avete per Padre Dio, perché se aveste per Padre Dio, voi accogliereste le mie Parole; voi avete per padre il demonio” (Gv 8,42-44); questo ci dice che noi abbiamo la possibilità di avere tanti padri, cioè noi possiamo farci figli del mondo, figli delle nostre ambizioni, figli del denaro, e ognuno di noi diventa figlio di ciò che mette prima di tutto dentro di sé, nella sua vita. Allora, se onestamente io dico: “Vivo per quella cosa”, io divento figlio di quella cosa; se io vivo per il denaro, divento figlio del denaro e subirò le conseguenze di questa figliolanza.

Quando gli ebrei chiesero a Samuele: “Dacci un re” (1 Sam 8,6), Samuele quasi si offese; egli era il Sacerdote di Dio, era lui che governava, allora si lamentò con Dio; e Dio gli disse: “Hanno chiesto un re? Da’ loro un re, toccheranno con mano cosa vuol dire essere governati da un uomo anziché da Dio” (cf 1 Sam 8,8-18). Così è per noi. Il Signore dice ad ogni uomo: “Io sono tuo Padre, Io sono il tuo Dio, Io sono la tua Luce, Io sono la tua vita, Io sono la tua fedeltà, Io sono il tuo amore; vuoi avere un altro padre? tocca con mano cosa vuol dire avere un altro padre!”. È qui, scegliendo altri padri, che noi allora incominciamo a caricarci di catene; perché abbiamo messo la creatura al posto del Creatore. Se invece mettiamo Dio al disopra di tutto, allora Lui ci fa figli suoi; infatti abbiamo detto che non si rinasce, non si diventa figli di Dio se non guardando soltanto Lui; perché i figli di Dio nascono da Dio.

Ora se tu sai che diventi figlia soltanto nella misura in cui guardi Lui,  nasci da Lui, ecco allora che devi aspettarti da Lui questa nascita e solo da Lui, in modo da attribuirla tutto a Lui.

Emma D.: Cercandola e desiderandola.

Luigi: Cercandola e desiderandola. Ma come?  Prima di tutto mettendo il Verbo, la Luce interiore, al disopra di tutto, in modo da non avere altri motivi in te, perché se ti lasci muovere da altri motivi, è finita! Quelli ti portano via da Dio, e poi  ti carichi di catene, perché ogni altro motivo è un motivo inferiore che ti crea un conflitto, ad esempio, con il tuo prossimo,  a causa del quale non puoi più amare, non puoi più vivere.

Ecco, l’uomo ad un certo momento si trova carico di catene, quindi instabile, bugiardo, ingiusto, perché non può più comportarsi secondo la giustizia, secondo la verità; deve alterare le cose, e allora ad un certo momento si trova soffocato, in un ambiente di grettezza; diventa sempre più debole, sempre più instabile, sempre più infelice e meno pensato. È lì che si comincia a vivere in un mondo in cui più nessuno ci conosce.

Pinuccia B.: Però Dio continua a conoscerci, a pensarci e ad amarci.

Luigi: Certo, però ho detto prima: se uno ama una persona dalla quale è lontano e fa qualche cosa che non è secondo lo spirito di quella persona, anche se questa continuerà ad amarlo perché non sa di essere stata tradita, lui però non  si sentirà  più amato; questo perché il tradimento crea una frattura che interrompe la comunicazione. Avendo egli agito in modo difforme dal pensiero dell’amata, anche se l’altra persona continua a dirgli: “Ma io ti voglio bene; io continuo ad amarti”, egli non si sente più amato. Chi tradisce non riceve più, non si sente più conosciuto.

Pinuccia B.: Ma questo può accadere tra creature, ma non con Dio.

Luigi: È la stessa cosa, perché tutto quello che accade sono lezioni di Dio. Quindi siamo noi che ci dividiamo: “Sono i vostri peccati, dice il Signore, che hanno creato la divisione tra voi e Me” (Is 59,2), non è Dio che si divide da noi. Dio non se ne va lontano quando noi siamo orgogliosi, quando siamo ambiziosi, quando siamo egoisti e pensiamo a noi stessi; eppure noi ci sentiamo terribilmente lontani da Lui, non più pensati da Lui. Come mai?

Il Signore dice: “Sono le vostre colpe che hanno creato la divisione tra voi e Me”, perché tutto quello che facciamo non motivati da Lui, ci isola, ci chiude in un bozzolo. E se anche Dio ci dice: “Io ti penso, io ti amo”, noi non ci sentiamo pensati, non ci sentiamo amati: ci sentiamo soli!

Invece più crediamo in Dio, più conosciamo Dio, tutto ciò che accade, sappiamo che è Dio che lo fa accadere tenendo presente noi, per cui noi ci sentiamo conosciuti da Lui e perfino da ogni creatura, da ogni avvenimento. Lì si è figli! Al contrario, più pensiamo a noi, più siamo incapaci a capire cosa succede, incapaci di ricevere e di portare la Luce. Pensare a noi è tristezza e solitudine: non ci sentiamo più pensati né da Dio, né dalle creature. È l’io che crea la frattura tra ciò che ci circonda e Dio, e ci fa cadere nell’errore, nella solitudine,  nella confusione e nel dubbio: sono io che mi immagino di essere pensato o lo sono davvero? La confusione viene soltanto dal pensiero del nostro io.

Invece nella misura in cui il nostro io si supera diventa capace di accogliere; se in quest’istante fossimo capaci di annullarci e di arrivare alla convinzione di essere niente e dicessimo con convinzione assoluta: “Tutto è grazia di Dio”, noi vedremmo Dio, perché Egli è presente e ci scopriremmo tutto fatti da Lui e pensati in tutto da Lui: si nascerebbe da Dio quali figli suoi.

Pinuccia B.: Però anche il dimenticarci per pensare a Lui è grazia di Dio.

Luigi: Tutto è grazia di Dio; tutto quello che è buono è grazia di Dio; se non pensiamo Dio però la colpa è nostra, perché Dio ci dirà: “Tu sapevi che Io ci sono”. L’avviso, il cartello, c’è su ogni strada: “Tu sapevi…”. Noi non potremo dire: “Io non sapevo”, no! Noi sappiamo. Ecco, siccome tutto il male, tutti i limiti vengono dal pensiero del nostro io, in quanto noi facciamo del nostro io il centro, siamo responsabili, perché noi sappiamo che noi non siamo Dio, noi sappiamo che non siamo il centro. “Tu lo sapevi, e perché allora hai sempre pensato a te e Mi hai trascurato?”.

Pinuccia B.: Ma io non voglio trascurarlo, però è Dio che ci dà la possibilità di superare il pensiero di noi stessi; è Lui che ci fa nascere.

Luigi: Certo.  “I figli di Dio nascono da Dio”. Lui vuole che noi ci superiamo: è la condizione per nascere da Lui.   “Nessuno può venire dietro di Me se non rinnega se stesso” (cf Mt 16,24), cioè bisogna imparare a pensare Dio, a parlare di Dio, operare per Dio, come normalmente e istintivamente adesso  pensiamo a noi, parliamo di noi e operiamo per noi. Noi questo lo  facciamo istintivamente, perché ci siamo talmente caricati del nostro io, che avere il nostro io al centro è diventata un’abitudine. Invece è Dio che deve diventare “un’abitudine”; per cui noi dovremmo fare una fatica enorme a parlare di noi.

Pinuccia B.: Anche a pensare a noi.

Luigi: Anche a pensare a noi! Ma anzi, pensare a noi non si concepisce neppure più, perché è una stoltezza il pensare a noi stessi. È un errore.

Pinuccia B.: Però succede che se noi ci sentiamo pensati da Dio, cioè se noi siamo convinti che tutto quello che accade è Dio che lo fa accadere per noi, noi stiamo pensando a noi, siamo coscienti di noi. E allora?

Luigi: Sì, indubbiamente abbiamo la coscienza di essere, ma anche il pensiero del nostro io, la coscienza del nostro io, è opera di Dio. Ma il nostro io è opera di Dio nella misura in cui siamo pensiero di Dio; cioè, pensando a Dio noi siamo coscienti di pensare a Lui e di essere pensati da Lui; ma è Lui che ci pensa. Ma Lui ci pensa in quanto noi non pensiamo a noi stessi; cioè, è come se Lui dicesse a noi: “Tu pensa a Me, e Io penso a tutto per te; quindi non fare lo stolto: non pensare a te, pensa a Me e ti accorgerai che Io penso a te in tutto”. Allora tutto va a posto. Però tu non pensi alle cose che vanno o come vanno e tanto meno a farle andare come vorresti, perché tu pensi a Dio. Ecco perché le cose le fa andare Dio e le fa fare Dio; è Lui che ha creato tutto ed è Lui che continua a creare tutto.

Egli ti dice: “Ma non sei capace a guardare le stelle? Ti rendi conto di che dimensioni è il mio universo? E poi hai paura che ti manchi qualche cosa? Quindi pensa a Me, ed Io penso a te. Se Io ho creato tutto l’universo e ho creato te dal niente, sarò ben capace ancora a mantenerti in vita; di che cosa hai paura? Pensi forse che pensando a te vivi? Pensando a te muori. Pensa a Me, ed Io ti farò vivere”.

Direi che la nostra gioia sta nel poter parlare di Lui, poter pensare Lui, raccogliere tutto in Lui, glorificare Lui. Quando noi gli diciamo: “Signore, noi ti ringraziamo per la tua gloria immensa”,  lo diciamo perché è una grande gioia poter glorificare Lui, perché è tutta vita. Una persona, quando ama un’altra, tutta la sua gioia sta nel poter pensare tanto a quell’altra,  riferire tutto a quell’altra e vedere la sua gloria, perché la gloria dell’altro le dà gioia, perché quando veramente si ama, si vive molto di più nell’altro che in noi stessi; quindi il dover pensare a noi diventa una tristezza, perché è un distaccare il nostro pensiero dall’altro. Noi viviamo molto di più nell’altro; difatti, quando una persona amata muore, perché noi soffriamo? Perché è la vita nostra che viene a mancare, perché noi viviamo nell’altro. E anche se quest’altro è nella gioia, noi soffriamo perché non possiamo più restare con lui. La sofferenza sta nel non poter essere con colui che noi amiamo; ed è un morire veramente, ma siamo noi che moriamo continuando ad esistere, perché non potendo essere con l’altro la nostra esistenza diventa una sofferenza, proprio perché noi viviamo nell’altro.

Perché coloro che si amano se sono distanti soffrono? Perché uno non può vivere con l’altro, dove l’altro è presente; perché col pensiero vive con l’altro, però non può sapere, non lo può vedere, e allora c’è il trauma. Ecco, questo avviene perché siamo fatti per vivere nel pensiero dell’Altro, e la nostra gioia sta nel vivere con l’Altro. Ecco perché è una stoltezza pensare a noi.

Ines: Per chi ha imparato ad amare, dovrebbe essere così.

Luigi: E già, d’altronde “Dio è Amore” (1Gv 4,8). Ora, se Lui ci ha insegnato ad amare e ha creato questi rapporti d’amore, è  proprio perché Lui è Amore. Tutto è lezione di Dio; quindi Lui dirà: “Ma tu sapevi amare una creatura; allora perché non hai imparato ad amare Me?”. Noi non potremo un giorno giustificarci dicendo: “Signore, tu non mi hai insegnato ad amare”. Quindi le lezioni ci sono, perché ce le portiamo addosso. Il Signore dice: “Voi stessi dite che Io sono; non ho bisogno Io di dirlo, siete voi che lo dite:  con tutto quello che avete addosso, con tutti i vostri problemi, con tutte le vostre ansie, le vostre paure, voi testimoniate che Io ci sono, che Io sono l’Amore, che Io sono la vita, che Io sono la fedeltà”. Le nostre imperfezioni, i nostri mali, le nostre paure, i nostri traumi, anche la stessa nostra morte testimoniano che Dio è Colui che è vita e che non siamo noi la vita.

Ines: È la testimonianza delle tenebre.

Luigi: Le tenebre confessano, testimoniano la Luce.

Pinuccia B.: Se le tenebre accolgono questa testimonianza delle tenebre stesse, si aprono alla Luce.

Luigi: E se mettono in alto la Luce, se guardano ad Essa e si lasciano guidare da Essa, ricevono la possibilità di diventare figli di Dio. Il diventarlo è tutta opera di Dio, perché i figli di Dio nascono da Dio, non per merito proprio, non per le proprie virtù o sforzi di volontà, ma da Dio, attraverso la conoscenza di Dio.

Le due nascite dell’uomo

«L'uomo tanto più vive quanto più pensa a Dio e fa a Lui un posto nella sua vita». « È la frase che più mi ha toccata», ci scrive una signorina dal lontano Brasile. E prosegue: «Quindi se voglio vivere debbo ricordarmi che questo dipende dalla scelta che ogni momento faccio nell'orientamento del mio pensiero. Tante volte avevo sentito ripetere quella frase, ma mai come questa volta è risuonala in me così chiara e convincente, aprendomi prospettive immense di liberazione e di vita vera».

Eccoci posti di fronte al problema principale dell'uomo: l'uomo ha la vita, ma deve scegliere la vita: «se voglio vivere...». Veramente ogni uomo per diventare uomo nella pienezza del termine, essere cioè che conosce la Verità, deve nascere due volte: una volta secondo la carne e una volta secondo lo spirito. Ma questa seconda nascita, a differenza della prima, non avviene se l'uomo stesso, personalmente, non s'impegna a volerla. Per questo Gesù diceva: «Bisogna che voi nasciate di nuovo» (cf Gv 3,3). Bisogna, se si vuole vivere.

Non basta che l'uomo nasca dalla carne per essere uomo: nato dalla carne è un essere che soffre un'altra gestazione, non più in un altro ma in se stesso, per nascere dallo Spirito. Tutti i nostri problemi sono creati da questa seconda gestazione, che può durare anche tutta la vita, e può fallire.

Due sono i mondi: c'è il mondo impersonale in cui le cose e le esistenze avvengono senza di noi, e c'è il mondo personale in cui le cose non avvengono senza di noi. Per cui due sono le vite: vita secondo la carne; vita secondo lo Spirito.

Ma se la nostra nascita alla vita secondo la carne avviene senza la partecipazione della nostra volontà, la nascita alla vita secondo lo Spirito, essendo vita personale, non può avvenire senza la nostra volontà. Ma non con la sola nostra volontà o con la volontà degli uomini. Non si formano, e non si riformano, gli uomini con le parole umane, né con i mezzi di comunicazione di massa, né con i convegni e i cortei, né con le tavole più o meno rotonde. Gli uomini veri si formano con Dio, nel silenzio e nella preghiera.

«L'uomo tanto più vive quanto più pensa a Dio e fa a Lui un posto nella sua vita».

Ma se la nascita a questa vera vita non avviene senza la volontà dell'uomo, veramente dinanzi a lui stanno la vita e la morte: quello che avrà scelto gli sarà dato. Così ogni uomo è soggetto alla tentazione di non scegliere la vita per subordinarla al pensiero della vita materiale, al pensiero del mondo, al pensiero di se stesso.

La tentazione bussa alla porta dell'uomo, ma l'uomo la deve dominare, perché egli deve ubbidire a Dio, il quale dice all'uomo: «scegli la vita affinché tu viva!» (Dt 30.19).  E aggiunge: «Io sono la Vita» (Gv 14,6).

Cristo è stato soggetto alla tentazione per insegnare all'uomo come si esce da essa scegliendo la vita.

«Egli - ci dice il Vangelo  - fu condotto dallo Spirito nel deserto e, nel deserto, gli si avvicinò il tentatore» (Lc 4,2).

Ogni uomo viene sospinto dalla vita stessa nel deserto e nella solitudine di fronte ai suoi problemi. Di fronte ai veri problemi si è sempre soli. Basta questa constatazione per sconfessare tutte le nostre mitizzazioni della massa.

Nel deserto e nel digiuno dal mondo preme la fame del corpo, la fame del sentimento, la fame delle nostre ragioni.

La vita è un digiuno crescente per far rivelare a noi stessi la fame essenziale che portiamo dentro di noi, ma è anche tentazione a subordinare la vita vera dell'uomo e le esigenze dello Spirito alla vita nel mondo.  Per questo nella vita dell'uomo nel mondo vi è sempre un'ora di sgomento, di perdita dei beni o delle creature più care; vi è sempre un'ora di digiuno e di solitudine. È l'ora in cui l'uomo viene portato su quella soglia in cui deve imparare che è lui personalmente responsabile della sua vita e che deve lui, personalmente, impegnarsi a cercare Dio.

È in quest'ora che si rivela la tentazione, il dubbio; poiché tutto ciò che è nel mondo può diventare oggetto di desiderio per l'uomo: desiderio di sottomettere tutto alle proprie ragioni, ai propri sentimenti, ai propri bisogni materiali. Ma l'uomo non è salvato da ciò che sta al disotto di lui, o da ciò che egli mette al disotto di sé o delle sue ragioni, ma da ciò che sta al disopra, da ciò che gli viene da Dio. L'uomo non si salva guardando la terra, ma guardando il Cielo.

Se avrai imparato a conoscere anche tutto il mondo ma non avrai imparato a conoscere Dio, la tua vita sarà fallita: l'uomo spirituale non sarà nato.

«Adorerai il Signore Dio tuo e servirai a Lui solo»: così Gesù concludeva la sua prova con gli argomenti del tentatore che nel deserto aveva cercato di fargli subordinare la vita di figlio di Dio alla vita del mondo (Mt 4,10).  È la strada che Dio presenta ad ogni uomo perché possa trovare la Verità e vivere.

(27.02.1974)

La Madre

Ogni uomo per diventare vero uomo deve nascere due volte, e ogni madre diventa tale solo se genera due volte i suoi figli. E come gli uomini diventano tali solo con la seconda nascita, quella spirituale, così le madri diventano veramente madri dei loro figli, non con la generazione naturale, ma con la generazione spirituale di essi.

I figli vanno generati due volte: una prima volta secondo la carne, e un'altra secondo lo spirito.

I figli che non vengono generati spiritualmente si perdono come figli, diventeranno figli di altri, e le madri che non si preoccupano di questa seconda gestazione, perdono i loro figli e si perdono come madri, poiché è proprio in questa generazione che le madri diventano madri.

Se la generazione naturale richiede sofferenze e sacrifici da parte della madre, la generazione spirituale è molto più lunga e impegnativa: richiede tutta la dedizione di mente e di cuore, richiede tutta l'anima e tuta la grazia e la luce di Dio, poiché si tratta di scoprire l'opera che Dio sta svolgendo nell'anima delle creature ch'Egli ha fatto nascere nella nostra casa, e che sono di Dio anche se sono affidate a noi. Questo richiede la morte ad ogni nostra vanità, ad ogni nostra ambizione di mondo, ad ogni nostro amore possessivo, ad ogni imposizione e ad ogni autoritarismo da parte nostra: richiede la morte a noi stessi.

La generazione dei figli è una storia d'amore fondata sempre su uno che muore a se stesso. «Nessuno ha maggior amore di colui che dà la sua vita», dice Gesù (Gv 15,13).  E la generazione dei figli di Dio è la storia dell'amore di Dio verso l'uomo.

Con la sua morte in croce Cristo ha portato a compimento tale storia d’amore.  Egli infatti è morto sul Golgota dicendo: «Tutto è compiuto» (Gv 19,30).

 L’opera di Dio per formare l'uomo, iniziata nel Paradiso terrestre, è giunta qui al suo compimento.

L'amore è soprattutto dono di presenza: dono, non imposizione di presenza.  L'imposizione della presenza soffoca, rende schiavi e provoca il bisogno di evadere, di respirare altrove; il dono della presenza dà vita, libera e fa sentire il bisogno di restare.  La madre che si sostituisce al figlio gli impone la sua presenza, non gli fa il dono della sua presenza. Il dono della presenza è un compito di servizio perché questo seme di uomo possa svilupparsi in uomo.

Anima della formazione dell'uomo è il dono della presenza personale di Colui che risponde ad un'attesa. Rispondere all'attesa: qui sta il dono della presenza. L'amore vero risponde sempre ad un’attesa.

Sul Golgota Dio ha rivelato “come” Egli risponde all’attesa degli uomini, ha rivelato «come» Egli è presente con il suo Verbo tra noi e in noi. Sul Golgota Dio ci ha fatto il dono della sua Presenza per ogni nostro luogo e per ogni nostro tempo, fosse anche il nostro tempo più cattivo e più nero, e il nostro luogo più triste e disperato. Qui “tutto è compiuto” per la nostra formazione all'ascolto di Dio, quella formazione che richiede la Presenza personale del Maestro degli uomini, poiché gli uomini si formano alla presenza ed hanno bisogno di presenza: non sono sufficienti le regole, le leggi, le istruzioni, come non sono sufficienti i comandi, le minacce, le repressioni, le cacciate. L’uomo è un bisogno di presenza.

Sul Golgota Dio ha risposto a questo bisogno, ha risposto all'attesa di ogni uomo.

Qui abbiamo il compimento della profezia: «saranno tutti istruiti da Dio» (Gv 6,45). Una presenza personale, un Maestro per ogni uomo .

« La Verità - scrive Frossard - non è una forza immanente, non è la storia, non è qualcosa, ma è Qualcuno. È una fortuna meravigliosa sapere che Dio è una Persona. Una Persona con la quale si possono stabilite dei rapporti personali».

Con la sua morte in Croce, Cristo ci rende accessibile Dio ad ogni livello, poiché lasciandosi uccidere da noi, ci unisce alla sua morte: ci dà così la possibilità di conoscere Colui che parla a noi e di diventare figli di Dio. I figli di Dio infatti  «non nascono né per diritto di sangue, né per la legge della carne, né per volontà di uomo;  i figli di Dio  nascono da Dio”(Gv 1,13).

Ma avere la possibilità non è ancora ottenere, non è ancora esserlo. Il Maestro non fa il compito dell’allievo, non si sostituisce al discepolo. Cristo morendo in Croce non si sostituisce all'uomo, ma dà la possibilità all’uomo, ad ogni uomo, di morire a se stesso e di rinascere da Dio e di penetrare nel mondo spirituale.

Nella contemplazione del mistero di Cristo morente si apre la porta che ci introduce nel mondo dello Spirito.

 Ma se la porta è aperta, bisogna ancora oltrepassare la soglia.

 Il «tutto-compiuto » di Dio non è il « tutto-compiuto » in noi.

Il tutto-compiuto in noi sarà alla nostra Pentecoste, sarà in questa venuta personale dello Spirito di Verità che ci condurrà a vedere tutta la Verità.  Questo presuppone la morte al nostro io e la nostra rinascita da Dio, cosa che non può avvenire senza di noi. È questo che manca al tutto compiuto di Dio sul Golgota.

Ciò che manca alla morte di Cristo è la nostra risposta, è la morte al nostro io.

Come per nascere al mondo l’uomo ha bisogno di una madre, così per morire al suo io, questa vera nascita dell'uomo, ha bisogno di una Madre. Per questo Gesù morendo in Croce dice all’uomo:  «Ecco tua Madre!». E gli presenta Maria.

(I – 08.05.1974)

La madre non deve sostituirsi al figlio; non deve addormentare la sua coscienza; non deve prostituirlo alle mentalità ed alle ambizioni del mondo, al benessere, alla ricchezza; non deve fargli dei cuscini strappandogli le penne dalle ali, come direbbe Strindberg; non deve soprattutto deviarlo dal fine per cui Dio l'ha voluto.

La vera madre si rivela e si riconosce non nel voler possedere il figlio, né nel volerlo strumentalizzare, asservire agli interessi di un nome, di una famiglia, di una carriera, ma nel saper rinunciare al figlio perché egli viva la sua vita e giunga a conoscere Dio.

La vera madre ha un compito di servizio e si forma morendo a se stessa ed alle sue ambizioni. È nella morte di Cristo in Croce che fu formata una Madre, la Sua, per tutti gli uomini: esattamente per tutti coloro per i quali Cristo morì in Croce.

Maria è Colei che insegnando agli uomini a morire al loro io nell'opera tutta-compiuta di Dio, genera a Dio i figli di Dio.

Tutto questo avvenne per aiutare gli uomini, tutti, a giungere al compimento del loro destino ed alla pienezza della loro vera vita, poiché Dio vuole che tutti si salvino e giungano a vedere la Verità.

È sempre Dio che opera, sia quando fa morire suo Figlio in Croce, sia quando ci dà una Madre che resti con noi e ci accompagni per quel tratto di strada in cui Gesù dice: «non mi vedrete più» (Gv 16,10)  e che va dalla sua morte fino alla Pentecoste, anche se intervallato dalle sue brevi apparizioni di risorto, sia quando manda il suo Spirito a Pentecoste su coloro che, uniti alla Madre sua, sono passati attraverso la Sua morte e si trovano tutti raccolti nel Suo Pensiero.

È sempre Dio che opera in tutto, perché Colui che ha incominciato a formare l'uomo è lo stesso che lo porta a compimento.

È Dio che incomincia a fare l'uomo, a dargli l'esistenza inserendolo nel suo universo; è Dio che lo fa vivere; è Dio che lo libera da tutte le schiavitù in cui l'uomo cade, è Dio che  lo redime e lo riconduce sulla strada della vera vita; è Dio che lo illumina e lo perdona sempre perché eterna è la sua misericordia; è Dio che lo lascia smarrito davanti alla sua morte, ed è Dio che gli presenta Colei che gli sarà Madre, affinché egli sappia ciò che deve fare, ed è ancora Dio che lo porta a quel dono supremo che è la venuta dello Spirito di Verità: « che vi insegnerà ogni cosa e vi porterà a vedere la Verità totale e completa » (Gv 16,13).

E noi stiamo assistendo a quest'opera immensa e meravigliosa che Dio sta svolgendo nell'arco di pochi anni, quanti sono quelli della nostra vita, per formare in noi un'anima capace di Verità assoluta e di Vita eterna, capace di essere partecipe della sua Natura Divina, e forse non ce ne rendiamo minimamente conto, tutti presi dalle nostre discussioni su ciò che abbiamo guadagnato e su ciò che abbiamo perso. «0 anime create per queste grandezze e ad esse chiamate, che fate? In che vi intrattenete?», grida S. Giovanni della Croce nel suo Cantico Spirituale.

Dio opera ogni cosa per l'uomo. Importante è che questi guardi Dio, sia attento a Dio, resti in ascolto di Dio, poiché Dio forma l'uomo parlandogli, lo fa vivere con la sua Parola: « l'uomo vive di ogni parola che procede dalla bocca di Dio » (Mt 4,4).

Amare Dio è accogliere le sue parole. «Chi mi ama osserva le mie parole», dice il Signore (Gv 14,23), mentre l'anima allieva di Dio riconosce: «la tua Parola, o Dio, è lampada ai miei passi».(Sal 119,105)

È attraverso l'ascolto di Dio che l'uomo viene condotto di dono in dono fino al compimento del suo destino ed alla sua vita eterna nel dono totale di Dio e della sua Verità assoluta, poiché la piena comunicazione della Verità comporta la piena donazione di se stessi.

Per questo, nel «tutto-compiuto» dell'opera di Dio per fare l'uomo, Cristo è venuto a morire tra noi, in noi. Si è dato tutto nelle nostre mani.

Questa donazione totale di Sé da parte di Dio è la condizione sostanziale per la formazione dell'uomo, per la sua nascita nello Spirito.

Cristo morendo ci ha aperto la via dello Spirito: ci ha aperto la via della Pentecoste: «Se non me ne vado, non può venire a voi lo Spirito di Verità» (Gv 16,7).

Ma, abbiamo visto, il tutto-compiuto di Dio, non è ancora il tutto-compiuto di noi.  Gesù è morto perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per Colui che è morto in essi e per essi. Egli infatti è morto non per restare morto e condannarci con la sua morte, ma per darci la vita, e quindi rinascere con noi, in noi.

Solo generando in noi il Figlio di Dio venuto a morire in noi, diventeremo figli di Dio.  Ecco perché abbiamo bisogno di una Madre, la Sua Madre.

Ecco un mistero meraviglioso dell'opera di Dio: la sua Verità viene a morire in noi per darci la possibilità di farla, e facendola diventare figli suoi. Diventiamo infatti figli di ciò che facciamo. Un mistero meraviglioso d'amore che ci fa restare in muta contemplazione.

(II – 15.05.1974)

« Solo chi fa la Verità giunge alla Luce », dice il Cristo (Gv 3,21).

La Verità non basta ascoltarla; va fatta. Altrimenti la perdiamo, poiché diventiamo via via figli di ciò che facciamo.

Noi nasciamo in un mondo che è tutto non-fatto-da-noi. Vivendo ci sviluppiamo in un mondo sempre più fatto da noi, fino al giorno in cui restiamo con solo ciò che è fatto da noi. Ognuno abiterà nella casa che avrà voluto costruirsi.

S. Agostino diceva: «Vi sono due amori che costruiscono: l'amore di Dio e l'amore di se stessi. L'amore di Dio costruisce la città di Dio; l'amore di se stessi costruisce la città di Satana».

Ciò che facciamo diventa luogo di nostra abitazione; ciò che non facciamo viene perduto.

L'amore è una proposta, la Verità è una proposta, la vita è una proposta, Dio è una proposta. Ciò che non vogliamo, non l'avremo. Così accade che perdiamo la fede, lo spirito, l'anima, l'amore, la pace, la vita, Dio. All'ultimo ci sarà dato solo ciò che avremo fatto, ciò che effettivamente avremo voluto avere.

C'è un «fare» personale che nessuno può compiere al posto nostro, senza del quale noi non diventiamo uomini, non giungiamo al nostro destino, non conosciamo Dio, non diventiamo figli di Dio.

Ma l'uomo non può fare se non ciò che gli viene dato. Ogni possibilità di «fare» nell'uomo è preceduta da un dono, quindi da un atto di fiducia in lui. La fiducia è la premessa che forma nell'uomo la capacità di volere e di essere, di diventare uomo. Ma la fiducia è tale solo in quanto pone un dono nelle mani dell'uomo a costo di lasciarlo rovinare. È il dono di Dio che fa essere l'uomo e lo fa capace di donarsi e quindi di amare e di vivere. Per questo, prima di chiederci un atto di fiducia e di amore, Cristo ha fatto un atto di fiducia verso di noi: si è posto nelle nostre mani.

L'atto di fiducia verso di noi di per sé non ci salva e non ci libera, ma è la condizione per darci la possibilità di incominciare veramente ad amare ed a vivere. Amare infatti, che è vivere per un altro, richiede la piena libertà dell'uomo di disporre del dono di sé. Dio ci porta in questa libertà dandoci Se stesso, nelle nostre mani.

Così Cristo, che è la rivelazione del mistero divino tra noi, si è dato nelle nostre mani, e non per scherzo, né sotto condizione, poiché si è dato fino a lasciarsi mettere da noi a morte e alla morte di Croce! «Faranno di Me tutto quello che vorranno».  Non c'è infatti vera fiducia se non c'è un dono totale, se non si accetta di perdere ciò che si pone nelle mani dell'altro.

Colui che dice di voler amare e di voler servire senza però voler perdere, e soprattutto  senza perdersi, non ha vero amore e non ha capito cosa vuol dire servire. Per questo Gesù dice: «Chi cerca di salvare la sua vita, la perde; chi invece la perde, la salva» (Gv 12,25).

 Colui che viene a perdersi in noi, che viene a morire in noi, essendosi dato realmente, e non teoricamente, non rinasce in noi senza di noi, non risorge senza la nostra risurrezione. Così, mentre Cristo prima di morire è presente tra noi indipendentemente da noi, morendo per causa nostra si unisce a noi in modo tale che nella sua risurrezione non c'è più una presenza indipendente da noi, ma in Lui c'è qualcosa di noi.

In Cristo risorto c'è qualcosa di noi; per cui se non c'è niente di noi in Lui, non risorge: resta morto in noi. Per questo si dice che la risurrezione di Cristo, pur essendo una realtà storica, un fatto storico, richiede la fede. «Solo chi è illuminato dalla fede può affermare che Gesù è veramente risorto». Nella conoscenza della Verità c'è una componente soggettiva che la rende personale, intima, e pur reale.

Ad ognuno viene dato ciò che ha voluto avere: ad ognuno sarà misurato l'amore nella misura con cui avrà misurato il suo amore. Cristo cioè  rivive in noi e per noi nella misura in cui Lo facciamo rivivere.

È questo il compito che rimane all'uomo nel «tutto-compiuto» di Dio con la morte di Cristo: generare il Figlio di Dio in noi.  È il compito di Maria. L'uomo ne ha la possibilità poiché il Figlio di Dio si è dato per primo tutto nelle sue mani e, morendo, gli ha presentato “la via” per farlo rivivere. È questo il motivo per cui ci ha dato sua Madre.

Quando Gesù morente sulla Croce, vedendo sua Madre e lì vicino il discepolo ch'egli amava, disse alla Madre: «Donna, ecco il tuo figliolo », e disse al discepolo: «Ecco la Madre tua», da quel momento Giovanni, il discepolo prediletto, la prese con sé.

Cristo si è dato nelle nostre mani perché solo il dono di Sé ci dà la possibilità di «farlo» vivere, e ci ha dato sua Madre, e noi dobbiamo prenderla con noi, perché solo Colei che ha generato il Figlio di Dio può insegnarci a generare in noi il Figlio di Dio. Il mistero della divina maternità di Maria comporta quello della sua maternità spirituale di ogni uomo: Madre di tutti.

Il Cristianesimo è una grandiosa storia d'amore: di tale storia abbiamo appena qui sfiorato qualche accenno.

(III – 22.05.1974)

Cristo andando al Padre ha preparato in noi il posto per lo Spirito Stinto, un posto per la nostra nascita spirituale, poiché i figli di Dio nascono da Dio consapevolmente.

Ma se i figli di Dio nascono da Dio, qual è il compito della Madre in questa generazione spirituale? Per intendere questo è necessario tenere presente che la nascita spirituale non avviene senza di noi.

Con la venuta di Cristo tra noi ci è stato rivelato che la Verità di Dio è annunciata e testimoniata, non solo, ma è donata, posta nelle mani degli uomini: «ne facciano quello che vogliono». Se La fanno vivere, li farà vivere, poiché essa è vita. Se non La fanno vivere in loro, avranno preferito la morte alla vita.

Di qui la prima lezione: bisogna glorificare Dio in noi. «Riconoscete che il Signore è Dio: Egli ci ha fatto e non già noi stessi ci siamo fatti» (cf Salmo 100). Se Lo glorificheremo, Egli ci glorificherà in Se stesso e ci farà vivere; se Lo conosceremo, ci conoscerà; se Lo ignoreremo, ci ignorerà.

Glorificare Dio è non affermare mai se stessi, è riconoscere la nostra povertà, il nostro niente; è riconoscere in tutto la Presenza di Dio e il suo Spirito; è ascoltare Dio, contemplarlo, conoscerlo.

Maria, la Madre di Gesù, è la grande Maestra in questa glorificazione di Dio in noi: «L'anima mia glorifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore », Essa dice (Lc 1,46-47).

Se ciò che è annunziato richiede attenzione e ascolto; se ciò che è testimoniato richiede adesione e giustizia, ciò che è dato richiede impegno di vita e dedizione, richiede disponibilità, poiché è affidato alle nostre mani.

Chi non si rende disponibile con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutto il cuore, non può trattenere ciò che gli è dato. Maria è Maestra di questa disponibilità. È questa un'altra sua lezione per insegnarci a generare in noi il Figlio di Dio ed a farlo crescere: «Fate tutto ciò che Egli vi dirà» (Gv 2,5). Sono queste le uniche  parole ch'Essa rivolge agli uomini. Maria non dice altro, non dialoga, non discute, non si inginocchia davanti al mondo.

Se gli uomini possono fare di Cristo tutto quello che vogliono, perché Egli si mette nelle loro mani, nulla possono fare verso Maria, poiché Essa non discute con loro; Essa è l'amore puro di Dio, e nulla si può fare verso l'amore puro.

Senza Cristo, Maria non ci salva e non ci può salvare: senza Cristo, Maria è inimitabile.  Chi ci salva è Cristo con la sua morte per causa nostra.

Con la morte di Cristo in noi e per noi, Maria diventa per noi Colei in cui è realizzato ciò che dobbiamo realizzare: Essa è la nostra speranza, poiché attualizza per noi, in ogni nostra situazione, come dobbiamo essere. Essa ci insegna a fare, a incarnare la Parola di Dio: «Si faccia di me secondo la Tua Parola » (Lc 1,38).

Maria è il modello di creatura perfetta tutta secondo Dio; è il Disegno puro della creatura  quale l'ha concepita Dio: quindi è l'ideale di ogni nostra perfezione, è la soluzione di ogni nostra problematica, poiché è la Creatura che non pensa a se stessa. Si tratta di verificare su di Lei la nostra esistenza, il nostro farci.

L'uomo ha sempre bisogno di un modello cui riferirsi ed a cui riferire l'opera che sta facendo nell'ascolto di Dio, per continuamente verificarsi e correggersi su di esso.

 Maria è la Madre che ci aiuta a realizzarci come figli di Dio facendoci nascere da Dio. Compito della madre non è di fare lei ciò che dobbiamo fare noi, non è di sostituirsi al figlio, ma di renderci capaci di essere ciò che dobbiamo essere, di bere cioè la nostra vita alla sorgente «senza nulla sottrarre agli altri».

Essa è Colei che porta a compimento in ognuno di noi l'opera di suo Figlio, poiché è Colei che accompagna l'uomo nel fare ciò che manca alla passione e alla morte di suo Figlio. Ci insegna a morire al nostro io dopo che Cristo ha detto tutto, dopo che ha dato tutto Se stesso.

Quanto più la creatura muore a se stessa, tanto più diventa spiritualmente feconda. Per questo Maria, che è la creatura morta a se stessa per essere tutta a disposizione di Dio, è la creatura più feconda, è la Madre di tutti i figli di Dio.

Bisogna prendere con noi Colei che ci genera a Dio, la Madre che fa degli uomini, anche di coloro che hanno tradito, rinnegato,  misconosciuto, ucciso suo Figlio, i figli di Dio.

Se Cristo morendo in Croce ci affida al Padre, Maria è Colei che ci accompagna, ci mantiene orientati, ci insegna, ci aiuta a restare raccolti nel Padre fino al giorno della nostra Pentecoste, il giorno in cui dal Padre ci manderà lo  Spirito Santo.

Ecco perché non a caso, nell'ordine di tutte le cose, il mese di Maggio è dedicato a Maria.  Questo tempo che va dalla Pasqua a Pentecoste, dalla Morte cioè di Cristo alla venuta dello Spirito Santo, è essenzialmente tempo di Maria. Questo è un tempo ch'è nella vita di ogni uomo.

Quando venne il giorno di Pentecoste, i discepoli erano tutti riuniti in preghiera nello stesso luogo con Maria, la Madre di Gesù.  Si giunge al giorno del nostro incontro con lo Spirito di Dio, con Maria, la Madre dei figli di Dio. Pentecoste rappresenta il giorno supremo nella vita dell'uomo: esso segna l'incontro con lo Spirito che resterà con noi per sempre e che ci condurrà a vedere la Verità completa in tutto.

(IV – Fine – 29.05.1974)

(articoli scritti da Luigi Bracco, pubblicati  su “La Fedeltà”)



I quali non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio sono nati Gv 1 Vs 13 Secondo tema


Titolo: I figli di Dio nascono da Dio


Argomenti: Dedicarsi ai poveri. La morte dell’io.

RAPPORTO INTIMO. IN ATTESA DELLO SPIRITO. LA VEGLIA INFINITA. GLORIFICARE DIO NEI NOSTRI CUORI. IL GRANDE DONO DI DIO A OGNI UOMO. NEL SILENZIO DI TUTTO SI TROVA IL TUTTO.


24/Ottobre/1975


Approfondimento dell’argomento dell’incontro precedente:

 

“I quali non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio sono nati”.

I figli di Dio nascono da Dio e non da altro (non dal nostro volere, dai nostri propositi, ecc.). Nella misura in cui guardo Dio, penso a Dio e mi lascio guidare da Dio, divento figlio di Dio, perché è guardando Dio, pensando Dio, lasciandomi guidare, motivare da Lui, dalle sue Parole, o meglio, dallo spirito delle sue Parole, che Egli mi comunica la conoscenza di Sé e quindi mi rende partecipe della generazione di suo Figlio, facendomi suo figlio per adozione.pesci

Sabato 07.05.1983

 

“I quali non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio  sono nati”.

Paolo: È lo Spirito che dà la vita, cioè è il Pensiero di Dio in noi che ci fa vivere, ci fa nascere.

Piero: Qui ci viene detto come si diventa figli di Dio: nel Pensiero di Dio, se siamo incentrati lì.

Luigi: Quindi si diventa figli non per diritti di sangue, non per colore di pelle, non per nazione, non per istruzione, né per volontà nostra; non è con i nostri sforzi che diventiamo figli di Dio, non è con i nostri pensieri che diventiamo figli di Dio. Non è opera nostra il diventare  figlio di Dio, né per opera di altri.

Piero: È fondamentale approfondire le Parole di Gesù per superare la sua presenza fisica e  capirlo come Pensiero di Dio. È Gesù stesso che ci invita a superare questa presenza fisica, cioè a fare questo passaggio, se vogliamo nascere dal Padre come figli di Dio.

Luigi: Infatti Gesù dice: “È necessario che Io me ne vada, altrimenti lo Spirito non può venire in voi” (Gv 16,7). Quindi la sua presenza fisica ha una funzione importantissima, però ad un certo momento va superata.

Piero: Se non si supera la presenza fisica si rimane a metà strada...

Luigi: …si rimane alla fase sentimentale.

Piero: Invece bisogna giungere a capire il suo Pensiero, perché  poi è proprio questo Pensiero che ci porta a capire tutti  i segni esteriori e il Vangelo stesso; perché Dio parla dentro e fuori di noi. Quindi è questo ascolto di Dio  che ci fa diventare figli di Dio. D’altronde se non c’è questo salto al Pensiero di Dio, qualunque preghiera, la Messa stessa, è svuotata.

Luigi; Certamente; anzi, diventa recitazione, diventa teatro, diventa abitudine.

Pinuccia B.: Appaga magari la coscienza…

Piero: …ma la svuotiamo del valore vero.

Marco: La prima cosa che ho pensato è la funzione creatrice del Padre; cioè anche in questo è Lui che opera: è Dio che ci rende figli di Dio. Bisogna però stare in ascolto di Lui, in silenzio.

Luigi: “Quando vuoi pregare, entra nel silenzio della tua stanza e chiudi l’uscio, e lì rivolgiti al Padre tuo che ti ascolta” (Mt 6,6).

Marco:  Ma se noi stiamo in silenzio, siamo poi sicuri che Dio ci rende figli suoi?

Pinuccia B.: Non deve essere  un silenzio passivo.

Luigi: No, certamente. Il silenzio che ci fa diventare figli di Dio è un silenzio che accoglie. Il silenzio è la condizione per poter ascoltare, per ricevere. Altrimenti non si riceve; infatti se io parlo di me, non ricevo niente dall’altro.

Pinuccia B.:  Però deve essere un silenzio attivo nel senso che si cerca il Pensiero dell’Altro, ci si apre all’Altro.

Luigi: Però è l’Altro che ci parla. Noi dobbiamo soltanto preoccuparci di far tacere tutto di noi, guardando l’Altro.

Pinuccia B.: E se l’Altro non parla, noi non possiamo sapere niente.

Luigi: Assolutamente niente! Però Lui può parlare e noi non riceverlo perché è Lui che parlando viene nella sua casa. Noi siamo la sua casa, Lui viene e noi non lo riceviamo. Ma perché non lo riceviamo? Perché parliamo di noi; e se ci rivolgiamo a Dio, ci rivolgiamo a Dio per farlo servire a noi, per parlare di noi, e allora non riceviamo niente da Lui e quindi non lo riceviamo.

Marco: Però molti Santi nonostante avessero una grande passione per Dio avevano una fede oscura, una fede arida; è perché Dio non parlava?

Luigi: Noi non possiamo giudicare; dobbiamo soltanto stare alla scena. Però qui il Vangelo dice che tutta l’opera viene da Dio e che diventare figli suoi non è opera nostra. Quindi per quanto noi facciamo dei salti mortali, o per quanto siamo virtuosi, non è attraverso queste cose che noi diventiamo figli di Dio. Come diceva S. Paolo, “dessi anche il mio corpo alle fiamme, dessi anche tutto ai poveri…” (1 Cor 13,1-13), con questo non è che diventiamo figli di Dio, perché i figli di Dio nascono da Dio, sono opera di Dio. Sapendo questo, ecco che dobbiamo rivolgerci a Dio, se desideriamo diventare figli suoi.

Pinuccia B.: Tutte queste cose: il distacco, il dare ai poveri, l’amore agli altri, possono essere preparazione…

Luigi: Sì, però può anche essere orgoglio.

Piero: Normalmente questo distacco, questo dare ai poveri, ecc. sono più  una conseguenza di ciò che si è ricevuto da Dio che un inizio. Viene come conseguenza naturale il distacco dalle cose, dal denaro, ecc., e il sentirci liberi da essi.

Luigi: Scoprendo qualcosa di maggiore, ti distacchi dal minore.  Non sono le nostre regole (anche se ci mettiamo le regolette più perfette), non è la Legge, non sono i comandamenti, non c’è niente che ci possa far diventare figli di Dio, perché i figli di Dio nascono da Dio consapevolmente.

Pinuccia B.: Però è anche vero che all’uomo totalmente incentrato nel pensiero di se stesso, se non si apre subito a Dio, può essere utile l’aprirsi al fratello, nell’azione sociale, ecc.

Luigi: NO!!! Fintanto che l’uomo non si apre a Dio, anche se si dedica totalmente ai poveri costruisce solo un edificio di orgoglio, di ambizione, ecc; Dio è il Principio e lo si deve mettere come Principio. Quindi anche l’amore al prossimo deve avere Dio come Principio. “Anche solo un bicchiere d’acqua dato nel mio Nome non resterà senza ricompensa”: ma dato nel suo Nome (Mc 9,41). Il Principio deve sempre essere Dio, in tutto! Metti Dio prima di tutto, e allora poi ti aiuterà anche a restare con Lui il servizio al fratello, perché soprattutto all’inizio di un cammino questo servizio e amore al prossimo può evitare le illusioni e determinare una vera e decisiva inversione di marcia, dall’egoismo all’amore. Bisogna perciò  mettere sempre Dio come Principio, anche della nostra conversione e purificazione.

Se tu sei nel fango fino alla punta dei capelli, non ti salvi iniziando a dare tutto ai poveri, ma  iniziando a mettere Dio nel tuo pensiero. In qualunque situazione tu ti trovi, metti Dio; incominciando a mettere Dio, Dio opera la trasformazione; ma è Dio. Quindi in qualunque situazione tu ti trovi, anche se sei nel peccato più nero, incomincia a pensare Dio, cioè incomincia a ragionare con Dio, incomincia a vedere se è giusto questo tuo  rapporto con Dio e Dio ti libererà. Non è che noi dobbiamo prima  liberarci, purificarci e poi dopo metterci a pensare Dio; no! In tal caso faremmo solo dei grandi salti mortali senza concludere niente.

Piero: È impossibile arrivare a Dio mettendo come principio il dar  via; non è quella l’anima, ma sarà una conseguenza.

Luigi: Certo! Quindi qualunque situazione in cui ti trovi, metti subito Dio, apriti a Dio, ragiona con Dio. Maria di Magdala, prostituta, avesse detto: “Prima di avvicinarmi a Gesù, mi pulisco, mi libero”, non si sarebbe mai liberata. Invece è andata per prima cosa da Gesù, e poi la sua vita è cambiata. Come Zaccheo: prima ha voluto vedere Gesù, poi ha dato la metà dei suoi beni ai poveri (Lc 19,1-10).

Ecco, mettiti subito in rapporto con Dio, con tutti i tuoi stracci addosso, con tutta la tua povertà, perché è Lui che fa, non siamo noi che facciamo. E questo non solo per quel che riguarda la meta (diventare figli di Dio), ma anche l’inizio della conversione. È tutta opera sua.

Piero: Sapendo che è Lui che fa, è liberante.

Luigi: Certamente; altrimenti inizi a dire: devo fare, devo impegnarmi, devo esaminarmi, ecc. e a un certo momento il cervello fuma, e non si risolve niente.

Flavio: Noi siamo in gestazione, non siamo ancora nati, e possiamo anche non nascere.

Luigi: Possiamo non nascere, possiamo diventare degli aborti.

Flavio: Quindi l’essere figli di Dio è una tappa da raggiungere, l’inizio di una vera vita, una nascita da Dio. Eppure questa nascita presuppone la nostra morte.

Luigi: Sì, ma sia chiaro: la morte non è la morte fisica; la morte è soltanto il superamento del pensiero di noi stessi. Cioè Dio chiede questo ad ogni uomo: non fermarti al pensiero del tuo io; va’ oltre, supera te stesso. La morte dell’io è questo superamento; cioè, togli il pensiero del  tuo io come punto fisso di riferimento. E cosa vuol dire togliere l’io come punto fisso di riferimento?

Non avere il proprio io come punto di riferimento vuol dire non fermarsi alle proprie impressioni, ai propri sentimenti, ai propri giudizi, alle proprie conoscenze, alle proprie esperienze. Non dire: “La cosa è così, perché la mia esperienza è questa”; se per esempio vai a pescare e peschi due pesci, non dire: “Nel fiume ci sono due pesci perché io ho pescato due pesci”; no! tu hai pescato due pesci, ma nel fiume ci sono tanti altri pesci. Quindi in base a quello che noi abbiamo esperimentato, non dobbiamo dire: “La realtà è questa”. Noi siamo portati sempre a dire: “La Verità è quello che io vedo e che io tocco”, no! noi non siamo il punto fisso di riferimento. La Verità ci trascende; oltre a quello che noi vediamo e tocchiamo, c’è anche quello che non vediamo e non tocchiamo.

Se non ci decidiamo di superare l’io come punto fisso di riferimento, ci sarà assolutamente impossibile diventare figli di Dio, nascere da Dio, ed è logico, perché abbiamo già un altro padre.

Marco: Ma non mi aiuta il fatto di pensare che devo cercare in tutto di non pensare al mio io. Cioè il fatto stesso che io faccio delle domande, è già un pensare al mio io, perché io voglio capire.

Luigi: No! Noi facciamo delle domande perché siamo sollecitati dall’amore per la Verità. È l’amore alla Verità che ci fa chiedere, che ci fa interrogare; perché il bambino chiede  “perché”? Perché è attratto dal bisogno di capire. Ma chi è che gli fa sentire questo bisogno di capire? Non il pensiero del suo io. Arriva però un certo momento in cui l’uomo non interroga più; osserva l’uomo anziano, l’uomo vecchio: non domanda più, ma afferma; lui sa già tutto; è lì il guaio! Ecco, lì siamo nel pensiero dell’io; perché diciamo: “Il mondo è come lo vedo io; un mondo diverso non c’è”. Qui c’è l’io, perché le nostre affermazioni si basano su ciò che abbiamo esperimentato; per cui esiste soltanto quello che abbiamo visto ed esperimentato, parliamo soltanto di quello e tutto il resto non interessa, come se non esistesse. Quando invece abbiamo l’anima che chiede, che interroga, è aperta: c’è l’accoglienza, c’è l’apertura, c’è il superamento, c’è il desiderio di-.  Allora vuol dire che siamo attratti dalla Verità.

Dio è Verità, Dio è Luce, quindi sollecita noi. Il bambino è tutto aperto: infatti interroga; invece l’uomo vecchio non interroga più. Ora, come mai il bambino man mano che cresce, ad un certo momento diventa incapace ad interrogare  e si ripiega su se stesso?

Perché incomincia ad avere i suoi interessi, incomincia ad avere i suoi amori, e non è più disponibile per interrogare, non avanza più nella Verità, si ferma. Lì incomincia ad esserci il pensiero dell’io. Qui capiamo come sia necessario il superamento dell’io per poterci aprire all’interrogazione, alla nuova vita, alla nascita da Dio.

Flavio: Infatti se il chicco di frumento non muore, non dà il frutto, cioè la spiga.

Micol: Ogni uomo ha la stessa possibilità di diventare figlio di Dio in egual misura?

Luigi: Certamente, proprio perché non dipende dall’ereditarietà, né dalle condizioni ambientali, ecc.; “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità” (1 Tm 2,4). Ognuno di noi ha un bagaglio diverso dall’altro, e questo bagaglio è ciò che si deve pagare, che si deve superare per entrare nel Regno dello Spirito. Ognuno di noi ha un prezzo da pagare, però questo prezzo, che è il superamento del nostro io, è la difficoltà in cui si trova ogni uomo.

La Verità non fa preferenza di persona; sicuramente non è che chi è nato negro si trovi più in difficoltà di chi è nato bianco, o chi è nato in una chiesa “cattolica” sia avvantaggiato rispetto a chi è nato in un'altra chiesa. No! Dio non fa preferenze di persona. “Dio vuole che tutti si salvino”.

Quindi ci possono essere difficoltà ambientali, caratteriali, per ereditarietà, però queste, in rapporto a Dio, non incidono, non creano difficoltà; magari creano difficoltà riguardo alla società, alle relazione con gli altri, ma nei riguardi di Dio no. Per cui la creatura, quando è posta in rapporto a Dio, ha la possibilità di diventare figlia di Dio. Siamo tutti nella stessa identica possibilità di accedere; l’importante è che ci mettiamo in rapporto con Dio.

Altrimenti ci sarebbero delle discriminazioni; come per coloro che nascono cerebrolesi; no! Tutto è lezione di Dio, ma è lezione per noi che siamo spettatori, per dire a noi: “Tu non vantarti, perché potevi nascere così”. È Dio che ci umilia, è Dio che ci presenta delle lezioni sempre per ridimensionarci, quindi per salvarci. Magari quelle persone sono degli angeli, anche se noi non ce ne rendiamo conto e non possiamo saperlo. Quindi tutte le cose che si presentano a noi, le dobbiamo prendere da Dio: “Sono lezioni di Dio per me; Signore, che cosa mi vuoi dire attraverso questa povera creatura che tu mi presenti?”; magari scopriremo che Dio ci ha presentato quella creatura perché ci stavamo vantando della nostra intelligenza, della nostra capacità di volere.

Tutto è dono di Dio. Ecco, Dio cerca di riportarci sempre in questa situazione iniziale di povertà, perché è la condizione per poter entrare in rapporto giusto con Lui. Dio attraverso tutte le sue opere ci ridimensiona per poi farci essere suoi figli.

Marco: Povertà è assenza dell’io?!

Luigi: Il povero è colui che ha bisogno di tutto; quindi: “Tu, creatura, sappi che hai bisogno di tutto da Dio; quindi non vantarti di niente”. Se tu ti vanti, Dio ti presenta come specchio una creatura che potevi essere tu; quindi Egli dice ad ogni uomo: “Tu uomo, quale merito hai se stai diritto sulle tue gambe?”.

Marco: Magari queste creature non sono infelici…

Luigi: Noi non possiamo sapere cosa portano nella loro anima; cosa ci deve interessare è questo: ciò che Dio ci presenta è lo specchio nostro. Noi potevamo nascere come loro, quindi non  vantiamoci, ma riconosciamo che tutto l’abbiamo ricevuto da Dio; non vantiamoci di niente.

Non vantarti di essere atleta, perché magari Dio domani ti può paralizzare. In tutte le cose ricordati di ciò che sei, ricorda la tua vera dimensione di creatura che tutto ha ricevuto.

L’uomo purtroppo è portato a gonfiarsi: “Io mi sono fatto da solo; io mi sono arricchito; io ho delle qualità, io qui, io là…”, e ad un certo momento Dio, necessariamente, lo deve condurre in sala operatoria per fargli toccare con mano che è povero, che è niente.

Pinuccia B.: Se invece lo capiamo prima, evitiamo certe operazioni.

Luigi: È logico! Dio non si diverte a farci soffrire.

Piero: Ci ritroveremo salvati proprio da queste creature; perché queste creature, se capite in Dio, ci permettono di vedere la nostra vera dimensione.

Luigi: La maggior parte dell’opera che Dio sta facendo con noi è quella di riportarci nella situazione di povertà, perché noi siamo portati ad uscire dalla nostra dimensione, a crederci qualcuno. Ora, fintanto che noi ci crediamo qualcuno non possiamo entrare in rapporto di giustizia verso Dio, quindi non possiamo aprirci all’ascolto, né tanto meno diventare figli di Dio. Allora Dio deve operare per riportarci giù; noi ci gonfiamo e ci lasciamo gonfiare da quelli che ci battono le mani. Cerchiamo le medaglie…!

Pinuccia B.: Praticamente qui ci viene richiamata la nascita verginale di Gesù in noi; infatti perché Gesù è nato dalla Vergine? Per farci capire proprio questo: come si diventa figli di Dio:  Lui nasce in noi non per opera di uomo.

Luigi: Ecco, è importante questo “non per opera di uomo”, quindi nemmeno per opera di te stesso. Tu non nasci da Dio per opera di te stesso; ecco perché è necessaria questa povertà essenziale. La creatura nasce da Dio in quanto impara a dipendere in tutto da Dio. Infatti Dio è il Creatore, quindi, tu creatura, per essere in rapporto giusto devi imparare a dipendere in tutto da Dio; solo allora nascerai da Dio.

Pensieri conclusivi:

Piero: Il Padre porta a compimento il fine della creatura (diventare figli suoi) attraverso il  suo Pensiero,  Gesù, Pensiero puro.

Luigi: Vita Eterna è il dialogo col Padre in Gesù, nel suo Pensiero, nella luce dello Spirito Santo.

Marco: Bisogna fare le cose con amore. Ormai faccio pochissime cose con amore, faccio quasi tutto perché devo farlo; anche studiare, insegnare ai bambini e il più delle volte venire qua a pregare. Purtroppo non lo faccio perché son contento di farlo, ma perché devo farlo.

Amalia: Non bisogna però confondere l’amore con il sentimento.

Luigi: Certo, non bisogna confonderlo; però il dovere per il dovere è segno che non ci siamo ancora, comunque poco alla volta, con la pazienza…

 

Flavio: L’accogliere è l’elemento essenziale che ci dà la possibilità di diventare figli di Dio. Però mi accorgo che tante cose le faccio motivato da altro da Dio.

Luigi: Ci vuole pazienza; con la pazienza si impara a convivere con Dio.

Micol: Trovo difficile capire il messaggio che recano in sé gli avvenimenti.

Luigi: L’importante è già incominciare a sapere questo: che cioè tutte le cose contengono un messaggio; non soltanto, ma che contengono un messaggio personale per ognuno di noi, perché Dio ci parla personalmente. Tutte le cose sono cariche di messaggi personali per noi; quindi sapendo che Dio parla a noi, c’è questa sofferenza: ci troviamo con Uno straniero che parla una lingua che noi non capiamo. Però il sapere che c’è Uno che sta parlando con noi è già un bel passo avanti. Quello è importante!

Pinuccia B.: Bisogna studiare la grammatica.

Silvana: È Dio che va posto al centro.

Luigi: Porre Dio al centro vuol dire cercare il Pensiero di Dio in tutto, quindi non fermarci ai nostri sentimenti, a quello che conosciamo noi, alle nostre esperienze, ma andare oltre per cercare il suo Pensiero. Dio ci trascende, e quindi richiede sempre questo superamento.   

Amalia: Bisogna morire prima della morte fisica.

Luigi: Certo, morire a noi stessi è essenziale.

Amalia: È  necessario per entrare nella vita eterna.

Luigi: Siamo già nella vita eterna. Un piede l’abbiamo già nell’Eterno; altrimenti, se non fossimo fuori del tempo,  non vedremmo il tempo passare; se vediamo il tempo vuol dire che siamo fuori del tempo.

Silvana: Non capisco….

Luigi: Se tu fossi tutta immersa nel tempo, subiresti soltanto il tempo, ma non lo vedresti passare; se vedi il tempo che passa vuol dire che un punto di te è fuori del tempo.

Silvana: Ma noi lo vediamo passare in rapporto a certe cose, ma non è che lo vediamo passare.

Luigi: No, noi vediamo che tutte le cose, presto o tardi, passano e non c’è nessuno che rimane. Come mai? Perché vediamo questo?

Per vedere questo vuol dire che abbiamo un piede sulla riva, fuori del fiume. Se tu fossi completamente immersa in un fiume, non ti accorgeresti dello scorrere dell’acqua.

Marco: In effetti non ci accorgiamo che la terra gira. Fossimo fuori di essa la vedremmo girare.

Luigi: Se noi vediamo il tempo che passa vuol dire che abbiamo un piede fuori del tempo; questa è già una testimonianza dell’eternità.

Pinuccia B.: Dio viene nella sua casa; ogni giorno viene a me; e il tempo è proprio questo Dio che viene; accoglierlo vuol dire imparare a dipendere in tutto da Lui, ed è la condizione per nascere da Lui.

Luigi: Bisogna accogliere il suo Pensiero; cioè sapendo che tutto viene a noi da Lui, dobbiamo in tutto cercare di capire e conoscere Lui.

Pinuccia B.: Questa è la vera dipendenza.

Luigi: Certo.

Flavio: Che rapporto c’è tra la nascita da Dio e l’Eucarestia?

Luigi: L’Eucarestia è il prolungamento della vita del Cristo, del Cristo tra noi. Dobbiamo chiederci: chi è il Cristo e qual è la sua  funzione?

Cristo è il Verbo di Dio incarnato.

Qual è la funzione dell’incarnazione, della sua Presenza fisica?

Siccome noi siamo schiavi di tutte le presenze fisiche, noi possiamo essere salvati soltanto attraverso una presenza fisica. Quindi quella è introduzione, collegamento; così anche l’Eucarestia: essa è soltanto un collegamento per dirci: “Guarda che Dio è in te”. Infatti, noi Lo introduciamo in noi, e sapendo che Dio è in noi siamo tenuti a incominciare questo rapporto con Dio. L’Eucarestia è un segno che ci mette in rapporto.

Silvana: … con una Presenza reale.

Luigi: Sì, in quanto ci introduce ad una Presenza in noi.

Pinuccia B.: È segno di una Realtà.

Luigi: Certo, però i segni vanno capiti. Altrimenti  è possibile diventare degli abitudinari nel fare la comunione e non partecipare col pensiero, e allora roviniamo tutto, perché i segni vanno intelletti, vanno capiti.

Così anche col Cristo; se ci si limita ad avere un rapporto sentimentale col Cristo fisico, e magari a piangere sulla sua morte senza preoccuparsi di capire, si stabilisce solo un rapporto sentimentale che non serve a niente, perché non si arriva allo Spirito.

Flavio: Ma è richiesta una preparazione per l’Eucarestia.

Luigi: La preparazione sta nel rendersi conto, nel capire. Come è richiesta la preparazione, la giustizia essenziale, per l’incontro col Cristo, così è richiesta la preparazione per ricevere l’Eucarestia. Quindi se tu non fai questa giustizia dentro di te e non metti Dio al centro, quello diventa una recitazione. Si può recitare tutto.

Flavio: Anche se è in noi ugualmente.

Luigi: Dio è in noi, però l’importante è entrare in rapporto personale con Lui. Tutta la funzione dell’incarnazione è per farci entrare in rapporto personale, cioè per farci scoprire Colui che è già in noi. Abbiamo detto prima che Dio non si sposta. Dio è già; Dio creandoci abita in noi, ha messo in noi il suo Spirito, e la testimonianza di  questo Spirito in noi ce l’abbiamo dal fatto che abbiamo la passione per l’Assoluto, il bisogno della Verità. Però, per entrare in rapporto personale, c’è tutta la fase della preparazione, il battesimo di giustizia: “Metti Dio al centro”. Se noi, dentro di noi, non mettiamo Dio al centro, noi possiamo fare la comunione tutti i giorni e praticamente bestemmiamo Dio.

Pinuccia B.: Cioè, il Cristo “esterno”, il Cristo che mi parla fuori, è necessario per farmi prendere consapevolezza che Lui è già dentro di me. Senza il Cristo esterno non potrei arrivare a questa convinzione.

Luigi: Certo, il  Cristo “esterno” è per portarmi a trovare Colui che porto già con me. Lo portiamo già in noi, però siccome siamo tutti proiettati solo verso gli altri, verso le presenze fisiche di cui rimaniamo schiavi, possiamo essere ricondotti all’interno, al Pensiero di Dio che è in noi, soltanto attraverso una presenza fisica che sia anche Dio. Se L’accogliamo, riceviamo la possibilità di diventare figli di Dio.

Sabato 14.05.1983 Continuazione del commento sul versetto 13:

 

Piero: Chi nasce da Dio non nasce né da carne, né dalla volontà degli uomini, ma dalla Volontà di Dio. Il figlio di Dio è caratterizzato da questo: nasce da Dio in tutto, ha Dio al centro della sua vita, dei suoi pensieri.

Luigi: Certo.

Paolo: Non si nasce da Dio per volontà nostra; cioè con tutti i nostri sforzi non approdiamo a nulla.

Luigi: I figli di Dio “non da sangue, non da volere carnale e non da volere di uomo, ma da Dio sono nati”;   cioè non si nasce né per ereditarietà, né perché si appartiene ad una certa famiglia, ad una istituzione, né per il colore di pelle, né perché uno nasce in una società che si professa cattolica piuttosto che buddista; i figli di Dio non nascono per condizioni ambientali e nemmeno per virtù loro, per volontà loro, ma nascono da Dio.

Con tutti i nostri sforzi, con tutta la nostra volontà e anche con tutto il nostro pensare non nasciamo figli di Dio, non diventiamo figli di Dio.

Prima dice: “Ha dato a tutti coloro che credono in Lui la possibilità di diventare figli di Dio”, quindi non è che ci abbia fatti figli di Dio senza la nostra partecipazione. Anche Cristo, morendo in Croce, non ci ha salvati, non ci ha fatti  figli di Dio automaticamente (in Dio non avviene niente di automatico), ma ha dato a noi la possibilità di diventare figli di Dio, cioè la possibilità di nascere da Dio.

Noi nasciamo dal pensiero del nostro io, noi nasciamo dal nostro mondo: ecco, c’è un io che nasce dalla situazione ambientale in cui si trova, ma questo è soltanto la “terra” da cui deve però germogliare un altro io, un io nuovo, e questo io nuovo nasce da Dio.

Quindi c’è una seconda nascita che ci attende, e sarà una presa di coscienza di chi veramente siamo. Infatti noi non sappiamo chi siamo, non ci conosciamo; ci conosceremo veramente soltanto quando nasceremo da Dio e allora conosceremo chi veramente siamo noi. L’io che nasce da Dio è un io consapevole, è un io che si conosce. Invece il nostro io attuale non si conosce, perché è un effetto di tante cose.

Quindi noi abbiamo bisogno di nascere da Dio. Ora, questa nascita da Dio viene a noi attraverso il credere in Cristo; (“a quelli che L’accolsero ha dato il potere di diventare figli di Dio…”);  e credere in Cristo vuol dire ascoltare Lui, seguire Lui; così facendo poco per volta Lui ci condurrà a scoprire quello che già è con noi, perché Dio creandoci ha fatto di noi l’abitazione di Sé. Dio abita in noi, tanto è vero che noi siamo una passione di assoluto e tutto quello che noi cerchiamo lo cerchiamo con la passione di assoluto, e tutto ciò che amiamo lo amiamo con la passione di assoluto. Questa passione che portiamo in noi è un effetto che non sappiamo diagnosticare fintanto che non arriviamo alla Luce; ecco, questa passione indubbiamente è un effetto di un dato. La passione di assoluto che caratterizza ognuno di noi è un effetto dell’Assoluto che abbiamo in noi, è un effetto del Dio con noi, dell’“Emmanuele” (Mt 1,23).

Per cui tutti gli uomini cercano Dio, sono dei cercatori di Dio, però tutti sbagliano luogo in cui cercarlo. Anziché cercarlo in ciò che Egli è, Lo cercano là dove non può essere: nella creazione, nelle creature, nel denaro, in se stessi, nel loro io e indubbiamente non possono trovarlo. Invece credendo in Cristo, seguendo il Cristo, Cristo ci porta, ci conduce a scoprire, cioè a trovare, a cercare Dio dove veramente Egli è; e trovandolo lì, c’è la nascita dell’io consapevole, dell’io che prende coscienza di quello che egli è. Cioè, sostanzialmente il nostro io è fatto in coppia con Dio; noi non siamo soli, noi siamo uniti a Dio. Dio ci ha creati uniti a Sé; e tutta la psicologia umana è determinata dalla presenza di questo Assoluto che portiamo in noi e da cui non ci possiamo disunire; a costo di andare all’inferno noi non ci possiamo disunire, perché l’essere uniti a Dio è opera di Dio, e l’opera di Dio è superiore a noi. Noi non possiamo smentire la Verità; possiamo non conoscerla, ma non possiamo smentirla. Quindi tutti i problemi dell’uomo si risolvono trovando il modo per stabilire questa armonia con Colui che portiamo in noi, cioè stabilendo questo accordo.

Pinuccia B.: Stabilendo questa armonia si nasce da Lui?

Luigi: Certo.

Pinuccia B.: Ma è Lui che ci fa nascere?!

Luigi: Certo, perché Dio è la Causa di tutto, ed essendo Causa di tutto, si entra nel Regno di Dio (entrare nel Regno di Dio vuol dire prendere consapevolezza della Verità delle cose, e la Verità è che tutto è opera di Dio, quindi vuol dire entrare in quel Regno in cui Dio crea tutte cose), proprio in quanto si dipende da Dio. Se ci fosse qualche cosa che dipendesse da noi, questo impedirebbe a noi di arrivare a Lui; cioè fintanto che c’è questo qualche cosa che dipende da noi, questo impedisce a noi di entrare nel Regno di Dio. È per questo che noi siamo impediti e non vediamo il Regno di Dio: noi vediamo gli effetti, ma non vediamo il Regno di Dio, cioè non vediamo Dio che regna, cioè che crea tutte le cose.

Pinuccia B.: Non vediamo il Regno di Dio perché non vediamo la Causa…

Luigi: …o meglio: non vediamo il Regno di Dio perché non nasciamo dalla Causa.

Pinuccia B.: Quindi nascere dalla Causa vuol dire prendere consapevolezza che siamo un effetto di questa Causa, che siamo un pensato.

Luigi: Certo, però questa consapevolezza noi da soli non possiamo prenderla, perché si entra nel Regno di Dio ascoltando, ricevendo. Altrimenti sarebbe sempre effetto nostro: “Sono io che penso, sono io che voglio, sono io che faccio, sono io che prendo coscienza…”. Invece nel Regno di Dio si entra in quanto si ascolta, quindi: “Sono io che sono stato condotto a prendere coscienza”. È soltanto ascoltando un Altro che noi entriamo nel mondo dell’Altro. Ora, quest’Altro è soltanto Dio che parla con noi; quindi è soltanto ascoltando Dio che parla a noi (ecco il Verbo!) che noi entriamo nel suo Regno. Quindi è il Verbo che è con noi e parla a noi che dà a noi la possibilità di entrare nella sua Verità. Quindi non è parlando noi che entriamo nella Verità di Dio, non è pensando noi che entriamo nella Verità di Dio, ma è ascoltando Lui. Per cui  la vera preghiera, quella che ci introduce nel Regno di Dio, è essenzialmente ascolto, e per fare ascolto bisogna far tacere tutto di noi; facendo tacere tutto di noi, facendo silenzio di tutto abbiamo la nascita nuova.

“Metti a tacere tutti i tuoi problemi, tutte le tue questioni, tutti i tuoi argomenti, tutta la tua società, tutto il tuo mondo, e ascolta”. Ecco, mettendo a tacere tutto, ti metti in condizione di ascolto, di ricezione, e sei nel rapporto giusto, perché Colui che parla in tutto è Dio. È Dio il Creatore; la creazione di Dio è un parlare di Dio. Quindi Colui che parla è Dio, noi siamo essenzialmente ascolto.

Allora, se tu sei ascolto, resta ascolto, cioè fa silenzio di tutto e mantieniti in ascolto; mantenendoti in ascolto ricevi, però quello che ricevi, proprio perché lo ricevi, è dono dell’Altro, quindi dipendi dall’Altro, sei in un rapporto di dipendenza. Ecco, così hai un rapporto giusto; quando invece sei tu che parli, sei tu che pensi, il rapporto non è giusto, perché sei tu il principio, sei tu che hai l’iniziativa. E se ti consideri il principio, sei fuori.

Quindi si entra nel Regno di Dio ascoltando. 

Ora, Cristo è il Verbo di Dio, quindi Colui che parla; allora  ascoltando Cristo quindi credendo in Lui (credere vuol dire ascoltare: chi crede, ascolta; e ascoltare vuol dire amare, perché chi ascolta ama: l’ascolto è sempre un atto d’amore perché è un affidarsi all’Altro), siamo nel rapporto giusto, rapporto di creatura con il Creatore, rapporto di discepolo con il Maestro. Allora da questo rapporto giusto possiamo aspettarci la conoscenza. Invece fintanto che in noi c’è un rapporto ingiusto, navighiamo nella confusione, nei dubbi, nelle incertezze, nelle inquietudini, che sono tutte espressioni di un rapporto ingiusto. Infatti le ansie, le tristezze, le inquietudini che portiamo in noi sono una conseguenza di un rapporto ingiusto tra noi e quell’Assoluto che portiamo in noi.

Ora, fintanto che in noi non si stabilisce questo rapporto giusto, in noi c’è inquietudine. È come se noi convivessimo in un alloggio con una persona che vogliamo ignorare, che non sopportiamo: naturalmente tutto questo crea  inquietudini nella nostra casa, perché ci troviamo con una persona con cui non siamo in armonia. Ora, noi siamo una casa, e in questa c’è Dio; e fintanto che non stabiliamo un rapporto giusto di armonia con Dio, portiamo in noi come effetto (non essendo noi capaci a diagnosticare il male) questa tristezza, questa inquietudine che è data da questa disarmonia.

Cristo, essendo Figlio di Dio, se noi Lo ascoltiamo, ci riporta in questa armonia. Poco per volta, ascoltandolo, Lui annulla tutti i valori sbagliati che portiamo con noi. Infatti Lo vediamo subito con il discorso della Montagna: “Beati i poveri, beati coloro che piangono, beati i puri di cuore” (Mt 5,1 ss), che è proprio un capovolgimento di tutti quei valori che ci disturbano e che creano in noi questa inquietudine. Ecco, Cristo riportando i valori al loro posto,  poco per volta ci riporta in questa pace, in questa armonia con Dio, da cui poi  scaturisce la Luce, la conoscenza.

Pinuccia B.: Quindi la nascita.

Luigi: Certo.

Tiziana: In che rapporto è il mio io con il Pensiero di Dio, il Verbo di Dio, quando sono condotta da Dio a scoprirlo in me?

Luigi: Il Verbo di Dio è unico Pensiero di Dio. Noi non siamo pensiero di Dio; noi possiamo pensare Dio, ma non siamo pensiero di Dio. Invece il Pensiero di Dio è Pensiero di Dio. Cioè noi possiamo pensare l’albero, possiamo pensare la creazione, possiamo pensare le cose, possiamo pensare noi stessi, quindi non siamo pensiero di Dio; invece il Pensiero di Dio pensa solo Dio, è Figlio del Padre in tutto; quindi in tutto nasce dal Padre e in tutto riporta al Padre, in tutto glorifica il Padre. Noi invece siamo un’instabilità; però possiamo aderire, abbiamo la possibilità di aderire al Pensiero di Dio: infatti quando pensiamo Dio non siamo noi che pensiamo Dio, perché noi non siamo pensiero di Dio, ma siamo noi che ci uniamo al Pensiero di Dio che portiamo in noi. Se il Pensiero di Dio non fosse in noi, non potremmo pensare Dio (l’animale che non ha il Pensiero di Dio in sé, non può pensare Dio); evidentemente se possiamo pensare Dio è perché abbiamo in noi il Pensiero di Dio; però non siamo pensiero di Dio, perché fossimo pensiero di Dio penseremmo sempre e soltanto Dio, e riporteremmo tutto a Dio. Invece noi abbiamo solo la possibilità di unirci al Pensiero di Dio. Ecco, il nostro io è questa possibilità di unirsi al Pensiero di Dio; però non è necessariamente unione al Pensiero di Dio, perché può disunirsi.

Tiziana: Però quando si verifica questa unione diventa pensiero di Dio…?

Luigi: …Sì, forma una cosa sola col Pensiero di Dio. Però, fintanto che non nasce da Dio è un’unione transitoria; per cui possiamo unirci al Pensiero di Dio e possiamo separarci dal Pensiero di Dio. Anzi, se restiamo uniti al Pensiero di Dio, il Pensiero di Dio ci conduce a nascere come Lui nasce dal Padre; e allora si diventa stabili. Si diventa stabili in quanto si nasce da-, infatti in paradiso non si può più peccare; “affinché dove sono Io siate anche voi” (Gv 14,3), dice Gesù. Cristo parla affinché facciamo tutti una cosa sola: “affinché siano una cosa sola come Tu, Padre, sei con Me ed Io con Te” (Gv 17,21); quindi c’è questa unione, c’è questo destino a cui è chiamato ogni uomo, che è il formare una cosa sola con Dio.

Ora, Cristo stesso dicendo: “Io sono la vite e voi i tralci” (Gv 15,5), rivela ciò che effettivamente noi siamo, e  ci fa capire che anche se siamo tralci non necessariamente siamo uniti alla vite, cioè possiamo disunirci. Infatti fossimo sempre stabilmente uniti alla Vite noi penseremmo unicamente a Dio come il Figlio di Dio pensa al Padre, e quindi riferiremmo tutto a Dio e saremmo figli di Dio. Invece noi facciamo l’errore: riferiamo cioè le cose agli uomini, riferiamo le cose alla società, riferiamo le cose alla natura, riferiamo le cose al caso, alla materia, e non riferiamo tutto a Dio. Ecco, questo ci rivela che noi siamo tralci uniti alla vite, ma possiamo disunirci; quindi noi abbiamo la possibilità di pensare Dio, ma quando pensiamo Dio, non siamo noi che pensiamo Dio.

Noi abbiamo la possibilità di unirci al Pensiero di Dio; direi che il nostro pensiero è la capacità di unirsi al Pensiero di Dio; ma questo non è automatico, non è una cosa automatica. Il pensare Dio è elezione, quindi c’è scelta; per cui la vita vera è un processo d’amore, un processo di scelta.

Adesso tutto il problema sta nell’imparare a restare nel Pensiero di Dio, perché solo restando si diventa figli. Ma  cosa bisogna fare per restare?

Si rimane in quanto si ascolta, perché non si nasce per opera nostra, ma si nasce perché Dio parla a noi; parlando a noi dà a noi la possibilità. È come quando una persona parla a te: parlando ti dà la possibilità di ascoltarla fino ad arrivare al suo pensiero.

Ecco, noi abbiamo la possibilità di ascoltare Dio, ma abbiamo anche la possibilità di interrompere l’ascolto a metà del discorso, e di non arrivare a trovare il Pensiero. Quindi ci vuole quella permanenza fino a quel punto da arrivare a capire il Pensiero dell’Altro.

Dio in tutto ci sta facendo, cioè sta operando per formare in noi il suo Pensiero, cioè suo Figlio, quindi per generare in noi il suo Verbo e farci nascere in tal modo come suoi figli. Allora possiamo dire che tutta la creazione, tutta la nostra vita è Dio che sta parlando con noi per generare in noi il suo Pensiero. Però è richiesta da parte nostra quella permanenza nell’ascolto; ma per poter ascoltare è necessario il silenzio di tutto di noi. Quindi bisogna che noi permaniamo in questo ascolto, e permaniamo quel tanto fino ad arrivare alla conclusione, cioè fino ad arrivare al Pensiero dell’Altro. Infatti se noi appena sentiamo una parola di uno, ce ne andiamo via subito, certamente non arriviamo alla conclusione di quello che l’Altro ci vuole dire. Per cui il Signore dice: “Fermatevi…!”; se invece noi non abbiamo tempo, non ci fermiamo, non possiamo arrivare alla conclusione del discorso.

La conclusione del discorso che Dio fa ad ognuno di noi è la manifestazione del suo Pensiero in noi.

Tiziana: Solo quando attribuisco un fatto a Dio, quindi cerco in Dio il significato, ascolto Dio?

Luigi: Certo, per questo dico che l’ascolto non è soltanto ascolto, ma è cercare di capire, di arrivare a capire, quindi l’ascolto è dedizione di pensiero. Per cui si ascolta veramente non soltanto quando si mette a tacere tutto, ma in quanto si dedica il proprio pensiero a quello che l’Altro ci sta comunicando, per arrivare a capire il Pensiero dell’Altro.

Tiziana: Si entra nel Pensiero di Dio quando riusciamo a rimanere nell’ascolto fintanto che Dio ci rivela il Suo Pensiero, o già nell’atto di aderire?

Luigi: Nell’adesione c’è già il suo Pensiero, però tu non lo sai; perché Dio è già con noi, Dio non si sposta. Non sono Dio o il suo Pensiero che si spostano. Dio è già in noi, e parlando a noi ci conduce a prendere coscienza del Pensiero di Dio, oggettivo, che già portiamo in noi. Noi portiamo Dio in noi; siamo in coppia.

Noi non siamo mai soli; noi siamo fatti di Dio e del pensiero del nostro io: siamo costituiti da questi due termini. Quindi Dio è già in noi, solo che noi siamo disturbati da tutti i nostri prodotti, da tutte le cose che diciamo senza tener conto di Lui, senza riceverle da Dio, cioè da tutte le parole autonome che diciamo noi. Ecco, tutte queste cose che noi diciamo di iniziativa nostra, autonomamente, ci disturbano nell’ascolto, anzi ce lo impediscono. E impedire l’ascolto vuol dire impedire a noi di prendere consapevolezza di quello che portiamo in noi, di quello che è presente in noi.

Allora, il Verbo di Dio parlando a noi, entrando in questo mondo di confusione, di rumore che portiamo con noi, poco per volta ricostruisce questa situazione di silenzio, di ascolto tale da condurci a prendere consapevolezza di quello che è già presente in noi. Quindi, quando il Signore dice: “Noi verremo e faremo abitazione…” (Gv 14,23), non è che le Persone Divine si spostino dal Cielo per venire a noi, ma è un linguaggio parabolico, è parabola detta per noi; Egli dice “noi verremo” in quanto siamo condotti a prendere coscienza di quello che già portiamo in noi. Dio è già in noi. Tutti i nostri mali sono dovuti al fatto che noi portiamo  in noi un Essere che ignoriamo, e di qui tutte le conseguenze.

Tiziana: Hai detto che l’opera che il Verbo di Dio fa consiste nell’eliminare tutti gli elementi di disturbo; ma eliminare nel senso che li toglie o nel senso che poco per volta li introduce nel Pensiero di Dio? Cioè li elimina o ce li fa vedere in Dio?

Luigi: Il Verbo di Dio ci fa vedere ogni cosa in Dio. Ad esempio: come giustifichiamo la nostra vita? Dicendo: “Questo mi è necessario, questo è importante, questo lo debbo fare, questo è un mio dovere; ho la moglie, ho i figli, ho i buoi, ho i campi, ecc.”.

Il Cristo come  elimina queste nostre giustificazioni?

Dicendo: “No!  lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Lc 9,60), “non voltarti indietro” (cf Lc 9,62), “vieni dietro di Me” (Lc 9,59). Ecco, sfronda, toglie, dicendo: “Questo non è necessario”; infatti di fronte a Marta che gli dice: “Dì a mia sorella che mi dia una mano perché sto faticando”, Egli risponde: “No, una cosa sola è necessaria, Maria ha scelto la parte migliore; è lei che lavora più di te, sei tu che devi aiutare lei” (cf Lc 10,42).

Cristo capovolge tutti i termini: noi diciamo: “Il denaro è necessario”, Cristo dice: “No! Beati i poveri, perché di questi sarà il Regno dei Cieli” (Mt 5,1); “Fintanto che tu sei ricco, sei fuori dimensione, ritorna povero ed entrerai nel Regno di Dio”. Quindi Cristo toglie tutti gli elementi di disturbo che si sono creati in noi e che sono quei valori che noi abbiamo fatto nostri o perché lo dice la società o perché in essi ci credono tutti o perché lo esperimentiamo nella nostra ignoranza (magari tocchiamo con mano che senza denaro non si fa niente); per cui  vivendo per il mondo iniziamo a dire: “Questo è importante, questo è necessario” e incominciamo a vivere per queste cose, cioè incominciamo a vivere per le creature. Invece, no!

Le creature sono per farti vivere, ma non devono essere lo scopo della tua vita. Dio deve essere lo scopo della tua vita. Tu sei stato creato per Dio, per conoscere Dio, non sei stato creato per le creature. Le creature sono un mezzo, quindi sono a servizio tuo; tu non devi farle scopo. Allora il Cristo, venendo tra noi, annulla tutti i nostri valori e ci riporta la situazione dei valori esatti, dei rapporti giusti.

Noi ci impediamo la conoscenza della Verità proprio a causa di questi valori di disturbo che portiamo con noi; infatti sono questi ad impedirci l’ascolto della Verità stessa. E questo perché non abbiamo mai tempo: “Io ho i buoi, io ho i campi, io ho la moglie, non posso venire” (Lc 14,18-20). E alla domanda: “Come mai non hai tempo per il tuo Signore?”, si risponde: “Perché questo è importante”. Ecco l’elemento di disturbo!

E allora il Signore dice: “No! Fintanto che tu hai questi valori, non puoi assaggiare la mia cena”. (Lc 14,24). Quindi Cristo parlando ci fa capire che questi sono valori che hanno come centro il pensiero del nostro io e  in quanto hanno come centro il pensiero del nostro io, sono valori errati, perché i valori giusti sono quelli che hanno per centro il Pensiero di Dio. Quindi: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire, ma cerca prima di tutto il Regno di Dio”:  ecco il rapporto giusto! Non preoccuparti: Dio mantiene gli uccelli dell’aria, Dio riveste i gigli dei campi… quindi quanto più avrà cura di te! Cerca allora prima di tutto il Regno di Dio, perché sei stato creato per questo! Leggiamo nel  Vangelo di Matteo:

“Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.” (Mt 6,25-34).

Siamo stati creati per cercare il Regno di Dio; e se noi cercassimo il Regno di Dio, ci accorgeremmo che tutte le cose incomincerebbero ad andare al loro posto; e ogni cosa ci servirebbe senza che ci manchi alcunché. Infatti sempre Gesù, il Verbo fatto carne, dice che ci “sarà dato in sovrappiù”: è Parola di Dio! Penso che dobbiamo fidarci, perché Dio è il Creatore dell’universo; quindi dovremmo fidarci più di Lui che di noi. Quindi non diciamo: “Se non mi do da fare, come faccio a mangiare?”. Il Creatore dell’universo è un Altro; quindi con tutto il tuo darti da fare cosa concludi?

È necessario stabilire al più presto questo rapporto di giustizia: riconoscere che Dio è il Creatore di tutto. È la condizione basilare per iniziare quel cammino che ci porterà alla nascita da Dio.

Nino: Diventano figli di Dio quelli che L’accolgono e credono nel suo nome.

Luigi: È Dio che dà il potere.

Nino: “I quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”, quindi bisogna essere consapevoli. Senza la consapevolezza non si arriva a questa nascita.

Luigi: Ma la consapevolezza viene a noi dalla presenza di Dio, quindi dalla conoscenza di Dio. Cristo infatti parlando porta noi a conoscere il Padre.

Nino: Finché noi non abbiamo questa consapevolezza non possiamo diventare figli di Dio.

Luigi: Certo, i figli di Dio sono figli consapevoli. Non si nasce per atto magico, non si nasce meccanicamente, automaticamente, ma si nasce per consapevolezza, quindi per conoscenza. I figli di Dio sono figli consapevoli, quindi conoscono. Fintanto che non siamo figli di Dio, noi non conosciamo; infatti la caratteristica nostra è essere nel mistero, nel non conoscere.

Nino: Anche se si è ancora nel campo della fede; anche se questo è solo creduto, è solo convinzione, perché non si ha la prova sperimentale…

Luigi: Quando arriverai a essere figlio di Dio avrai però la prova sperimentale. Adesso credi, ma un giorno vedrai ciò a cui hai creduto. La Parola di Dio quando arriva a te, arriva già con una certa garanzia, la garanzia della Verità e ti fa dire: “È vero”. Infatti, quando il Signore dice: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire, ma cerca prima di tutto il Regno di Dio” , tu devi riconoscere che è vero, che è giusto. Perché se Dio è il Creatore, Lui può provvedere per tutti, purché tu Lo cerchi.

Cristo ci fa capire che le cose ci vengono a mancare, cioè diventano nemiche, ostili, proprio in quanto noi non cerchiamo prima di tutto quello che dobbiamo cercare. Allora, allontanandoci da Dio tutta la creazione attorno a noi incomincia a diventare nemica e ci fa tribolare. Infatti in conseguenza del peccato originale tutta la terra è stata maledetta (Gen 3,17); e questo per dire che incomincia a farci tribolare. Non è che Dio abbia creato la tribolazione attorno a noi, ma la tribolazione è la proiezione di un rapporto sbagliato che si è verificato tra noi e Dio. Perché quanto più noi siamo vicini a Dio, tanto più troviamo la pace. Ma trovare la pace vuol dire che anche tutto ciò che c’è intorno a noi è in pace, quindi che tutto serve. Naturalmente, se il rapporto tra noi e Dio è sbagliato, anche tutta la creazione si ribella a noi, ci diventa nemica; quindi ci fa sperimentare che non siamo a posto con Lui. E come ce lo fa sperimentare? Attraverso queste inquietudini; per cui non ci serve più, e allora incominciamo a trovare i semafori rossi ad ogni angolo di strada. Ecco, nella lontananza da Dio tutte le cose ci fermano, ci arrestano. E incominciamo a dire: ‘sta strada è fatta male. No! sei tu che sei fatto male nei riguardi di Dio!

Quindi il problema non è quello di modificare il mondo, cioè il problema non si risolve scendendo dalla macchina per cambiare il semaforo; ma il problema è quello di modificare il nostro rapporto con Dio. Se tu modifichi il tuo rapporto con Dio ti accorgerai che tutti i semafori diventano verdi, e le cose incominciano a lasciarti passare.

Ecco, il problema vero è capire bene che tutto il mondo esterno è una proiezione del rapporto interno tra la nostra anima e Dio; cioè è il  “di dentro del bicchiere”(Mt 23,26) che va lavato, non il di fuori. Il  “di fuori” è questo mondo esterno.  Noi ci diamo tanto da fare per cercare di pulire il mondo esterno, e allora diciamo:  “Il mondo è fatto male, cambiamo la società, cambiamo il mondo, cambiamo gli uomini, cambiamo le strutture”; ma così facendo puliamo solo l’esterno del bicchiere, senza accorgerci che questo sporco che si vede attorno a noi, fuori, è una conseguenza del rapporto sbagliato che c’è tra la nostra anima e Dio.

Modifica il tuo rapporto tra la tua anima e Dio, ti accorgerai che il “di fuori” diventa pulito! Cercando di pulire l’esterno,  si lotta contro Dio; evidentemente la lotta è persa già in partenza, perché il “fuori” è Dio che sta parlando a te la situazione sbagliata che porti dentro di te nei suoi riguardi; Dio ti parla proprio presentandoti un mondo non fatto alla tua misura, proprio perché tu non sei nel rapporto giusto con Dio. Allora modifica il tuo rapporto con Dio e ti accorgerai che le cose poco per volta cambieranno; e constaterai quello che il Signore dice: “Cerca prima di tutto il Regno di Dio, tutto il resto ti sarà dato in sovrappiù”. Quel “tutto il resto ti sarà dato” vuol poi dire che ti sarà tolto  tutto quello che ti affanna: ti sarà tolto come affanno.

Questo giusto rapporto con Dio è la prima condizione per essere condotti a diventare figli di Dio.

Pinuccia B.: A quelli che accolgono il Verbo, Dio dà la possibilità di diventare figli, cioè di nascere; cioè il Verbo incarnato ci dà la possibilità di nascere da Dio.

Luigi: Ed è solo una possibilità, perché ancora non siamo nati. Senza il Verbo invece non si ha la possibilità. Lui ci dà la possibilità, ma non è Lui che ci fa nascere;

Pinuccia B.: infatti in questo versetto 13 dice: “da Dio sono nati”, cioè non dal Verbo incarnato, ma si nasce dal Padre…

Luigi: …per mezzo del Verbo incarnato, perché senza il Verbo incarnato non si nasce dal Padre.

Pinuccia B.: Cioè, il Verbo incarnato ci porta a conoscere il Padre. Ma non è il Padre che rivela Se stesso?

Luigi: Certo, ogni luce viene dal Padre, però sempre per mezzo del Figlio; infatti tu non puoi arrivare al Padre se non per mezzo del Figlio (Gv 14,6), cioè per mezzo del Cristo, il Verbo fatto carne.

Pinuccia B.: E si nasce nel momento che conosciamo il Padre o quando il Padre genera in noi il suo Figlio?

Luigi: Si nasce da Dio quando il Padre genera in noi suo Figlio.

Pinuccia B.: È istantaneo, conoscere il Padre e la generazione del Figlio in noi?

Luigi: No, non è istantaneo.

Pinuccia B.: Allora ci sono due momenti: la conoscenza del Padre e poi il Padre che genera in noi il suo Verbo? Pensavo che come si conosce il Padre ci fosse la generazione del Figlio.

Luigi: Comunque l’importante è che attraverso il Cristo giungiamo a conoscere il Padre, perché la nascita viene dal Padre.  Cristo è il Verbo di Dio incarnato che viene a parlare a noi nella situazione in cui ci troviamo. Però  non va inteso solo come  Verbo di Dio che parla in tutto (perché Dio parla in tutto e parla sempre:  tutta la creazione è nel Verbo di Dio; già nei primi versetti abbiamo visto che “tutto è stato fatto per mezzo di Lui” (Gv 1,3), il che vuol dire che tutta la creazione è nel Pensiero di Dio; quindi l’anima di tutte le cose, di tutti i fatti, di tutta la storia, di tutte le creature, tutto quanto è il Pensiero di Dio; tutto è fatto nel Pensiero di Dio e per il Pensiero di Dio; quindi tutta la creazione  parla a noi di Dio), ma va inteso come Verbo incarnato, perché noi siamo disturbati in questo da tutto quello che abbiamo prodotto nel pensiero dell’io, per cui noi non facciamo altro che proiettare attorno a noi il pensiero del nostro io, e allora attribuiamo agli uomini tanti io, come se fossero tanti piccoli dèi, come se fossero tutti esseri autonomi; e arriviamo a dire: “È l’uomo che fa questo, è l’uomo che fa quell’altro; è l’animale che fa quello, ecc.”, cioè consideriamo autonome tutte le creature e pensiamo che agiscono di propria iniziativa, ecc.

Ora, tutta questa dispersione attorno a noi è una dispersione di “verbi”, ed è una conseguenza del nostro io che non raccoglie più in Dio: non unifica! per cui il nostro io praticamente è una moltiplicazione di tante entità attorno a noi. Perciò, a causa di questo, noi non vediamo più la creazione come segno di un unico Essere che parla con noi, a noi. In questa situazione non vediamo più il Dio che parla, ma vediamo soltanto più le creature che operano, gli uomini che fanno, gli uomini che decidono. Infatti noi aprendo i giornali vediamo che tutta la storia è tutta opera di uomini: uomini che decidono questo, uomini che fanno quell’altro; e non si vede l’uomo come segno di Dio, non si vede la mano di Dio. Per il mondo non è Dio che opera: il mondo non scopre il Divino che c’è nelle cose e nei fatti.

Quindi con l’io al centro in noi viene meno quel senso di unificazione, di riporto tutto a Dio. Mentre invece la vita con Dio è sempre questo vedere in tutto la mano di Dio, cioè vedere che tutto è opera di Dio, e tutto riportare a Dio; quindi la vita con Dio è questo bisogno di unificare.

 Nel pensiero del nostro io quindi noi disperdiamo, e questo perché non colleghiamo più con l’Unità, col Creatore. Allora, in conseguenza di questo noi siamo terribilmente disturbati nell’ascolto, siamo impossibilitati.

Allora il Cristo è il Verbo di Dio che viene in questo nostro mondo di dispersione a parlare nella situazione di confusione in cui noi ci troviamo; e Lui interviene in ogni nostro errore dicendo: “No, guarda che lì tu hai sbagliato, la Verità è questa”. Però dicendoci: “la Verità è questa”, ce lo dice con un termine tale (perché ce lo dice in rapporto diretto con Dio), per cui non possiamo smentirlo, e diciamo: “Hai ragione! non sono capace, non me la sento, però non posso darti torto”. E se crediamo in Lui, cioè se ascoltiamo, se riconosciamo dicendo: “È vero” , allora ci impegniamo a seguirlo, e poco per volta Lui ci ricupera annullandoci tutti quei valori sbagliati, di disturbo che portiamo in noi, fino a condurci a quella capacità, a quella possibilità di diventare figli di Dio.

Il lavoro del Cristo consiste nel condurci a quella limpidezza di occhio tale da poter vedere di nuovo Colui che è presente in noi e che noi non eravamo più capaci di vedere; quindi Cristo ci porta a prendere consapevolezza della presenza oggettiva del Pensiero di Dio in noi, indipendente da noi che è poi il passaggio obbligato per giungere a conoscere il Padre. Lì scopriamo che non siamo noi che pensiamo Dio, ma è Dio che si fa pensare, mentre invece noi nel pensiero dell’io diciamo: “Sono io che penso Dio, quindi Dio è una creazione mia”, oppure: “Dio è un’astrazione degli uomini”. E allora, naturalmente in questo dubbio l’uomo non è più capace di volere, non ha più la forza in sé e resta in balìa di tutti gli eventi, di tutte le cose che gli accadono attorno, tutte le impressioni, ecc.; e in questa condizione è solamente una creatura  schiava.

Ora invece il Cristo parlando, se trova fede e ascolto, conduce noi  poco per volta a quella limpidezza di sguardo, a quella semplicità fino a prendere consapevolezza, e a dire: “Sì, effettivamente Dio è presente in me anche senza di me; quindi non dipende da me”. Ma allora, scoprendo la presenza oggettiva in noi del Pensiero di Dio, noi abbiamo trovato una grande cosa: abbiamo trovato un punto oggettivo su cui far leva. Mentre invece prima era tutto macchiato dal pensiero dell’io, da questo soggettivismo! Ma noi moriamo in questo soggettivismo, perché può diventare un dubbio eterno; per cui Dio non Lo possiamo smentire, ma nello stesso tempo ci resta il dubbio: “Forse sono io che penso Dio; ma non posso nemmeno convincermi che sia così, né annullare questo pensiero perché tutte le creature non dipendono da me, quindi non sono io che le faccio; ma se non sono io che le faccio, Dio invece sono io che Lo faccio?”, e allora  portiamo un dubbio eterno. Nel pensiero dell’io non possiamo superarlo.

Pinuccia B.: Una prova della presenza oggettiva del Pensiero di Dio in noi che non dipende da noi è anche l’incapacità di pensare a Dio quando lo vogliamo noi?

Luigi: Certo, l’abbiamo già visto alla domenica nel cap. 7°: l’impotenza è proprio uno degli elementi che ci portano a scoprire l’oggettività di questo Pensiero di Dio in noi.

Pinuccia B.: L’impotenza di conoscerlo, di andare dove Lui è, sì. Ma anche l’impotenza di pensarlo?

Luigi: Non è che in noi ci sia questa impotenza di pensarlo. Non è che noi non siamo capaci di pensare Dio; cioè noi pensiamo Dio comunque, anche il demonio pensa Dio, non possiamo non pensare Dio perché Dio si fa pensare indipendentemente da noi (Dio è l’Essere che nessuno può ignorare). Però noi esperimentiamo l’impotenza di fermarci a pensare, cioè l’impotenza di riposare in questo Pensiero, di aver pace, esperimentiamo l’impotenza di comprendere, di conoscere. La situazione di impotenza testimonia appunto che le cose non dipendono da noi; questa capacità di restare, e quindi di nascere da-, non dipende da noi. Infatti qui ci vien detto: “I figli di Dio non da sangue né da volere carnale, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati” .                  

Sabato 04.03.1989

 

Gv 1,13:   “I quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio  sono nati”.

Nino: Qui afferma la paternità di Dio: siamo sue creature.

Luigi: Qui però parla dei figli di Dio, i quali nascono non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio. Tutti siamo creature di Dio, ma non tutti diventiamo figli di Dio, anche se tutti siamo chiamati a  diventarlo.

Delfina: Siamo stati generati da Dio, perché siamo sempre stati nel suo Pensiero, quindi nati dal suo Pensiero.

Luigi: No, qui non parla di tutti. Qui dice come nascono i figli di Dio:  “non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati”. I figli di Dio sono quelli che credono nel suo nome, perché “a quanti credono nel suo nome, (Lui) dà il potere di diventare…”, quindi non è detto che lo diventiamo. Cristo dà il potere, a quanti credono in Lui, di diventare figli di Dio; i quali non nascono né da volere di carne, né da volere di uomo, né da volere di sangue, ma nascono da Dio.

Delfina: Ma siamo stati tutti nel Pensiero di Dio, siamo stati tutti pensati da Lui, vero?

Luigi: Sì, ma noi possiamo diventare dei demoni; qui dice che i figli di Dio sono coloro che credendo nel Figlio di Dio, cioè credendo in Cristo, diventano figli di Dio. Cioè si diventa figli di Dio per mezzo di Cristo, se si crede in Lui. È Lui che ci dà la possibilità di diventare figli di Dio, perché  è Lui che ci porta a nascere da Dio. Noi nasciamo dalla carne e, nati dalla carne, apparteniamo alla terra, e in quanto apparteniamo alla terra Gesù ci dice: “Non potete venire dove Io sono” (cf Gv 7,34): “Voi siete di quaggiù, Io sono di Lassù” (Gv 8,23). Chiuso! E questo lo dice a tutti. Invece a quanti credono in Lui Egli dà la possibilità di nascere “di lassù” (quindi c’è questo passaggio dal “quaggiù” al “lassù”), cioè di nascere da Dio.

Delfina: Ci porta alla conoscenza di Dio.

Luigi: Certo, perché si nasce dalla conoscenza di Dio, e quindi non per volontà di uomo, né per impegno, né per sacrifici, né per rinunce, perché attraverso queste cose siamo sempre quaggiù. Invece credendo in Cristo, Lui ci conduce alla conoscenza del Padre, e dal Padre allora c’è questa nascita dei figli di Dio. Ecco, i figli di Dio nascono da Dio, ma per opera del Cristo; quindi non è che noi siamo nati già figli di Dio, no! Noi siamo vocati a diventare figli di Dio. Dio ci chiama a diventare suoi figli per mezzo di suo Figlio, se però crediamo in Lui. Ma se non crediamo in Lui, noi siamo di “quaggiù”, e Lui ci dice: “Dove Io sono voi non potete venire” . Evidentemente Egli non direbbe: “Dove Io sono voi non potete venire” a dei figli di Dio, ma lo dice a delle creature che sono chiamate da Dio a diventare figli di Dio; però non è detto che lo diventino.

Delfina: Allora c’è differenza tra creature di Dio e figli di Dio?!

Luigi: Eccome! Tutti gli uomini sono creature vocate, chiamate da Dio a diventare suoi figli, “se…”; quindi c’è sempre questo patto di alleanza: “se…”, cioè se corrispondiamo, lo diventiamo.

Dobbiamo capire che con i nostri sforzi non possiamo fare niente; se però invece crediamo a Cristo, seguiamo Cristo, Lui ci conduce a quella conoscenza da cui si nasce figli di Dio. I figli di Dio nascono da Dio, ma nascono per partecipazione consapevole, non nascono automaticamente. Ecco perché non si nasce da carne; qui noi nasciamo automaticamente, non sappiamo come; invece da Dio si nasce con partecipazione consapevole, perché i figli di Dio nascono consapevolmente da Dio, quindi con conoscenza; quando uno è consapevole conosce. Quindi è attraverso la conoscenza che si nasce figli di Dio; non si nasce da Dio automaticamente in virtù di qualche cosa: “Tocca questo e diventerai figlio di Dio!”. No! Tu tocchi questo e non nasci figlio di Dio! Non è toccando qualcosa che si entra nella Luce.

Amalia: La condizione per essere generati figli è Maria, la quale dice: “Non conosco uomo”.

Luigi: Certo; però non basta “non conoscere uomo”, sia chiaro! Perché uno può anche non conoscere niente del mondo o rinnegare se stesso, ma non è detto che con questo si nasca da Dio, perché se così fosse, la nascita da Dio sarebbe affidata alla nostra volontà. No, non è affidata alla nostra volontà. Certo, è necessario   il superamento del nostro io, perché altrimenti non si può seguire Cristo, però si nasce per opera di Dio.

Ora, siccome i figli di Dio nascono consapevolmente, si nasce attraverso la conoscenza; e chi ci condurrà attraverso la conoscenza? Ecco, soltanto Chi già conosce, perché “Nessuno può salire in Alto se non Colui che discende dall’Alto”. Ma chi è che discende dall’Alto?

È il Figlio di Dio che è nel Padre che è in Alto. Quindi noi nasciamo figli di Dio in quanto c’è Uno che dall’Alto discende a noi; e se noi crediamo in Lui, Lui ci conduce in Alto a nascere dall’Alto, a fare quindi “una cosa sola” (Gv17,22) con Lui. Ma il mondo queste cose non le può capire e non le capisce; e tutti coloro che appartengono al mondo non possono partecipare a questo. Infatti Gesù dice: “Io non prego per il mondo, ma prego per quelli che tu  hai dato a Me” (Gv 17,9). Ecco, è attraverso di Lui che si diventa figli di Dio. Altrimenti non si diventa figli di Dio.

Giovanna: “A quelli che credono nel suo nome…”: però non basta credere per nascere da Dio, perché ci vuole la nostra partecipazione.

Luigi: Ma credere è partecipare; credere non significa dire: “Io credo”, sia chiaro! Credere vuol dire impegnarsi a capire ciò che l’Altro ci propone. Quindi se l’Altro mi dice: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire, ma cerca prima di tutto il Regno di Dio”, se credo, non mi preoccupo del mangiare e del vestire, non mi preoccupo delle cose di questo mondo, ma cerco prima di tutto il Regno di Dio. Quindi credere è un impegno, perché la Parola di Dio è una proposta, e se veramente credo a chi mi fa una proposta, seguo questa proposta.

Quindi:  credere non significa dire “io credo”; se la nostra fede consiste in questo, diventa una vernice; quello non è credere, perché manca la sostanza. La sostanza del credere è questa dedizione della nostra vita a questo Amore. “Ama il Signore Dio tuo con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forze, con tutto te stesso…” (Mc 12,33). Amare vuol dire cercare di conoscere, quindi chi crede cerca di conoscere Dio, cerca di capire quello che Cristo, Parola di Dio, Pensiero di Dio tra noi, ci propone. Allora, se noi ci impegniamo con tutte le nostre forze dietro di Lui, Lui ci conduce al Padre da cui si nasce come figli di Dio. In caso diverso si è degli aborti.

Giovanna: Fintanto che non siamo nella conoscenza non siamo ancora nati figli di Dio.

Luigi: No! Si nasce per conoscenza, per consapevolezza; non si nasce per volontà nostra, non si nasce per diritto di sangue, non si nasce perché uno è bianco e l’altro è nero; non si nasce figli di Dio perché si appartiene ad una istituzione, ma si nasce per conoscenza.

Silvana: Quindi non basta la volontà dell’uomo per diventare figlio di Dio, ma si nasce da Dio per mezzo di Cristo.

Luigi: La volontà dell’uomo ci vuole, però non è sufficiente, perché “dove Io sono voi non potete venire” , “Io sono di lassù, voi siete di quaggiù”. Quindi…!

Rita: L’uomo sulla terra nasce senza che nessuno gli chieda se vuole o no venire al mondo; la creatura nasce perché Dio vuole che quella creatura nasca…

Luigi: …senza chiedergli il permesso.

Rita: Invece per diventare figli di Dio…

Luigi: …Dio chiede il nostro permesso.

Rita: Occorre la nostra partecipazione; in sostanza si nasce due volte: una volta senza la nostra partecipazione e una seconda volta con la nostra partecipazione.

Luigi: “Se uno non rinasce dall’Alto non può vedere il Regno di Dio” (Gv 3,3), dice Gesù.

Rita: Naturalmente diventare figlio di Dio è unicamente grazia di Dio.

Luigi: Tutto è dono di Dio.

Pinuccia B.: Avevi detto che questa seconda nascita dall’Alto è una nascita continua, non è una volta per sempre.

Luigi: I figli di Dio nascono in eternità; l’eternità è una cosa continuata, è un “oggi” (Sal 2,7) fuori del tempo. Quindi se tu nascessi in un punto saresti nel tempo: in quel punto sei nata.

Pinuccia B.: È persino improprio dire che si nasce in ogni istante, perché è come calare nel tempo. (Luigi: Certo) Non è più giusto dire che è una nascita stabile?

Luigi: È un oggi:  un “oggi” eterno, in cui tutto è presente; si nasce in quella Presenza.

Pinuccia B.: È partecipazione all’Essere di Dio, a ciò che Dio è.

Luigi: È partecipazione all’Essere di Dio e a tutto quello che Dio fa, che ha fatto e che farà.

Pinuccia B.: È una partecipazione attraverso il pensiero.

Luigi: Solo attraverso il pensiero.

Pinuccia B.: Cioè si capisce quello che Lui fa. Quindi il capire ciò che Lui fa ci rende partecipi di ciò che Lui fa.

Luigi: Si capisce; la conoscenza è vera partecipazione. Tu quando non conosci sei tagliata via, resti fuori. Se si parla di un argomento, se in quell’argomento tu non hai le basi non capisci, per cui sei fuori, cioè non riesci ad entrare. In qualunque cosa tu voglia inoltrarti, anche nelle scienze, devi avere delle basi; se ti mancano le basi, ti accorgi che giri a vuoto: senti le parole, ma non riesci a entrare, per cui dici: “Sono fuori!”. Ecco, si può essere “fuori” di Dio. Ma non è che ci sia un “dentro” e un “fuori” come luoghi, ma è un fatto personale, nostro. Per cui se tu sei “fuori”, Dio parla in tutto, ma tu non capisci e resti “fuori”. Se invece  tu capisci, sei “dentro”.

Pinuccia B.: E nella comprensione sono resa partecipe.

Luigi: Infatti la partecipazione è data dalla conoscenza.

Pinuccia B.: Questa nascita dal Padre, da Dio, è la partecipazione alla generazione del Figlio dal Padre, vero?

Luigi: Abbiamo detto che si partecipa conoscendo; quindi soltanto con la conoscenza della generazione del Figlio dal Padre si partecipa a questa generazione del Figlio dal Padre e quindi anche alla nostra generazione. È dalla conoscenza di come il Padre genera il Figlio che noi nasciamo come figli di Dio.

Pinuccia B.: Quindi il Cristo ci porta a conoscere il Padre, il Padre ci fa conoscere come genera il Figlio.

Luigi: Perché il Figlio contemplando il Padre vede quello che il Padre opera e quindi conosce la sua generazione, cioè conosce Se stesso come Figlio del Padre, come generato dal Padre; ed è la stessa conoscenza di cui Lui ci fa partecipi, perché è questa conoscenza che ci fa una cosa sola col Figlio. Ma fintanto che non arriviamo a questa conoscenza non c’è questa partecipazione, questa “una cosa sola”, perché nella Verità tu partecipi nella misura in cui conosci. Tu trovi la Verità conoscendola, e solo conoscendola; non conosci la Verità per degli atti magici, non La conosci per sentito dire. La Verità tu La trovi solo conoscendola; il che vuol dire che solo attraverso la conoscenza c’è la partecipazione. E fintanto che non conosci, tu puoi sentir parlare della Verità da mattina a sera, ma se tu stessa non conosci, non partecipi di niente, cioè sono tutte parole che arrivano a te, ma che non capisci.

Pinuccia B.: È un sentito dire.

Luigi: Ecco, non puoi smentirlo, perché la Verità è più forte di te e non puoi smentirla, però non “entri”, non capisci. Ora, i figli di Dio invece comprendono perché sono in “casa”. Essere in casa vuol dire avere la possibilità di partecipazione. Ma questa possibilità di partecipazione c’è, perché si è conosciuto per mezzo del Figlio di Dio la generazione del Figlio dal Padre.

Rita: E li ci verrà dato un nome nuovo.

Luigi: Certo.

RAPPORTO INTIMO

Creati per conoscere Dio ci realizziamo nella conoscenza intima di Dio.  Anche l'universo ha qui il suo significato, e la vita dell'uomo tutto il suo valore.

La conoscenza di Dio, esperienza intima e personale, viene in noi dalla intimità di un rapporto personale con Dio.  Si attinge alla Sorgente Divina con il nostro pensiero; si ascolta il Maestro interiore dedicandogli il nostro pensiero.

Da qui, da questa intimità, nasce il nostro vero essere, la nostra vita vera: «Dal seno di chi crede in Me scaturiranno fiumi di acqua viva... », dice Gesù (Gv 7,38). Una comunione di pensiero, la più intima, la sola in cui è possibile una unione permanente. E Dio vuole condurci qui.

Se qui sta la vita vera, ogni anima, come dice sant'Agostino, va partorita tante volte quante la si vede allontanarsi dalla Sorgente. Lo Spirito Santo, questo fiume di acqua viva, viene in noi dalla glorificazione in noi della Parola di Dio che giunge a noi, che è il Verbo di Dio tra noi, che è Cristo.

Nel cercare e nel conoscere Dio personalmente, intimamente, sta la vera glorificazione di Cristo, il compimento della sua volontà, la pienezza della sua missione, poiché Cristo è venuto per rivelarci la Presenza di Dio in noi.

Ecco, è necessario osservare, scrutare, penetrare, assimilare le Parole di Cristo se vogliamo mantenerle in noi, dare un senso alla nostra esistenza e scoprire la vera vita.  Questo richiede la dedizione del nostro pensiero.

Se i fiumi di acqua viva non scaturiscono dal nostro intimo, e tutto in noi inaridisce e si svuota, è segno che ci siamo staccati con il nostro pensiero da questa Sorgente interiore. «Abbi il tuo pensiero nelle Parole di Dio e medita di continuo i suoi insegnamenti anche se sono duri e difficili. Dio fortificherà la tua mente e il tuo cuore», così insegna la Sapienza antica e sempre nuova della Sacra Scrittura (Sir 6,37).

NEL SILENZIO DI TUTTO SI TROVA IL TUTTO

 

La vita interiore è un cammino tracciato nelle Parole di Dio, le quali, essendo Parole di Dio, ci parlano di Dio e ci conducono quindi ad occuparci di Dio. Tale cammino inizia dalla fede in Dio e termina alla Presenza di Dio.

Dio è il Principio e il Fine; è Colui che inizia la nostra vita ed è Colui che la conclude. È Lui che parla all'uomo e parlando lo fa essere, lo forma, lo fa camminare, lo guida ai pascoli eterni in cui l'anima si sazia e trova pace.  Le sue Parole ci aprono il cammino alla sua Verità ed alla scoperta della sua Presenza. «Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri, guidami nella tua Verità e istruiscimi, perché sei Tu il Dio della mia salvezza»: è questa la preghiera dell'anima attratta dall'amore di Dio (Sal 25,4).

L'anima che crede, sa che tutto le viene e tutto le deve venire da Dio.  Poiché Dio è il Creatore, Dio è il Protagonista di tutto nella vita degli uomini, dal principio alla fine, nelle cose grandi e nelle cose piccole e comuni di ogni giorno. Tutto è opera sua ed Egli è in tutto, tutto in tutto. Ogni cosa, ogni fatto, essendo opera sua, è segno di Lui a noi.  Tutto ci parla di Dio, ce lo annuncia, e ci invita a conoscerlo.

Poiché tutte le cose ci parlano di Dio, la nostra vocazione ad occuparci di Dio è scritta in tutto l'universo.  La nostra assenza a Dio è ingiustificata sia davanti a Dio sia davanti a tutto l'universo: quindi non è senza colpa.

La ricerca di Dio, questo inizio della vita interiore è un atto di giustizia, il primo. «Cos'è la giustizia? - scriveva Kierkegaard - La giustizia consiste nel cercare prima di tutto il Regno di Dio.  Ecco dunque l'inizio della vita della fede: cercare prima di tutto il Regno di Dio. Appunto in questa ricerca che precede ogni altra ricerca sta la giustizia di cui parla il Vangelo».

L'uomo è un essere chiamato ad occuparsi di Dio.  Qui sta la sua vita essenziale, mancando la quale fallisce il suo destino. «In ciascun giorno, in ciascuna ora, dobbiamo costruire per l'eternità», diceva Edith Stein. Costruendo per l'eternità ci inoltriamo in quel luogo in cui abita Dio ed in cui si nasce da Dio.

Solo in Dio troviamo le cose eterne; cioè dobbiamo costruire in Dio se vogliamo inoltrarci in ciò che è eterno; altrimenti precipitiamo nel tempo.

Dio solo è il rivelatore di Se stesso e della nostra vita vera, la pietra fondamentale, il principio della costruzione che non crolla. L'uomo deve quindi poterlo pensare, potersi raccogliere in Lui. Per questo deve chiudere gli occhi a tutto ciò che non è Dio. È nel silenzio di tutto che si trova il tutto.

Ma il silenzio di tutto è dato solo dalla possibilità di tanta attenzione a Dio, e questa non ci sarebbe possibile se Dio per primo non ci avesse fatto dono di abitare con noi. Nessuno Lo potrebbe pensare, credere, cercare, conoscere amare, se Lui non si rivelasse per primo.

IL GRANDE DONO DI DIO AD OGNI UOMO

Dio ci dà la possibilità di pensarlo, di raccoglierci nel suo Pensiero: è il più grande dono che Egli fa ad ogni uomo.

Nessuno potrebbe parlare di Dio, nemmeno per negarlo, rifiutarlo o bestemmiarlo, se Dio per primo non avesse donato il suo Pensiero e non avesse parlato con lui di Sé.

Gli uomini parlano di Dio perché Dio per primo ha parlato loro di Sé quando essi ancora erano muti di Lui nella loro mente. Gli uomini non fanno altro che ripetere ciò che è stato loro detto da Dio. Essi sono dei ripetitori delle Parole di Dio; ripetitori più o meno fedeli, più o meno difettosi, ma sempre dei ripetitori. Non si può essere fedeli senza Dio. Ciò che in essi c'è di positivo è opera di Dio: ciò che c'è di negativo, difettoso, è opera loro, del loro io quando non tiene conto di Dio.

Dio è il Creatore; Dio è Colui che parla.  Dio parla ad ogni uomo personalmente.  Colui che è infinito, è infinito in ogni punto; Colui che è tutto, è tutto in ogni luogo; quindi non ha difficoltà ad essere presente ed a parlare ad ogni uomo.

È l'uomo che, non essendo infinito e non essendo tutto, ha difficoltà ad essere presente a Colui che è presente in tutto.

È Dio che parlando all'uomo gli apre con le sue parole il cammino alla sua Presenza; lo fa passare dai limiti della creatura all'infinito del Creatore.  È per la Parola di Dio che l'uomo scopre l'esistenza di Dio e si apre all'interesse e alla ricerca di Dio.  Ed è tutto grazia di Dio. È grazia di Dio sapere che Egli esiste; è grazia di Dio avere interesse per la sua Verità; è grazia di Dio il cercarlo. Quanto più sarà grazia di Dio il trovarlo!

Le Parole di Dio se sono ascoltate e assimilate diventano una strada che conduce alla Città di Dio.  Esse ci introducono alla nostra vita eterna tra cose eterne, là dove Dio si rivela.

« Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso il luogo di cui Dio ha detto: lì sarà il mio Nome» (1 Re 8,29). Il suo Nome, la sua Presenza, è nel suo Tempio. Non nel Tempio fatto da mano di uomo, ma nel Pensiero stesso di Dio in noi. Dio parla all'uomo in tutto, ma si rivela solo nel suo Tempio.

IN ATTESA DELLO SPIRITO

Bisogna impegnarci a capire personalmente le parole di Dio, le cose di Dio. È questa la conversione personale da cui dipende ciò che avviene nel mondo. “Il mondo è sull’orlo della catastrofe; l'unico modo per evitarla è la conversione personale», cosi dichiarò la Vergine Maria a quei giovani ai quali sta apparendo quotidianamente a Medjugorje in Yugoslavia.

Le cose alte e profonde richiedono molta dedizione e costanza. Le cose infinite richiedono una dedizione infinita, una veglia infinita. E Dio è infinito. È in questa veglia che si è fatti capaci di portate l'infinito di Dio e di accogliere il suo Spirito, la sua Verità.

Per questo Gesù ascendendo al Cielo del Padre suo raccomandava ai suoi discepoli di non allontanarsi da Gerusalemme fino a che non fossero investiti dello Spirito dall’alto.

Gerusalemme è la Città di Dio, il Tempio di Dio: rappresenta la nostra anima. È qui che viene lo Spirito dall’alto; è qui che si giunge alla nostra Pentecoste: venuta in noi dello Spirito che ci rende capaci di portare tutta la Verità. È questa la grande promessa che sta al centro di tutta la creazione di Dio, fine della missione di Cristo, meta, destino e corona della vita di ogni uomo, approdo di ogni nostro pensiero: conoscere la Presenza di Colui che è presente e che dimora in noi, essere abitati dalla Verità ogni giorno della nostra vita.

La conoscenza di Dio, questa venuta dello Spirito Santo in noi, che è Spirito della Presenza del Padre e del Figlio, è l'eredità che Dio ha destinato ad ogni uomo, compimento del nostro destino e nostra vita eterna. Ma pochi sono coloro che giungono ad essa, poiché pochi sono coloro che si interessano di Dio.

LA VEGLIA INFINITA

La via che Dio ha tracciato per noi in Cristo è per educarci alla vita interiore, fino a quella veglia infinita su Dio, che è glorificazione di Dio in noi e che ci tende capaci di  ricevere e di portare la conoscenza del Padre e del Figlio, capaci cioè di vita eterna.

Veglia infinita non nel senso di tempo prolungato all’infinito, ma nel senso di dedizione totale e semplice all'Unità di Dio, poiché l’Infinito è Uno. È ciò che è molteplice che è finito; ma ciò che è infinito è uno. Il finito nasce dal molteplice.

Fintanto che i nostri desideri, i nostri amori sono molti, sono finiti; allora anche i nostri pensieri sono spezzati, fratturati, finiti, incompiuti, paralizzati, e noi non siamo capaci di portare nel nostro finito la Verità di Dio che è infinita e di giungere a quella conoscenza della Verità che Gesù promette a coloro che restano nelle sue Parole, in questo raccoglimento nell'unica cosa necessaria.

Bisogna impegnarsi, immergersi nell'infinita unità di Dio Padre.

L'uomo è un essere aperto all'infinito in quanto porta in sé la passione dell'assoluto, che è passione per l'unità; ma egli fa il passaggio dal finito all'Infinito in quanto passa dalla molteplicità delle cose del mondo all'Unità di Dio, e questo presuppone in lui la possibilità di raccoglimento nel Pensiero di Dio, poiché non si giunge all'Infinito dal finito: per quanto infatti sommiamo cose finite non otterremo mai l'infinito.

Solo l'Infinito è rivelatore di Se stesso. Per cui facciamo il passaggio dal finito all'Infinito solo per mezzo dell'Infinito. «Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me», dice il Verbo di Dio (Gv 14,6).

La rivelazione di Dio alla nostra anima discende dall'alto del cielo di Dio, discende da Dio stesso.

Dio che si annuncia in tutte le cose finite, si rivela solo in Se stesso. Solo se Dio si dona a noi rende noi capaci di Sé.

Il mutamento in noi che ci rende capaci di prendere coscienza e quindi di scoprire in noi la presenza di Colui che è presente in noi fin dal principio, che è Presenza del Padre e del Figlio, è dato dal passaggio dalla molteplicità dei nostri pensieri all'Unità del Pensiero di Dio. 

Non si passa dal nulla all'esistente senza l'intervento dell'Infinito, e non si passa da ciò che si è a ciò che ancora non si è senza la Presenza dell'Infinito. Così non si passa da ciò che non si conosce a ciò che si conosce senza la nostra dedizione all'Infinito: altrimenti si rimane sempre alla stessa distanza per quanto si corra e ci si agiti. È la dedizione all'infinito che ci rende capaci dell'Infinito.

La nostra vita è realmente divina solo se noi l'attingiamo personalmente a quella profonda sorgente che in noi è il Principio di tutto. Tale Principio è annunciato: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso di Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1).

Solo così, solo se interiormente ancorati a Dio, tutta la nostra vita si impronta e si configura secondo il disegno di Dio, ad immagine e somiglianza di Dio.

Questa glorificazione di Dio in noi è un momento di pienezza in cui l'uomo ricupera una identità perduta, ritrova una vita dispersa e frantumata, ricupera il Principio e il Fine, ritrova le radici della sua esistenza, scopre il senso, il significato e il valore della vita.

GLORIFICARE DIO NEI NOSTRI CUORI

Glorificare Dio è riconoscere a Dio il posto che gli spetta in tutto: negli avvenimenti e nei nostri pensieri, nella nostra vita, nelle nostre scelte, nelle nostre parole.

Glorificare Dio è occuparci di Lui per ciò che Egli è, è riconoscerlo principio e fine di tutto, presente in tutto, anche nei nostri pensieri.

Glorificare Dio sta nel vedere la sua mano, il suo Pensiero per noi in tutti gli avvenimenti, anche nei più sconcertanti.

Questa conoscenza è lo Spirito Santo di Dio in noi, è la dimora di Dio con gli uomini, è la Città Santa, ed è la dimora degli uomini con Dio. Nessuno può dimorare con Dio e in Dio senza questo Spirito, senza questa conoscenza.  È questo il fiume di vita che rende feconda la nostra terra; è questa la Città Santa, la città di David, la nuova Gerusalemme che discende sulla terra dal cielo della conoscenza di Dio, poiché solo chi conosce Dio è nella carità e nell'amore. «Chi ti conosce ti ama; chi poco ti ama è perché poco ti conosce; chi poi non ti ama è perché non ti conosce» scrive sant'Agostino.

Bisogna riconoscere, glorificare Dio dentro di noi, nei nostri stessi pensieri, se vogliamo giungere a fare esperienza di Dio, a conoscerlo personalmente. «E dove credi si offra il sacrificio di giustizia se non nel tempio della mente e nell'interno del cuore?  Dove si fa il sacrificio lì si fa la preghiera» (sant'Agostino - De Magistro).

La conoscenza di Dio è questo dono supremo per il quale Dio ci ha creati e con il quale ci rende partecipi della sua Verità e ci fa entrare nella sua pace. «Se tu conoscessi il dono di Dio!» dice Gesù alla Samaritana (Gv 4,10).  Preoccupati che la luce di Dio splenda in te, dentro di te; il resto verrà di conseguenza. Ma se in te c'è la notte, tutto per te sarà nella notte, poiché è dalla Luce interiore di Dio che tutto il mondo è illuminato. «In te risplende la gloria del Signore» (Is 60,l1). La gloria di Dio, la Luce di Dio vengono da Dio solo Dio è rivelatore di se stesso. Se glorifichiamo Dio nei nostri cuori, Dio glorificherà in se stesso e presto ogni nostro pensiero, ogni nostro desiderio; allora tanta luce sorgerà in noi e la nostra vita darà i suoi frutti e giungeremo a vedere il compimento di tutte le promesse di Dio.  Per questo Dio dice: «Avvicinatevi a Me ed Io mi avvicinerò a voi; conoscetemi ed Io vi conoscerò; ritornate a Me ed Io ritornerò a voi» (cf Gc 4,8-9; Ml 3,7).

Chi Lo conosce sarà conosciuto; chi Lo ama sarà amato; chi Lo pensa sarà pensato; chi Lo cerca sarà cercato.

Quanti conoscono Dio Lo amano e sono fatti cittadini della sua Città, del suo Regno, figli di Dio nella casa del loro Padre. Dio fa grandi cose per coloro che Lo cercano e Lo conoscono. Egli dà loro il suo Spirito, la sua Luce, la sua Presenza, la sua Vita, li rende partecipi della sua Verità, della sua Vita: li conferma in tutto, poiché si fa trovare da loro in tutto, affinché nulla li possa separare da Lui. Essi infatti Lo riconoscono e ascoltano la sua Voce in tutto.

(pensieri tratti da “Breviario di vita interiore” di Luigi Bracco)